Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 13 Aprile 2005

Sentenza 16 marzo 2004, n.5363/2004

Cassazione Civile, Sez. Lavoro, 16 marzo 2004, n. 5363
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Giovanni PRESTIPINO – Presidente –
Dott. Francesco Antonio MAIORANO – Consigliere –
Dott. Pasquale PILONE – Consigliere –
Dott. Giuseppe CELLERINO – Consigliere –
Dott. Giancarlo D’AGOSTINO – Rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA
VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto,
rappresentato e difeso dagli avvocati FABIO FONZO, CLEMENTINA PULLI,
FABRIZIO CORRERA, giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
CASA CURA S. CAMILLO PP CAMILLIANI;
– intimato –
e sul 2° ricorso n° 12707/01 proposto da:
CASA DI CURA S CAMILLO dei PP CAMILLIANI, domiciliato in ROMA presso
LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e
difeso dall’avvocato NINO MUSCOLINO, giusta delega in atti;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
contro
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE;
– intimato –
avverso la sentenza n. 189/00 del Tribunale di MESSINA, depositata il
05/07/00 – R.G.N. 742/93;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
13/10/03 dal Consigliere Dott. Giancarlo D’AGOSTINO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
Orazio FRAZZINI che ha concluso per l’accoglimento del ricorso
principale per quanto di ragione inammissibilità in subordine,
rigetto del ricorso incidentale.
Inizio documento
Fatto
Con ricorso del 12.1.1990 al Pretore di Messina la Casa di Cura S.Camillo dei Padri Camilliani, in persona del suo legale rappresentante, conveniva in giudizio l’INPS chiedendone la condanna al rimborso delle somme dovute a titolo di sgravio degli oneri sociali previsti dalla legge n. 1089 del 1968 dal 1 gennaio 1976 al 31 dicembre 1981, oltre accessori, previo accertamento della natura industriale dell’attività svolta.
Con altro ricorso la Casa di Cura chiedeva la condanna dell’INPS al rimborso delle somme dovute allo stesso titolo per il periodo 1 gennaio 1982/30 novembre 1989.
L’INPS si costituiva e si opponeva alle domande.
Il Pretore, riuniti i giudizi, con sentenza del 24 febbraio 1993 dichiarava il diritto della ricorrente agli sgravi contributivi fino al 30 novembre 1985 e condannava l’istituto previdenziale al pagamento della complessiva somma di lire 736.757.868 con gli interessi legali dalla domanda giudiziale dichiarava altresì il diritto dell’INPS a conguagliare detto debito con il credito di lire 805.218.158, oltre interessi, vantato nei confronti della Casa di Cura per maggiori contributi dovuti per l’accertato inquadramento nel settore industria.
A seguito di appello proposto dalla Casa di Cura il Tribunale di Messina, con la sentenza qui impugnata, esclusa la compensazione, dichiarava il diritto dell’appellante agli sgravi contributivi fino al 30 novembre 1985 (poiché non vi era stata domanda amministrativa per il periodo successivo) e condannava l’INPS al pagamento della somma di lire 736.757.868, maggiorata della minor somma tra interessi e rivalutazione a decorrere dalla domanda amministrativa.
In motivazione il Tribunale osservava che la deduzione con la quale l’INPS aveva opposto il credito nei confronti dell’istituto religioso per contributi dovuti per assegni familiari costituiva una eccezione di compensazione in senso proprio, poiché il debito ed il credito dell’istituto previdenziale derivavano da rapporti diversi, sicchè detta eccezione doveva ritenersi tardiva e non utilizzabile dal Pretore in quanto non proposta nella memoria difensiva di primo grado.
Osservava altresì il Tribunale che la Casa di Cura aveva diritto all’inquadramento nel settore industria al fine di godere degli sgravi previsti dalla legge n. 1089 del 1968, svolgendo attività industriale, mentre ad ogni altro fine previdenziale doveva valere l’inquadramento nel settore commercio disposta dall’INPS prima ancora dell’entrata in vigore della legge n. 88 del 1989 (c.d. doppio inquadramento).
Infatti, proseguiva il giudice di appello, la disposizione transitoria di cui al terzo comma dell’art. 49 di quest’ultima legge fa salvo per le imprese operanti in periodo antecedente il previgente regime amministrativo di inquadramento, sicchè una impresa di servizi, aggregata al settore commercio con decreto del Ministero del Lavoro ai sensi dell’art. 34 del d.p.r. n. 797 del 1955 (in materia di assegni familiari) e contestualmente inquadrata nel settore industria ai fini previdenziali, conservava, anche dopo l’entrata in vigore della legge n. 88/1989 il doppio inquadramento che le competeva in precedenza.
Per la cassazione di tale sentenza l’INPS ha proposto un articolato motivo. La Casa di Cura S.Camillo, che resiste con controricorso, ha proposto a sua volta ricorso incidentale con un motivo.
Inizio documento
Diritto
Preliminarmente deve essere disposta la riunione dei ricorsi a norma dell’art. 335 c.p.c., trattandosi di impugnazioni proposte contro la stessa sentenza.
Con l’unico motivo del ricorso principale, denunciando violazione degli artt. 416 c.p.c., 1241 e 1243 c.c., 49 legge n. 88 del 1989, 2195 c.c. e 1224 c.c., nonché contraddittorietà della motivazione, l’INPS deduce, sotto un primo profilo, che il Tribunale ha errato laddove ha escluso la compensazione; infatti, poiché il debito dell’Istituto per il rimborso degli sgravi contributivi ed il credito per i contributi dovuti da controparte per assegni familiari derivavano da un unico rapporto previdenziale si era in presenza di una c.d. compensazione impropria per la quale non operava la decadenza di cui all’art. 416 c.p.c. non trattandosi di una eccezione in senso proprio.
Con un secondo profilo di censura l’INPS critica la possibilità del “doppio inquadramento” delle imprese ritenuto possibile dal Tribunale e sostiene che per le imprese operanti da epoca precedente l’entrata in vigore della legge n. 88 del 1989 l’inquadramento deve avvenire sulla sola base delle indicazioni di cui all’art. 2195 c.c., con la conseguenza che l’inquadramento della Casa di Cura nel settore industria deve valere sia per gli sgravi contributivi che per la determinazione dei contributi previdenziali dovuti.
Con un terzo profilo di doglianza il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha condannato l’istituto previdenziale alla corresponsione, oltre che agli interessi legali, anche della rivalutazione monetaria, omettendo di considerare che l’appellante non aveva fornito alcuna prova del maggior danno subito.
Con l’unico motivo del ricorso incidentale la Casa di Cura censura la sentenza impugnata per aver limitato il diritto al rimborso al 30 novembre 1985, e addebita al Tribunale di non aver tenuto presente la raccomandata AR n. 5231 del 12.2.1987 con la quale la ricorrente aveva chiesto al Comitato Esecutivo INPS il rimborso anche per il periodo successivo al dicembre 1985.
Nell’ordine logico delle questioni proposte dall’INPS deve essere esaminato per primo il secondo profilo di censura, con il quale l’Istituto nega la possibilità di un doppio inquadramento delle imprese nel periodo precedente l’entrata in vigore della legge n. 88 del 1989, come quello in esame.
La censura è meritevole di accoglimento.
In materia questa Corte ha già avuto modo di affermare che in tema di inquadramento delle imprese ai fini previdenziali, i criteri di classificazione dettati dall’art. 49 della legge 9 marzo 1989 n. 86 non sono applicabili con riguardo ad attività iniziata prima dell’entrata in vigore della legge predetta, per le quali opera la regola dell’ultrattività degli inquadramenti derivanti dalla normativa previgente, e ciò in forza del dettato del terzo comma del medesimo articolo e fino al 31 dicembre 1996 (data a partire dalla quale il predetto comma è stato abrogato). E’ stato altresì rilevato che l’atto con il quale l’INPS, anteriormente all’entrata in vigore dell’art. 49 della legge n. 88/1989, ha modificato l’inquadramento di un datore di lavoro, conseguentemente determinando una diversa consistenza dell’obbligazione contributiva, non ha natura provvedimentale, bensì natura meramente ricognitiva, sicchè in caso di contestazione l’accertamento giudiziale non incontra i limiti propri della ordinaria giurisdizione nei confronti dei provvedimenti amministrativi. Pertanto, nel quadro normativo anteriore alla legge predetta, poichè l’ordinamento non richiedeva l’emanazione di formali atti amministrativi da parte dell’INPS, l’inquadramento di una impresa doveva avvenire secondo i criteri di classificazione fissati dall’art. 2195 cod.civ., trovando applicazione l’art. 33 del T.U. sugli assegni familiari (come sostituito dall’art. 6 della legge n. 1038 del 1961) a norma del quale l’inquadramento tra le aziende industriali o tra quelle commerciali in senso stretto deve avvenire, in difetto di diverse specificazioni, secondo i criteri generali dettati dall’art. 2195 cod.civ. Di conseguenza, per il periodo anteriore al 1989, una volta accertata la natura industriale dell’attività svolta dall’impresa secondo i criteri fissati dal citato art. 2195 cod.civ., analogo doveva essere l’inquadramento a tutti i fini contributivi, restando esclusa la possibilità del c.d. doppio inquadramento, industriale ai fini degli sgravi contributivi e commerciale ad ogni altro fine previdenziale (cfr. Cass. N. 5419 del 1996, Cass. N. 9826 del 1997, Cass. N. 8873 del 1999, Cass. N. 2092 del 2003).
Orbene nel caso di specie il Tribunale, con statuizione non investita da impugnazione, ha ritenuto “circostanza incontestabile” che alla Casa di Cura S.Camillo, operante da epoca precedente il 1989, spetti il diritto agli sgravi contributivi; ha ritenuto infatti il Tribunale di condividere la giurisprudenza di questa Corte di legittimità (cfr. Cass. N. 592 del 1987, Cass. N. 7740 del 1987, Cass. N. 3845 del 1988) secondo cui le case di cura costituiscono vere e proprie imprese industriali in quanto svolgono, oltre all’attività sanitaria di cura e assistenza degli ammalati, un’attività ricettizia, inerente alla degenza, simile a quella alberghiera e, in sostanza, perché attraverso l’organizzazione di capitale e lavoro si propongono un fine di lucro con la predisposizione di servizi per terzi.
Una volta ritenuta, ai fini degli sgravi contributivi, la natura industriale dell’attività svolta dalle case di cura, sulla scorta dei criteri fissati dall’art. 2195 cod.civ., non poteva però il giudice di appello ritenere ammissibile un diverso inquadramento dell’impresa, per il periodo precedente l’entrata in vigore dell’art. 49 della legge n. 88/1989, ai diversi fini dell’obbligazione contributiva.
Questa Corte ha già avuto modo di rilevare che dalla normativa anteriore alla legge n. 88 del 1989 non è consentito ricavare una siffatta possibilità, mentre evidenti ragioni sistematiche e razionali impongono di ritenere che l’inquadramento di una impresa secondo i criteri fissati dall’art. 2195 cod.civ. debba essere unico a tutti gli effetti previdenziali e che da quest’unico inquadramento derivino poi al datore di lavoro tutti i vantaggi e gli svantaggi ad esso connessi (cfr. Cass.n. 2092 del 2003).
L’accoglimento del secondo profilo di censura si riverbera inevitabilmente sul problema posto dal ricorrente con il primo profilo, relativo alla compensabilità o meno del debito dell’ente previdenziale per il rimborso degli sgravi con il credito per i maggiori contributi dovuti dalla Casa di Cura in dipendenza dell’inquadramento nel settore industria.
Va rilevato al riguardo che se unico è l’inquadramento dell’impresa non può non essere unico anche il rapporto contributivo intercorrente tra l’impresa e l’INPS. Da ciò consegue che le partite di dare ed avere derivanti dal medesimo rapporto trovano naturale soluzione nel saldo finale relativo al periodo di tempo considerato al di fuori delle regole della compensazione poste dagli artt. 1241 e segg. del codice civile.
Nella specie trova dunque applicazione il principio, ripetutamente affermato da questa Corte, secondo cui le norme che regolano la compensazione, ivi compresa quella concernente il divieto di rilevarla d’ufficio, riguardando l’ipotesi di compensazione in senso tecnico, la quale postula l’autonomia dei contrapposti rapporti di credito, non si applicano allorché i rispettivi crediti e debiti abbiano origine da un unico rapporto; in questo caso il calcolo delle somme a credito o a debito può essere compiuto dal giudice anche d’ufficio, in sede di accertamento della fondatezza della domanda, mentre restano inapplicabili le norme processuali che pongono alla parte preclusioni e decadenze alla proposizione dell’eccezione, proprio perché si è al di fuori dell’istituto della compensazione (cfr. tra le tante Cass. N. 2461 del 2001, Cass. N. 479 del 1996).
La sentenza impugnata, che a questi principi non si è uniformata, va dunque cassata anche in relazione al diniego opposto all’INPS circa la valutazione dei crediti derivanti dall’inquadramento della Casa di Cura nel settore industria, che invece, alla stregua dei principi sopra esposti, andavano tenuti presenti per la determinazione del saldo finale delle partite contrapposte di debito e di credito fra le parti in dipendenza dell’unico rapporto contributivo.
L’accoglimento dei primi due profili di censura comporta l’assorbimento del terzo, relativo alla determinazione degli accessori sul presunto credito della Casa di Cura, atteso che l’accertamento di un saldo positivo o negativo dell’INPS è rimesso al giudice di rinvio.
Il ricorso incidentale proposto dalla Casa di Cura è infondato.
Sostiene l’intimata che il Tribunale avrebbe limitato al dicembre 1985 il diritto agli sgravi, anziché al novembre 1989 come richiesto, assumendo erroneamente che per il periodo gennaio/novembre 1986 non era stata proposta domanda amministrativa, mentre risulta che la Casa di Cura con raccomandata n. 5231 del 12.2.1987 (seguita da un sollecito con raccomandata n. 5574 del 1988) aveva chiesto all’INPS il rimborso anche per il periodo successivo al dicembre 1986.
Osserva in proposito la Corte che, per costante giurisprudenza, nel giudizio di legittimità il ricorrente che deduca l’omessa o insufficiente motivazione della sentenza impugnata per mancata o erronea valutazione di documenti, ha l’onere, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di specificare il contenuto dei documenti trascurati, sia pure per riassunto, onde consentire al giudice di verificarne la decisività, nonché di indicare in quale grado del giudizio di merito i predetti documenti sono stati ritualmente depositati, con la conseguenza che, in mancanza di siffatte precisazioni, la censura non può che essere disattesa perchè generica e non decisiva (cfr. Cass.n. 3284 del 2003, Cass. N. 13833 del 2002).
Nella specie il ricorrente non ha fornito alcuna indicazione in ordine al rituale deposito nel giudizio di merito dei documenti invocati, sicchè la censura si rivela priva di decisività e deve essere disattesa.
In definitiva, devono essere accolti il primo ed il secondo profilo di censura del ricorso principale e dichiarato assorbito il terzo, mentre il ricorso incidentale deve essere respinto. La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione ai profili di censura accolti e la causa rinviata per un nuovo esame ad altro giudice, designato in dispositivo, che proverà anche al regolamento delle spese del giudizio di cassazione.
Inizio documento
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorso, accoglie il primo ed il secondo profilo di censura del ricorso principale e dichiara assorbito il terzo; rigetta il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione ai profili accolti e rinvia, anche per il regolamento delle spese del giudizio di cassazione, alla Corte di Appello di Catania.
Così deciso in Roma il 13 ottobre 2003
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 16 MAR. 2004.