Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Ordinanza 15 maggio 2018, n.11808

Costituisce ragione ostativa alla delibazione della sentenza
ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario, la
convivenza prolungata dai coniugi successivamente alla celebrazione
del matrimonio stesso, in quanto espressiva di una volontà di
accettazione del rapporto che ne è seguito, con cui è
incompatibile, quindi, l'esercizio della facoltà di
rimetterlo in discussione, altrimenti riconosciuta dalla legge

Sentenza 01 aprile 2015, n.6611

In tema di delibazione della sentenza ecclesiastica dichiarativa della
nullità di un matrimonio concordatario per difetto di consenso,
le situazioni di vizio psichico assunte dal giudice ecclesiastico come
comportanti inettitudine del soggetto, al momento della manifestazione
del consenso, a contrarre il matrimonio non si discostano
sostanzialmente dall’ipotesi d’invalidita’
contemplata dall’articolo 120 c.c., cosicchè è da
escludere che il riconoscimento dell’efficacia di una tale
sentenza trovi ostacolo in principi fondamentali
dell’ordinamento italiano. Le Sezioni Unite hanno inoltre
specificato i caratteri che deve assumere, per i fini che qui
interessano, la convivenza coniugale, sotto il profilo della
riconoscibilità dall’esterno – attraverso fatti e
comportamenti che vi corrispondano in modo non equivoco -,
nonchè della stabilità – individuando, sulla base
di specifici riferimenti normativi (Legge n. 184 del 1983, articolo 6,
commi 1 e 4) una durata minima di tre anni. Nel caso di specie,
invece, il legame coniugale era gia’ dissolto – se non prima –
certamente dopo un solo anno dalla celebrazione del matrimonio,
cioè entro un arco temporale inferiore rispetto a quello
individuato dalle Sezioni Unite ai fini della tutela del
matrimonio-rapporto (cfr. SU Cassazione, sentenze nn. 16379 e 16380
del 17 luglio 2014). [La redazione di OLIR.it ringrazia per la
segnalazione del documento Antonio Angelucci, Università degli
Studi dell'Insubria].

Sentenza 02 febbraio 2015, n.1789

Ai fini della delibazione della sentenza ecclesiastica di
nullità matrimoniale, la prolungata convivenza tra i coniugi,
dopo la celebrazione delle nozze non può venire rilevata
d'ufficio dal giudice, nè eccepita dal Pubblico Ministero.
Si tratta infatti di una eccezione "in senso tecnico" che
deve essere formulata,a pena di decadenza, con la comparsa di
costituzione e risposta, ai sensi degli artt. 166 e 167 c.p.c.

Sentenza 27 gennaio 2015, n.1494

La convivenza costituisce "un elemento essenziale del matrimonio
rapporto" che connota la relazione matrimoniale in modo
determinante. Nel giudizio di riconoscimento dell'efficacia della
sentenza di nullità matrimoniale pronunciata dal Tribunale
ecclesiastico, di conseguenza, la dedotta esistenza di
un'incapacità psichica originaria, astrattamente idonea a
viziare il matrimonio atto non può escludere lo scrutinio
rispetto ai parametri di ordine pubblico che governano il matrimonio
rapporto, ed in particolare non può trascurare il rilievo del
carattere costitutivo della convivenza così come declinata
dalle norme costituzionali interne, europee e convenzionali.

Sentenza 17 luglio 2014, n.16380

Ai fini specifici che rilevano in questa sede, ovvero la
composizione del contrasto giurisprudenziale in merito alla fatto se
la convivenza prolungata possa rappresentare una condizione di
violazione dell’ordine pubblico interno (ostativa dunque della
dichiarazione d’efficacia nell’ordinamento civile della
sentenza di nullità del matrimonio pronunciata dal giudice
ecclesiastico), il Collegio ritiene di potere prendere a riferimento
– in ragione delle strette analogie tra le due fattispecie
– i commi 1 e 4 dell’art. 6 della legge n. 184 del 1983
(Diritto del minore ad una famiglia) nel testo sostituito
dall’art. 6, comma 1 della legge n. 149 del 2001, secondo i
quali “L’adozione è consentita a coniugi uniti in
matrimonio da almeno tra anni". Al riguardo, la Corte
costituzionale, chiamata a pronunciarsi tra l’altro sulla
legittimità di tale disposizione originaria, nella parte in cui
disponeva che ai fini della adottabilità che i coniugi
potessero vantare anche una convivenza prematrimoniale di almeno 10
anni, ha sul punto precisato di appoggiare la “scelta adottata
dal legislatore italiano che, al pari di numerosi legislatori europei,
intende il matrimonio … non solo come ‘atto
costitutivo’ ma anche come ‘rapporto giuridico’,
vale a dire come vincolo rafforzato da un periodo di esperienza
matrimoniale, in cui sia perdurante la volontà di vivere
insieme”; ed ha dichiarato infine che “il criterio dei tre
anni successivi alle nozze si configura come requisito minimo
presuntivo a dimostrazione della stabilità del rapporto
matrimoniale” (n. 2 delle considerazioni in diritto, della
sentenza n. 281 del 1994): dalla lettura di tali disposizioni pare
evidente la loro possibile riferibilità alle fattispecie in
esame (in particolare, gli argomenti fondati sulla distinzione
matrimonio-atto e matrimonio rapporto, sulla valorizzazione della
convivenza coniugale con le caratteristiche di stabilità ed
omogeneità, e soprattutto sul criterio dei tre anni successivi
alle nozze). Ciò porta ad affermare che la convivenza dei
coniugi, protrattasi per almeno tra anni dalla celebrazione del
matrimonio, in quanto costitutiva di una situazione giuridica
disciplinata da norme di “ordine pubblico interno
italiano”, anche in applicazione dell'art. 7, comma 1 della
Costituzione e del principio supremo di laicità dello Stato,
osta alla dichiarazione di efficacia nella Repubblica Italiana delle
sentenze di nullità del matrimonio concordatario.


[così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio delle
Sezioni Unite Civili, il 3 dicembre 2013. Depositata in cancelleria il
17 luglio 2014]


cfr. in OLIR.it.
Corte
di Cassazione, Sezione I Civile, sentenza n. 1780 del 2012

Corte
di Cassazione. Sezione I Civile, sentenza n. 9844 del 2012

Corte
di Cassazione. Sezione I Civile, sentenza n. 8926 del 2012

Corte
di Cassazione, Sezione, I Civile, sentenza n, 1343 del 2011

Corte
di Cassazione. Sezioni Unite Civili. Sentenza 24 giugno – 18 luglio
2008, n. 19809