Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 10 Febbraio 2004

Sentenza 12 ottobre 2001, n.8465

T.A.R. Lazio, Sezione I bis. Sentenza 12 ottobre 2001, n. 8465.

sul ricorso n. 21554/2000 proposto dal Movimento per la Vita Italiano, in persona del Presidente p.t. Carlo Casini, e dal Forum delle Associazioni Familiari, in persona del Presidente p.t. Luisa Capitanio Santolini, rappresentati e difesi dagli avv.ti Giuseppe ed Andrea Guarino ed elettivamente domiciliati presso gli stessi in Roma, p.za Borghese, n. 3;

Contro

il Ministero della Sanità, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato;
E nei confronti di
– delle Aziende Chimiche Riunite Angelici Francesco, ACRAF S.p.a., costituitasi in giudizio, rappresentata e difesa dall’avv.to Salvatore Alberto Romano;
– del Laboratoire HRA Pharma, non costituitosi in giudizio;
Con l’intervento
“ad opponendum” del CODACONS, rappresento e difeso dall’avv.to Carlo Rienzi;
Per l’annullamento
del d.m. AIC/UAC n. 510/2000 del 26.9.2000 e di atti anteriori, connessi e conseguenti;
Visto il ricorso ed i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Sanità e dell’ACRAF S.p.a.;
Visti gli atti tutti della causa;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Nominato relatore per la pubblica udienza del 2 luglio 2001 il Consigliere Polito Bruno Rosario;
Uditi per le parti gli avv.ti Guarino, Romano e Nicola Sanitate in sostituzione dell’avv.to Rienzi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO
Con atto notificato l’11.12.2000 le associazioni Movimento della Vita Italiano e Forum delle Associazioni Familiari, premessa la loro larga base rappresentativa ed il perseguimento come principale fine istituzionale della tutela dell’individuo fin dal momento della fertilizzazione, hanno proposto impugnativa avverso il decreto del Ministero della Sanità di estremi indicati in epigrafe con il quale è stata autorizzata l’immissione in commercio della specialità medicinale “NORLEVO” in forme, condizioni e modalità specificate nel decreto medesimo.
Hanno dedotto a sostegno dell’illegittimità del provvedimento gravato censure di violazione dei diritti fondamentali dell’individuo e di norme imperative; degli artt. 4 e segg. della legge 22.5.1978, n. 194; del d.l. n. 538/1992; dei dd.lgs. 25.1.1992, n. 74 e 30.12.1992, n. 541, nonché di eccesso di potere in diverse figure sintomatiche.
Sostengono in particolare:
– che gli effetti terapeutici del prodotto, impedendo lo sviluppo del concepito, contrastano con il diritto costituzionalmente garantito all’esistenza della vita umana fin dalla fecondazione;
– che detto effetto si determina senza osservare le disposizioni e cautele stabilita dalla legge n. 194/1992 che regola i casi di interruzione della gravidanza;
– che le obiettive modalità di prescrizione del farmaco consentono la sua utilizzazione oltre le finalità peculiari al prodotto qualificato “contraccettivo di emergenza”;
– che il farmaco può essere utilizzato oltre le ipotesi di stretta emergenza cui fa riferimento l’autorizzazione;
– che le informazioni di presentazione del prodotto hanno carattere ingannevole ed omettono di indicare che esso agisce dopo la fertilizzazione.
In sede di note conclusive le associazioni istanti hanno ulteriormente sviluppato i motivi di ricorso ribadendo, in particolare, le argomentazioni tese a qualificare il “NORLEVO” come farmaco con effetti sostanzialmente abortivi e sottolineando l’assenza nel foglio illustrativo ad esso annesso di ogni necessaria ed essenziale informazione circa le peculiari caratteristiche del prodotto.
Il Ministero della Sanità, costituitosi in giudizio, ha depositato documenti e contrastato in memoria la domanda di annullamento.
Si è altresì costituita la S.p.a. ACRAF che ha eccepito, in rito, l’inammissibilità dell’impugnativa per difetto di legittimazione attiva delle Associazioni istanti e disatteso nel merito i motivi dedotti concludendo per la reiezione del ricorso.
Il CODACONS è intervenuto in giudizio e svolto argomentazioni a sostegno delle ragioni dell’Amministrazione.
All’udienza del 2 luglio 2001 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.

DIRITTO
1. Non va condivisa l’eccezione, formulata dalla controinteressata Aziende Chimiche Riunite Angelini (ACRAF) S.p.a e dall’interveniente CODACONS, di inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione delle associazioni “Movimento per la Vita Italiano” e “Forum delle Associazioni Familiari” a contestare la legittimità del decreto AIC/AUC n. 510/2000 del 26.9.2000, che ha autorizzato l’immissione in commercio della specialità “NORLEVO” nelle forme e confezioni ed alle condizioni ivi specificate.
Gli statuti delle associazioni ricorrenti versati in giudizio – con segnato riferimento al “Movimento per la Vita Italiano” – elevano a scopi istituzionali la difesa della “vita umana fin dal suo concepimento”, nonché la salvaguardia del diritto alla vita con riferimento anche alla legislazione c.d. abortista.
Reputa il collegio che fra i diversi mezzi ed azioni positive utili al raggiungimento degli scopi sociali possano ricondursi anche le iniziative giudiziarie avverso provvedimenti che – nelle valutazioni degli associati – esplichino effetti pregiudizievoli nei confronti degli interessi perseguiti dalla compagine sociale, nella specie identificati nell’idoneità del farmaco autorizzato ad introdurre una pratica sostanzialmente abortiva, in contrasto con principi di rilievo costituzionale di tutela del diritto alla vita e con la vigente regolamentazione dell’interruzione della gravidanza.
Tale conclusione è del resto coerente con l’art. 2 della Costituzione che assicura garanzia ai diritti fondamentali dell’uomo – nel cui ambito va ricondotta la piena tutela in giudizio dei diritti e degli interessi – non solo “uti singulus” ma anche “nelle formazioni sociali in cui si svolge la sua personalità”, e trova riscontro nella più recente evoluzione dell’ordinamento che abilita le associazioni che perseguono e promuovono scopi sociali senza fine di lucro a ricorrere in sede giurisdizionale per l’annullamento di atti illegittimi lesivi di “interessi collettivi concernenti le finalità generali perseguite dall’associazione” (art 27, comma primo, lett. C), della legge 7.12.2000, n. 383).
2. Passando all’esame del merito con il primo mezzo è dedotta l’illegittimità del decreto che autorizza la commercializzazione della specialità medicinale “NORLEVO” per contrasto con “il principio costituzionale del diritto all’esistenza ed alla salute” in relazione agli effetti terapeutici che, oltre a determinare in via ordinaria l’arresto dell’ovulazione, impediscono l’impianto dell’ovulo fertilizzato (nei casi in cui il rapporto sessuale sia avvenuto nelle ore o nei giorni che precedono l’ovulazione), momento a partire dal quale, secondo le prospettazioni della parte istante, ha inizio il processo biologico di formazione un’entità nuova ed individua al pari dell’embrione e del feto.
Il motivo non va condiviso.
Osserva il collegio che le norme di rango costituzionale invocate non recano una nozione certa circa il momento iniziale della vita umana e l’estensione dell’ambito di tutela nel corso del suo sviluppo.
Lo specifico problema forma oggetto di ampio dibattito in sede scientifica, bioetica e religiosa – aspetto di cui sono ben consapevoli le parti in causa – e non ha trovato soluzione in apposita regolamentazione.
In assenza di puntuali disposizioni di diritto positivo difetta un immediato parametro di raffronto in base al quale possa dedursi avverso il decreto impugnato il vizio di violazione di legge.
La scelta autorizzatoria si collega al prudente apprezzamento discrezionale tecnico dell’Amministrazione fondato sui requisiti di qualità, efficacia, tollerabilità del farmaco secondo le modalità procedimentali stabilite dal d.lgs. 29.5.1991, n. 178, e successive modificazioni, e non incontra un specifico limite in norme che precludano l’effetto terapeutico del farmaco avverso cui si indirizzano le contestazioni delle associazioni ricorrenti.
3. Con il secondo mezzo, ulteriormente sviluppato nelle note difensive depositate il 21.6.2001, le associazioni istanti – muovendo dall’assunto che fin della fecondazione dell’ovulo ha inizio la vita di un nuovo essere e che con tale momento per la madre ha inizio la gravidanza – sostengono che il medicinale “NORLEVO”, in relazione agli specifici effetti di impedire l’impianto dell’ovulo fertilizzato, non va ricondotto nella categoria dei metodi di contraccezione, ma introduce una pratica abortiva in contrasto con la disciplina per l’interruzione volontaria della gravidanza dettata dalla legge 22.5.1978, n. 194.
L’impianto normativo di cui alla richiamata legge consente, infatti, l’aborto volontario in presenza di “un serio pericolo per la salute fisica e psichica della madre” (art. 4) e ne limita l’effettuazione in strutture sanitarie appositamente individuate (art. 8); assegna, inoltre, al consultorio o alla struttura socio-sanitaria specifici obblighi di informazione, ausilio e riflessione sulla scelta di interrompere lo stato di gravidanza (art. 5); richiede per le donne minorenni l’assenso di chi esercita la potestà o la tutela (art. 12); pone a carico del medico che esegue l’interruzione della gravidanza l’obbligo di fornire informazioni ed indicazioni “sulla regolazione delle nascite” rendendo la donna “partecipe dei procedimenti abortivi che devono comunque essere effettuati in modo da rispettare la dignità personale della donna” (art. 14).
Detto quadro di garanzie, indirizzato a condizionare l’aborto al concorso di accertati ed individuati presupposti, oltreché all’osservanza di specifiche regole procedimentali tese alla salvaguardia dello stato di salute della donna ed alla prevenzione di ogni possibile condizione di disagio psichico, verrebbe ad essere vanificato a dire delle associazioni ricorrenti con la commercializzazione del farmaco “NORLEVO” che, inibendo l’annidamento dell’ovulo già fecondato, introdurrebbe una pratica abortiva sottratta alle regole e limiti cui si è in precedenza fatto cenno.
Osserva il collegio che la legge n. 194/1978, nel regolamentare i casi di interruzione volontaria della gravidanza, non enuncia una puntuale nozione clinica dell’inizio della “gravidanza’’, e cioè se tale momento coincida con la fecondazione dell’ovulo, ovvero con il suo annidamento nell’utero materno, evento che si verifica in un lasso temporale di circa sei giorni dalla fecondazione.
L’esame sistematico della regolamentazione dettata dalla legge n. 194/1978 – che ammette l’aborto entro i primi novanta giorni di gravidanza (art. 4); prevede congrui tempi procedimentali per gli accertamenti medici, estesi all’esame delle ragioni che muovono la donna a richiedere l’interruzione della gravidanza, alla ricerca di soluzioni per la rimozione delle cause che inducono alla scelta abortiva (art. 5), fino alla possibilità di assegnare alla madre un termine di sette giorni per ogni definitiva decisione (art. 5, comma quarto) – induce a ritenere che il legislatore abbia inteso quale evento interruttivo della gravidanza quello che interviene in una fase successiva all’annidamento dell’ovulo nell’utero materno. Tale conclusione è avvalorata dall’art. 8 della legge n. 194/1978 che in dettaglio prende in considerazione le modalità interruttive della gravidanza e ne impone l’effettuazione con l’intervento di un medico specialista ed all’interno di strutture ospedaliere o case di cura autorizzate, circostanze non peculiari alle metodiche anticoncezionali i cui effetti si esplicano in una fase anteriore all’annidamento dell’ovulo.
Il decreto che autorizza la commercializzazione del “NORLEVO” non contrasta con la legge n. 194/1978, poiché il farmaco autorizzato agisce con effetti contraccettivi in un momento anteriore all’innesto dell’ovulo fecondato nell’utero materno. Detta evenienza resta sottratta alla regolamentazione dettata dalla legge richiamata che, come in precedenza esposto, assume a riferimento una condizione fisiologica della donna di stabile aspettativa di maternità cui soccorrono, in presenza di una volontaria e consapevole scelta interruttiva, specifici interventi di assistenza sul piano sanitario e psicologico.
Come del resto illustrato dalle parti resistenti, il farmaco “NORLEVO” esplica effetti di prevenzione della gestazione al pari di altri usuali metodi contraccettivi, quale lo “IUD” o spirale, che parimenti mirano ad inibire l’impianto dell’ovulo fecondato ed in ordine ai quali non si pone questione circa la qualificazione come pratiche abortive eccedenti i limiti stabiliti dalla legge n. 194/1978.
4. Con il terzo motivo si sostiene che la qualificazione del farmaco “NORLEVO” come “contraccettivo orale di emergenza” contrasta con il dettato dell’art. 5, comma terzo, del d.lgs. n. 539/1992 – che assegna validità per dieci giorni alle ricette mediche – risultando per effetto di detta previsione ampliato il periodo di utilizzazione del farmaco.
Osserva il collegio che la qualificazione di “emergenza’’ e riferita al farmaco nel duplice significato sia di metodo anticoncezionale di carattere eccezionale rispetto alle ordinarie pratiche di prevenzione della gravidanza, sia in relazione alle situazioni particolari ed occasionali (c.d. rapporti a rischio di gravidanza) cui tende ovviare entro ristretto termine.
Le caratteristiche del farmaco si traducono in specifiche regole comportamentali a carico del medico, che è tenuto a prescriverlo in presenza dei presupposti di emergenza e nei limiti idonei ad eliminare il paventato rischio di gravidanza, e dello stesso individuo che deve assumerlo solo in presenza delle circostanze e con le precauzioni indicate nel foglio illustrativo.
La disciplina sul periodo di efficacia della prescrizione medica dettata in via generale dall’art. 5 comma terzo, del d.lgs. n. 539/1992 non inficia, quindi, le modalità d’uso del prodotto che va prescritto e somministrato in osservanza delle indicazioni terapeutiche elencate in dettaglio nel decreto dirigenziale impugnato e riprodotte nel foglio illustrativo.
5. Con il quarto motivo si assume che l’uso del prodotto, qualificato coma farmaco di “emergenza”, non può essere esteso ai casi di volontarietà o, quantomeno, consapevole assunzione del rischio cui la specialità medicinale tende a porre rimedio, sussistendo contraddizione fra la nozione di “emergenza” e la prevedibilità dell’evento.
Ritiene il collegio che la nozione di “emergenza” che costituisce presupposto per la somministrazione del “NORLEVO” va considerata in senso strettamente oggettivo – e cioè come evento critico, suscettibile di introdurre la possibilità di una gravidanza non desiderata, cui si intende porre rimedio con carattere di immediatezza – indipendentemente dal grado di volontarietà o colpa dell’interessato nel determinarlo; ciò in base ad un criterio che è comune alla somministrazione di ogni presidio terapeutico, che ha luogo in base al dato obiettivo della condizione fisiologica dell’individuo prescindendo da ogni valutazione circa il concorso psichico dello stesso nel determinarne le cause.
6. Con il quinto motivo si sostiene – con richiamo ai principi sanciti dalla legge 25.1.1992, n. 74 e dal d.lgs. 30.12.1992, n. 541, in via generale sul contenuto dei messaggi di informazione sulla qualità e caratteristiche dei prodotti e in particolare dei medicinali – il carattere ingannevole e non veritiero delle avvertenze riprodotte nel foglio illustrativo del farmaco “NORLEVO”, con riferimento sia alla non veridicità della qualificazione del prodotto come “contraccettivo di emergenza”, sia all’omissione di ogni adeguata informazione della donna sull’idoneità del farmaco ad impedire l’impianto dell’ovulo fecondato, meccanismo d’azione che va considerato abortivo per chi ritiene che la gravidanza abbia inizio a partire dalla fecondazione.
Quanto al primo profilo di doglianza nel foglio illustrativo è diffusamente precisata la nozione di contraccezione di emergenza, nel cui ambito si colloca il “NORLEVO”, in contrapposizione ai metodi ordinari di prevenzione della gravidanza; sono inoltre elencate tutte le ipotesi in cui il prodotto va assunto con identificazione delle tipologie dei rapporti sessuali non protetti.
Il consumatore è quindi esaustivamente edotto circa i presupposti e le condizioni caratterizzate dalla straordinarietà in presenza delle quali può essere assunto il farmaco, ed ipotizzati usi non conformi alle indicazioni non si traducono in vizio del contenuto dell’atto oggetto di sindacato.
Quanto all’incidenza del farmaco sui processi fisiologici della donna nel foglio illustrativo è indicato che il sistema di contraccezione opera “bloccando l’ovulazione o impedendo l’impianto”.
Se per il primo dei su riferiti effetti terapeutici (blocco dell’ovulazione) la descrizione dello stesso si configura conforme a criteri di corretta e completa informazione del consumatore, la successiva proposizione “impedendo l’impianto” risulta priva di oggetto, non precisando che l’effetto terapeutico si riflette sull’ovulo fecondato.
Come ampiamente illustrato dalle associazioni ricorrenti, un completa e dettagliata informazione per ciò che attiene il secondo dei delineati effetti terapeutici si rende necessaria proprio in presenza di differenziati orientamenti etici e religiosi circa il momento iniziale della vita umana, così da rendere edotto in maniera chiara e non equivoca che il farmaco agisce sull’ovulo già fecondato impedendo le successive fasi del processo biologico di procreazione.
In tali limiti va quindi dichiarata l’illegittimità del provvedimento impugnato tenuto altresì conto che l’art. 9, comma quarto, del d.lgs. 29.5.1991, n. 178, individua quale contenuto necessario del decreto che autorizza la vendita del medicinale l’approvazione del foglio illustrativo, che deve recare una completa indicazione delle caratteristiche del prodotto, negli elementi elencati al precedente art. 8, comma terzo, comprensivi delle indicazioni terapeutiche, che nella specie, per quanto sopra esposto, si configura carente.
7. Da ultimo le ricorrenti sostengono che il decreto impugnato è viziato da eccesso di potere per difetto di istruttoria.
Il motivo non va condiviso poiché l’Amministrazione ha dato atto che il decreto autorizzatorio è stato emesso in ordine a prodotto già autorizzato in ambito della Comunità Europea secondo il principio di mutuo riconoscimento recepito dall’art. 9 direttiva 73/319/CEE del 20.5.1975, ponendo in essere ai sensi dell’art. 10 della direttiva 73/319/CEE del 20.5.1975 le verifiche di competenza sull’efficacia e sicurezza del prodotto.
Deve, infine, escludersi che l’omessa considerazione in sede di istruttoria di prospettati danni alla sfera psicologica della donna che abbia assunto il “NORLEVO” possa assurgere a sintomo di eccesso di potere dell’atto gravato.
Si tratta, invero, di eventualità del tutto ipotetica, che in ogni caso attiene alla sfera comportamentale della singola persona e non è ricoducibile nell’area delle controindicazioni ed effetti secondari del prodotto che, ai sensi dell’art. 8, comma terzo, lett. d), del d.lgs. n. 178/191, devono formare oggetto di valutazione da parte dell’Amministrazione sanitaria.
Per le considerazioni che precedono il ricorso va parzialmente accolto nei limiti di cui al punto 6) della motivazione e, per l’effetto, il decreto impugnato va annullato in parte “de qua”.
Alla reciprocità dei capi di soccombenza segue la compensazione delle spese del giudizio fra le parti.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione I bis, accoglie parzialmente il ricorso in epigrafe n. 21554/2000 proposto dalle associazioni Movimento per la Vita Italiano e Forum delle Associazioni Familiari e, per l’effetto, annulla il d.m. AIC/UAC n. 510/2000 del 26.9.2000 nei limiti di cui al punto 6) della motivazione.