Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 4 Febbraio 2005

Sentenza 02 settembre 1997, n.8386

Corte di Cassazione. Prima Sezione Civile. Sentenza 2 settembre 1997, n. 8386: “Delibazione: apprezzamento e valutazione del giudice di merito dei fatti e delle prove emersi in sede ecclesiastica”.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE I CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
Mario CORDA
Presidente
Angelo GRIECO
Alfio FINOCCHIARO
Giuseppe MARZIALE
Francesco FELICETTI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto
da G.A., elettivamente domiciliato in Roma Via L. Magalotti 2, presso l’avvocato Carlo Tricerri, che lo rappresenta e difende giusta delega a margine del ricorso;
Ricorrente

contro

D.L.F., elettivamente domiciliata in Roma Via Di S. Maria Maggiore 112, presso l’avvocato A. Di Lauro, rappresentata e difesa dagli avvocati Ernesto Procaccini e Patrizia Valente, giusta procura a margine del controricorso;
Controricorrente

nonché contro

P.M. presso la CORTE DI APPELLO DI NAPOLI;
Intimato

avverso la sentenza n. 1040-92 della Corte d’Appello di Napoli, depositata il 07-05-92;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13-11-96 dal relatore Consigliere Dott. Alfio Finocchiaro;
udito per il ricorrente, l’Avvocato Tricerri, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito per il resistente, l’Avvocato Procaccini, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Raffaele Ceniccola che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

A. G. – coniugato a F. D.L., in virtù di matrimonio concordatario celebrato a Pozzuoli il 5 dicembre 1970 – citava davanti alla Corte d’appello di Napoli la D.L., chiedendo la declaratoria di efficacia in Italia della sentenza di nullità del matrimonio, per esclusione da parte sua dell’indissolubilità del matrimonio, resa il 27 febbraio 1990 dal Tribunale ecclesiastico della Rota romana e dichiarata esecutiva il 19 ottobre 1990 dal Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica.
La D.L., nel costituirsi, chiedeva il rigetto della domanda – in quanto la sentenza ecclesiastica per contraria all’ordine pubblico per essere stata la nullità del matrimonio dichiarata per riserva mentale unilaterale e non manifestata, nè conosciuta o conoscibile dall’altro coniuge – e, in via subordinata, chiedeva il riconoscimento di un assegno di mantenimento e di alimenti in suo favore e la liquidazione, a carico del G. di una somma a titolo di risarcimento del danno.
Il giudice adito, con sentenza 7 maggio 1992, rigettava la domanda principale, dichiarando assorbita quella incidentale.
A sostegno della decisione la corte d’appello osservava, per la parte che interessa l’odierno ricorso per cassazione, che il matrimonio celebrato dalle parti era stato dichiarato nullo a cagione di una simulazione del consenso, operata dall’attore con esclusione della indissolubilità del vincolo, rimasta a livello di riserva mentale, perché, pur risultando copiose le deposizioni di amici e parenti, relativamente al convincimento da lui espresso sulla possibilità di scioglimento dell’unione, no risultava dagli atti del procedimento davanti ai tribunali ecclesiastici che se fosse mai stata manifestata o fosse conoscibile dall’altro coniuge anteriormente alla celebrazione delle nozze.
Avverso questa sentenza il G. ha proposto ricorso per cassazione articolato su un unico motivo, cui resiste con controricorso la D.L..
Entrambe le parti hanno presentato memorie.
È stato tempestivamente provveduto all’integrazione del contraddittorio nei confronti del Procuratore Generale presso questa Corte.

Diritto

Con l’unico motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 8 dell’Accordo di modificazione del Trattato Lateranense sottoscritto il 18 febbraio 1984 dall’Italia e dalla santa sede, correlato con l’art. 4 del Protocollo Addizionale a detto Accordo, ratificati e resi esecutivi dalla legge 25 marzo 1985 n. 121, in relazione all’art. 707 e all’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c.
Secondo il ricorrente “la decisione della Corte napoletana è priva di motivazione sul punto focale della questione, non rinvenendosi in essa alcun processo logico indirizzato a sostenere la conclusione. Manca, in essa, totalmente, quella attenta ricostruzione del procedimento logico della formazione del convincimento del giudice ecclesiastico, compiuto senza manchevolezze o lacune, imposto dalla legge (…). È, comunque, abbondantemente erronea, giacché ha limitato l’indagine ad un riscontro dell’esistenza o meno nel testo di espressioni formali relative alla comunicazione e conoscenza della volontà simulatoria, senza svolgere in maniera logica il processo di accertamento circa il più volte ripetuto aspetto della conoscenza della volontà simulatoria. Se dalla sentenza risulta che tale volontà fu comunicata a tutti. Se risulta che l’Attore la rese, quindi, nota anche alla D.L.. Se la sentenza rotale dà atto che egli dice la verità (e pronuncia di conseguenza), si deve concludere che anche la D.L. conosceva questa volontà, o quanto meno poteva pacificamente conoscerla. Su questi termini la Corte avrebbe dovuto esperire la propria indagine, che essa ha invece del tutto disatteso, omettendo di ricercare nella sentenza la ricostruzione e la valutazione dell’istruttoria compiuta dal Giudice Ecclesiastico (…) attraverso cui sarebbe giunta a conclusioni opposte a quelle formulate. E dunque, da parte della Corte di Appello di Napoli, violazione, omissione ed erronea applicazione della normativa concordataria vigente”.
Il motivo di ricorso è in parte infondato ed in parte inammissibile.
È infondato nella parte in cui lamenta un violazione della norma concordataria in presenza di un accertamento compiuto dal giudice del merito – in conformità alla costante giurisprudenza di questa Corte – sulla base delle risultanze della sentenza ecclesiastica.
È, invece, inammissibile nella parte in cui. come nella specie – il ricorrente attraverso il tramite strumentale dell’art. 360 n. 5 c.p.c., pretende una non consentito riesame del merito, prospettando non già vizi della motivazione, ma una diversa interpretazione dei fatti stessi.
In presenza, infatti, di una decisione con la quale il giudice della delibazione ha escluso che dalla decisione ecclesiastica emerga in alcun modo che la riserva unilaterale relativa ad uno dei bona matrimonii – seppure manifestata a parenti ed amici – sia stata conosciuta o, comunque, conoscibile, con l’uso della normale diligenza, da parte dell’altro coniuge, è inammissibile il motivo di ricorso con il quale si sostiene che l’errore del giudice sarebbe consistito ne non avere rilevato che proprio dal fatto della esternazione della riserva a terzi si sarebbe dovuto ricavare la conoscenza (o la conoscibilità della stessa) da parte dell’altro coniuge.
I vizi di motivazione omessa, insufficiente o contraddittoria, denunciabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. sussistono solo quando nel ragionamento del giudice sia riscontrabile il mancato o il deficiente esame dei punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero l’insanabile contrasto tra le argomentazioni addotte, tali da non consentire la identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base ella decisione. Detti vizi, pertanto, non possono consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso diverso da quello preteso dalla parte, perché spetta soltanto al giudice del merito individuare le fonti del proprio convincimento e all’uopo valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova. salvi i casi tassativamente previsti dalla legge (giurisprudenza costante).
Sulla base delle esposte considerazioni il ricorso va, pertanto, rigettato.
le spese seguono la soccombenza;

P.Q.M

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare ala parte controricorrente le spese della presente fase di giudizio liquidate in L. 48.000, oltre a L. 2.000.000, a titolo di onorari.