Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 8 Luglio 2010

Sentenza 28 dicembre 1995, n.519

Corte costituzionale, sentenza 28 dicmbre 1995, n. 519

La Corte Costituzionale

ha pronunciato la seguente

Sentenza

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 670 c.p., primo e secondo comma, promossi con ordinanze emesse l'11 novembre 1994, dal Giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Firenze, il 21 ottobre 1994, dal Pretore di Modena – sezione distaccata di Carpi – e il 3 febbraio 1995, dal giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Firenze, rispettivamente iscritte ai nn. 22, 67 e 320 del registro ordinanze 1995 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 5, 7 e 23, prima serie speciale, dell'anno 1995.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udito nella Camera di Consiglio del 18 ottobre 1995 il Giudice relatore Francesco Guizzi.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. – Viene riproposta, a distanza di circa vent'anni, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 670 del codice penale con due ordinanze di identico tenore sollevate dal Pretore di Firenze, in ordine al primo comma, e con una ordinanza del Pretore di Modena – sezione distaccata di Carpi – in ordine al primo e secondo comma.
Ad avviso del Pretore di Firenze, vi sarebbe lesione dei principi di solidarietà, di uguaglianza e della finalità rieducativa della pena contenuti, rispettivamente, negli artt. 2, 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, assoggettandosi a sanzione penale coloro che versano in condizioni di indigenza non ascrivibili alla propria condotta, dolosa o colposa che sia. Oggetto di doglianza del Pretore di Modena sezione di Carpi – è il secondo comma del medesimo art. 670 del codice penale, nel la parte in cui prevede come minimo edittale la pena di un mese di arresto: sanzione penale che sarebbe statuita in spregio dei principi di ragionevolezza e della finalità rieducativa della pena (art. 3, primo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione), fra l'altro più severa di quella comminata dal codice Zanardelli agli artt. 453 e 454.
Con tale ultima ordinanza viene prospettata, altresì, la questione di costituzionalità dell'intero articolo 670 c.p. per contrasto, oltre che con i valori costituzionali indicati, anche con il principio della libertà personale e con il canone del buon andamento dell'amministrazione (artt. 13 e 97, primo comma, della Costituzione), apparendo violato il principio di sussidiarietà della tutela penale perché si utilizza una sanzione non congrua, correlata a un interesse che si palesa anacronistico, mentre sarebbe più efficace la repressione amministrativa che eviterebbe, peraltro, l'effetto indotto d'un sovraffollamento delle carceri.
Riguardando le questioni, oggetto delle tre ordinanze di rimessione, la stessa disposizione di legge, si deve necessariamente procedere alla loro riunione, esaminando per prima l'ordinanza del Pretore di Modena – sezione di Carpi – che è logica mente da anteporre alle altre, dato il suo carattere di globalità. E invero, ove accolta, essa renderebbe superfluo l'esame delle altre due questioni.

2. – La Corte Costituzionale si è già pronunciata sull'art. 670 del codice penale, nel senso della infondatezza, con le sent. n. 51 del 1959 e sent. n. 102 del 1975 in precedenza citate.
Con la prima decisione, limitata al controllo di conformità in riferimento all'art. 38 della Costituzione, questa Corte escluse la illegittimità costituzionale della disposizione, rilevando che "la libertà di prestare assistenza in forme private e ad iniziativa privata non comprende in alcun modo la libertà di accattonaggio". Con la seconda, diede, sì, valore recessivo alla mendicità come "scelta di libertà", ma nel contempo sostenne che – per coloro i quali vi fossero indotti non essendo stati messi "in condizione di poter tempestivamente usufruire di quell'assistenza pubblica" cui avrebbero avuto diritto – ben potesse rientrare nella sfera di applicazione dell'art. 54 del codice penale l'accattonaggio della persona "fisicamente debilitata e priva di chi debba per legge provvedere ai suoi bisogni essenziali".

3. – L'art. 670 del codice penale consta di due ipotesi criminose che si devono mantenere fra loro nettamente distinte. La prima punisce, con la pena dell'arresto fino a tre mesi, "chiunque mendica in luogo pubblico o aperto al pubblico" (primo comma); la seconda sanziona più gravemente, con l'arresto da uno a sei mesi, il fatto "commesso in modo ripugnante o vessatorio, ovvero simulando deformità o malattie, o adoperando altri mezzi fraudolenti per destare l'altrui pietà" (secondo comma). È opportuno, sul piano metodologico, distinguere le due ipotesi nel caso in cui questa Corte dovesse accedere a una declaratoria di illegittimità, anche parziale, delle questioni sollevate. E ciò al fine di consentire una valutazione disgiunta dei due valori penalistici coinvolti, senza pregiudicare, con l'esame di una figura, anche la valutazione dell'altra (che è quanto accadrebbe qualora si configurasse il reato di cui al secondo comma dell'art. 670 c.p. quale ipotesi aggravata).
La denuncia del Pretore di Modena – sezione distaccata di Carpi – investe l'intera disposizione e, dunque, entrambe le figure di reato.
L'ipotesi della mendicità non invasiva integra una figura di reato ormai scarsamente perseguita in concreto, mentre nella vita quotidiana, specie nel le città più ricche, non è raro il caso di coloro che – senza arrecare alcun disturbo – domandino compostamente, se non con evidente imbarazzo, un aiuto ai passanti. Di qui, il disagio degli organi statali preposti alla repressione di questo e altri reati consimili – chiaramente avvertito e, talora, apertamente manifestato – che è sintomo, univoco, di un'abnorme utilizzazione dello strumento penale.
Gli squilibri e le forti tensioni che caratterizzano le società più avanzate producono condizioni di estrema emarginazione, sì che senza indulgere in atteggiamenti di severo moralismo – non si può non cogliere con preoccupata inquietudine l'affiorare di tendenze, o anche soltanto tentazioni, volte a "nascondere" la miseria e a considerare le persone in condizioni di povertà come pericolose e colpevoli. Quasi in una sorta di recupero della mendicità quale devianza, secondo linee che il movimento codificatorio dei secoli XVIII e XIX stilizzò nelle tavole della legge penale, preoccupandosi nel contempo di adottare forme di prevenzione attraverso la istituzione di stabilimenti di ricovero (o ghetti?) per i mendicanti. Ma la coscienza sociale ha compiuto un ripensamento a fronte di comportamenti un tempo ritenuti pericolo incombente per una ordinata convivenza, e la società civile – consapevole dell'insufficienza dell'azione dello Stato – ha attivato autonome risposte, come testimoniano le organizzazioni di volontariato che hanno tratto la loro ragion d'essere, e la loro regola, dal valore costituzionale della solidarietà. D'altra parte, i paventati effetti di ulteriore affollamento delle carceri e d'un accrescimento del carico penale sono irrealistici e comunque potranno essere scongiurati se e in quanto si consoliderà l'indirizzo del legislatore verso la "depenalizzazione".
In questo quadro, la figura criminosa della mendicità non invasiva appare costituzionalmente illegittima alla luce del canone della ragionevolezza, non potendosi ritenere in alcun modo necessitato il ricorso alla regola penale. Né la tutela dei beni giuridici della tranquillità pubblica, con qualche riflesso sull'ordine pubblico" (sent. n. 51 del 1959), può dirsi invero seriamente posta in pericolo dalla mera mendicità che si risolve in una semplice richiesta di aiuto.

4. – Altro discorso attiene invece al secondo comma dell'art. 670 c.p., che riguarda una serie di figure di mendicità invasiva. Per le forme in cui prende corpo, questa disposizione rimane fattispecie idonea a tutelare rilevanti beni giuridici, fra i quali anche lo spontaneo adempimento del dovere di solidarietà, che appare inquinata in tutte quelle ipotesi nelle quali il mendicante faccia impiego di mezzi fraudolenti al fine di "destare l'altrui pietà".
La questione sollevata in ordine a questa parte non può, dunque, essere accolta.

5. – Nella declaratoria di illegittimità costituzionale nei termini esposti, resta assorbita la questione, particolare, sollevata dal Pretore di Firenze con riguardo al primo comma in parte qua. Non può essere invece assorbita la seconda questione sollevata dal Pretore di Modena sezione di staccata di Carpi – circa la sproporzione della sanzione penale minima per l'ipotesi di reato più grave. Essa, tuttavia, deve essere dichiarata infondata, perché questa Corte non ritiene di poter ripercorrere, nella specie, l'iter argomentativo della sent. n. 341 del 1994, tenuta a modello nell'ordinanza di rimessione, per l'evidente diversità delle condotte indicate quali "tertia comparationis".

P.Q.M.

La Corte Costituzionale

riuniti i giudizi,
1) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 670, primo comma, del codice penale;
2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 670, secondo comma, del codice penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 13, 27, terzo comma, 97, primo comma, della Costituzione, dal Pretore di Modena – sezione distaccata di Carpi – con l'ordinanza in epigrafe;
3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 670, secondo comma, del codice penale nella parte in cui prevede come pena minima un mese di arresto, sollevata, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione, dal Pretore di Modena – sezione distaccata di Carpi – con l'ordinanza in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 dicembre 1995.

Autore: Corte Costituzionale
Dossier: Libertà religiosa
Nazione: Italia
Natura: Sentenza