Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 6 Aprile 2005

Sentenza 26 marzo 1991, n.489

Pret. Firenze. Sentenza 26 marzo 1991 [Drago, Pret.; Consigli c. Congregazione dei chierici regolari di San Paolo] : “Comportamenti extralavorativi e potere di licenziamento nelle organizzazioni di tendenza dopo la l. 108/90″.

Le organizzazioni di tendenza hanno carattere imprenditoriale quando svolgono attività anche solo potenzialmente produttive di utili.
Il licenziamento intimato per comportamento contrario all’ideologia del dato re di lavoro è illegittimo ove destinatario del provvedimento sia un dipendente che non svolga mansioni di tendenza.
La rinunzia del lavoratore a contrarre matrimonio solo civile, poiché costituisce clausola vessatoria, deve essere oggetto di specifica sottoscrizione da parte del dipendente.

(Omissis).

Nel formulare le proprie domande di merito, dopo l’esaurimento della fase monitoria, il ricorrente ha chiesto, in tesi, la dichiarazione di nullità” del licenziamento e la tutela reale e risarcitoria di cui all’art. 18 S.L., come novellato dalla legge 108/90, assumendone il carattere discriminatario, in violazione dell’art. 3 della stessa legge. Tale domanda, fermamente contestata dalla convenuta con ampie ed articolate difese, va pertanto esaminata per prima.
In proposito occorre subito osservare come la materia del licenziamento discriminatorio abbia trovato esplicita regolamentazione nell’art. 3 della legge 10/90 che, nel richiamare la previsione di cui all’ art. 4 legge 604/66 e 15 legge 300/70, (modificato dall’art. 13 della legge 903/77), ai fini della individuazione della fattispecie astratta (ragioni discriminatorie), commina la nullità del licenziamento, « quale che sia il numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro », con « le conseguenze previste dall’art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, come modificato dalla presente legge ».
Il che non pare dubbio debba intendersi nel senso della piena applicabilità ai licenziamenti discriminatori della tutela reale (<< forte ») nel suo nuovo assetto normativo introdotto, appunto, dalla novella del 1990. In riferimento al caso in esame, peraltro, attesa la natura (religiosa) dell'ente convenuto ed il genere di attività svolta (di istruzione), occorre tener conto anche di quanto dalla stessa legge previsto, al successivo art. 4, in tema di non applicabilità della disciplina vincolistica, sanzionata dalla tutela forte. Ed a mente del 1° comma di tale norma, «la disciplina di cui all'art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, come modificato dall'art. 1 della presente legge, non trova applicazione nei confronti dei datori di lavoro non imprenditori che svolgono senza fini di lucro attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione ovvero di religione o di culto ». Sulla base, quindi, del coordinamento fra l’art. 3 ed il primo comma, seconda parte, dell'art. 4, deve ritenersi che, in ipotesi di licenziamento discriminatorio, la tutela reale di cui ,all'art. 18, novellato, sia applicabile alle organizzazioni c.d. di tendenza – quale si qualifica la Congregazione convenuta - laddove sussistano i presupposti previsti dalla normativa citata. In particolare, la non imprenditorialità del datare di lavoro e l'assenza di fini di lucro nell'attività svolta. Ciò precisato per quanto attiene specificamente il caso in esame, occorre subito avvertire che, ai fini della qualificazione del datore di lavoro, ciò che rileva non è soltanto la natura dell'attività svolta in generale dalla Congregazione convenuta, ma quella che essa realizza nel campo dell'istruzione, sia a livello nazionale che in riferimento alla scuola del Collegi «Alla Querce» di Firenze, che costituisce la struttura attraverso la quale essa esercita la specifica attività di istruzione, che qui viene in considerazione con riguardo al rapporto di lavoro dedotto in giudizio. Ed in relazione a tale attività, prescindendosi quindi dagli scopi istituzionali dell'ente, occorre stabilire se essa assuma, oggettivamente, carattere imprenditoriale secondo la nozione offertane dall'ordinamento positivo all'art. 2082 del codice civile. Sul punto è senz'altro in termini, e di particolare rilievo, quanto statuito da Cass. Sez. Lav. 9 febbraio 1989, n. 819 (allegata, tra gli altri precedenti, dalla difesa attrice), secondo la quale (in massima) «Il carattere religioso e la finalità esclusivamente assistenziale di un'organizzazione non escludono la natura imprenditoriale dell'attività, in quante potenzialmente produttiva di utili, consistente nella prestazione di assistenza ai bisogni. Pertanto, in caso di licenziamento illegittimo si applica l'art. 18 st. lav. » ed in motivazione la Corte pone in specifica evidenza come sia «irrilevante la destinazione che il soggetto dà al bene o al servizio prodotto, ed è solo decisivo lo scopo dell'attività svolta, la quale, per assurgere a impresa, deve rivestire i caratteri previsti dall'art. 2082 c.c., e, per quanto interessa l'economicità, che richiede uno scopo di lucro, che però può essere anche indiretto e cioè concretarsi non in un diretto incremento pecuniario, ma in qualsiasi utilità economica, consista questa in un risparmio di spese o in un altro vantaggio patrimoniale (Cass. 3 dicembre 1981, n. 6395). Consegue che sufficiente, perché un'attività rivesta il requisito dell'economicità ai fin della qualificazione di impresa, è che essa sia potenzialmente produttiva di utili ». Alla stregua di tali criteri ritiene il decidente che nella specie possa senz'altro affermarsi il carattere imprenditoriale dell' ente convenuto con riferimento all' attività di istruzione da esso svolta. Ciò deriva dai fatti non contestati ed ammessi in sede di interrogatorio formale dal legale rappresentante della Congregazione, in base ai quali può affermarsi che la struttura scolastica di cui essa si avvale in campo nazionale consta di otto collegi e di un numero di dipendenti ed alunni non precisato dall'interrogando, ma che, secondo quanto affermato dal ricorrente, e riportato da fonte attendibile, e cioè la Rassegna trimestrale di vita e di apostolato «Eco dei Barnabiti», prodotta dalla difesa attrice, consta di nove scuole con 80 religiosi, 320 docenti laici e circa 6.000 alunni. Che inoltre, quanto al collegio «Alla Querce», esso conta circa quaranta dipendenti laici per circa cinquecento allievi, che pagano una retta annua di circa quattro milioni. Ancora, che la Congregazione ha affrontato ingenti spese per la ristrutturazione di una parte dell'edificio nel quale ha sede il collegio « Alla Querce », destinandola ad albergo, «Hotel President », quattro stelle, come risulta dal depliant prodotto, albergo gestito dalla società « Cosmea s.r.l. », dietro pagamento di un congruo canone. Può quindi ritenersi, alla stregua di tali elementi, che l'attività di istruzione svolta dalla Congregazione si realizzi attraverso l'impiego ed il coordinamento di tipici fattori (capitale e lavoro) della produzione diretti alla produzione di un servizio, con evidenti criteri di economicità, sia in concreto che, comunque, a livello potenziale ed in regime di mercato, assumendo conseguentemente una essenziale configurazione imprenditoriale secondo quelli che, nell'interpretazione giurisprudenziale, anche di legittimità, possono considerarsi ormai consolidati criteri d'individuazione. Di qui, disattendendosi la tesi contraria della convenuta, l'applicabilità alla fattispecie della disciplina limitativa dei licenziamenti individuali, come integrata dalla legge 108/90, ed in particolare della tutela reale di cui all'art. 1, essendo pacifico il presupposto del requisito numerico. A questo punto s'innesta nel tema del decidere l'ulteriore, e « vexata quaestio », della configurabilità, nell'ambito delle organizzazioni di tendenza, del licenziamento discriminatorio. Trattasi ovviamente, per quanto già accennato circa il sistema legale costituito dall'art. 3 in correlazione al 1° comma dell'art. 4, legge 108/90, di questione non di carattere teorico, ma essenzialmente di fatto, cui è, in linea di principio, preliminare soltanto la questione della non estensibilità del c.d. privilegio di esclusione a quei lavoratori che non risultino «portatori di tendenza», perché addetti a mansioni affatto estranee (c.d. neutre) rispetto ai fini ideologici dell'organizzazione dalla quale dipendono. Questione che, com'è noto, è stata positivamente risolta in senso del tutto maggioritario da dottrina e giurisprudenza. Ciò precisato, e tornando alla vicenda di causa, gli argomenti che, secondo la tesi di parte convenuta, dovrebbero convivere per l'esclusione, quantomeno, della tutela reale nei confronti del Consigli, anche sotto il profilo del licenziamento discriminatorio, si fondano proprio sulla qualificazione, «di tendenza », delle mansioni da lui svolte nell'ambito del Collegio «Alla Querce», che è parte, ed organo, di una congregazione religiosa di confessione cattolica, nonché sulla pacifica obbligazione dello stesso Consigli, da lui contrattualmente assunta in via individuale, di collaborazione alla realizzazione dell'indirizzo educativo della scuola «...in coerenza dell'indirizzo educativo della scuola », «...in coerenza con i principi cui si ispira l'istituzione », consapevole dell'indirizzo educativo e del suo carattere cattolico (art. 7 CCNL per il personale dipendente degli istituti da enti ecclesiastici, 1988/90). A parere del decidente, tuttavia, tali elementi non consentono le conclusioni cui perviene la difesa di parte convenuta. E' pacifico in causa, infatti, che il Consigli ricopriva la funzione di professore di educazione fisica per gli alunni del collegio, e se non è contestabile che l'educazione ed il miglioramento del corpo possano essere di ausilio alla formazione ed allo sviluppo intellettuale e spirituale dei giovani, quantomeno nel senso di indirizzarne la mente secondo canoni di lealtà, generosità e coraggio, non pare d'altra parte altrettanto sostenibile che un tale insegnamento possa in qualche modo interferire su aspetti di carattere ideologico, siano essi, o meno, in chiave con le finalità perseguite da unente religioso, di qualsiasi ispirazione. In tale prospettiva, pertanto, la adesione del Consigli alla clausola contrattuale sopra menzionata non può assumere giuridico rilievo sul piano negoziale, concretandosi essa nell'assunzione di un'obbligazione estranea ai contenuti tipici della prestazione possibile e, quindi, del tutto inesigibile. Le argomentazioni che precedono, peraltro, non consentono comunque di ritenere accertata nella specie la sussistenza di un'ipotesi di licenziamento discriminatorio. Ed infatti, se gli addebiti contestati al Consigli, e cioè, in sintesi, esser si egli sposato con il rito civile pubblicizzando le nozze all'interno del collegio, concretano violazioni solo rilevanti in ragioni di mansioni, o funzioni, «di tendenza» - che si è visto doversi escludere per il ricorrente - la loro conseguente inidoneità a giustificare l'esercizio del potere di recesso non implica anche la...prova di una finalità discriminatoria nei confronti del Consigli, e comunque della realizzazione di un oggettivo risultato discriminatoria nell'ambito dell'istituto. E di tale prova, come da prevalente indirizzo di legittimità avrebbe dovuto onerarsi il ricorrente. La non valutabilità, per le ragioni sopra accennate, del comportamento addebitato, tuttavia, non può non scaturire effetti a livello contrattuale, effetti che si traducono semplicemente nella irrilevanza (ed oggettiva pretestuosità) dei motivi addotti a fondamento del licenziamento, la cui validità ne rimane così irrimediabilmente inficiata, con le medesime conseguenze in punto di tutela reale. Tali conclusioni consentirebbero già l'accoglimento del ricorso con riferimento alla domanda di ipotesi (sub. n. 3 delle conclusioni attrici) riferita al carattere «ingiustificato» del licenziamento, domanda da leggersi, nel contesto della narrativa della memoria 25.2.91, introduttiva dell'odierna fase processuale,come fondata sulla declaratoria di annullamento per mancanza di giusta causa o ingiustificato motivo. Sotto tale profilo, comunque, il licenziamento non regge nemmeno al vaglio di una specifica verifica di merito che, a questo punto, è opportuno condurre con precedenza rispetto all'impugnativa di nullità per violazione dell'art. 7 S.L., ad essa anteposta nelle conclusioni del ricorrente. In fatto i termini della questione non sono sostanzialmente mutati rispetto agli elementi già sintetizzati nella narrativa del procedimento d'urgenza 22.1.91, ove si evidenziava quanto segue: «1) il licenziamento si fonda sulla ,lettera di contestazione 24. 12.90, nella quale si addebitano al ricorrente due violazioni conseguenti all'avere contratto matrimonio con il solo rito civile in data 10 novembre 1990: a) l'avere violato gli obblighi assunti in sede li stipulazione del -contratto di lavoro allorché egli, dichiarandosi consapevole dell'indirizzo educativo e del carattere cattolico dell'Istituto, si sarebbe «impegnato... alla realizzazione di tale indirizzo di coerenza con i principi cui l'Istituto medesimo si ispira »; b) l'avere pubblicizzato «al massimo» all'interno dell'Istituto il predetto matrimonio, « senza minimamente farsi carico dei negativi effetti... sia sul personale docente e nonché sugli stessi alunni e rispettive famiglie ». 2) Il ricorrente, nella lettera di giustificazioni 3.12.90, ha contestato la presunta violazione dei suoi doveri e l'addotta pubbIicizzazione del matrimonio, precisando di avere inviato le partecipazioni al Preside, a cinque insegnanti e ad un custode. 3) Nel disattendere le predette giustificazioni con la citata lettera di licenziamento, il collegio convenuto insiste nel particolare della pubblicizzazione delle nozze che definisce «conclamata », senza peraltro fornire ulteriori precisazioni. 4) Il licenziamento risulta intimato « per giustificato motivo, ai sensi dell'art. 45 - lettera A) - secondo comma - del vigente c.c.n.l. e dall'art. 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604. ... Il predetto secondo comma dell'art. 45, letto A) del c.c.n.l. ..., nell'includere fra i « provvedimenti disciplinari (di cui all' art. 43) il licenziamento «per mancanze », con preavviso, ne individua il «fatto costitutivo » nel comportamento in contrasto con quanto previsto al 20 comma dell'art. 7 all'interno dell'Istituto »; ed il 20 comma del citato art. 7 prevede l'obbligo del personale a collaborare per la realizzazione dell'indirizzo educativo della istituzione in coerenza con i principi educativi (di carattere cattolico) cui essa si ispira ». Occorre ora stabilire se le motivazioni addotte dal datore di lavoro trovino rispondenza nei fatti dimostrati e siano tali da legittimare il recesso secondo le previsioni contrattuali e legali. In ordine ai fatti va rilevato come, rispetto agli elementi già documentati in sede di ricorso d'urgenza, e rimasti pacifici in fase di merito, l'unica circostanza, ulteriore, che avrebbe potuto assumere rilievo ai fini della prova di parte degli addebiti, era costituita dal contestato comportamento del Consigli all'interno dell'Istituto, e cioè nell'avere egli diffuso la notizia delle sue nozze civili. Ma tale elemento non è in realtà emerso nel corso del libero interrogatorio del procuratore speciale della Congregazione, e Preside dell'Istituto, Padre Caldiroli. Questi, infatti, non ha sostanzialmente smentito, circa la « pubblicazione », quanto affermato dal ricorrente in sede di giustificazioni: «...in ordine alla diffusione della notizia delle nozze in seno alla scuola, posso dire che l'ho saputo dai miei stessi confratelli che a loro volta mi hanno riferito che del fatto si parlava tra i professori e che questi avevano riferito che del fatto si parlava tra gli alunni. Non ho invece mai detto che la partecipazione delle nozze abbia fatto il giro delle classi ». Che poi detta diffusione, quantomeno ad opera del ricorrente, fosse stata limitata alle partecipazioni di cui alla narrativa del decreto sopra richiamato, è già stato detto in quella sede come emerge dalla mancata contestazione della relativa circostanza, precisamente, in sede di giustificazioni scritte, nella lettera che ad esse rispondeva con il licenziamento. E ciò appare sufficiente ad escludere che la partecipazione delle nozze da parte del Consigli avesse assunto, addirittura, le dimensioni di una « pubblicizzazione », nei termini a lui contestati, quanto alle presunte conseguenze traumatiche, generalizzate, che il comportamento del professore avrebbe determinato, non occorrerebbe aggiungere altro a quanto detto nel provvedimento d'urgenza con riferimento alla intrinseca inidoneità della notizia a turbare l'animo di insegnanti, alunni e loro famiglie: può forse aggiungersi che un'ipotesi di tal genere presupporrebbe quantomeno la prova, certo qui non fornita né richiesta, che una simile moltitudine di persone conduceva e conduce un'esistenza totalmente dedita all'osservanza dei dettami della religione cattolica, dal rimanere colpita ed offesa nell'apprendere delle nozze civili del professore di educazione fisica. Sul piano più specificamente contrattuale (dedotta violazione dell'art. 45, in relazione all'art. 7 del CCNL), va senz'altro confermato quanto rilevato in sede monitoria circa l'insussistenza di un obbligo negoziale del Consigli a conformare la propria vita privata all'indirizzo cattolico della scuola fino a comprendervi il divieto delle nozze con il solo rito civile. Ed invero, fermo restando quanto già sopra osservato in ordine all'ininfluenza in proposito della particolare fisionomia (di tendenza) dei datore di lavoro, occorre sottolineare che, attesa la rilevanza (di rango costituzionale) del diritto a contrarre matrimonio soltanto secondo le leggi dello Stato, la clausola contrattuale (della cui validità, peraltro, sarebbe lecito in tal caso dubitare) che ne operasse la limitazione o, come nel caso, la totale perdita in corso di rapporto, non solo avrebbe dovuto essere oggetto di una previsione esplicita contenuta nel contratto individuale, ma, presentando i connotati tipici di una clausola vessatoria, avrebbe dovuto essere specificamente approvata per iscritto, secondo i principi generali dell' ordinamento in materia negoziale (art. 1341 c.c.). Nella specie, invece, essa dovrebbe evincersi unicamente in via indiretta dal rinvio, operato dal contratto individuale, all'art. 7 del CCNL che, poi, non ne contiene alcuna specifica menzione. Anche sotto il profilo ora esaminato, pertanto, il licenziamento risultava privo di fondamento, conseguendone l'annullamento e l'ordine di reintegra nel posto di lavoro oltre al pagamento dell'indennità di cui al 4°comma dell'art. 1 della legge 108/90, ed alla regolarizzazione assicurativa e previdenziale, come meglio specificato in dispositivo. Circa l'impugnativa di nullità del licenziamento per violazione dell'art. 7 dello S.L., in ragione della asserita mancata affissione del codice disciplinare, domanda che solo per motivi di comodità di trattazione è stata posposta a quella d'annullamento per insussistenza del giustificato motivo, basterà osservare, per mere ragioni di completezza, che, pur non essendo stata in merito completate la relativa istruttoria, di cui alle specifiche richieste della difesa attrice, che aveva dedotto prova per testi sul fatto, la doglianza dovrebbe ritenersi comunque infondata, aderendo questo pretore all'indirizzo da ultimo espresso dalla sezione lavoro della Corte di Cassazione circa l'assenza di un onere di pubblicità in tema di sanzioni espulsive, derivando in tal caso il potere di recesso, in presenza di una giusta causa o di un giustificato motivo, direttamente dalla legge (Omissis).