Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 08 novembre 2013, n.2485

Nel caso in esame un Comune lombardo ha negato la possibilità
di destinare una porzione del proprio territorio ad attrezzature
religiose per il culto islamico evidenziando, da un lato, il forte
impatto sociale che tale destinazione avrebbe provocato e,
dall'altro, la mancata stipulazione, da parte dell’ente
richiedente, della convenzione prevista dall’art. 70, comma
secondo, della l.r. Lombardia n. 12 del 2005. Il ricorso presentato
dalla associazione culturale islamica ricorrente è stato
accolto in base a due ordini di motivazioni. In primo luogo, il
Giudice adito ha rilevato che la normativa regionale non subordina la
possibilità di destinare aree per attrezzature religiose al
gradimento o alla condizione della “tolleranza sociale” da
parte della maggioranza della popolazione residente. Per quanto
riguarda invece la mancata stipula della convezione sopra citata, la
Corte ha ritenuto che parte ricorrente abbia adeguatamente dimostrato
che ciò sia dipeso dal fatto che la bozza, presentata dal
Comune, riguardasse aspetti non rilevanti ai fini urbanistici ed
edilizi ma incidenti sulle pratiche del culto o su aspetti
organizzativi dell’ente.

Sentenza 09 luglio 2013, n.2330/09

Con la presente sentenza, la _Grand Chamber_ della Corte Europea dei
Diritti dell’Uomo, in riforma di una decisione della III Sezione (31
gennaio 2012)
[/areetematiche/documenti/documents/caseofsindicatulpastorulcelbunv.romaniasezione.pdf],
ha ritenuto che la Romania non abbia violato l’art. 11 CEDU nel non
riconoscere come sindacato il _Sinidcatul “Păstorul cel Bun”_,
un’organizzazione sindacale costituita principalmente da sacerdoti
appartenenti alla Chiesa ortodossa rumena, oltre che da laici
dipendenti della stessa, la cui costituzione non era stata assentita
dall’autorità ecclesiastica (come, invece, richiesto dallo Statuto
della medesima Chiesa). In particolare, la Corte di Strasburgo ha
affermato che – a prescindere dalla qualificazione giuridica del
rapporto intercorrente tra la Chiesa ortodossa rumena ed i suoi preti
– tale rapporto, _de facto_, fa sorgere in capo a quest’ultimi un
diritto ad associarsi sindacalmente, protetto dall’art. 11 CEDU. Il
Collegio, tuttavia, ha ritenuto legittima una restrizione di tale
diritto, in considerazione del fatto che il riconoscimento del
sindacato ricorrente avrebbe comportato una violazione
dell’autonomia della Chiesa ortodossa rumena, garantita dall’art.
9 CEDU. Nel motivare la sua decisione, la Corte ha affermato che il
rispetto dell’autonomia delle confessioni religiose implica che lo
Stato debba accettare il diritto di tali confessioni a reagire –
secondo le proprie norme ed i propri interessi – a ogni movimento di
dissenso che emerga al loro interno e che possa mettere a repentaglio
la coesione, l’immagine o l’unità della confessione religiosa.
Ha, quindi, soggiunto che non è compito delle autorità nazionali
fungere da arbitro delle controversie tra le confessioni religiose e
le diverse fazioni dissidenti che esistono, o possono emergere,
all’interno delle confessioni stesse. I Giudici hanno, quindi,
ritenuto che sussista per i sacerdoti della Chiesa ortodossa rumena un
diritto ad iscriversi a, o a costituire, associazioni, purché queste
perseguano finalità compatibili con lo Statuto della medesima Chiesa
e non mettano in discussione la tradizionale struttura gerarchica
della Chiesa e le sue procedure decisionali. In conclusione, la Corte,
evidenziata l’assenza di un _consensus_ in materia a livello
europeo, ha ritenuto che sussista un ampio margine di apprezzamento da
parte dei diversi Stati nel decidere se riconoscere o meno i sindacati
che operano all’interno delle confessioni religiose e che perseguono
finalità che potrebbero limitare l’esercizio dell’autonomia delle
stesse confessioni. Nel caso specifico ha ritenuto che la Romania non
abbia oltrepassato tale margine di apprezzamento nel non riconoscere
il _Sinidcatul “Păstorul cel Bun”_ e che, pertanto, la
restrizione dell’art. 11 CEDU non sia stata sproporzionata. [La
Redazione di OLIR.it ringrazia per la segnalazione del documento e per
la stesura del relativo Abstract Mattia F. Ferrero, Università
Cattolica del Sacro Cuore di Milano]

Sentenza 05 luglio 2013, n.361441

La possibilità – sancita dal punto 1°, della parte I dell’articolo
R. 214-70 del Codice rurale e della pesca marittima – di derogare
all’obbligo di stordimento previo alla macellazione, quando questo
è incompatibile con la macellazione rituale, non si presta a generare
abusi che integrino l’ipotesi di maltrattamento degli animali ai
sensi dell’articolo L. 214-3 del medesimo codice, poiché il ricorso
alla deroga è sottoposto a un meccanismo di autorizzazione preventiva
soggetto al controllo del giudice amministrativo.  La deroga così
inquadrata ha lo scopo di conciliare gli obiettivi di polizia
sanitaria con l’uguale rispetto delle credenze e tradizioni
religiose ed è coerente con il principio di laicità, che impone alla
Repubblica di garantire il libero esercizio dei culti. La disposizione
non viola, inoltre, il principio di uguaglianza, che autorizza
l’autorità investita del potere regolamentare a disciplinare in
maniera differente situazioni differenti o a derogare
all’uguaglianza per ragioni di interesse generale, a patto che la
differenza di trattamento che ne risulta sia in rapporto diretto con
l’oggetto della norma che la stabilisce e non sia manifestamente
sproporzionata rispetto ai motivi che la giustificano. Infine, la
deroga all’obbligo di stordimento è in linea con il dettato del
regolamento (CE) n. 1099/2009 sulla protezione degli animali al
momento della macellazione, il quale consente di derogare allo
stordimento preventivo degli animali macellati secondo un metodo
prescritto da un rito religioso, a condizione che ciò avvenga in un
macello.  [La Redazione di OLIR.it ringrazia per la segnalazione del
documento e la stesura del relativo Abstract Mariagrazia Tirabassi,
Università Cattolica del Sacro Cuore, Piacenza]

Sentenza 28 giugno 2013, n.16305

L’attitudine di un culto a stipulare intese con lo Stato non può
essere rimessa alla assoluta discrezionalità del potere
dell’esecutivo, risultando altrimenti incompatibile con la garanzia di
eguale libertà di cui all’art. 8, comma 1 della Costituzione. Né lo
Stato può trincerarsi, per negare tale possibilità, dietro la
difficoltà di elaborazione della definizione di confessione
religiosa. Se da tale nozione discendono conseguenze giuridiche, è
infatti inevitabile e doveroso che gli organi deputati se ne facciano
carico, restando altrimenti affidato al loro arbitrio il
riconoscimento di diritti e facoltà connesse a tale qualificazione.

————————-
In OLIR.it
Consiglio di Stato. sentenza 18 novembre 2011
[https://www.olir.it/documenti/index.php?documento=5713]

Legge 19 aprile 2013, n.20

Sul sito del parlamento neozelandese il testo della legge con i link
alle norme modificate o abrogate:
http://www.legislation.govt.nz/act/public/2013/0020/latest/DLM4505003.html

Sentenza 21 febbraio 2013, n.2012-297 QPC

COMMUNIQUÉ DE PRESS [www. www.conseil-constitutionnel.fr]:
Le Conseil constitutionnel a été saisi le 19 décembre 2012 par le
Conseil d’État dans les conditions prévues à l’article 61-1 de
la Constitution, d’une question prioritaire de constitutionnalité
posée par l’association pour la promotion et l’expansion de la
laïcité. Cette question était relative à la conformité aux droits
et libertés que la Constitution garantit de l’article VII des
articles organiques des cultes protestants de la loi du 18 germinal an
X relative à l’organisation des culte. Aux termes des dispositions
contestées, il est pourvu, dans les départements du Bas-Rhin, du
Haut-Rhin et de la Moselle, au traitement des pasteurs des églises
consistoriales. Ces dispositions ont été maintenues en vigueur par
la loi du 1er juin 1924 puis par l’ordonnance du 15 septembre 1944.
La loi du 9 décembre 1905 concernant la séparation des églises et
de l’État n’a pas été rendue applicable dans ces trois
départements.Les requérants soutenaient que les dispositions
contestées méconnaissaient le principe constitutionnel de laïcité.
Le Conseil constitutionnel a rappelé qu’aux termes des trois
premières phrases du premier alinéa de l’article 1er de la
Constitution : «La France est une République indivisible, laïque,
démocratique et sociale. Elle assure l’égalité devant la loi de
tous les citoyens sans distinction d’origine, de race ou de
religion. Elle respecte toutes les croyances ». Le principe de
laïcité figure au nombre des droits et libertés que la Constitution
garantit. Il en résulte la neutralité de l’État. Il en résulte
également que la République ne reconnaît aucun culte. Le principe
de laïcité impose notamment le respect de toutes les croyances,
l’égalité de tous les citoyens devant la loi sans distinction de
religion et que la République garantisse le libre exercice des
cultes. Il implique que celle-ci ne salarie aucun culte. Toutefois, le
Conseil constitutionnel a relevé qu’il ressort tant des travaux
préparatoires du projet de Constitution du 27 octobre 1946 relatifs
à son article 1er ainsi que de ceux du projet de la Constitution du 4
octobre 1958 qui a repris la même disposition, qu’en proclamant que
la France est une « République Laïque », la Constitution n’a pas
pour autant entendu remettre en cause les dispositions législatives
ou règlementaires particulières applicables dans plusieurs parties
du territoire de la République lors de l’entrée en vigueur de la
Constitution et relatives à l’organisation de certains cultes et,
notamment, à la rémunération de ministres du culte. Le Conseil
constitutionnel en a déduit que le grief tiré de ce que l’article
VII des articles organiques des cultes protestants de la loi du 18
germinal an X relative à l’organisation des cultes serait contraire
au principe de laïcité doit être écarté. Il a jugé les
dispositions contestées conformes à la Constitution. (La Redazione
di OLIR.it ringrazia per la segnalazione del documento Daniele
Ferrari, Università degli Studi di Genova).

Sentenza 31 gennaio 2013, n.25502/07

Con tre sentenze gemelle (oltre alla presente: Sentenza Association
Cultuelle du Temple Pyramide c. France, n. 50471/07, 31 gennaio 2013
[https://www.olir.it/documenti/index.php?documento=6027]; Sentenza
Association des Chevalier du Lotus d’Or c. France, n. 50615/07, 31
gennaio 2013 [https://www.olir.it/documenti/index.php?documento=6026]),
conformi alla precedente sentenza del 30 giugno 2011 resa
nell’Affaire Association Les Témoins de Jéhovah c. France
[https://www.olir.it/documenti/index.php?documento=5646], la Corte
Europea dei Diritti dell’Uomo ha ritenuto contrastante con l’art.
9 CEDU l’imposizione, da parte dell’Amministrazione Finanziaria
francese, del «droit de donation» ai «dons manuels» in favore di
tre nuovi movimenti religiosi (Eglise Evangélique Missionaire,
Association Cultuelle du Temple Pyramide e Association des Chevalier
du Lotus d’Or), imposizione motivata dal fatto che gli stessi non
sarebbero riconducibili al novero delle «associations cultuelles» o
delle «congregations autorisées» e, quindi, non potrebbero godere
dell’esenzione prevista per quest’ultime. La Corte di Strasburgo
ha affermato che il diritto di ricevere donazioni di modico valore è
ricompreso nel diritto di libertà religiosa in quanto tali donazioni
rappresentano una fonte di finanziamento naturale per le confessioni
religiose (in tal senso anche l’art. 6, lett. f), della UN
Declaration on the Elimination of All Forms of Intolerance and of
Discrimination Based on Religion or Belief ed il principio 16.4 del
Documento conclusivo della Riunione di Vienna della CSCE). Nel caso
concreto la sentenza ha ritenuto che l’entità del tributo richiesto
e delle sanzioni irrogate (in conseguenza dell’omesso versamento
dell’imposta in questione da parte delle confessioni religiose
ricorrenti) abbia costituito una limitazione di tale diritto e che
ciò sia avvenuto in assenza di una previsione di legge specifica e
prevedibile circa l’assoggettabilità al «droit de donation» dei
«dons manuels» effettuati in favore dei nuovi movimenti religiosi
ricorrenti. La Corte ha, poi, ritenuto assorbito l’altro motivo di
ricorso con cui veniva denunciata una disparità di trattamento (in
violazione dell’art. 14 CEDU) delle confessioni religiose ricorrenti
rispetto ad altre, in conseguenza dell’attività del Parlamento e
del Governo francese contro le «dérives sectaires». (La Redazione
di OLIR.it ringrazia per la stesura dell’Abstract Mattia Francesco
Ferrero, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano)

Sentenza 31 gennaio 2013, n.50471/07

Con tre sentenze gemelle (oltre alla presente: Sentenza Eglise
Evangélique Missionaire et Salaûn c. France, n. 25502/07, 31 gennaio
2013 [https://www.olir.it/documenti/index.php?documento=6028]; Sentenza
Association des Chevalier du Lotus d’Or c. France, n. 50615/07, 31
gennaio 2013 [https://www.olir.it/documenti/index.php?documento=6026]),
conformi alla precedente sentenza del 30 giugno 2011 resa
nell’Affaire Association Les Témoins de Jéhovah c. France
[https://www.olir.it/documenti/index.php?documento=5646], la Corte
Europea dei Diritti dell’Uomo ha ritenuto contrastante con l’art.
9 CEDU l’imposizione, da parte dell’Amministrazione Finanziaria
francese, del «droit de donation» ai «dons manuels» in favore di
tre nuovi movimenti religiosi (Eglise Evangélique Missionaire,
Association Cultuelle du Temple Pyramide e Association des Chevalier
du Lotus d’Or), imposizione motivata dal fatto che gli stessi non
sarebbero riconducibili al novero delle «associations cultuelles» o
delle «congregations autorisées» e, quindi, non potrebbero godere
dell’esenzione prevista per quest’ultime. La Corte di Strasburgo
ha affermato che il diritto di ricevere donazioni di modico valore è
ricompreso nel diritto di libertà religiosa in quanto tali donazioni
rappresentano una fonte di finanziamento naturale per le confessioni
religiose (in tal senso anche l’art. 6, lett. f), della UN
Declaration on the Elimination of All Forms of Intolerance and of
Discrimination Based on Religion or Belief ed il principio 16.4 del
Documento conclusivo della Riunione di Vienna della CSCE). Nel caso
concreto la sentenza ha ritenuto che l’entità del tributo richiesto
e delle sanzioni irrogate (in conseguenza dell’omesso versamento
dell’imposta in questione da parte delle confessioni religiose
ricorrenti) abbia costituito una limitazione di tale diritto e che
ciò sia avvenuto in assenza di una previsione di legge specifica e
prevedibile circa l’assoggettabilità al «droit de donation» dei
«dons manuels» effettuati in favore dei nuovi movimenti religiosi
ricorrenti. La Corte ha, poi, ritenuto assorbito l’altro motivo di
ricorso con cui veniva denunciata una disparità di trattamento (in
violazione dell’art. 14 CEDU) delle confessioni religiose ricorrenti
rispetto ad altre, in conseguenza dell’attività del Parlamento e
del Governo francese contro le «dérives sectaires». (La Redazione
di OLIR.it ringrazia per la stesura dell’Abstract Mattia Francesco
Ferrero, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano)