Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

Olir

Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 2 Maggio 2005

Ordinanza 31 marzo 2005

Tribunale Civile dell’Aquila. Ordinanza 31 marzo 2005: “Rigettato il ricorso ex art. 700 c.p.c. diretto alla rimozione del crocifisso dalle sedi elettorali”.

TRIBUNALE DI L’AQUILA

Il Presidente del Tribunale suddetto,

nel procedimento n. 263/05 R.G. promosso da
V.D.

nei confronti di

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro-tempore

e

Prefettura di L’Aquila-Ufficio territoriale del Governo, in persona del legale rappresentante pro-tempore;

a scioglimento della riserva di cui al verbale dell’udienza del 23.3.2005, ha pronunciato la seguente

O R D I N A N Z A

Con ricorso presentato ex art. 700 c.p.c., l’avv. D. V. espone:
di essere chiamato alle urne in occasione della prossima consultazione per l’elezione del Presidente della Giunta Regionale e dei Consiglieri regionali dell’Abruzzo; di ritenere, contrariamente a quanto affermato, in risposta ad istanza dell’Unione Atei e degli Agnostici Razionalisti (U.A.A.R.), dal Ministero dell’Interno con nota del 27.1.2001, che nessuna norma di legge e/o regolamentare consente l’esposizione nei seggi elettorali del simbolo religioso del crocifisso la cui presenza contrasterebbe con il principio di laicità dello Stato e con il diritto costituzionale alla libertà religiosa ed alla eguaglianza; di essere costretto, data l’imminenza delle prossime elezioni regionali ed essendo, altresì, imminente anche il referendum sulla procreazione assistita, a richiedere in via di urgenza la tutela provvisoria dei propri diritti.
Tanto premesso, l’avv. V. chiede che il Tribunale ordini al Ministero dell’Interno ed alla Prefettura dell’Aquila di rimuovere “da tutti i seggi elettorali italiani o, in subordine, da tutti i seggi elettorali dell’Abruzzo o, in ulteriore estremo subordine, dal seggio elettorale di S. Eusanio Forconese (AQ), seggio di destinazione del ricorrente, il simbolo religioso del crocifisso per tutta la durata delle operazioni elettorali.
A sostegno delle proprie tesi il ricorrente cita l’ordinanza n. 14.1.2004 del TAR Veneto che ha ritenuto non manifestamente infondata la questione di illegittimità costituzionale dell’art. 118 R.D. 30.4.1924 n. 965 e dell’art. 119 R.D. 26.4.1928 n. 1927 tab. C, che includono il crocifisso tra gli arredi delle aule scolastiche, l’ordinanza 23.10.2003 del Tribunale dell’Aquila che ha ritenuto implicitamente abrogata la detta normativa, la sentenza della Sez. IV della Corte di Cassazione in data 1.3.2000 n. 439 che ha ritenuto costituire giustificato motivo di rifiuto dell’ufficio di scrutatore la presenza nel seggio elettorale del crocifisso o di altre immagini religiose.

Il Ministero dell’Interno e la Prefettura-Ufficio Territoriale del Governo, in persona dei rispettivi titolari pro-tempore, si sono costituiti con il patrocinio dell’Avvocatura di Stato eccependo:
– il difetto di giurisdizione del Tribunale;
– il difetto di legittimazione della Prefettura-Agenzia territoriale del Governo sia in quanto passivamente legittimato, rispetto alla pretesa azionata con riferimento all’intero territorio nazionale, sarebbe unicamente il Ministero dell’Interno quale organo centrale, unica articolazione amministrativa che potrebbe dare luogo al petitum immediato azionato dal ricorrente, con la conseguenza che la competenza a conoscere della domanda spetta al Tribunale di Roma, sia in quanto, rispetto alla pretesa subordinata avente riferimento ai seggi elettorali dell’Abruzzo, la competenza a disciplinare il sistema elettorale regionale è attribuito alla Regione (L. n. 165/2004 e L.R. n. 42/04);
– il difetto di legittimazione attiva del ricorrente, per difetto della titolarità del diritto azionato, riguardo alla pretesa rimozione del crocifisso da tutti i seggi elettorali dello Stato o, in subordine, della Regione Abruzzo e dal seggio elettorale di destinazione per il tempo non strettamente necessario all’espletamento delle operazioni di voto del ricorrente con conseguente inammissibilità del ricorso cautelare;
– il difetto dei presupposti dell’invocato provvedimento cautelare.

Osserva il Tribunale che la questione di giurisdizione viene sollevata con riferimento al contenzioso elettorale amministrativo che, secondo giurisprudenza (Cass., SS.UU., 21.1.02 n. 717 e Cons. Stato, Sez. V, 3.11.01 n. 5695) viene ripartito tra giudice ordinario ed amministrativo, spettando al primo le questioni che attengono all’eleggibilità, ed al secondo quelle che riguardano le operazioni elettorali alle quali dovrebbe, secondo i resistenti, ricondursi la fattispecie.
Esclusa certamente la natura di controversia elettorale, non sembra nemmeno possibile rincondurre la fattispecie, inerente alla mera attività materiale preparatoria della votazione (quale, ad es., la fornitura delle schede, delle urne, dei manifesti con gli elenchi dei candidati, ed appunto la predisposizione dei locali), nell’ambito delle operazioni elettoriali che non possono che riguardare esclusivamente e strettamente il procedimento elettorale, cioè l’insieme delle operazioni finalizzate alla scelta, mediante la votazione, dei componenti degli organi da eleggere.
Nella specie si verte sulla lesione di un diritto assoluto costituzionalmente tutelato e ciò, in base al criterio generale di riparto, radica la giurisdizione del giudice ordinario.
Occorre, però, precisare che la questione va esaminata con esclusivo riferimento al seggio elettorale di destinazione del ricorrente.
Sul punto appaiono corretti i rilievi dell’Avvocatura circa la formulazione della domanda, in quanto rivolta alla rimozione del simbolo da tutti i seggi elettorali della nazione o della regione, come richiesta di tutela di un interesse indifferenziato alla laicità dello Stato ed alla libertà religiosa di un numero imprecisato di elettori di cui il ricorrente, in assenza di norme in tal senso, non può farsi portatore per il principio di cui all’art. 81 c.p.c.
In proposito va aggiunto che, comunque, il fatto asseritamente idoneo a determinare il danno, e sul quale dovrebbe incidere direttamente il provvedimento cautelare richiesto, non può che essere quello collegato con vincolo di causalità immediata alla posizione del ricorrente, vincolo che non è certamente ravvisabile nella presenza del crocifisso in seggi diversi da quello di destinazione del ricorrente e dove non può determinarsi il lamentato conflitto tra la posizione individuale costituzionalmente garantita e l’esercizio del diritto di voto.
La delimitazione del campo della sommaria cognizione, fa superare anche la questione di legittimazione della Prefettura-Agenzia territoriale del Governo, sollevata dall’Avvocatura, proprio con riferimento all’efficacia territoriale delle funzioni spettanti all’organo decentrato. Va aggiunto che secondo l’intesa quadro stipulata il 25.02.05 con il Presidente della Regione Abruzzo, le Prefetture delle province abruzzesi, in occasione della prossima consultazione elettorale regionale, cureranno, “ciascuno per il proprio ambito di competenza territoriale”, le operazioni tecnico-organizzative nel cui ambito, come si è visto, va ricondotta la fattispecie.
Tanto ritenuto in ordine alle questioni preliminari sollevate dai resistenti, va rilevato che la domanda del ricorrente si fonda, quanto al fumus, sull’asserita lesione della libertà di coscienza in relazione al principio della laicità dello Stato, del diritto di libertà religiosa collegato al principio di eguaglianza dei cittadini senza distinzione di religione.
Quanto al periculum in mora, il ricorrente lamenta il pericolo, durante il tempo necessario per ottenere il riconoscimento dei propri diritti con sentenza, di subire pregiudizio al proprio diritto di voto per le prossime elezioni regionali e per il preannunciato referendum sulla procreazione assistita.
La presenza dei suddetti elementi, necessari presupposti del provvedimento invocato, non è ravvisabile nella fattispecie.
In ordine alle deduzioni del ricorrente occorre rilevare, nei ridotti limiti imposti dal procedimento d’urgenza, che il principio di laicità non è definito né direttamente chiarito in alcuna norma, ma è stato enunciato e definito dal giudice costituzionale (sent. 12.4.1989 n. 203) nell’ampia accezione di “garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale” così ponendo le istituzioni pubbliche in una posizione di riconoscimento delle posizioni, diverse, delle varie istituzioni riconducibili a campi diversi (nella specie quello religioso, ma anche economico, sindacale ecc.) in cui si articola la società civile e rispetto alle quali, come è stato autorevolmente sostenuto, la Stato si pone in condizione di “neutralità”. In altri termini i principi della Carta fondamentale postulano uno Stato che, rispetto alla religione, non si pone in termini di ostilità “ma si pone al servizio di concrete istanze della coscienza civile e religiosa dei cittadini” (Corte Cost. 12.4.89 cit.) per cui la laicità non è l’esclusione dalla sfera pubblica di riferimenti religiosi.
Rispetto all’impostazione data dal ricorrente alla questione, appare, inoltre, aspetto non secondario che il crocifisso non può essere considerato simbolo esclusivamente religioso.
In una società, come quella italiana, correttamente definita di “antica cristianità” e per la quale è innegabile che i principi del cristianesimo facciano parte del suo patrimonio storico, non può escludersi il carattere anche culturale del crocifisso in quanto espressione, appunto, del patrimonio storico di un popolo alla cui identità culturale il simbolo va anche riferito.
Il ricordato carattere culturale (c.d. “laicizzazione” del simbolo) spiega e giustifica la sua esposizione in uffici pubblici anche dopo l’abrogazione del principio confessionistico (voglia questa farsi coincidere con la revisione del Concordato del 1984 o più correttamente, secondo autorevole dottrina costituzionalista, con l’entrata in vigore della Costituzione i cui principi generali sono in contrasto inguaribile con il confessionismo) secondo prassi amministrativa ricordata dall’Avvocatura di Stato con il richiamo alla direttiva 3.10.2002 del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della ricerca per la quale “l’esposizione del crocifisso…..non può considerarsi limitativa della libertà di coscienza garantita dalla Costituzione non collegandosi ad una specifica confessione, ma costituendo espressione della civiltà e della cultura cristiana e perciò patrimonio universale dell’umanità” ed alla nota 5.10.84 del Ministro dell’Interno che egualmente parla di simbolo dell’identità nazionale e del patrimonio tradizionale dell’Italia, di cui il cristianesimo è componente fondamentale, quando, in risposta ad un quesito del Ministro di Giustizia, ha affrontato il problema con riguardo all’esposizione del crocifisso nelle aule giudiziarie.
Giova, inoltre, ricordare che in una prospettiva di valenza anche civile del crocifisso, riferentesi ad una tradizione storica nazionale, si colloca il parere del Consiglio di Stato, 27.4.1988 n. 63/88, che ha ritenuto “di dover evidenziare che il crocifisso o, più semplicemente, la croce, a parte il significato per i credenti, rappresenta il simbolo della civiltà e della cultura cristiana, nella sua radice storica, come valore universale, indipendente da specifica confessione religiosa”.
Quindi anche sotto detto profilo, e cioè considerando il carattere culturale del crocifisso, la sua natura di espressione di una cultura, è da escludere un contrasto tra la sua mera presenza ed il principio di laicità dello Stato.
Il ricorrente assume, inoltre, che la presenza del crocifisso contrasta comunque con il diritto, costituzionalmente garantito, di libertà religiosa.
L’assunto è smentito dal ricordato carattere culturale del crocifisso, ma anche a voler ritenere, in ipotesi, una valenza esclusivamente religiosa del simbolo, deve egualmente escludersi che la sua presenza possa comunque intaccare il princìpio di libertà religiosa. Questa va intesa come divieto di imporre atti di culto o atti con significato religioso (Corte Cost. n. 117/1979); in altri termini il principio della libertà religiosa, collegato a quello dell’eguaglianza, importa soltanto che a nessuno può essere imposta per legge una prestazione di contenuto religioso ovvero contrastante con i suoi convincimenti in materia di culto. La presenza di un simbolo passivo come il crocifisso, di un simbolo, cioè, per il quale non è possibile individuare una sua intrinseca forza coercitiva e che non è connesso ad un comportamento attivo (giuramenti o segni) di soggetti di diverse convinzioni religiose, non appare circostanza atta a costringere ad atti di fede e ad atti contrari alle proprie convinzioni religiose e tale da essere, quindi, in contrasto con il principio di libertà religiosa.
Né argomenti a sostegno della tesi del ricorrente possono trarsi dalle invocate decisioni giurisprudenziali.
Invero sia l’ordinanza 14.1.04 del TAR per il Veneto sia l’ordinanza ex art. 700 c.p.c. in data 23.10.03 del Trib. L’Aquila avevano ad oggetto la vigenza delle norme sull’arredamento delle aule scolastiche delle scuole elementari e medie; vigenza che costituiva il presupposto della questione di legittimità costituzionale promossa dal giudice amministrativo ma ritenuta inammissibile dalla Corte Cost. con ordinanza n. 389/2004 e che, invece, era esclusa, per ritenuta implicita abrogazione, col provvedimento cautelare poi revocato in sede di reclamo. Nel caso di specie, e la circostanza non appare di secondaria importanza come si vedrà, non si discute della vigenza o della legittimità costituzionale di alcuna norma ma della legittimità, rispetto a principi costituzionali, della presenza eventuale del crocifisso nella sala delle votazioni.
In ordine, poi, alle argomentazioni del giudice amministrativo a sostegno del sospetto di incostituzionalità delle norme che impongono l’esposizione del crocifisso nelle scuole valgono le considerazioni sopra svolte sullo stesso argomento. In proposito occorre precisare che, con recentissima decisione (17.3.2005 n. 1110), lo stesso TAR del Veneto ha definito il giudizio respingendo il ricorso che mirava alla rimozione del crocifisso nelle aule di un istituto scolastico di Abano Terme (PD), proprio considerando che il valore del crocifisso non è soltanto religioso, ma anche civile.
Del pari inutile alle tesi del ricorrente risulta la sentenza 1.3.2000 n. 4273 della Sezione IV della Cassazione, peraltro in contrasto con altra Sezione della Stessa Corte (Sez. III, sent. 13.10.1998 dep. 4.1.1999 n. 10), ha ritenuto giustificato il rifiuto dell’ufficio di scrutatore per il fatto che nella sede del seggio risultava esposto il crocifisso. Il ritenuto contrasto tra la presenza del crocifisso e le convinzioni dell’imputato chiamato a funzioni di scrutatore, è stato risolto dalla Corte non con l’esclusione del simbolo, ma considerando che “il bilanciamento degli interessi è assicurato dalla previsione penale della clausola del giustificato motivo” che ha determinato direttamente il rifiuto e che esclude l’antigiuridicità della condotta.
In ordine al requisito dell’immanenza del pregiudizio lamentato dal ricorrente, deve rilevarsi che, come precedentemente accennato, la norme sulla sistemazione ed organizzazione delle sale di votazione e sugli oggetti che devono obbligatoriamente essere esposti o affissi all’interno e all’esterno delle stesse, non prevedono il crocifisso (v. art. 37 D.P.R. 16.5.1960 n. 570 e art. 2 n. 2 L. 5.2.1998 n. 22) e che la legislazione elettorale si preoccupa di impedire forme simboliche di comunicazione iconografica riguardanti immagini o soggetti religiosi unicamente con riferimento ai contrassegni (art. 14 D.P.R. 30.3.1957 n. 361 e succ. modif.).
Pertanto la presenza del crocifisso nei locali del seggio elettorale di destinazione del ricorrente appare una mera eventualità determinata dalla possibile (allo stato non è dato sapere dove sarà sistemato il seggio) utilizzazione di un’aula scolastica, dove era affisso il crocifisso, quale sala delle elezioni e dalla mancata rimozione del simbolo prima delle operazioni elettorali; in presenza di una mera eventualità deve ritenersi escluso anche il presupposto dell’imminenza del pregiudizio.
In ogni caso va rilevato che lo stesso ricorrente, nell’atto introduttivo, cita la prassi di rimozione del crocifisso, a richiesta dell’elettore, per il tempo necessario al medesimo per esprimere il voto. La rimozione, pur temporanea, del simbolo rende il seggio conforme all’ideale di laicità che il ricorrente ritiene necessaria all’esercizio del voto ed esclude la sussistenza di qualsiasi pregiudizio a nulla rilevando la successiva riapposizione del crocifisso che non potrebbe turbare o ledere l’esercizio del diritto di voto oramai consumato.

Concludendo, il ricorso va rigettato.
Si ravvisano giusti motivi per compensare le spese del procedimento.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Dichiara interamente compensate le spese del procedimento.
L’Aquila, 31 marzo 2005.

Il Presidente
Dott. Villani

Depositato il 1° aprile 2005.