Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 15 Luglio 2015

Sentenza 21 maggio 2015, n.10481

Corte di Cassazione. Sezione II Civile. Sentenza 21 maggio 2015, n. 10481: "Chiesa ex conventuale di S. Francesco in Gubbio ed annesso complesso conventuale".

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE  

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PICCIALLI Luigi – Presidente –
Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –
Dott. NUZZO Laurenza – Consigliere –
Dott. ORICCHIO Antonio – rel. Consigliere –
Dott. ABETE Luigi – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 20535-2009 proposto da:
MINISTERO BENI ATTIVITA' CULTURALI, MINISTERO DELL'INTERNO DIREZIONE CENTRALE AMMINISTRAZIONE FONDO EDIFICI CULTO, IN PERSONA DEL RISPETTIVI MINISTTRI, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende;
– ricorrenti –

contro
CHIESA SAN FRANCESCO IN GUBBIO, IN PERSONA DEL LEGALE RAPP.TE P.T., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VARRONE 9, presso lo studio dell'avvocato VANNICELLI FRANCESCO, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato SIMONE MANNA;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 272/2008 della CORTE D'APPELLO di PERUGIA, depositata il 24/06/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/03/2015 dal Consigliere Dott. ANTONIO ORICCHIO;
udito l'Avvocato Vannicelli Francesco difensore della controricorrente che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CERONI Francesca che ha concluso per l'accoglimento del ricorso, per
quanto di ragione.

CONSIDERATO IN FATTO

La controversia per cui è giudizio deriva dalle vicende che, in un lungo lasso di tempo intercorso, hanno interessato la Chiesa di S. Francesco di Gubbio e l'annesso complesso conventuale risalente al 12^ secolo, vicende tutte che vanno in questa sede brevemente riepilogate nei loro aspetti rilevanti al fine della comprensione della controversia stessa per cui è causa. Detta Chiesa e complesso furono abitati ed utilizzati per l'esercizio del culto da parte dell'Ordine dei Frati Minori Conventuali.
In base alla L. n. 3036 del 1866, più nota come "Legge Siccardi", i medesimi succitati beni furono confiscati in favore del Fondo per il Culto (oggi Fondo Edifici di Culto).
Tale Fondo, ai sensi della citata legge, ebbe ad assegnare al Comune di Gubbio, in proprietà, il complesso conventuale (destinato a carcere mandamentale e, a quanto pure risulta, a caserma dei Carabinieri) e, in uso, la Chiesa, rimasta sempre aperta al pubblico culto. Con atto del 14 maggio 1956, n. 1072 il Comune di Gubbio retrocedeva tutti i beni, ad esso – come detto – attribuiti in proprietà ed in uso, al Fondo per il Culto. Quest'ultimo ebbe, a sua volta, a cedere "all'Ordinario diocesano di Gubbio" (con consegna del 27 luglio 1956) l'ex convento e la chiesa annessa, con assunzione della manutenzione ordinaria e straordinaria da parte dello stesso Ordinario.
Con D.P.R. 11 febbraio 1970 interveniva il riconoscimento della personalità giuridica della "Chiesa ex conventuale di S. Francesco in Gubbio" ai sensi dell'art. 29 lett. a) del Concordato del 1929.
Tutto ciò, in breve, riassunto, deve quindi esporsi che, con atto di citazione notificato il 22 gennaio 1999, l'Ente ecclesiastico Chiesa di S. Francesco in Gubbio conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Perugia il Ministero dell'Interno, il Fondo Edifici di Culto ed il Ministero dei beni culturali ed ambientali al fine di sentir accertata la sua proprietà dell'intero compendio immobiliare costituito dalla chiesa, dall'annesso convento e dagli orti.
Tanto, all'evidente scopo di acclarare definitivamente una datata e non certo sopita questione, pure trascinatasi nel tempo, in quanto l'Ente Ecclesiastico riteneva consequenziale al suo riconoscimento giuridico il passaggio di proprietà in proprio favore, L. n. 5784 del 1870, ex art. 4 contro di interpretazione autentica dell'art. 18 della citata Legge c.d. Siccardi, di tutti i beni immobili del complesso anzidetto inclusi quelli costituenti la rettoria (e ciò anche per effetto di parere del Consiglio di Stato n. 1263 del 1989).
Deduceva, infine, l'Ente ecclesiastico -a sostegno della proposta domanda di accertamento – che esso doveva comunque essere considerato proprietario dell'intero complesso conventuale anche per effetto di usucapione per possesso continuo ed ininterrotto dal giorno della consegna (27 luglio 1956) o, almeno, dalla data di riconoscimento della sua personalità giuridica (11 febbraio 1970).
Costituitesi in giudizio le convenute Amministrazioni contestavano le domande attoree, di cui chiedevano il rigetto, ed, in via riconvenzionale, domandavano la declaratoria di spettanza della proprietà dei "beni in discussione" in capo al Fondo Edifici di Culto (il quale, va detto per inciso, fin dalla nota alla locale Prefettura del 27 maggio 1970, aveva sostenuto che la consegna L. n. 848 del 1929, ex art. 6 al riconosciuto Ente ecclesiastico doveva intendersi limitata "al sacro edificio ed alle sue pertinenze, non anche ai locali ad uso rettoria", consegna di poi effettuata soltanto il 14 luglio 1984, con riserva di trattare in seguito la questione della rettoria, dopo l'iniziale rifiuto dell'Ente ecclesiastico di ricevere il complesso dei beni senza inclusione dell'ex convento inteso, per l'appunto, come rettoria). Con sentenza dell'11/14 febbraio 2004 l'adito Tribunale di Perugia dichiarava, in accoglimento della domanda principale di parte attrice, che l'Ente ecclesiastico era proprietario dell'intero compendio immobiliare costituito dalla Chiesa di San Francesco, dall'annesso convento e dai relativi orti, con compensazione integrale delle spese del giudizio.
Avverso tale decisione del Tribunale di prima istanza interponevano due separati appelli, sostanzialmente identici, le Amministrazioni soccombenti chiedendo la riforma dell'impugnata sentenza. Resisteva, in uno solo dei due giudizi originati dai detti appelli, l'Ente ecclesiastico appellato, che instava per la conferma della decisione del Giudice di prime cure. Riuniti i due giudizi, l'adita Corte di Appello di Perugia – con sentenza n. 272/2008 – rigettava gli appelli proposti dalle pubbliche Amministrazioni e dichiarava compensate fra le parti "anche le spese del giudizio" di secondo grado.
Per la cassazione della succitata decisione della Corte distrettuale ricorrono le pubbliche Amministrazioni di cui in epigrafe con atto affidato ad un unico motivo. Resiste con controricorso l'Ente ecclesiastico intimato.

RITENUTO in DIRITTO

1.- Con l'unico motivo del ricorso si censura il vizio di "violazione e falsa applicazione della L. n. 848 del 1929, art. 6 in relazione agli art. 817, 818 e 819 c.c.". Il motivo è assistito dalla formulazione, ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c., del seguente testuale quesito di diritto: "dica codesta Suprema Corte se, affinchè possano considerarsi "rettorie" i locali ex conventuali ceduti in uso, ai sensi della L. n. 3036 del 1866, art. 20 ad Autorità ecclesiastiche insieme alla annessa Chiesa aperta al culto, sia necessaria la sussistenza di un effettivo rapporto di pertinenza con l'edificio di culto che, in base al principio accessorium sequitur principale, ne determini il trasferimento ipso iure in proprietà agli enti stessi, a far tempo dalla data del riconoscimento della loro personalità giuridica civilistica, secondo quanto disposto dalla L. n. 848 del 1929, art. 6. Dica altresì la Corte se il rapporto di pertinenza tra locali ex conventuali annessi ad un edificio di culto e quest'ultimo presupponga che gli stessi, alla data del riconoscimento della personalità giuridica agli Enti Chiesa, fossero in concreto adibiti ad attività strettamente collegate a quelle di culto o di religione, nel senso indicato dalla L. 20 maggio 1985, n. 222, art. 16, lett. a) ovvero se, come nel caso in esame, risultando di fatto inutilizzati, essi devono considerarsi ancora di proprietà del Fondo Edifici di Culto, salva la possibilità, per le successive utilizzazioni compatibili con la loro natura, di ricorrere all'applicazione della L. 390 del 1986, art. 2".

2.- L'esposto motivo, anche per le questioni implicitamente sollevate e retrostanti al duplice profilo del quesito di cui si dirà dopo, involgono – in effetti – censure che, in sostanza, afferiscono inammissibilmente a valutazioni di fatto.

L'unico quesito posto a corredo del motivo del ricorso in esame, si articola, invero su due distinte censure relative – rispettivamente – all'individuazione del vincolo di pertinenzialità tra l'edificio – chiesa e la rettoria, nonchè alla sussistenza di tale vincolo su eventuali porzioni immobiliari di fatto inutilizzate.

E' evidente che entrambe le suddette censure, in cui si articola il su riportato quesito, coinvolgono inevitabilmente valutazioni proprie del giudizio di merito e già svolte, con corretta valutazione, immune da vizi e sostenuta da logica motivazione, dalla Corte distrettuale con la sentenza oggi gravata.

All'esito del giudizio di merito, contraddistinto da una complessa attività istruttoria e dall'espletamento di prove testimoniali, la Corte di Appello – facendo buon uso delle norme e dei principi ermeneutici applicabili nella fattispecie – ha ritenuto che non sussisteva una prova contraria alla utilizzazione unitaria del complesso dei beni asserviti alla Chiesa di S. Francesco fin dal 1970 ovvero dall'anno del citato riconoscimento della personalità giuridica ex art. 29, lett. a) del Concordato del 1929 con conseguente acquisito pieno possesso dell'intero complesso immobiliare da parte dei Frati Minori (e dopo la cennata consegna del complesso medesimo del 1956).

In altre parole al momento del riconoscimento della personalità giuridica dell'ente ecclesiastico mancava, secondo l'apprezzamento della Corte di merito, la prova di una non unitaria utilizzazione a servizio della chiesa di S. Francesco in Gubbio e di una inutilizzazione di parte delle porzioni immobiliari costituenti la rettoria, intesa quest'ultima – giova qui ricordare – come insieme dei beni e degli immobili finalizzati all'esercizio pastorale nell'ambito delle attribuzioni, proprie secondo l'ordinamento ecclesiastico, del rettore che presiede all'officiatura di una chiesa.

Peraltro parti ricorrenti non hanno debitamente specificato quali parti del complesso immobiliare non erano utilizzate o non potevano costituire rettoria e, quindi, pertinenza della chiesa.

Anche a voler considerare l'imperfetta indicazione (di cui al ricorso in esame) di quelle suddette parti e la loro concreta identificazione con i locali usati per museo archivistico, con gli orti e le porzioni immobiliari affittate -a seguito di necessità insorta dopo noti eventi sismici- ad un istituto d'arte, il ricorso non appare, in punto, fondato.

Tanto, innanzitutto, in considerazione della circostanza (motivatamente ritenuta dalla Corte di merito) della irrilevanza di eventuali altri utilizzi parziali dei beni avvenuti successivamente al trasferimento in proprietà conseguente al già citato riconoscimento del 1970 della personalità giuridica.

Inoltre, secondo questa Corte, deve osservarsi – in punto e decisivamente – che la chiesa, come edificio direttamente destinato all'esercizio delle funzioni religiose, e la rettoria, nel senso correttamente innanzi specificato, non poteva che costituire un complesso unitario. Un complesso, quindi, contrassegnato – sotto un profilo anche civilistico – da un nesso di pertinenzialità, alla cui stregua valeva e vale il noto principio "accessorium sequitur principale" che comporta una connotazione oggettiva, che esula da ogni altra valutazione di carattere transitorio e/o soggettiva.

Sotto tale ulteriore aspetto deve considerarsi che, pure a voler dato per provato quanto escluso, in ipotesi, dalla Corte di merito ovvero anche, a tutto voler concedere, a voler dare per provata la sussistenza di parziali e momentanee diverse utilizzazioni dei beni costituenti, nel loro complesso, la rettoria, non era venuto di certo meno il rapporto di pertinenzialità che contraddistingueva l'unitario complesso immobiliare chiesa – rettoria. La parziale ipotizzata mancanza di nesso con l'attività religiosa o l'inutilizzazione per circostanze momentanee o transitorie non fa, insomma, venire meno – sotto il profilo qui esaminato – quel rapporto di pertinenzialità che collega il complesso dei beni. Peraltro all'attività relativa al diretto esercizio delle funzioni religiose, tipica della chiesa, deve correlarsi anche la considerazione della ben più ampia necessità delle attività pastorali per le quali è finalizzata, come nel senso e per la corretta definizione innanzi data, la pertinente rettoria.

In secondo luogo e sotto un profilo più squisitamente pubblicistico, deve, poi, condividersi quanto già reiteratamente affermato, in materia, dal Consiglio di Stato nel citato parere n. 1263 del 1989, nonchè nel successivo n. 929/1992.

E, conseguentemente, ribadirsi che l'attribuzione della personalità giuridica alle chiese ex conventuali comportava, come nella fattispecie ed ai sensi del Concordato del 1929, il diretto trasferimento della proprietà del complesso degli edifici sacri dal Fondo Edifici di Culto, successore dell'originario Fondo per il Culto, al riconosciuto ente – chiesa. Tutto ciò con conseguente irrilevanza, nell'ipotesi per cui è giudizio, della stessa successione, nel tempo, dei suddetti Fondi (e, quindi, di una eventuale diversa acquisita natura, demaniale o meno, dei beni, come pure prospettato in atti);

e con conseguente identificazione del complesso dei beni per cui è causa fra quelli aventi specifica destinazione vincolata all'esercizio del culto (e, quindi, come tali assegnati a quei Fondi) e non destinazione e natura demaniale, così come erroneamente prospettato dalle Amministrazioni ricorrenti.

Va, in proposito, rammentato come solo le chiese ex conventuali, già appartenenti alle case religiose a suo tempo soppresse con le leggi eversive e – si badi – chiuse al culto, potevano essere attribuite al demanio dello Stato e, quindi, considerate demaniali e diversamente utilizzate;

ed, ancora, va ricordato come nella fattispecie (ed a differenza di quanto pure ipotizzato nel ricorso in esame) non si verta in ipotesi di tal genere attesa la vincolante e continuativa destinazione della chiesa all'esercizio delle funzioni religiose.

Da tutto ciò non poteva che discendere la (ribadita ed, anch'essa) condivisa ulteriore affermazione del Consiglio di Stato, di cui al citato parere del 1992, secondo cui, nella fattispecie, il passaggio di proprietà – all'atto del riconoscimento della personalità ex art. 29, lett. a) cit., in favore dell'ente ecclesiastico si configurava come effetto automatico e necessitato con esclusione di ogni altra valutazione in ordine alla natura, in tutto o in parte, dell'insieme dei beni costituenti l'unitario complesso immobiliare chiesa – rettoria finalizzato all'esercizio delle funzioni religiose e dell'attività pastorale.

Peraltro le conclusioni, in breve, riportate e ribadite dal Consiglio di Stato appaiono a maggior ragione condivisibili in questa sede anche alla stregua dell'unico risultante, ancorchè non specificamente analogo, precedente di questa Corte risalente al 1950.

In occasione di giudizio, a seguito di ricorso avverso una decisione della Corte di Appello di Bari, questa Corte, con sentenza del 3 marzo 1950, n. 516, ebbe – infatti – ad affermare che "secondo la legislazione concordataria, per il ritorno alle chiese contemplate nell'art. 29 del Concordato dei rispettivi edifizi sacri, è richiesto soltanto il riconoscimento della chiesa come ente morale" ;

ed, ancora, che – stante, quindi, la ritenuta automaticità – e non necessitava nemmeno "l'effettiva consegna -con atto successivo e distinto- all'ente riconosciuto dell'edificio stesso".

In conclusione il trasferimento della proprietà dell'unitario complesso immobiliare comprensivo della rettoria conseguiva automaticamente al riconoscimento della personalità dell'ente ecclesiastico, senza necessità – quindi – di ulteriori atti formali o verifica di particolari condizioni e con irrilevanza di eventuali successive diverse o parziali destinazioni dei beni del medesimo complesso immobiliare (in ogni caso contrassegnato da una unitarietà funzionale religiosa-pastorale e, quindi, da una oggettiva pertinenzialità).

E l'anzidetto trasferimento della proprietà non poteva, pertanto, che riguardare sia l'edificio di culto che tutte le sue pertinenze immobiliari.

3.- In considerazione di quanto innanzi esposto, affermato e ritenuto il proposto ricorso, poichè non fondato, deve – quindi – essere rigettato.

4.- Tenuto conto della specificità della questione, dell'assenza di consolidati precedenti e della controvertibilità della controversia, devono ritenersi sussistenti ampi motivi giustificanti l'integrale compensazione delle spese.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 5 marzo 2015.
Depositato in Cancelleria il 21 maggio 2015