Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

Olir

Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 11 Luglio 2005

Sentenza 27 marzo 2003, n.11346

Corte di Cassazione. Sezione II. Sentenza 27 marzo 2003, n. 11346: “Usucapione di immobili concessi alla parrocchia per lo svolgimento di attività connesse al culto.”

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. Vincenzo CALFAPIETRA – Presidente –
Dott. Vincenzo COLARUSSO – Rel. Consigliere –
Dott. Salvatore BOGNANNI – Consigliere –
Dott. Roberto Michele TRIOLA – Consigliere –
Dott. Lucio MAZZIOTTI DI GELSO – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GIULIANI UMBERTO, elettivamente domiciliato in ROMA VIA FEDERICO CESI 72, presso lo studio dell’avvocato GUZZI, difeso dall’avvocato GIORGIO RUBINI, giusta delega in atti;- ricorrente –

contro

ISTITUTO AUTONOMO PER LE CASE POPOLARI DELLA PROVINCIA DI ROMA, in persona del Direttore Generale e legale rappresentante pro tempore LIVIO MONTINARO, elettivamente domiciliato in ROMA VIA RUGGERO DI LAURIA 28, presso lo studio dell’avvocato CARMEN FANTASTICHINI, che lo difende, giusta delega in atti; – controricorrente –

e contro

PARROCCHIA S GIUSEPPE LAVORATORE, in persona del Parroco pro tempore, RUGGERI FRANCESCO;
– intimati –

avverso la sentenza n. 370-99 della Corte d’Appello di ROMA, depositata il 10-02-99;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27-03-03 dal Consigliere Dott. Vincenzo COLARUSSO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Maurizio VELARDI che ha concluso per rigetto del ricorso.

Fatto

Giuliani Umberto con atto di citazione 9.11.1990 convenne innanzi al Tribunale di Roma L’IACP per sentir dichiarare l’avvenuto acquisto per usucapione in suo favore di un locale di proprietà dell’Istituto che egli assumeva di aver posseduto uti dominus per oltre venti anni.
L’IACP si costituiva eccependo di non essere legittimato passivo e chiedendo, comunque, il rigetto della domanda.
Interveniva in giudizio la Parrocchia di S. Giuseppe Lavoratore di Frascati, ente morale, deducendo che l’attore, sacerdote, aveva ricevuto il locale dall’Ente proprietario non per sè ma per svolgervi le attività parrocchiali e chiedendo che, di conseguenza, fosse respinta la domanda attorea ed accolta la domanda di acquisto per usucapione in favore della parrocchia.
Intanto, con atto notificato il 20.2.1993 la medesima parrocchia e tal Ruggeri Francesco provvedevano a riassumere il giudizio possessorio a suo tempo promosso innanzi al Pretore di Frascati per ottenere la reintegra nel possesso dell’immobile in questione a seguito di spoglio consumato dal Giuliani, giudizio nel quale era stata respinta la richiesta di provvedimenti immediati con remissione delle parti innanzi al giudice del petitorio.
Il Tribunale rigettò la domanda di usucapione proposta dal Giuliani nonché quella della Parrocchia interventrice ed, in accoglimento del ricorso in possessorio, ordinò al Giuliani di reintegrare quest’ultima nel possesso dell’immobile.
Per la domanda del Giuliani e della parrocchia il Tribunale osservò che il primo aveva esercitato il potere di fatto sulla cosa per conto della comunità religiosa mentre la seconda aveva detenuto il bene a titolo di comodato senza interversione.
Quanto, al giudizio possessorio il Tribunale riconosceva che il Giuliani, sostituendo nel 1991 la serratura, aveva commesso spoglio in danno della parrocchia.
Avverso la sentenza di primo grado proponevano appello il Giuliani ed appello incidentale la parrocchia.
Il primo lamentando:
– la nullità della sentenza per avere ignorato la partecipazione al giudizio possessorio del Ruggeri;
– l’erronea riunione del giudizio possessorio a quello petitorio, senza considerare, tra l’altro, la non identità delle parti (il Ruggeri era parte solo nel giudizio possessorio);
– il mancato accoglimento, sebbene fosse provata, della domanda di usucapione;
– il mancato rigetto della domanda di reintegra.
L’appellante incidentale si doleva del mancato accoglimento della sua domanda in petitorio, ad onta della prova dell’avvenuta usucapione.
La Corte di Appello di Roma con sentenza pubblicata il 10 febbraio 1999 dichiarava il difetto di legittimazione del Ruggeri Francesco e rigettava sia l’appello principale che quello incidentale.
Osservava la Corte:
– che il Ruggeri non poteva considerarsi parte in senso sostanziale perché addetto solo alle attività socio-culturali della parrocchia, detentore nomine alieno e privo di rappresentanza dell’ente;
– che con tale rilevo restavano assorbite le doglianze mosse col primo motivo dell’appello principale; che, quanto al terzo ed al quarto motivo di. detto appello, era provato che l’immobile era stato ricevuto e posseduto per l’esercizio di attività parrocchiali e ad esse destinato, onde il Giuliano non lo aveva posseduto in nome proprio ma per esercitarvi le attività di culto o connesse;
– che l’istanza di condanna al rilascio coincideva con quella di reintegrazione, essendo anche più ampia, e che ciò superava l'”obiezione” circa la formulazione della domanda possessoria;
– che, quanto all’appello della parrocchia, erano valide le osservazioni svolte del Tribunale circa l’origine e la non interversione del possesso.
Per la cassazione di detta sentenza Giuliani Umberto propone ricorso affidandosi a cinque motivi.
Resiste con controricorso l’IACP di Roma mentre la parrocchia di S.Giuseppe Lavoratore in Frascati ed il Ruggeri non svolgono attività difensiva.

Diritto

Nel primo motivo il ricorrente deduce violazione degli arti. 81,100 e 1168 c.p.c. dolendosi della erronea esclusione delle legittimazione attiva del Ruggeri che aveva ricevuto dal Giuliani la consegna del locale da lui utilizzato quale responsabile degli scuots. Sulla legittimazione in causa del Ruggeri si era formato il giudicato implicito a seguito della sentenza del Pretore nessuna doglianza essendovi stata in proposito.
Il motivo non e fondato.
Innanzitutto il ricorrente non ha interesse a dolersi delle soccombenza del Ruggeri nè può, inoltre, ritenersi che sulla legittimazione attiva di costui si sia formato il giudicato implicito, con preclusione per la rilevabilità, del difetto della stessa da parte della Corte di appello, poiché dalla narrativa della sentenza risulta con estrema chiarezza (pag. 5) che la domanda possessoria accolta in primo grado era quella proposta dalla Parrocchia e non quella del Ruggeri.
In ogni caso è proprio la prospettazione del ricorrente che evidenzia come mera detenzione precaria e nomine alieno per conto del parroco Giuliani la relazione di fatta del Ruggeri col bene, il che rendeva costui carente di interesse poiché privo di una detenzione tutelabile ex art. 1168 cc, come appunto ritenuto dal giudice di censurato.
Nel secondo motivo si deduce difetto di motivazione su un punto decisivo della controversia e violazione dell’art.132 cpc. Il giudice di appello, con motivazione insufficiente, aveva superato il primo ed il secondo motivo di appello negando di ufficio la legittimazione attiva del Ruggeri che, pur essendo stato parte nel giudizio possessorio, non era neppure indicato nella sentenza impugnata.
Neppure questo motivo è fondato.
La censura, di non perspicua esposizione, sembra riferirsi, da un lato, alla mancata indicazione del Ruggeri come parte nella intestazione della sentenza, il che, come e di ogni evidenza, è fatto del tutto irrilevante ai fini di un eventuale annullamento e, per altro verso, essa parrebbe finalizzata alla dimostrazione della violazione dell’art. 704 cpc., dedotta nel terzo motivo e, quindi, assorbita dalla infondatezza di questo, di cui subito si dirà.
Nel terzo motivo il ricorrente deduce, innanzitutto, omessa pronunzia sul terzo motivo di appello (inammissibilità della riassunzione possessoria; incompetenza del Tribunale di Roma in favore di quella per materia del Pretore di Frascati) e, quindi, violazione degli artt. 112, 703 e 704 c.p.c. ed omessa e insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia lamentando l’erronea riassunzione innanzi al Tribunale del giudizio possessorio avvenuta, peraltro, con citazione ad udienza fissa nella quale erano rassegnate conclusioni di merito del tutto incompatibili con le richieste avanzate in sede petitoria. Il procedimento era stato, quindi, riassunto come un giudizio autonomo innanzi al Tribunale di Roma, giudice del merito petitorio anziché di quello possessorio, ed il Tribunale aveva proceduto alla riunione dei due giudizi senza rilevare la propria incompetenza funzionale anche a fronte delle tempestive eccezioni del resistente, odierno ricorrente.
Nel giudizio innanzi al Pretore di Frascati (riassunto innanzi al Tribunale di Roma e da questo deciso) il Giuliani era parte convenuta (cfr. sentenza di primo grado, che omette di menzionare come ricorrente il Ruggeri, e sentenza di appello, a pag. 4, che menziona il Ruggeri come ricorrente nel giudizio possessorio) e la domanda contro di lui venne accolta dal Tribunale con sentenza depositata nel novembre 1995.
Ebbene, il ricorrente lamenta che il giudizio possessorio non poteva essere riassunto innanzi al Tribunale, competente per il petitorio, poiché le parti dei due giudizi non erano le stesse posto che, il Ruggeri, ricorrente in possessorio, non era parte nel giudizio petitorio.
L’assunto non è fondato.
L’art. 704 cpc dispone che le domande relative al possesso, per fatti che avvengano nel corso del giudizio petitorio, siano proposte al giudice di quest’ultimo potendo, peraltro, la reintegrazione, essere chiesta, alternativamente, anche al giudice competente a norma dell’art. 703 (prima della introduzione del giudice unico di primo grado: il Pretore) il quale, pronunciati provvedimenti temporanei, rimette la parti innanzi al giudice del petitorio.
La norma non configura, innanzitutto, una ipotesi di litispendenza, presupponendo questa sempre sia la identità delle personae coinvolte nel processo sia come del petitum e sia della causa petendi, mentre il legislatore dà già per scontata la differenza del petitum esistente, con ogni evidenza, tra la causa possessoria e quella petitoria, e non configura neppure una ipotesi di continenza, non potendosi ritenere che il petitum possessorio sia contenuto in quello petitorio, di maggiore estensione, poiché le causae petendi petitoria e possessoria si appalesano affatto diverse e non sono neppure parzialmente coincidenti.
Tra le due cause non sono ravvisabili neppure il vincolo di subordinazione, che distingue le cause accessorie (art. 31 cpc), nè quello di garanzia o di pregiudizialità ( artt. 32 e 34 cpc) nè, infine, e con maggiore evidenza, quelli di cui agli artt. 35 e 36 cpc. Ne consegue che la vis attractiva del giudizio petitorio rispetto al giudizio possessorio, iniziato in pendenza del primo, deve ritenersi basata su un vincolo di connessione impropria ed in senso lato oggettiva, che giustifica la prevalenza del primo nei confronti del secondo che da esso viene attratto.
Se cosè è, allora non è necessario che tra il giudizio petitorio e quello possessorio sussista assoluta identità dei soggetti, essendo sufficiente, per giustificare la vis attractiva, che tra il primo ed il secondo, oltre che alla identità dell’oggetto dello spoglio, e non della causa, (possesso corrispondente alla proprietà o altro diritto reale) e della pretesa petitoria (proprietà o altro diritto reale sullo stesso bene), sussista almeno parziale identità dei soggetti, nel senso che le parti del giudizio possessorio siano anche tutte presenti nel petitorio, senza necessità della loro perfetta e totale coincidenza, neppure di posizione processuale, che non è richiesta dalla legge nè dalla mera connessione che giustifica il simultaneus processus e la deroga alla competenza nel caso previsto dall’art. 794 cpc..
Nel quarto motivo il ricorrente si duole del rigetto della domanda di usucapione pronunciata in contrasto con le emergenze processuali che denunziavano il possesso animo domini da parte sua del locale di cui l’IACP aveva finanche ignorato l’esistenza.
Anche questo motivo è infondato.
La censura non coinvolge la vera ratio decidendi, basata sulla premessa di fatto che l’inizio della detenzione a titolo di comodato (pag. 5 della sentenza) era finalizzata all’esercizio delle attività parrocchiali da parte del Giuliani il quale era stato inviato dal vescovo a Cocciano per svolgervi attività pastorale e, non disponendo di strutture da adibire ad attività di culto, si era rivolto all’impiegato GESCAL il quale, sensibilizzato ai suoi problemi, gli aveva consegnato il locale (cfr. sent. a pagg. 7 e 8), di tal che la qualità in forza della quale operava il Giuliano escludeva la sussistenza di un possesso animo domini a vantaggio personale dello stesso.
Ebbene, il giudizio sulla sussistenza di un possesso ad usucapionem, che consiste nella signoria di fatto sulla cosa corrispondente a quella del proprietario o di altro titolare di un diritto reale sulla cosa altrui, è frutto di un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito che è suscettibile di censura in sede di legittimità nei soli casi in cui sia inficiato da errori di diritto o da illogicità del processo valutativo.
Nel caso di specie tali vizi non sono denunciati poiché la censura si riduce ad un diverso – e peraltro apodittico – apprezzamento di merito da parte del ricorrente.
Nel quinto motivo si lamenta violazione degli artt. 116 c.p.c. e 1168 c.p. ed omessa e insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia. Il Tribunale nell’escludere il possesso personale del Giuliani aveva travisato fatti, come la forzatura della porta di ingresso attuata dal parroco e dal Ruggeri, contrastanti col possesso in nome proprio del Giuliani stesso del quale si doveva escludere l’animus spoliandi all’atto in cui egli, a sua volta, aveva sostituito la serratura manomessa; nonostante l’uso che era stato fatto del locale, nessun diritto o facoltà dei fedeli era configurabile in contratto col diritto vantato dal ricorrente nè il nuovo parroco poteva vantare il possesso del bene che non gli era stato mai consegnato, tanto che egli si era introdotto furtivamente nel locale ed aveva atteso un anno per denunziare il presunto spoglio ad opera del Giuliani.
Anche questo motivo è infondato.
Il ricorrente, in buona sostanza, non contesta le modalità con cui (e gli scopi per cui) egli ricevette il locale e non allega neppure fatti denotanti un possesso del locale da parte sua per fini personali. Ed è evidente che, al riguardo, a nulla rileva:
– che i fedeli non potessero vantare alcun titolo o facoltà;
– che non era configurabile un possesso dei fedeli stessi;
– che la comunità parrocchiale e la parrocchia siano rappresentati dal parroco (il quale, proprio per la ragione addotta, non potrebbe vantare un possesso in proprio ed usucapire il bene);
– che sede del culto possa essere anche un locale privato; che il Giuliani non abbia consegnato il locale a nuovo parroco;
– che, con la venuta di questi, vi siano state sostituzioni delle serrature ed invasioni arbitrarie con nuove sostituzioni di serrature (il che dimostra esattamente il contrario dell’assunto del ricorrente).
Quel che conta è che il ricorrente – il quale non contesta che il locale non gli era stato consegnato ad personam ma come rappresentante della comunità parrocchiale e per esercitarvi le attività connesse al culto – non ha dimostrato atti di interversione del possesso o atti di possesso a suo nome, essendo pacifico che nel locale in questione si svolsero sempre attività connesse ai compiti pastorali assegnati dal vescovo al Giuliani.
In buon sostanza, emerge dalla stessa prospettazione complessiva delle censure contenute nel quinto e del quarto motivo, che il Giuliani ebbe a possedere non in proprio ma nella sua qualità di parroco per cui egli non poteva vantare un possesso valido ad acquisire la proprietà del bene a suo nome.
In definitiva il ricorso va rigettato con la conseguente condanna del ricorrente alle spese liquidate come nel dispositivo.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese liquidate in complessivi euro 1045,50 (millequarantacinque-50) di cui euro mille per onorario.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione.