Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 19 Luglio 2005

Sentenza 14 gennaio 2002, n.5065

Corte di Cassazione. Sezione lavoro. Sentenza 14 gennaio 2002, n. 5065: “Garanzia del divieto di licenziamento attuato a causa di matrimonio e sospensione del rapporto di lavoro per malattia”.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. Salvatore SENESE – Presidente –
Dott. Fabrizio MIANI CANEVARI – Rel. Consigliere –
Dott. Pietro CUOCO – Consigliere –
Dott. Bruno BATTIMIELLO – Consigliere –
Dott. Federico ROSELLI – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PRENATAL SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA MONTE ASOLONE 8, presso lo studio dell’avvocato VERTICCHIO CARMINE, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati GERACI VINCENZO, STEFANO ZUCCHI, giusta procura speciale in atti;- ricorrente –

contro

TESTA ROSARIA, elettivamente domiciliata in ROMA VIA GREGORIO SETTIMO 500, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO CAVALLARO, rappresentata e difesa dagli avvocati SALVATORE BASILE, MAURIZIO VALERIO, giusta delega in atti;- controricorrente –

avverso la sentenza n. 600-99 del Tribunale di CATANIA, depositata il 27-02-99 – R.G.N. 1117-98;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14-01-02 dal Consigliere Dott. Fabrizio MIANI CANEVARI;
udito l’Avvocato ZUCCHI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Antonio MARTONE che ha concluso per il rigetto del secondo motivo ed assorbito il primo motivo del ricorso.

Fatto

Con ricorso al Pretore di Catania Rosaria Testa impugnava il licenziamento intimatole dalla datrice di lavoro PRENATAL S.p.a., motivato con il superamento del periodo di comporto per malattia, deducendone l’illegittimità. Sosteneva che il termine finale del comporto avrebbe dovuto essere spostato sino all’esaurimento di giorni di ferie spettanti e non goduti, che nel calcolo non potevano essere inclusi i giorni di riposo e festivi, e che il datore di lavoro aveva omesso di informare la dipendente in ordine alla prossima scadenza del termine.
Rilevava inoltre che il recesso era stato intimato in violazione dell’art. 1 della legge 9 gennaio 1963 n. 7, entro il primo anno dal matrimonio della lavoratrice.
La società convenuta, costituendosi in giudizio, deduceva che l’attrice non aveva chiesto il prolungamento del periodo di conservazione del posto di lavoro.
Il Pretore adito accoglieva la domanda dichiarando l’illegittimità del licenziamento e condannando la datrice di lavoro alla reintegrazione della sig. Testa nel posto di lavoro.
Su appello della soc. PRENATAL, il Tribunale di Catania con sentenza del 27 febbraio 1999 confermava tale decisione, affermando sotto un primo profilo che i giorni di ferie maturati erano utilizzabili per interrompere il periodo di comporto, in base al principio della fungibilità dei vari titoli di assenza, senza necessità di un’esplicita richiesta di fruizione del riposo spettante; per un secondo aspetto, che sussisteva inoltre la denunciata violazione dell’art. 1 legge n. 7-1963, operando nel periodo compreso tra la richiesta delle pubblicazioni e l’anno successivo alla celebrazione delle nozze la presunzione legale prevista da detta norma; non rilevava del resto la mancata produzione del certificato di matrimonio, risultando che la società era a conoscenza delle nozze.
Avverso tale sentenza la società PRENATAL propone ricorso per cassazione con due motivi. Rosaria Testa resiste con controricorso.

Diritto

Con il primo motivo la società ricorrente deduce la nullità della sentenza impugnata denunciando violazione dell’art. 2109 cod. civ. (nel testo modificato a seguito della sentenza n. 616-87 della Corte Costituzionale), dell’art. 2110 cod. civ. e degli artt. 1362 e 1363 cod. civ. in relazione al contratto collettivo 3 novembre 1984 per il settore del terziario. La decisione sulla questione della computabilità dei giorni delle ferie maturate ai fini del superamento del periodo di comporto viene criticata con il richiamo del principio secondo cui la durata di detto periodo può essere prorogata nel solo caso in cui il lavoratore formuli espressa riserva di usufruire del periodo di ferie maturato; la necessità di tale espressa richiesta è prevista anche da una clausola del contratto collettivo applicabile.
Con il secondo motivo si denuncia la violazione dell’art. 1 della legge 9 gennaio 1963 n. 7 e dell’art. 2110 cod. civ., sostenendosi che mentre la prima norma richiamata, stabilendo la nullità dei licenziamenti attuati a causa di matrimonio, si riferisce ad un rapporto di lavoro caratterizzato dalla continuazione della prestazione lavorativa, la seconda, relativa alla conservazione del rapporto di lavoro durante la sospensione per malattia, costituisce una disposizione di carattere eccezionale, perché riguarda un rapporto sospeso, e prevale quindi sulla norma generale costituita dal citato art. 1 legge n.7-1963 “con riferimento ad una situazione di rapporto di lavoro non sospeso ma operante”. La soluzione seguita dal Tribunale, si osserva poi, “non spiega la ratio legis di un principio che nel caso del matrimonio della lavoratrice verrebbe allungata la durata del periodo di comporto da 180 giorni a oltre 540 giorni”.
Per ragioni di economia processuale, l’esame può essere limitato al secondo motivo di ricorso, che appare infondato.
Il confronto tra le due disposizioni esaminate non consente di ravvisare alcuna caratteristica di “eccezionalità” della garanzia di conservazione del posto di lavoro durante la malattia assicurata dall’art. 2110 cod. civ. rispetto alla previsione di nullità dei licenziamenti attuati per causa di matrimonio di cui all’art. 1 della legge n. 7 del 1963. Si tratta infatti di due forme di tutela che operano, senza interferenze reciproche, su piani concettualmente distinti e per finalità diverse, rispettivamente mediante un limite temporale all’esercizio del potere di recesso correlato alla causa di impossibilità della prestazione e attraverso una presunzione legale che collega l’esercizio di tale potere in un determinato arco di tempo ad una valutazione (non consentita dall’ordinamento) della minore convenienza della prosecuzione del rapporto, presunzione che può essere superata dal datore di lavoro solo con la dimostrazione dei presupposti di una delle ipotesi tassativamente previste dalla legge.
Del resto, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, non si prospetta un effetto di sovrapposizione delle tutele con prolungamento temporale del divieto di recesso, dato che la garanzia prevista dall’art. 1 della legge n. 7-1963 è destinata ad operare solo nel periodo determinato dalla stessa norma, senza che sul decorso di esso incida il comporto per malattia.
Nel caso di specie, il giudice di merito ha stabilito che il licenziamento, intimato entro l’anno dalla celebrazione delle nozze, è stato attuato per causa di matrimonio, accertando l’operatività della ricordata presunzione legale, non superata con l’allegazione e dimostrazione dei presupposti di una delle ipotesi di legittimo recesso previste dalla norma di legge (che limita in particolare il licenziamento per giusta causa alla fattispecie di grave inadempimento della lavoratrice).
La pronuncia con cui è stata dichiarata l’invalidità del recesso appare dunque conforme a diritto, e il ricorso deve essere respinto, restando assorbito l’altro profilo di censura.
Le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, devono essere poste a carico della ricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente società al pagamento delle spese del giudizio liquidate in euro 20,00 oltre euro 2.000,00 per onorari.