Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 5 Maggio 2005

Ordinanza 20 aprile 2005

Corte di cassazione. Sezione I civile. Ordinanza 20 aprile 2005, n. 8291: “Rigettata l’istanza diretta ad ottenere l’autorizzazione all’interruzione dell’alimentazione artificiale richiesta dal tutore”.

RITENUTO IN FATTO

Con provvedimento in data 20 luglio 2002, il Tribunale di Lecco, ritenuta la legittimazione attiva in capo a B.E., in qualità di tutore della figlia interdetta E., rigettò il ricorso, proposto ex art. 732 c.p.c., con il quale lo stesso, deducendo la irreversibilità, secondo i criteri della scienza medica, dello stato vegetativo permanente in cui la predetta figlia si trovava, per effetto di un trauma cranico-encefalico riportato a seguito di un incidente stradale occorso nel lontano 1992 – stato in relazione al quale già nel 1999 l’E. aveva una prima volta richiesto la interruzione delle cure che ne consentivano la protrazione, ed in particolare dell’alimentazione artificiale -, aveva avanzato nuova istanza ai fini di ottenere l’autorizzazione a detta interruzione, sottolineando la necessità di sottrarre la figlia alle condizioni di vita disumane e degradanti nelle quali era costretta a proseguire la propria esistenza.

Rilevava il Tribunale che la nozione di cura del soggetto incapace implica un quid di positivo, volto comunque alla conservazione della vita del soggetto stesso, con la conseguenza che sarebbe contraddittorio attribuire al tutore la potestà di compiere atti che implichino di necessità la morte del soggetto; ed aggiungeva che l’ordinamento giuridico sottende una totale difesa della vita umana, e che l’autorizzazione al tutore, e cioè a soggetto diverso dal diretto interessato, a far cessare ogni forma di somministrazione alimentare non trova, allo stato della legislazione, adeguato fondamento giuridico.

Avverso detto decreto, l’E. propose reclamo alla Corte d’appello di Milano, censurando la ricostruzione della funzione del tutore operata dal Tribunale.

La Corte d’appello di Milano, sezione delle persone e della famiglia, con decreto del 10 dicembre 2002, rigettò il reclamo, facendo riferimento alla inutilizzabilità diretta del principio di autodeterminazione nel caso del paziente in stato vegetativo permanente, ed al ruolo del tutore, sottolineando il valore morale delle direttive anticipate di trattamento, ma avvertendo la mancanza di regole allo stato, e perciò escludendo la possibilità di adottare una interpretazione integratrice nella specie, pur nell’auspicio della predisposizione da parte del legislatore degli strumenti adeguati per la protezione della persona ed il rispetto del suo diritto di autodeterminazione.

Avverso tale decisione, l’E. ha proposto ricorso per cassazione, non notificato ad alcuno.

Il ricorso è stato trattato in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Lamenta il ricorrente la violazione degli artt. 357 e 424 c.c., in relazione agli artt. 2, 13 e 32 Cost., ed omessa ed insufficiente motivazione.

Sottolinea come la propria figlia non sia in grado di esprimere alcun consenso, riguardo ad atti che si configurano come invasivi della sua personale integrità psico-fisica, e richiama la giurisprudenza costituzionale sull’attinenza della tutela della libertà personale a qualunque intromissione sul corpo o sulla psiche dell’individuo cui questi non abbia consentito. Pone l’accento sulla tutela della dignità umana, inscindibile da quella della vita stessa, come valore costituzionale, e richiama, tra l’altro, l’art. 32 Cost., che preclude trattamenti sanitari che possano violare il rispetto della persona umana, la cui perdita, in caso di soggetto in stato vegetativo permanente, è in re ipsa. Chiede in subordine che sia sollevata questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 2, 13 e 32 Cost., dell’art. 357 c.c., o di quelle altre norme che siano da interpretare in modo tale da non consentire la cessazione dei trattamenti di alimentazione artificiale in atto.

Il Procuratore Generale, nelle sue conclusioni scritte, ha chiesto dichiararsi la inammissibilità del ricorso in quanto non notificato ad alcuno e privo dei requisiti del ricorso per cassazione.

Tali conclusioni sono state contestate dal ricorrente con una memoria depositata nella imminenza della data fissata per la camera di consiglio, nella quale, in particolare, si esclude la necessità della notifica del ricorso al Procuratore Generale a quo.

La eccezione del Procuratore Generale appare meritevole di accoglimento.

La notificazione del ricorso per cassazione, in quanto indispensabile per la instaurazione del rapporto processuale, costituisce elemento la cui mancanza determina la inammissibilità del ricorso.

Tale principio, affermato per i procedimenti contenziosi ordinari, deve ritenersi operante anche nei procedimenti che si svolgono in camera di consiglio.

Per questi ultimi – e tale è quello di specie – questa Corte (ord. n. 6167 del 2002) ha affermato l’applicabilità di detto principio nei procedimenti con pluralità di parti, rilevando che la notificazione non occorre solo allorché ricorra l’ipotesi di procedimento di volontaria giurisdizione unilaterale, e cioè di procedimento nel quale non sia individuabile un soggetto portatore di un interesse diverso da quello attribuito al soggetto istante.

Occorre pertanto stabilire se nella specie ricorra quest’ultima ipotesi.

Ed al riguardo va sottolineato che, se a tale questione si darà risposta negativa, e cioè se si riterrà che il presente giudizio è plurilaterale: a) sarà irrilevante, al fine di cui si discute, che le parti individuate quali contraddittori necessari non abbiano partecipato ai precedenti giudizi, e ciò perché la loro presenza nell’attuale giudizio sarebbe indispensabile per la costituzione del relativo rapporto processuale, anche se l’unica decisione adottabile sarebbe la rilevazione del difetto di contraddittorio nei precedenti gradi di merito; b) non sarà consentita – non essendo prevista – la rimessione in termini (richiesta in memoria), la quale è stabilita dall’art. 184-bis c.p.c. per casi specifici e non è applicabile per la rinnovazione della notifica del ricorso che non sia stato notificato ad alcuno.

Per stabilire se sussistano interessi diversi o addirittura contrapposti a quello oggetto della causa, e, conseguentemente, se sussistano altri soggetti contraddittori necessari, occorre individuare l’oggetto della controversia.

Il tutore, ritenendo che l’interdetta versi da moltissimi anni in stato meramente vegetativo, nel quale a suo avviso è mantenuta mediante presidi sanitari, e che tale stato, in quanto escludente la dignità umana, fa escludere la ricorrenza della vita intesa nella sua portata minima imprescindibile, ha chiesto l’autorizzazione alla cessazione di detti presidi.

Va rilevato che tale cessazione dovrebbe – altrimenti non vi sarebbe motivo per l’autorizzazione alla stessa – condurre a morte il soggetto.

Sulla base di tale individuazione della controversia occorre stabilire se sussistano altri soggetti interessati oltre l’istante.

Il tutore evidentemente agisce ai sensi del combinato disposto degli artt. 424 e 357 c.c., secondo i quali il tutore “ha la cura della persona del…”.

Premesso che costituisce questione di merito stabilire se l’azione esercitata, come sopra individuata, possa essere ricompresa nell’indicato potere del tutore, è di immediata evidenza che il provvedimento di autorizzazione richiesto, che il tutore afferma corrispondente all’interesse dell’interdetto, possa invece non corrispondervi.

Ed infatti, lo stabilire se sussista l’interesse (al provvedimento autorizzatorio) prima che l’attuabilità dello stesso giuridicamente presuppone il ricorso a valutazioni della vita e della morte, che trovano il loro fondamento in concezioni di natura etica o religiosa, e comunque (anche) extragiuridiche, quindi squisitamente soggettive: con la conseguenza che giammai il tutore potrebbe esprimere una valutazione che, in difetto di specifiche risultanze, nella specie neppure analiticamente prospettate, possa affermarsi coincidente con la valutazione dell’interdetta.

A questa stregua, premesso, per quanto ora esposto, che deve ritenersi che l’interdetta nella specie non sia in condizione di esprimere la propria valutazione, e quindi la propria scelta, deve trovare applicazione l’art. 78 c.p.c., che prevede la nomina di un curatore speciale al rappresentato “… quando vi è conflitto di interessi con il rappresentante”.

Ad ulteriore supporto di tale conclusione, va rilevato che le numerose norme rinvenibili nell’ordinamento che conferiscono al tutore specifici poteri in materie attinenti ad interessi strettamente personali – pur se di carattere non altrettanto essenziale quale quello in esame – dell’interdetto per infermità (art. 119 c.c., per l’impugnazione del matrimonio; art. 245 c.c. in tema di disconoscimento della paternità; art. 264 c.c. in tema di impugnazione del riconoscimento del figlio naturale da parte di chi è stato riconosciuto; art. 273 c.c., in tema di dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale; art. 13 l. 22 maggio 1978, n. 194, in tema di interruzione della gravidanza), appaiono elementi sintomatici della non configurabilità, in mancanza di specifiche disposizioni, di un generale potere di rappresentanza in capo al tutore con riferimento ai cc.dd. atti personalissimi (per una ipotesi in cui questa Corte ha avuto occasione di escludere la proponibilità della domanda di divorzio per l’interdetto ad opera del tutore, riconoscendogli invece il potere di chiedere la nomina di un curatore speciale ai fini della proposizione della domanda di divorzio, v. sent. n. 9582 del 2000).

E la conferma della inesistenza, in capo al tutore, di una rappresentanza generale degli interessi dell’interdetto con riguardo a siffatto genere di atti si rinviene nella previsione codicistica della necessaria nomina, da parte del giudice tutelare, non appena avuta notizia del fatto da cui deriva l’apertura della tutela, oltre che del tutore, anche del protutore (art. 346 c.c.), nonché nelle ulteriori previsioni che “il protutore rappresenta il minore nei casi in cui l’interesse di questo é in opposizione con l’interesse del tutore”.

“Se anche il protutore si trova in opposizione di interessi con il minore, il giudice tutelare nomina un curatore speciale.” (art. 360 c.c.).

E’ ben vero che le menzionate norme sono inserite nella “tutela dei minori”; ma tale tutela è richiamata nella sua interezza per la interdizione, alla quale pertanto è applicabile: l’art. 424 c.c., infatti, sancisce che “le disposizioni sulla tutela dei minori… si applicano… alla tutela degli interdetti…”.

Le conclusioni raggiunte non contrastano né possono ritenersi derogate dalla Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina, fatta ad Oviedo il 24 aprile 1997 – della quale la l. 28 marzo 2001, n. 145 ha autorizzato la ratifica – dal momento che tale Convenzione prevede che il rappresentante legale (o comunque un’apposita autorità od altro soggetto) possa esprimere il consenso che l’incapace non è in condizione di dare (art. 6), ma non preclude ai singoli Stati di fissare condizioni specifiche – che essa Convenzione non ha previsto – per la validità della prestazione del consenso (sostitutivo).

L’affermata sussistenza di altro soggetto quale necessario contraddittore nel giudizio costituisce ragione sufficiente per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso. Rimane pertanto assorbita la questione, proposta nella memoria, relativa alla necessità o no della notifica del ricorso al Procuratore Generale a quo.

La ravvisata inammissibilità del ricorso esclude l’esame del merito, e, quindi, anche della questione di legittimità costituzionale sollevata dal ricorrente.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.