Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 26 Febbraio 2004

Sentenza 28 novembre 2001, n.15121

Cassazione civile. Sezione II. Sentenza 28 novembre 2001, n. 15121.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Rafaele CORONA – Presidente e Relatore –
Dott. Francesco CRISTARELLA ORESTANO -Consigliere –
Dott. Rosario DE JULIO – Consigliere –
Dott. Carlo CIOFFI – Consigliere –
Dott. Giovanni SETTIMJ – Consigliere –
ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da:
ENTE PROV. SACRO COSTATO CONGREGAZIONE PADRI PASSIONISTI, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA BERENGARIO 14 INT 19, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO
APICELLA, difeso dagli avvocati FILIPPO APICELLA, ALBERTO MONTESANI,
giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
CAPUA ORIANA, elettivamente domiciliata in ROMA VIA CARDINAL DE LUCA
1, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO RAFFO, difesa dagli avvocati ANNA FASANELLA, MARCELLO ACRI, giusta delega in atti;
– controricorrente –
nonché contro SBARRA VITTORIO, quale procuratore generale di CAPUA MIGUEL, CAPUA
JJUAN JORGE e BERDESCO BORRERO EUCARNAZION, GATTO CARMINE, CHIAPPETTA GIUSEPPE CARMINE;
– intimati –
avverso la sentenza n. 560-99 della Corte d’Appello di CATANZARO, depositata il 22-10-99;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19-09-01 dal Consigliere Dott. Carlo CIOFFI;
uditi gli Avvocati APICELLA Filippo e MONTESANI Alberto, difensori del ricorrente che hanno chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Libertino Alberto RUSSO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

Cori citazione 12 novembre 1974 Oriana Capua convenne, davanti al Tribunale di Paola, Michele Capua e Luigi Zicarelli. Espose che la zia Laura Capua, deceduta il 14 dicembre 1972, con testamento olografo 8 luglio 1972, debitamente pubblicato, le aveva lasciato la metà dei propri beni, costituiti da terreni e da case di abitazione site in Guardia Piemontese e Acquappesa Marina; aggiunse che l’altra metà dei beni relitti doveva attribuirsi per legge ai due fratelli germani della defunta Michele ed Emilio Capua, quest’ultimo premorto nel 1945. Domandò al Tribunale di disporre l’attribuzione dei beni relitti da Laura Capua secondo i criteri esposti sopra, statuendo che sui beni relitti dal premorto Emilio Capua avevano diritto di succedere per legge i fratelli Laura e Michele Capua.
Essendo deceduto nelle more anche Michele Capua, l’attrice convenne gli eredi di lui, vale a dire i figli Miguel e Juan Jorge Capua ed il coniuge Encarnation Berdasco Barrero, residenti in Argentina, in persona del procuratore generale Vittorio Sbarra.
In giudizio intervennero volontariamente Carmine Gatto, procuratore generale degli eredi di Luigi Zicarelli (Annunziato Natale, Lorenzo Eugenio, Serafino Filiberto, Alfredo, Francescantonio, Settimio Zicarelli e Grazia Serafino ved. Zicarelli) e Giuseppe Carmine Chiappetta, acquirente dei beni spettanti agli eredi di Michele Capua, ed entrambi chiesero di partecipare alla divisione. Intervenne volontariamente, altresì, la Provincia del Sacro Costato della Congregazione dei Padri Passionisti, con sede in Manduria: assumendo che Laura Capua, con atto ricevuto dal notaio Mascolo in data 20 giugno 1971, aveva donato alla Congregazione i 10-12 del terreno sito in Torre di Guardia Piemontese e, con ulteriore testamento 20 novembre 1972, aveva confermato l’anzidetta donazione, chiese al Tribunale di attribuirle la quota del terreno suddetto.
Davanti al giudice istruttore, con la partecipazione di tutti i condividenti, con i verbali 7 e 15 febbraio 1979 furono attribuite a stralcio le quote in favore di Giuseppe Carmine Chiappetta (per gli eredi di Michele Capua), e di Carmine Gatto (per gli eredi di Luigi Zicarelli); le parti suddette furono estromesse dal giudizio e la causa continuò nei confronti della Provincia del Sacro Costato e di Vittorio Sbarra.
Il Tribunale di Paola, con sentenza non definitiva 9 giugno – 26 ottobre 1992, accolse le domande proposte da Oriana Capua; respinse le istanze avanzate dalla Provincia del Sacro Costato della Congregazione dei Padri Passionisti; dichiarò cessata la materia del contendere nei confronti di Giuseppe Carmine Chiappetta e di Carmine Gatto, nelle loro qualità; attribuì la metà dei beni relitti da Laura Capua all’attrice Oriana Capua e l’altra metà a Michele Capua; dichiarò aperta la successione del premorto Emilio Capua, cui avevano diritto a succedere i germani Laura e Michele Capua; sulla base dei diritti suddetti, ordinò la divisione dei beni relitti; condannò la Provincia alla rifusione delle spese; rimise le parti davanti al giudice istruttore per le operazioni divisionali.
Contro la sentenza propose appello la Provincia del Sacro Costato della Congregazione dei Padri Passionisti, citando in giudizio Oriana Capua. Ordinata l’integrazione del contraddittorio nei confronti di Vittorio Sbarra, di Carmine Gatto e di Giuseppe Carmine Chiappetta, nelle rispettive qualità, con sentenza 14 aprile – 22 ottobre 1999, la Corte d’Appello di Catanzaro respinse l’impugnazione.
Per quanto ancora interessa, nella sentenza si legge che non vi era stata valida accettazione della donazione da parte dell’Ente appellante, in quanto non sussisteva la prova che la Provincia donataria avesse notificato alla donante non soltanto l’autorizzazione governativa ad acce1ttare, ma neppure la domanda diretta all’autorità governativa intesa ad ottenere l’autorizzazione. Peraltro, detta domanda, inoltrata in data 3 luglio 1971, ben poteva essere notificata alla donante, la cui morte era avvenuta il 14 dicembre 1972. Una volta intervenuta la morte della donante prima della concessione dell’autorizzazione e trascorso l’anno, durante il quale la dichiarazione del donante si considera irrevocabile, la donazione doveva considerarsi caducata senza possibilità di sanatoria. D’altra parte, la legge 27 maggio 1929, n. 848, doveva ritenersi abrogata per incompatibilità dall’art. 782 cod. civ.
Ricorre per cassazione con due motivi la Provincia del Sacro Costato della Congregazione dei Padri Passionisti con sede in Manduria; resiste con controricorso Oriana Capua; non spiegano attività difensiva gli intimati Giuseppe Carmine Chiappetta; Vittorio Sbarra e Carmine Gatto.

Diritto

1.- A fondamento del ricorso, l’ente ricorrente deduce: 1.1 Violazione dell’art. 7 della Costituzione, degli artt. 9 – 11 L. 27 maggio 1929, n. 848, dell’art. 74 L. 20 maggio 1985, n. 222, dell’art. 17 L. 20 maggio 1985, n. 222. Violazione e falsa applicazione dell’art. 782 cod. civ. Omessa o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dall’ente appellante.
Gli artt. 9 – 11 della legge 25 luglio 1929, n. 848, sono norme concordatarie – Patti Lateranensi – inserite nella Costituzione attraverso il rinvio ricettizio dell’art. 7: perciò, facendo parte dell’ordinamento costituzionale, non potevano essere modificate o abrogate unilateralmente da una legge interna italiana, qual è l’art. 782 cod. civ., che non poteva essere applicata al fatto per cui è causa, verificatosi prima della modifica dei Patti Lateranensi, avvenuta nel 1985. D’altra parte, dell’entrata in vigore dalla nuova norma concordataria di cui all’art. 17 L. 20 maggio 1985, n. 222 (“per gli acquisti degli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti si applicano le disposizioni delle leggi civili relative alle persona giuridiche”), il codice civile non era applicabile e la giurisprudenza della Cassazione non è congrua.
Alla donazione di Laura Capua, verificatasi il 20 giugno 1971, si applica l’art. 11 della legge 27 maggio 1929, n. 848, per cui la domanda dell’ente diretta ad ottenere l’autorizzazione governativa rende irrevocabile la dichiarazione del donante e, mancando nella norma suddetta la prescrizione di un termine entro il quale doveva avvenire la accettazione, questa poteva intervenire in qualsiasi momento e la volontà di accettare poteva considerarsi efficacemente manifestata con la presentazione della istanza di autorizzazione ad accettare. Pertanto, l’acquisto dell’ente ecclesiastico si è perfezionato con la istanza di autorizzazione ad accettare presentata il 31 giugno 1971 e con l’autorizzazione governativa intervenuta il 4 gennaio 1974. 1.2 Reiterata violazione e falsa applicazione dell’art. 782 cod. civ.
Omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dall’ente appellante.
Posto che nel contratto di donazione non è affatto necessaria la contestualità della dichiarazione di donazione e della accettazione, che può essere fatta con atto pubblico posteriore – ed il perfezionamento del contratto si ha nel momento in cui l’accettazione viene notificata al donante – la morte della donante avvenuta nell’intervallo temporale tra la dichiarazione per atto pubblico della donante e l’accettazione del donatario è irrilevante, in quanto la dichiarazione del donante non viene affatto eliminata dall’evento morte. La dichiarazione del donante non accompagnata dalla accettazione del donatario si trasmette all’erede: quindi, può unirsi alla accettazione del donatario, intervenuta successivamente, per dare vita al contratto di donazione.
2.- I motivi vanno esaminati congiuntamente in ragione della loro intima connessione ed ambedue disattesi.
2.1 La questione di diritto, che la Suprema Corte deve risolvere per decidere la controversia, concerne la validità e l’efficacia di una donazione in favore di un ente ecclesiastico quando la accettazione dell’ente interviene dopo la morte del donante. La questione principale implica una serie di problemi particolari, dipendenti non solo dalla peculiarità della fattispecie: essi consistono nella individuazione della legge regolatrice del caso concreto; nel significato e nel valore della autorizzazione governativa; nella differente rilevanza della notifica al donante della richiesta di autorizzazione ad accettare e della notifica della accettazione e, per finire, nel rilievo dell’incontro tra la volontà del donante e quella del donatario, avuto riguardo alla natura della donazione. Il che comporta la soluzione della questione non facile del perdurare dell’efficacia della dichiarazione di donazione dopo la morte del donante.
2.2 Il codice civile del 1865, all’art. 1060 stabiliva che le donazioni fatte ai corpi morali non potevano essere accettate se non con l’autorizzazione del governo. La norma derivava dalla legge 5 giugno 1850 n. 1037 del Regno di Sardegna (legge Siccardi), per cui i corpi morali, ecclesiastici o laici, non potevano acquistare beni immobili senza essere autorizzati con regio decreto e, perciò, le donazioni non avevano effetto se (gli enti) non fossero stati autorizzati ad accettare (norma poi estesa agli altri Stati preesistenti all’unificazione).
2.3 Dai Patti Lateranensi – in particolare, dal Concordato – gli acquisti degli enti ecclesiastici furono disciplinati solo in termini generalissimi.
Con i Patti Lateranensi – in particolare con il Concordato – lo Stato italiano e la Santa Sede, quale ente sovrano della Chiesa Cattolica, di comune accordo regolarono rispetto all’ordinamento italiano la posizione ed il regime giuridico della Chiesa Cattolica nella sua esistenza e attività in Italia.’ Il protocollo relativo al Concordato, che specificamente interessa in questa sede, all’art. 30 si limitò a riconoscere agli istituti ecclesiastici ed alle associazioni religiose la capacità di acquistare i beni, compresi quelli immobili, facendo “salve le disposizioni delle leggi civili concernenti gli acquisti dei corpi morali”.
Come è noto, la rilevanza costituzionale riguarda soltanto il Trattato ed il Concordato, disponendosi dall’art. 7 comma 2 della Costituzione della Repubblica che i rapporti tra lo Stato italiano e la Chiesa Cattolica restano regolati dai Patti Lateranensi e che le modificazioni, accettate dalle parti, non richiedono il procedimento di revisione costituzionale. Costituzionalizzato venne soltanto il regime dei rapporti tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica regolato espressamente dai Patti: non assunsero certamente rilevanza costituzionale le disposizioni delle leggi statali, che lo Stato, per dare esecuzione ai Patti, ebbe ad emanare (e che la Chiesa non contestò in alcun modo, come avrebbe potuto fare avvalendosi dell’art. 44 del Concordato).
Non ha fondamento prefigurare, tramite un supposto rinvio ricettizio operato dall’art. 7 Cost., la costituzionalizzazione delle norme statali emanate per dare attuazione ai Patti.
Orbene, gli acquisti degli enti ecclesiastici furono disciplinati proprio dalle norme di attuazione dei Patti e precisamente della legge 27 maggio 1929, n. 848. L’art. 9 comma 1 dispose che gli istituti ecclesiastici e gli enti di culto non potevano acquistare beni immobili, nè accettare donazioni, eredità o legati senza autorizzazione; l’art. 10 stabilì che, mancando l’autorizzazione, gli acquisti e le accettazioni erano nulli e la dichiarazione di nullità poteva essere promossa in ogni tempo dal pubblico ministero e da chiunque avesse interesse; l’art. 11 precisò che la domanda del rappresentante dell’ente, diretta ad ottenere l’autorizzazione ad accettare una liberalità, rendeva irrevocabile la dichiarazione del donante.
2.4 Per quanto concerne l’autorizzazione governativa – che ha rilevanti implicazioni relativamente alla validità del contratto di donazione in favore delle persone giuridiche e, quindi, degli enti ecclesiastici – il legislatore aveva accolto i suggerimenti della dottrina dominante, che considerava l’autorizzazione come condizione essenziale della validità della accettazione: donde la nullità assoluta dell’atto mancante di autorizzazione.
A differenza dall’approvazione – necessaria per rimuovere un limite all’efficacia dell’atto già compiuto da un soggetto investito del potere e capace di esercitarlo, ma con effetti subordinati all’intervento di un potere diverso – la autorizzazione si ritiene costituire un presupposto dell’atto, idoneo a rimuovere un limite, il quale impedisce l’esercizio del potere. Poiché funzione della autorizzazione è quella di rimuovere un impedimento all’esercizio del potere già facente capo all’ente, l’autorizzazione dev’essere anteriore al compimento dell’atto e la sua mancanza rende nulla la accettazione. L’autorizzazione, pertanto, si qualifica come presupposto dell’esistenza giuridica dell’atto, condizionante l’esercizio del potere, nel senso che il potere medesimo non può essere esercitato finché la volontà autorizzante non viene manifestata.
Secondo questa concezione, l’autorizzazione non può equipararsi alla condicio juris, dotata di effetto retroattivo e capace di sanare l’atto viziato. La condizione, invero, consiste in un evento futuro ed incerto, dal quale dipende l’efficacia di un negozio, ma non la validità: l’autorizzazione, invece, raffigura un evento estraneo alla struttura dell’atto, peraltro costitutivo della fattispecie complessa, dalla quale derivano gli effetti cui il negozio è diretto. Precisamente, un presupposto essenziale per la conclusione del contratto, un requisito di validità della dichiarazione di accettazione, la cui mancanza rende l’atto nullo (Cass., Sez. Il, 20 luglio 1966, n. 1954).
2.5 Il codice civile vigente – fissata la natura contrattuale della donazione (art. 769), stabilito all’art. 782 comma 2 e 3 che la donazione non è perfetta, se non dal momento in cui l’atto di accettazione è notificato al donante, statuito che prima che la donazione sia perfetta tanto il donante quanto il donatario possono revocare la loro dichiarazione – al comma 4 precisa che se la donazione è fatta ad una persona giuridica, il donante non può revocare la sua dichiarazione dopo che gli è stata notificata la domanda diretta ad ottenere l’autorizzazione dall’autorità governativa ad accettare; che trascorso l’anno dalla notifica senza che la autorizzazione sia stata concessa, la dichiarazione può essere revocata.
La disposizione dell’art. 782 cit. è sicuramente innovativa rispetto alla norma dettata dall’art. 11 della L. 27 maggio 1929, n. 848, che subordinava l’irrevocabilità della dichiarazione del donante alla semplice presentazione della domanda di autorizzazione da parte del rappresentante dell’ente. Secondo la nuova disposizione, infatti, l’irrevocabilità della dichiarazione del donante consegue non alla presentazione della domanda di autorizzazione, ma alla notificazione al donante della domanda diretta all’autorità governativa per ottenere l’autorizzazione ad accettare la donazione (Cass., Sez. Il, 18 dicembre 1961, n. 2811). Relativamente alla irrevocabilità della dichiarazione di donare, l’art. 782 cod. civ. cit., in quanto norma successiva e diretta a conferire una disciplina diversa, rappresenta una integrazione ed un perfezionamento del sistema anteriore, con disposizioni applicabili anche alle donazioni effettuate in favore degli enti ecclesiastici (Cass., Sez. Il, 26 luglio 1967, n. 1973), perché nel termine “persona giuridica” dell’ultimo comma devono intendersi inclusi anche gli enti ecclesiastici (Cass., Sez. Il, 16 dicembre 1961, n. 2811; Cass., Sez. Il 20 luglio 1954, n. 1954), ha abrogato tacitamente l’art. 11 della legge 27 maggio 1929, n. 848 (Cass., Sez. II, 15 ottobre 1975, n. 3345; Cass., Sez. Il, 7 luglio 1972, n. 1054; Cass., Sez. Il, 26 luglio 1967, n. 1973; Cass., Sez.
II, 20 luglio 1966, n. 1954).
È priva di fondamento l’affermazione che le norme della legge n. 848 del 1929, in quanto norme speciali, non possono considerarsi abrogate dalle disposizioni del codice civile, il quale sicuramente detta norme di ordine generale. Per la verità, rispetto alle disposizioni del codice gli artt. 9, 10 e 11 della legge n. 848 del 1929 non contengono il quid pluris, che contrassegna le leggi speciali e che impedisce l’abrogazione da parte delle norme generali, in quanto non lo contemplano.
Secondo l’opinione più accreditata, sono caratterizzate le norme speciali dalla diversità di contenuto rispetto alle norme di diritto comune, posto che rispetto al precetto delle norme comuni sovraordinate esse contengono qualcosa di più. Rispetto alla disciplina della fattispecie comune le norme speciali apportano una disciplina ulteriore aggiuntiva. Mentre per la parte identica alla norma generale, persiste la medesima ratio e conseguentemente la stessa disciplina: ubi eadem ratio, ibi eadem dispositio, soltanto per la parte diversa, configurata dalla disciplina ulteriore ed aggiuntiva, la disciplina comune non si applica.
Orbene, negli artt. 9, 10 e 11 della legge n. 848 del 1929 non si riscontra quella disciplina ulteriore ed aggiuntiva rispetto al precetto comune contemplato dal codice, che non potrebbe abrogarsi dalle disposizioni di ordine generale. Le disposizioni del codice, invero, non hanno un contenuto diverso: spiegano semplicemente una portata più ampia, poiché riguardano tutte le persone giuridiche e, implicitamente, contemplano anche gli enti ecclesiastici.
L’inferenza circa la implicita abrogazione, perciò, appare del tutto corretta.
Conviene aggiungere che gli artt. 9, 10 e 11 della legge 27 maggio 1929, n. 848 non sono rimasti in vigore fino all’entrata in vigore dell’art. 74 della legge 25 maggio 1985, n. 206, che specificamente ha abrogato le disposizioni della legge n. 848 del 1929 non richiamate espressamente e non compatibili. L’art. 74 della L. n. 206 del 1985 testè cit. riguarda la legge del 1929 nel suo complesso, indipendentemente dalla sorte seguita da singole, particolari disposizioni. Quanto all’art. 17 della legge 20 maggio 1985, n. 222 – secondo cui per gli acquisti degli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti si applicano le disposizioni delle leggi civili relative alle persone giuridiche – trattasi di norma non innovativa, ma meramente esplicativa, con la funzione di confermare la disciplina vigente, eliminando ogni dubbio ed incertezza.
2.6 La notifica della richiesta di autorizzazione ad accettare e la notifica della accettazione sono atti distinti, dotati di diverso contenuto e di effetti differenti.
La notifica della richiesta di autorizzazione si limita a tenere ferma per un anno la dichiarazione del donante (Cass., Sez. II, 15 ottobre 1975, n. 3345 cit.); la notifica dell’accettazione importa il perfezionamento del contratto di donazione (Cass., Sez. Il, 26 luglio 1967, n. 3345 cit.; Cass., Sez. II, 20 luglio 1967, n. 1954 cit.; Cass., Sez. II, 16 dicembre 1961, n. 22811 cit.).
La richiesta di autorizzazione implica certamente l’intenzione di accettare: ma l’intenzione non si può considerare come accettazione, giacché il codice contempla non soltanto l’intenzione di accettare, ma la volontà di accettare: precisamente, il codice prescrive che la volontà di accettare sia tradotta in un atto pubblico e che infine sia notificata al donante. Ai fini del perfezionamento del contratto di donazione, la notifica della richiesta di autorizzazione non può sostituire la notifica dell’accettazione (Cass., 6 dicembre 1961, n. 2811 cit.).
2.7 Avuto riguardo alla donazione tra le persone fisiche, al fine del perfezionamento del contratto che si realizza in virtù dell’incontro delle volontà, la notifica della accettazione deve coesistere con la volontà del donante, la quale, pur manifestata istantaneamente nell’atto pubblico nel momento in cui avviene la notifica deve perdurare. Se il donante muore prima della notifica della accettazione, la dichiarazione cade e non può aver luogo l’incontro delle volontà, mediante la quale il contratto si perfeziona.
Deceduto il donante e caduta la dichiarazione, questa non si incontra con la accettazione dell’altra parte e la perfezione del negozio resta esclusa. Posto che la donazione costituisce un contratto, la dichiarazione del donante deve coesistere con quella del donatario.
In virtù dei principi generali, comuni a tutti i contratti e applicabili alla donazione in quanto contratto (art. 769 cod. civ.), se prima che la accettazione giunga a conoscenza del donante – proponente interviene la morte di quest’ultimo, tale evento impedisce il perfezionamento del negozio. Ma la dichiarazione di donare può venire meno non solo per volontà del donante, che dispone la revoca, ma anche per fatti indipendenti dalla sua volontà, quali la morte (o la sopravvenuta incapacità). In questi casi si parla di caducità, nel senso letterale di caduta della dichiarazione. Poiché la morte del donante importa la caduta della dichiarazione, il donatario non può accettare, nè notificare la accettazione e, allo stesso tempo, gli eredi del donante non sono tenuti a rispettare la dichiarazione del de cuius. 2.8 Nel caso di donazione a persone giuridiche o ad enti ecclesiastici le conseguenze sono le stesse. A norma dell’art. 832 comma 4 cit., la dichiarazione del donante resta ferma per un anno, ma se entro l’anno muore il donante, la sua dichiarazione cade con il fatto stesso della morte ed a nulla giova una autorizzazione o accettazione successiva, giacché quest’ultima non può incontrarsi con la dichiarazione del donante (Cass., Sez. II, 26 luglio 1967, n. 1973 cit.; Cass., Sez. Il, 20 luglio 1966, n. 1954 cit.; Cass., Sez.
II, 16 dicembre 1961, n. 2811 cit.).
Si può pensare che la volontà del donante, essendo bloccata per un anno, abbia carattere permanente, con la conseguenza che perduri anche dopo la morte del dichiarante e, quindi, che possa incontrarsi con la accettazione notificata entro l’anno. Ma il blocco legale importa soltanto l’esclusione della revoca, non il perdurare della volontà del dichiarante dopo la sua morte. In altre parole, il blocco legale esclude la revoca, ma non può tenere in vita la dichiarazione, che per effetto della morte è caduta.
La caducazione della dichiarazione per morte del donante risponde al principio generale, secondo cui ogni proposta di contratto cade con la morte del proponente. Soltanto nel caso di proposta irrevocabile l’art. 1329 comma 2 cod. civ. stabilisce che la morte (o la sopravvenuta incapacità del proponente) non toglie efficacia alla proposta. Ma l’art. 1329 comma 2 cod. civ. è inapplicabile alla donazione a causa della natura del contratto: stando al testo della stessa disposizione, a causa della “natura dell’affare”. La clausola della irrevocabilità, invero, contrasta con la natura della donazione. La donazione ha carattere strettamente personale, è atto intuitus personue, ragion per cui gli eredi del donante potrebbero non voler porre in essere un atto di liberalità nei confronti di una determinata persona, come aveva fatto il defunto. Essendo la donazione atto essenzialmente personale, il perdurare della volontà di donare dopo la morte del donante è incompatibile con l’essenza dell’atto. D’altra parte, il donante non propone, ma dispone, ed una donazione “a fermo”, appunto per il carattere dispositivo della donazione, non è ipotizzabile. In definitiva, il blocco legale ha la funzione di escludere la revoca, ma non di attribuire alla dichiarazione una durata, che vada oltre la morte del dichiarante.
A favore della trasmissibilità agli eredi della dichiarazione di donare prima che il contratto sia perfetto, inoltre, non si può invocare il principio della successio in universum ius, che importa il subentrare dell’erede nella identica situazione attiva e passiva del defunto. Per quanto possa essere ampia e complessa la portata del fenomeno successorio, l’erede subentra nei rapporti giuridici facenti capo al defunto che sono trasmissibili: non nei diritti e nelle obbligazioni costituiti intuitu personae dalla legge considerati intrasmissibili; tanto meno nelle dichiarazioni e meno che mai se si tratta di dichiarazioni eminentemente personali, come nel caso della donazione. Il fenomeno successorio, quindi, non può arrivare ad ammettere che la donazione si perfezioni con la accettazione notificata agli eredi del donante.
Concludendo, quando la notifica della accettazione avviene dopo la morte del donante (ancorché entro l’anno dalla richiesta di autorizzazione ad accettare rivolta all’autorità governativa), la formazione del consenso necessaria per il perfezionamento del contratto di donazione rimane irrimediabilmente impedita (giurisprudenza consolidata: Cass., Sez. Il, 14 settembre 1991, n. 9611; Cass., Sez. II, 6 maggio 1982, n. 2834; Cass., Sez. II, 20 luglio 1966, n. 1994, cit.; Cass., Sez. Il, 16 dicembre 1961, n. 2811, cit.). 2.9 Per completezza, conviene aggiungere che l’art. 13 della legge 15 maggio 1997, n. 127, il cui n 2 aveva dato luogo a perplessità circa i termini dell’efficacia temporale (l’abrogazione delle disposizioni, che prevedono autorizzazioni ad accettare… e donazioni e ad acquistare beni stabili, si applicava anche alle acquisizioni deliberate o verificate in data anteriore a quella di entrata in vigore della legge), è stato sostituito dall’art. 1 della legge 22 giugno 2000, n. 192, che si limita ad abrogare (evidentemente per l’avvenire) tutte le disposizioni, che prescrivono autorizzazioni per l’acquisto delle donazioni etc. 2.10 I tempi della vicenda risultano fissati dal giudice del merito.
La dichiarazione di donare è stata ricevuta dal notaio Mascolo il 20 giugno 1971; la richiesta di autorizzazione dalla Congregazione è stata inoltrata all’autorità governativa in data 7 luglio 1971, ma non è stata notificata alla donante; la morte di costei è sopravvenuta il 14 dicembre 1972, prima che l’autorizzazione fosse stata concessa in data 4 gennaio 1974; infine, l’atto di accettazione è stato ricevuto dal notaio Gisonna in data 28 settembre 1994 e successivamente notificato agli eredi Capua.
Sulla base del principio tempus regit actus, la fattispecie deve ritenersi soggetta alla disciplina del codice civile secondo il testo allora vigente, per cui in virtù dei principi generali applicabili a tutti i contratti e, quindi, alla donazione, essendo intervenuta la morte del donante – proponente prima che l’accettazione giungesse a sua conoscenza, tale evento aveva impedito irrimediabilmente la formazione del consenso.
Nella specie, essendo per l’appunto intervenuta la accettazione dopo la morte della donante Laura Capua, il contratto non si è perfezionato e la donazione non può ritenersi valida, come correttamente ha affermato la sentenza impugnata.
Il ricorso, perciò, deve essere rigettato.
Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese processuali.

P.Q.M

La Corte: rigetta il ricorso e compensa le spese.

Roma 19 settembre 2001.