Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 28 Settembre 2004

Varie 20 settembre 2004

Consiglio Episcopale Permanente. Roma, 20-23 settembre 2004.

Prolusione del Presidente
S.Em. Card. Camillo RUINI

Venerati e cari Confratelli,
questo nostro incontro di settembre ha luogo mentre i nostri cuori sono oppressi dal dolore e dalla preoccupazione per i lutti e le tragedie che non cessano di aggravarsi e moltiplicarsi, specialmente ad opera del terrorismo, ma anche mentre crescono in noi i sentimenti di gratitudine per i forti segni di vitalità e di comunione che ha dato in questi mesi estivi il laicato cattolico italiano. Affidiamo ogni timore e speranza al Signore onnipotente e misericordioso e imploriamo con umile fiducia la luce dello Spirito Santo per noi e per le giornate di lavoro comune che ci attendono.

1. Il nostro pensiero, affettuoso e riconoscente, va anzitutto al Santo Padre. Lo ringraziamo in primo luogo per l’annuncio di uno speciale “Anno dell’Eucaristia”, che inizierà con il Congresso Eucaristico Mondiale in programma a Guadalajara, in Messico, dal 10 al 17 ottobre e terminerà con il Sinodo dei Vescovi dell’ottobre 2005, dedicato a “L’Eucaristia fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa”. Siamo invitati così, nel quadro delle grandi indicazioni della Novo millennio ineunte, a contemplare più assiduamente il volto di Cristo, presente nel Sacramento, e a protenderci, confidando nel dono del suo Spirito, verso quella “misura alta della vita cristiana” che è la condizione base dell’efficacia della nuova evangelizzazione. Ci rallegriamo che anche il nostro Congresso Eucaristico Nazionale, in programma per il 21-29 maggio a Bari, abbia luogo all’interno dell’Anno dell’Eucaristia e possa ricevere da esso ulteriore impulso e significato spirituale.
Nel periodo estivo la sollecitudine apostolica del Santo Padre si è particolarmente indirizzata verso i giovani ed ha messo in evidenza la sua radice e dimensione mariana: ricordiamo il suo viaggio a Berna per il primo Incontro nazionale dei giovani svizzeri, il Messaggio per la XX Giornata Mondiale della Gioventù, “Siamo venuti per adorarlo”, e soprattutto i due grandi pellegrinaggi ai Santuari mariani di Lourdes – in occasione del 150° anniversario della promulgazione del dogma dell’Immacolata Concezione – e di Loreto, con la Beatificazione di tre figli e testimoni dell’Azione Cattolica. Sono stati, questi due pellegrinaggi, rispettivamente per la Francia e per l’Italia, autentici tempi di preghiera e feste di popolo, dalle quali – come anche dal Pellegrinaggio dei Giovani Europei a Santiago di Compostella – è emersa la persistente fecondità delle radici cristiane del nostro Continente.
La partecipazione del Patriarca Ecumenico Bartolomeo I alle celebrazioni in Roma dei Santi Pietro e Paolo e la “Dichiarazione comune” del Papa e del Patriarca che ne è seguita, come anche il dono al Patriarca di Mosca dell’Icona della Madre di Dio di Kazan’, sono stati passi in avanti assai significativi nei rapporti tra Chiesa Cattolica e Chiese Ortodosse, che ci auguriamo possano procedere verso la piena comunione, in spirito di autentica fraternità.

2. Cari Confratelli, il Congresso Internazionale dell’Azione Cattolica e soprattutto il pellegrinaggio a Loreto, a cui hanno preso parte moltissimi Vescovi italiani, ci hanno fatto toccare con mano il fervore e il nuovo slancio che pervadono questa nostra già antica e tanto amata Associazione di laici credenti. Le tre consegne, della contemplazione, della comunione e della missione, che il Santo Padre le ha affidato al termine della celebrazione di Loreto, sono la sintesi di un percorso che è già in atto e che ora è nelle migliori condizioni per svilupparsi e portare ulteriori, abbondanti frutti. Come Vescovi italiani abbiamo già espresso e vogliamo qui, in unione col Papa, rinnovare all’Azione Cattolica la nostra vicinanza affettuosa e fiduciosa, consapevoli del contributo che essa può dare alla formazione di laici profondamente partecipi della vita e della missione della Chiesa e proprio così capaci di animare e orientare in senso cristiano il tessuto sociale a cui apparteniamo. Come ha detto il Papa il 4 settembre nel messaggio ai giovani riuniti nella piana di Montorso, “Voi non vi vergognate del Vangelo e siete consapevoli che la civiltà dell’amore si costruisce non separando Vangelo e cultura, ma cercando tra essi sintesi sempre nuove”.
Le tre consegne del Papa all’Azione Cattolica sono inoltre indicative di un cammino più ampio, che riguarda tutta la Chiesa in Italia e in particolare le varie espressioni del laicato cattolico. Sono numerosi e ben vitali, per grazia del Signore, i movimenti e le associazioni ecclesiali che arricchiscono il dinamismo e le capacità evangelizzatrici delle nostre Chiese. Tra di loro si sono instaurati in questi anni rapporti più chiaramente ispirati alla logica della comunione, nella crescente consapevolezza della priorità e dell’urgenza della missione, che chiama in causa tutti nel rispetto e nella valorizzazione delle specificità di ciascuno. In questo contesto hanno avuto notevole significato la presenza della Presidente e dell’Assistente Generale dell’Azione Cattolica al Meeting di Rimini, nel 50° delle origini di Comunione e Liberazione, e la partecipazione di questa e di molti altri movimenti e associazioni all’appuntamento di Loreto.
Si tratta in realtà, di fronte alle dimensioni dei problemi che pongono oggi sia l’evangelizzazione e l’inculturazione della fede sia fenomeni come la globalizzazione, il terrorismo internazionale o, su un versante diverso ma forse ancora più gravido di conseguenze per il futuro, la manipolazione tecnologica del soggetto umano, di avere l’intelligenza e il coraggio di “pensare in grande” e di “stare dentro” al divenire della storia, avendo il Signore Gesù Cristo come saldissimo punto di riferimento e paradigma della nostra vita personale e di ogni rapporto sociale.
Ha inoltre un valore a suo modo emblematico il fatto che il dinamismo di comunione e missione delle organizzazioni del laicato cattolico abbia dato forti segni di sé nei mesi immediatamente successivi alla pubblicazione della Nota pastorale della C.E.I. “Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia”, avvenuta a coronamento della nostra 53ª Assemblea Generale. In effetti, soltanto se anche tra le parrocchie e i movimenti e le associazioni si svilupperà e consoliderà una vera integrazione pastorale – che abbia nelle diocesi il suo punto di riferimento essenziale – saremo in grado di rendere presente capillarmente tra la nostra gente, nelle dimensioni concrete della vita quotidiana – famiglia, affetti ed educazione, lavoro e tempo libero –, il volto di una Chiesa amica e missionaria, che renda in qualche modo tangibile l’amore di Dio per gli uomini e aiuti ad avere speranza e fiducia nella vita. Così il “pensare in grande” e lo “stare dentro” al divenire della storia non rimarranno postulati astratti o esperienze elitarie, ma potranno incarnarsi nel cammino della Chiesa e del popolo italiano, secondo le intenzioni di quel “progetto culturale orientato in senso cristiano” di cui dieci anni fa, proprio in una sessione di settembre del Consiglio Episcopale Permanente, abbiamo parlato per la prima volta a Montecasssino.
Tra due mesi, il 21 novembre prossimo, celebreremo il 40° anniversario della Costituzione dogmatica Lumen gentium e del Decreto Unitatis redintegratio, oltre che di quello Orientalium Ecclesiarum, approvati a conclusione del terzo periodo del Vaticano II. A questa ormai significativa distanza temporale, emerge ancor più nitido il grande disegno dell’ecclesiologia del Concilio, con il rinnovamento che essa ha saputo operare, anzitutto mediante la riscoperta e la valorizzazione delle ricchezze della Scrittura e della grande Tradizione. Pur attraverso un percorso spesso e da più parti contrastato, questa ecclesiologia ha messo ormai salde radici e sta portando frutti – tra cui anche quelli che ho prima menzionato – che fanno bene sperare per la vita e la missione della Chiesa.
Lo scorso 19 agosto abbiamo celebrato un anniversario diverso, ma a sua volta denso di significato, il 50° della morte di Alcide De Gasperi. Quest’uomo, che chi ha vissuto al suo tempo e ha condiviso i suoi ideali non può ricordare senza commozione, è morto avendo sulle labbra il nome di Gesù, a cui aveva ispirato tutta la sua vita. La guida e l’azione pubblica che egli ha saputo sviluppare e le scelte che ha compiuto negli anni cruciali del dopoguerra e della ricostruzione hanno segnato il cammino dell’Italia assicurandole un futuro di libertà e di democrazia, di sviluppo e di prosperità. Hanno rappresentato inoltre un fondamentale contributo per la realizzazione dell’unità dell’Europa. Così egli rimane un esempio e una testimonianza dell’energia positiva che la fede e la carità portate ad efficacia di vita possono immettere nella storia delle nazioni (Gaudium et spes, 42). La sua memoria potrà utilmente ispirare anche la 44ª Settimana Sociale dei cattolici italiani, dedicata a “Democrazia: nuovi scenari – nuovi poteri”, che avrà luogo a Bologna dal 7 al 10 ottobre.

3. Cari Confratelli, in questi ultimi anni il moltiplicarsi degli attentati terroristici, tanto repentini quanto sanguinosi ed efferati, ha messo davanti agli occhi di tutti – in maniera nuova e terribile – la realtà della morte improvvisa, che appare irrazionale e giunge del tutto inattesa. La risposta delle famiglie e delle popolazioni colpite è stata indubbiamente, e intensamente, anche quella della preghiera. Non possiamo nasconderci però che nella “cultura pubblica”, e spesso anche nelle parole delle persone vicine ai caduti, è stato assai fievole, o del tutto assente, il riferimento alla speranza di una vita che si apra oltre la morte. È questo, per la nostra responsabilità di testimoni della fede, un ulteriore stimolo a interrogarci su questa dimensione essenziale del Credo e dell’esistenza cristiana.
Sembra indispensabile, a tale scopo, aver anzitutto chiara coscienza di un cambiamento di grande portata, verificatosi nel corso degli ultimi secoli in maniera silenziosa e inavvertita. La morte stessa, cioè, che pure rimane il dato più certo del futuro di ciascuno – e che viene tante volte esibita e banalizzata negli spettacoli e nella comunicazione sociale –, è stata però ampiamente emarginata dalla nostra esperienza concreta. Si è straordinariamente innalzata infatti, almeno nella porzione del mondo a cui apparteniamo, la durata media della vita, e soprattutto i servizi sanitari si sono organizzati sul modello della divisione del lavoro, di modo che la morte, di solito, non ha più luogo in famiglia – dove il morente era al centro dell’attenzione e della cura dei parenti e di tutto il contesto degli amici e dei vicini – ma in ospedale, diventando in larga misura una questione per “specialisti”. Parallelamente sono cambiate le usanze sociali riguardo ai rapporti con il defunto e sono state attenuate le conseguenze socio-economiche della sua scomparsa: il tempo del lutto, infatti, a livello dei rapporti sociali, è ormai limitato poco oltre il giorno dei funerali, anch’essi affidati in larga misura ai servizi specialistici delle imprese funebri, mentre le pensioni di reversibilità e le assicurazioni sulla vita in molti casi rendono fortunatamente meno dure le condizioni dei congiunti.
La morte delle persone care, specialmente quando avviene in giovane età, costituisce però – oggi ancor più che nel passato – un’esperienza che colpisce nel profondo e non di rado fa venir meno le ragioni e il gusto della propria esistenza. Questo acutizzarsi della dimensione tragica della morte può certamente collegarsi a quella crescita e approfondimento degli aspetti personali e intimi dei legami affettivi che ha avuto luogo nell’epoca moderna, ma alla fine rimanda inevitabilmente all’affievolirsi della speranza nella vita futura.
Il senso e le motivazioni dell’indebolimento di questa speranza si comprendono meglio alla luce di un fenomeno in qualche modo più generale, su cui da tempo ha attirato l’attenzione ad esempio J. Habermas: la perdita di fiducia nella salvezza che viene da Dio, nella redenzione e nella grazia, che è un fenomeno diffuso ormai da decenni nei Paesi europei, pur con intensità diverse e naturalmente con forti eccezioni tra i credenti. Questa perdita non ha trovato compensazioni e sostituti nella nostra cultura; anzi, il venir meno delle ideologie che postulavano una piena realizzazione dell’uomo attraverso la trasformazione della società ha reso questo vuoto ancor più evidente: gli aspetti negativi della vita restano quindi per così dire “nudi” e privi di senso, e ciò vale in modo del tutto peculiare per la morte, dato che quando essa sopravviene cessano automaticamente tutte quelle possibilità di intervento pratico sulle quali fa speciale affidamento la razionalità scientifico-tecnologica, tanto influente nella nostra attuale cultura.
Anche come tentativo di colmare questo vuoto, è in atto da qualche tempo una spontanea ripresa del senso religioso, che però fatica a mettere solide radici – superando il livello di un intimismo alquanto soggettivo – e in particolare dà scarse certezze riguardo al nostro destino futuro. Continua a pesare infatti sulla cultura diffusa quella che è stata chiamata la “fine della metafisica”, che spesso significa in concreto la non esistenza di alcuna realtà diversa da quella della “natura”, ossia dell’universo fisico, e quindi non lascia spazio né per Dio né per una effettiva dimensione spirituale dell’uomo. Gli sviluppi attuali delle conoscenze scientifiche e delle applicazioni tecnologiche riguardanti il soggetto umano vengono inoltre frequentemente interpretati in modo da rafforzare la convinzione che la nostra intelligenza e libertà siano integralmente riconducibili al funzionamento dell’organo cerebrale e che quindi non abbia più base alcuna la speranza in una vita futura.
Di fronte alla morte l’uomo di oggi si trova dunque, da un punto di vista culturale, particolarmente indifeso e senza risposte: è portato quindi a fuggire davanti a lei, escludendola dall’orizzonte dei suoi pensieri, come già l’organizzazione sociale la mette al margine delle sue esperienze concrete. Si rafforza così quella tendenza sempre presente a non fare i conti con la propria morte che già Biagio Pascal ha assai puntualmente descritto e denunciato.
In una situazione di questo genere, il primo errore da evitare e la prima tentazione a cui reagire nella pastorale sono quelli di adattarci a nostra volta a tale esclusione o emarginazione, lasciando la morte e il nostro eterno destino ai margini della predicazione, della catechesi, del modo in cui ci prendiamo cura degli ammalati e delle loro famiglie e più in generale rispondiamo a chi ci interroga sul senso della vita. Fin dall’inizio, infatti, l’annuncio e la testimonianza della risurrezione di Cristo, come “primizia” di coloro che sono morti, stanno al centro della missione degli Apostoli e della fede della Chiesa, tanto che negare la risurrezione significa rendere vana la nostra fede e privare di senso l’esistenza cristiana (cfr. 1Cor 15, 1-34).
Per mostrare quanto profondamente la testimonianza della risurrezione di Cristo si colleghi alla rivelazione del vero volto di Dio e alle esigenze inscritte nel nostro stesso cuore, ci può essere di aiuto la dinamica dell’amore umano: quando amiamo sul serio una persona siamo infatti assai poco disposti ad accettare che il nostro rapporto con lei prima o poi finisca nel nulla. L’amore vero è dunque in contrasto profondo con la morte, trova in essa un ostacolo che avverte come inaccettabile e in qualche modo ripugnante, anche se questo ostacolo rimane pur sempre umanamente non superabile. Se però crediamo che il Dio da cui tutto ha origine e che tutto tiene nelle sue mani è il Dio amico e salvatore dell’uomo, allora l’annuncio che il suo amore vince la morte e ci terrà per sempre uniti a Lui (cfr Rom 8, 31-39) diventa del tutto coerente e intimamente credibile.
Perché oggi la nostra testimonianza sulla risurrezione e sulla vita eterna possa essere accolta con serietà e con rispetto occorre certo avere il senso di un mistero che ci supera da ogni parte, e non proporci ingenuamente come coloro che avrebbero fatto un viaggio anticipato nell’aldilà e sarebbero quindi in condizione di riferirne e di descriverlo. In concreto, occorre abbandonare anche nella catechesi più elementare le immagini di una cosmologia da gran tempo superata e sviluppare invece l’annuncio della risurrezione e della vita eterna a partire dalla conoscenza e dall’esperienza della salvezza che Dio opera in noi attraverso la nostra unione a Gesù Cristo. Ma è ancor più necessario tener fermo che questa unione non si interrompe con la morte e riguarda finalmente l’uomo nella sua integralità e nella pienezza della sua vita: è questo il realismo della nostra fede, che non è da confondere con improprie e impossibili interpretazioni “fisiche” del modo di essere dell’uomo risorto, ma tanto meno riduce la nostra salvezza eterna a una metafora priva di realtà.
Per evitare un divorzio tra fede e cultura e mostrare come la vita oltre la morte rimanga anche razionalmente plausibile, pure in presenza degli sviluppi attuali delle conoscenze sul soggetto umano, è assai importante, anzi indispensabile una riflessione approfondita e non ripetitiva, che si svolga ai tre livelli teologico, filosofico e scientifico, senza confusioni ma con feconde interazioni. Da essa potrà risultare quanti indizi – ricavati dai modi di operare della nostra intelligenza e della nostra libertà e dai risultati che esse hanno realizzato nel corso della storia e proprio oggi sono ancora più in grado di conseguire – stiano ad indicare che vi è in noi qualcosa di unico e di non riducibile alla materia e alle sue condizioni spazio-temporali.
Affinché la promessa della salvezza eterna sia accolta, creduta e vissuta in tutta la sua serietà, forza e grandezza, è comunque essenziale e determinante che già oggi la nostra esistenza personale, sostenuta dal clima che respiriamo nelle nostre comunità, sia un cammino quotidiano alla presenza di Dio, nella sequela di Gesù Cristo e nella docilità alla voce interiore dello Spirito. Soltanto così la promessa di godere per sempre della comunione di vita con Dio può essere per noi piena di significato e accendere il desiderio del nostro animo, secondo la parola di Gesù “là dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore” (Mt 6, 21).
Reciprocamente, nella misura in cui la promessa della salvezza eterna diventa per noi concreta speranza e prospettiva di vita, la nostra fede e la nostra testimonianza cristiana acquistano consistenza e robustezza, non rimangono qualcosa di precario e di incerto ma plasmano in profondità la direzione di marcia della nostra vita. Non indeboliscono quindi, ma potenziano e qualificano le nostre capacità di incidere in senso cristiano sul mondo a cui apparteniamo (cfr Gaudium et spes, 39), nella logica dell’insegnamento di Gesù: “Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta” (Mt 6, 33).
Se, mossi e guidati dallo Spirito Santo, cerchiamo di vivere così la nostra vocazione battesimale, possiamo meglio comprendere il significato cristiano della stessa morte. Essa non cessa di incutere timore, non perde il suo carattere di sofferenza e di prova suprema, ma si rivela come il luogo della nostra più profonda configurazione a Cristo, che attraverso la sua morte ha redento il mondo. Così nella nostra morte si compie ciò che è stato significato e realizzato germinalmente nel nostro battesimo (cfr Rom6, 3-11), cioè il nostro aver parte alla risurrezione di Cristo, il nostro condividere la sua vita divina, come egli ha condiviso fino in fondo la nostra condizione umana. Il senso e l’esperienza cristiana della morte non possono dunque essere “rimossi”, o amputati dal senso e dall’esperienza cristiana della vita, se non vogliamo deviare dalla via della Croce e rinunciare al cuore stesso della nostra fede.

4. A tre anni di distanza dall’11 settembre 2001, dobbiamo constatare purtroppo che i presagi e i propositi di distruzione contenuti in quel terribile evento continuano a realizzarsi nel mondo ed anzi, proprio in questi ultimi mesi, trovano sempre più frequente e radicale attuazione.
Il principale focolaio di destabilizzazione è ormai da tempo in Iraq: le prospettive di miglioramento che sembravano aprirsi, nel mese di giugno, con la risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e con l’insediamento del Governo provvisorio iracheno, non si sono concretizzate in una progressiva pacificazione. Al contrario, gli scontri si sono estesi e intensificati, con gran numero di vittime, vaste zone sono fuori controllo e l’insicurezza è ancora aumentata, nonostante l’impegno militare e i tentativi di negoziato, alcuni dei quali con esito almeno parzialmente positivo. In questo contesto si moltiplicano i sequestri di persone, che spesso vengono poi barbaramente trucidate, anche con orribili spettacolarizzazioni. Molte nazioni hanno dovuto pagare così un tributo di sangue e tra queste l’Italia, che ancora in quest’ultimo periodo ha perduto in Iraq Enzo Baldoni e ora trepida per la sorte delle due giovani donne Simona Torretta e Simona Pari, sequestrate da molti giorni sebbene non siano affatto coinvolte con il conflitto in Iraq ed anzi, con straordinario coraggio e generosità, si siano poste volontariamente al servizio di quelle martoriate popolazioni. Chiediamo con tutto il cuore la loro liberazione e intensifichiamo per questo la nostra preghiera. Non possiamo inoltre dimenticare i sanguinosi attentati di cui sono state vittime le comunità cristiane irachene.
L’Iraq non è certamente, però, l’unica area e l’unico motivo di conflitto. Ciò che è accaduto a Beslan in Ossezia, con l’occupazione di una scuola e la strage di centinaia di persone, in gran parte bambini, rappresenta un gradino in qualche modo nuovo, nel tragico incrudelirsi del terrorismo, e rimarrà stampato nella nostra memoria e nel nostro cuore. Poco prima, due aerei russi erano stati fatti precipitare da terroriste cecene: si conferma così che anche la Cecenia è una ferita aperta, da cui trae continuo alimento la strategia del terrore.
In Terra Santa, dopo qualche mese in cui l’asprezza del conflitto sembrava per certi versi diminuita, si è di nuovo avviata la spirale degli attentati e delle rappresaglie, mentre rimangono troppo incerte e indeterminate le prospettive di una ripresa dei negoziati.
Gli attentati che avvengono, per lo più imprevedibilmente, in numerosi Paesi confermano purtroppo che il terrorismo di matrice islamica è sempre più un fenomeno di estensione mondiale: mi limiterò a ricordare, tra i tanti, l’attacco del 9 settembre, a Giacarta, all’Ambasciata australiana. Sarebbe sbagliato però – e finirebbe col rafforzare ulteriormente il terrorismo stesso – limitarsi ad accomunare tutto in un unico quadro e in un’unica motivazione, trascurando la diversità delle situazioni e la molteplicità dei fattori che generano e alimentano la violenza terroristica.
È certo, comunque, che di fronte a questa, fino a pochi anni fa imprevista, minaccia mondiale siamo tutti messi alla prova, come singoli popoli, come comunità internazionale e anche in modo specifico come cristiani. Il Papa, nell’udienza di mercoledì 8 settembre che ha preso forma di preghiera e nel messaggio del giorno precedente ai partecipanti all’incontro “Uomini e Religioni”, che la Comunità di Sant’Egidio ha promosso quest’anno a Milano, ha indicato con commovente efficacia quale debba essere l’atteggiamento dei cristiani, ma anche dei credenti di ogni religione, per resistere al terrorismo senza lasciarsi sopraffare dalla paura, che può indurre a rinunciare alla solidarietà e all’impegno per costruire la pace.
In effetti la comunità internazionale, e in essa ciascuna nazione, deve contrastare le organizzazioni del terrore con la più grande energia e determinazione, senza dare nemmeno l’impressione di subire i loro ricatti e le loro imposizioni. Nello stesso tempo è chiamata ad operare, per quanto possibile e ai diversi livelli, per rimuovere le cause del terrorismo – sia culturali e morali sia economiche e politiche – e bonificare i suoi terreni di coltura, ciò che in nessun modo equivale a fornire al terrorismo stesso alibi o giustificazioni. In questa impresa, ardua ma necessaria, i nostri principali alleati devono essere tutte quelle persone e quegli organismi che appartengono all’Islam ma che non si riconoscono nell’ideologia dello scontro di civiltà e tanto meno nella strategia del terrore. Proprio il sequestro dei due ostaggi francesi, e poi quello delle due giovani donne italiane, ha dato impulso ad una corale e pubblica reazione, sia delle comunità islamiche dei due Paesi sia assai più ampia e diffusa nello stesso mondo islamico, che rappresenta uno sviluppo molto significativo nella giusta direzione.
Quanto a noi, è di importanza fondamentale un chiarimento interiore, nella nostra coscienza personale e collettiva, riconoscendo senza reticenze la nostra parte di responsabilità, sia storiche sia attuali, nelle situazioni di ingiustizia diffuse nel mondo, ma non dimenticando o disprezzando le nostre radici, la grandezza e la bellezza della fede cristiana e l’apporto straordinario che essa ha dato e può dare alla civiltà a cui apparteniamo, oltre che allo sviluppo di una convivenza a livello mondiale che sia pacifica, libera e solidale, e finalmente rispettosa della dignità unica e irrinunciabile della persona umana.
È questa la base spirituale sulla quale è possibile costruire, in presenza delle sfide attuali, una non effimera unità sia della nostra nazione sia dell’Europa e dell’intero Occidente. Anche a questo proposito la solidarietà verso le due giovani rapite si è rivelata feconda di bene, inducendo le stesse forze politiche italiane a una quasi unanime assunzione di responsabilità e di impegno comune.
A livello europeo, dopo le elezioni del 13 giugno, segnate nella maggior parte dei Paesi da massicci fenomeni di astensione, è stato finalmente approvato, il 18 dello stesso mese, il Trattato costituzionale, la cui firma è prevista per il 29 ottobre a Roma. Si tratta certamente di uno sviluppo positivo, anche se il testo del Trattato stesso, e spesso la politica concreta dei Paesi membri dell’Unione, non appaiono sufficientemente consapevoli non soltanto delle autentiche radici dell’Europa ma anche di quella unità di intenti, sostenuta da norme e strutture comunitarie adeguate, che la situazione e i mutamenti in corso nel mondo di oggi rendono sempre più urgente e indispensabile.
Cari Confratelli, il nostro cuore e la nostra preghiera hanno ugualmente ben presenti le tragedie che si consumano in gran parte dell’Africa, dal Darfur all’Uganda alla regione dei Grandi Laghi, come anche in altre aree del mondo, ad esempio nel Bangladesh devastato da gigantesche alluvioni, al quale la nostra Conferenza Episcopale ha cercato di essere di concreto aiuto. Non possiamo inoltre non condividere le preoccupazioni della Santa Sede per le gravi violazioni della libertà religiosa che continuano ad avvenire in Cina, proprio mentre quel grandissimo Paese occupa uno spazio sempre più cospicuo sulla scena mondiale.

5. In Italia, dopo gli esiti a lei poco favorevoli delle elezioni amministrative di giugno, la maggioranza ha attraversato un periodo di accresciuti contrasti tra le sue componenti, che sembravano tali da rendere difficile la prosecuzione dell’azione di governo. In seguito però le tensioni si sono attenuate e alcune intese sembrano raggiunte o raggiungibili sui temi di maggior rilievo. Nell’opposizione alcune divergenze paiono invece essersi ultimamente acuite, anche se rimane forte il denominatore comune del giudizio negativo sull’attuale linea di governo. In realtà l’interesse del Paese richiede rapporti più costruttivi non solo all’interno di ciascuna delle due coalizioni ma anche – per quanto la cosa possa apparire difficile – tra Governo e opposizione, in modo che la necessaria dialettica politica rimanga all’interno dei due essenziali parametri del reciproco riconoscimento di legittimità e della priorità del bene comune. Ciò implica chiaramente un cambio di marcia, rispetto agli atteggiamenti che a lungo hanno prevalso, e postula, anche in ambito politico, il coraggio e la lungimiranza di pensare e di agire al livello dei grandi problemi che stanno davanti a noi: chi saprà muoversi in questa direzione intercetterà la domanda profonda che viene dal Paese.
Un tema particolarmente importante e impegnativo sul quale proprio in questi giorni vengono messe alla prova le disponibilità e le capacità effettive di imboccare un simile percorso, che faccia uscire dalle incertezze di una già troppo lunga transizione, e che sia soprattutto di reale vantaggio per il funzionamento delle istituzioni, promuovendo così il bene della nazione, è certamente quello della riforma della seconda parte della Carta costituzionale. Sul piano del metodo, in una materia di questo genere è quanto mai opportuno che si proceda attraverso il consenso più ampio possibile, ciò che evidentemente presuppone da tutte le parti una reale disponibilità al dialogo e alla ricerca delle intese. Riguardo ai contenuti, è indispensabile assicurare un buon livello di coerenza complessiva e di funzionalità concreta della riforma proposta, con una precisa definizione delle competenze dei vari organismi, così da evitare conflitti di attribuzione e ulteriori appesantimenti burocratici, rispetto ai già tanti esistenti, e da scongiurare o almeno contenere il più possibile l’aumento dei costi della pubblica amministrazione. In particolare l’assetto federale va concepito e realizzato in modo da salvaguardare pienamente l’unità della nazione, la solidarietà e la sussidiarietà, con a tal fine una equilibrata ripartizione delle responsabilità e dei poteri, che assicuri a ciascun livello una effettiva possibilità di governo.
La ripresa economica, che sembra ormai interessare significativamente l’Europa, anche se in misura minore rispetto ad altre aree, rimane per ora meno evidente e meno consistente in Italia, mantenendo viva e forte la necessità di uno sforzo collettivo dell’intero “sistema-Paese” per riprendere o accelerare il cammino di sviluppo. È ormai diffusa la consapevolezza che ciò richiede investimenti adeguati nei settori strategici, la difesa e il rilancio delle nostre strutture produttive, ma anche la tutela del potere di acquisto delle famiglie, con una lotta decisa all’aumento dei prezzi, come pure ai molti sprechi che tuttora si verificano sia nelle pubbliche amministrazioni sia negli stili di vita della gente. Gli sviluppi di queste settimane per avviare il risanamento dell’Alitalia mostrano che atteggiamenti responsabili e lungimiranti possono prevalere nelle diverse parti sociali, aprendo prospettive che sembravano ormai irrealizzabili: mentre auspichiamo vivamente che questi sforzi producano risultati non effimeri, appare doveroso aggiungere che il nostro sistema produttivo riceverebbe grande vantaggio se le situazioni di crisi o di difficoltà strutturale che possono verificarsi venissero affrontate tempestivamente e con forte senso di responsabilità da parte di tutti gli agenti in campo.
A fine luglio è stata definitivamente approvata dal Parlamento la legge-delega per la riforma del sistema previdenziale, per la quale si attendono ora i decreti attuativi: anche riguardo a questa tematica, di grande rilievo non solo per le persone direttamente interessate ma ugualmente per il futuro della nostra società, è fortemente desiderabile che nella fase attuativa le contrapposizioni vengano stemperate, badando soprattutto a trovare soluzioni concrete per le difficoltà che indubbiamente rimangono.
Sulla frontiera dell’occupazione, sempre delicata e in vaste aree del Mezzogiorno anche drammatica, i progressi compiuti negli ultimi anni potranno essere consolidati e incrementati soltanto sulla base di una autentica ripresa dello sviluppo. Dati gli aspetti di precarietà che sembrano destinati a caratterizzare in misura crescente le attività lavorative, sembra inoltre giunto il momento di apportare validi correttivi che consentano in particolare ai giovani di progettarsi un futuro e di assumere impegni a lungo termine, soprattutto sul versante della famiglia e dei figli: ad esempio per quanto riguarda la continuità del versamento dei contributi pensionistici e la garanzia dei mutui per l’acquisto dell’alloggio. Ciò potrà stimolare la ripresa del senso di solidarietà e di appartenenza a una comunità sollecita del futuro dei suoi membri.
In questa ottica, la fine del servizio militare obbligatorio, approvata dal Parlamento con decorrenza a partire dal 1° gennaio prossimo, sollecita l’attenzione a non lasciar venire meno altre forme di educazione a servire il Paese e di promozione e irrobustimento della stessa personalità dei giovani, che si possono realizzare attraverso un sia pur breve periodo della propria vita dedicato a finalità di interesse comune.
Nella medesima prospettiva, appaiono francamente poco comprensibili le azioni di protesta, per impedire di dare soluzione sul proprio territorio a problemi – come quelli dello smaltimento dei rifiuti urbani – che, oltre a essere ineludibili, hanno trovato da tempo valide e non pericolose soluzioni tecniche.
Una notizia positiva è senz’altro quella delle confessioni rese da alcuni appartenenti alle nuove “Brigate rosse”: rappresenta infatti una tappa ulteriore verso il dissolvimento di quella infausta organizzazione. Di ben diverso segno sono invece le vicende e le situazioni delle carceri, con il cronico dato del loro sovraffollamento e con le esplosioni di protesta per le condizioni dei detenuti, e d’altro lato con il suicidio di un pubblico amministratore colpito da mandato di carcerazione preventiva.
A luglio due sentenze della Corte Costituzionale hanno dichiarato costituzionalmente illegittime altrettante norme dell’attuale legge sull’immigrazione. Il Governo, con un decreto-legge emanato all’inizio di settembre, ha pertanto modificato la procedura di espulsione, rendendo necessario un giudizio di convalida del giudice di pace. Le sentenze della Corte hanno comunque richiamato nuovamente l’attenzione su un problema importante e grave, destinato a incidere sempre più sulla vita della nostra società. Per quanto è possibile, occorre saperlo davvero governare, superando atteggiamenti emotivi e unilaterali, al fine di realizzare una reale integrazione, nel rispetto delle leggi, delle compatibilità e delle esigenze della sicurezza come della produzione, ma anche dei diritti inalienabili di ogni persona e delle regole non scritte della fondamentale solidarietà umana.
Nei giorni scorsi è iniziato il nuovo anno scolastico. Porgiamo il più cordiale augurio e assicuriamo la concreta vicinanza e la preghiera delle comunità cristiane ai docenti, agli alunni e alle loro famiglie: anzitutto da loro dipende infatti la qualità effettiva della scuola italiana. Nel contesto della riforma della scuola stessa e della volontà di investire su ciò che è prioritario per lo sviluppo del Paese, riteniamo indispensabile e non ulteriormente rinviabile un sostegno più concreto alle scuole non statali, all’interno del sistema scolastico integrato.
Le grandi tematiche della famiglia e della vita sono, per molteplici aspetti, sempre al centro del pubblico dibattito, a livello nazionale e internazionale. In Italia, prendiamo nota con favore della proposta di potenziare gli aiuti alle famiglie con figli o anziani a carico. Deve trattarsi però di investimenti tali da modificare sensibilmente le ingiustizie che si trascinano da troppi anni. Resta vero inoltre che l’applicazione del “quoziente familiare” nella distribuzione del carico fiscale è la strada maestra per applicare pienamente il principio che i figli sono un bene prezioso non solo per i loro genitori ma per l’intera nazione.
Preoccupano vivamente le formulazioni non rispettose del riconoscimento costituzionale dei diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio che si cerca di introdurre negli Statuti di alcune Regioni. Ciò che viene proposto attualmente nella vicina Spagna conferma d’altronde come sia forte e diffusa la tendenza a svuotare la famiglia del suo significato e del suo ruolo sociale, senza rendersi conto della portata di simili cambiamenti, che stravolgono i fondamenti stessi della convivenza e della formazione delle persone.
Continua martellante, su molti organi di stampa, la polemica contro la legge sulla procreazione medicalmente assistita, anche al fine di promuovere la raccolta di firme per i referendum che dovrebbero abrogarla o modificarla su punti sostanziali. Colpisce soprattutto, anche in questo caso, l’incapacità o la non volontà di prendere in considerazione lo spessore della posta in gioco, che ruota in ultima analisi intorno alla domanda sulla natura e sulla dignità dell’essere umano. La consueta enfatizzazione di casi certamente dolorosi, condotta in modo unilaterale e non di rado forzando i dati, prescinde tra l’altro dalla semplice ma assai pesante constatazione che, applicando i criteri presentati come gli unici rispettosi del desiderio di felicità delle persone, non sarebbero mai nati molti uomini e donne che oggi conducono la loro vita con gioia e con positivi risultati, come alcuni di loro hanno preso personalmente l’iniziativa di testimoniare. Sono questi i motivi per i quali non possiamo disinteressarci di simili problemi.
Ciò che è avvenuto in Inghilterra, con l’autorizzazione a procedere alla clonazione umana per trovare nuove terapie, e in Olanda, consentendo l’eutanasia anche per i bambini al di sotto dei dodici anni che soffrano di malattie ritenute incurabili, mostra chiaramente quali sviluppi conseguano alla perdita del riconoscimento dell’unicità e inviolabilità del soggetto umano.
Cari Confratelli, vorrei terminare sottolineando come siano molti, per grazia del Signore, gli esempi di eroica dedizione che infondono fiducia nel futuro e rappresentano la punta emergente di quella grande quantità di bene che si compie quotidianamente in mezzo alle nostre popolazioni, a fronte delle spesso clamorose manifestazioni del male. Ricordiamo in particolare, accanto al missionario italiano Padre Faustino Gazziero, ucciso nella Cattedrale di Santiago del Cile, ben nove persone, tra cui un senegalese, che hanno dato la vita, sulle nostre coste, nei mesi estivi per salvare dalle acque i propri congiunti o anche persone sconosciute.

Grazie di avermi ascoltato e di quanto vorrete osservare e proporre. La Vergine Maria e il suo sposo Giuseppe, unitamente ai Santi Patroni delle nostre Chiese, intercedano per noi, per la nostra amata nazione e perché si apra un futuro di pace.

Camillo Card. Ruini
Presidente