Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Decreto 05 luglio 2018

Il Tribunale di Pistoia ha dichiarato l’illegittimità del
diniego opposto dal Sindaco alla dichiarazione di riconoscimento del
figlio minore da parte della madre non biologica parte di una coppia
omosessuale e ha ordinato allo stesso, nella sua qualità di
Ufficiale di Stato Civile, di formare un nuovo atto di nascita con
l’indicazione delle due madri, attribuendo al bambino il
cognome di entrambe. Un’interpretazione costituzionalmente
orientata dell’art. 8 L. 40/2004 porta, infatti, ad affermare
che i bimbi nati in Italia a seguito di tecniche di PMA eseguite
all’estero sono figli della coppia di donne che hanno prestato
il consenso manifestando inequivocabilmente di voler assumere la
responsabilità genitoriale sul nascituro quale frutto di un
progetto di vita comune con il partner e di realizzazione di una
famiglia. Dunque, nell’attuale sistema normativo si deve
ritenere che il consenso sia alla base della costituzione del rapporto
di filiazione in caso di ricorso alla PMA così come, nella
gestazione “ordinaria”, lo è il dato biologico
genetico.

Ordinanza 02 luglio 2018

Il Tribunale di Pordenone ha sollevato questione di legittimità
costituzionale avente ad oggetto gli articoli 5 e 12 commi 2°,
9° e 10° della legge n. 40/2004. In particolare,
l'esclusione dall'accesso alle tecniche di procreazione
medicalmente assistita delle coppie composte da soggetti dello stesso
sesso, nonché la correlata applicazione di sanzioni a chi non
rispetti tale divieto, si porrebbero in contrasto con gli articoli 2,
3, 31 comma 2°, 32 comma 1° e 117 comma 1° della
Costituzione.

Sentenza 04 luglio 2018, n.145/18

La Corte d'Appello di Napoli ha riconosciuto il diritto di una
donna di adottare il figlio biologico della compagna, con cui è
unita civilmente, in quanto accettò e condivise il progetto
della procreazione medicalmente assistita. Il nato da p.m.a, infatti,
ha lo stato di figlio della coppia che ha espresso la volontà
di ricorrere alle terapie, laddove l'elemento consensuale prevale
rispetto al mero dato della derivazione genetico-biologica. Certo
è vero che la l. 40/2004 riserva le pratiche di p.m.a. alle
coppie di sesso diverso, ma il principio del superiore interesse
del minore riveste una tale rilevanza da poter temperare, o persino
disapplicare, talune norme che sui minori incidono.

Si
ringrazia per la segnalazione il Dottor Simone Baldetti
dell'Università di Pisa.

Sentenza 13 aprile 2016, n.84

A fronte, dunque, di quella che è stata definita “una
scelta tragica”, tra il rispetto del principio della vita (che
si racchiude nell’embrione ove pur affetto da patologia) e le
esigenze della ricerca scientifica – una decisione così
ampiamente divisa sul piano etico e scientifico, e che non trova
soluzioni significativamente uniformi neppure nella legislazione
europea – la linea di composizione tra gli opposti interessi,
che si rinviene nelle disposizioni censurate, attiene all’area
degli interventi, con cui il legislatore, quale interprete della
volontà della collettività, è chiamato a
tradurre, sul piano normativo, il bilanciamento tra valori
fondamentali in conflitto, tenendo conto degli orientamenti e delle
istanze che apprezzi come maggiormente radicati, nel momento dato,
nella coscienza sociale. Compete dunque a
quest'ultimo la valutazione di opportunità (sulla base
anche delle “evidenze scientifiche” e del loro raggiunto
grado di condivisione a livello sovranazionale) in ordine: alla
utilizzazione, a fini di ricerca, dei soli embrioni affetti da
malattia – e da quali malattie – ovvero anche di quelli
scientificamente “non biopsabili”; alla selezione degli
obiettivi e delle specifiche finalità della ricerca
suscettibili di giustificare il “sacrificio”
dell’embrione; alla eventualità, ed alla determinazione
della durata, di un previo periodo di crioconservazione; nonchè
alla opportunità o meno (dopo tali periodi) di un successivo
interpello della coppia, o della donna, che ne verifichi la confermata
volontà di abbandono dell’embrione e di sua destinazione
alla sperimentazione; alle cautele più idonee ad evitare la
“commercializzazione“ degli embrioni residui.

Sentenza 16 ottobre 2015

Non vi è alcuna ragione per ritenere in linea generale
contrario all’ordine pubblico un provvedimento straniero
che abbia statuito un rapporto di adozione piena tra una persona
non coniugata e il figlio riconosciuto del partner, anche dello
stesso sesso, una volta valutato in concreto che il
riconoscimento dell’adozione, e quindi il riconoscimento di
tutti i diritti e doveri scaturenti da tale rapporto,
corrispondono all’interesse superiore del minore
al mantenimento della vita familiare costruita con ambedue
le figure genitoriali e al mantenimento delle positive
relazioni affettive ed educative che con loro si sono
consolidate, in forza della protratta convivenza con ambedue e
del provvedimento di adozione; ne consegue che tale provvedimento
è suscettibile di trascrizione nei registri dello Stato
Civile.

Corte Appello Milano, sez. Persone, Minori,
Famiglia, 16 ottobre 2015 (Pres. Bianca La Monica, est. M.
Cristina Canziani)

Sentenza 28 ottobre 2015, n.2271

Con riferimento alla determinazione regionale di porre a totale carico
degli assistiti il costo delle prestazioni per la PMA di tipo
eterologo, diversamente da quanto previsto per la PMA di tipo omologo
– per la quale gli utenti sono tenuti al versamento del solo ticket,
restando in capo alla Regione il costo dell'intervento -, le
censure contenute nel ricorso sono fondate. Anzitutto non assume
rilievo determinante la circostanza che la PMA, sia omologa che
eterologa, non sia ricompresa formalmente nel d.P.C.M. che individua
le prestazioni da qualificare livelli essenziali di assistenza, atteso
che, se l'inserimento della prestazione nei LEA può avere
un effetto costitutivo nella qualificazione della stessa, rendendone
quindi doverosa l'erogazione su tutto il territorio nazionale alle
medesime condizioni minime, il mancato inserimento nell'elenco non
può determinare l'effetto opposto, considerato che va
verificata in concreto l'appartenenza di una determinata
prestazione al novero dei diritti fondamentali e, in caso affermativo,
va certamente garantita nel suo nucleo essenziale a tutti i soggetti e
su tutto il territorio nazionale. A tal proposito appare
opportuno richiamare la sentenza n. 162 del 2014 della Corte
costituzionale che ha evidenziato come "la scelta di [una] coppia
di diventare genitori e di formare una famiglia che abbia anche dei
figli costituisce espressione della fondamentale e generale
libertà di autodeterminarsi, libertà che, come [la]
Corte ha affermato, sia pure ad altri fini ed in un ambito diverso,
è riconducibile agli artt. 2, 3 e 31 Cost., poiché
concerne la sfera privata e familiare. Conseguentemente, le
limitazioni di tale libertà, ed in particolare un divieto
assoluto imposto al suo esercizio, devono essere ragionevolmente e
congruamente giustificate dall'impossibilità di tutelare
altrimenti interessi di pari rango". Inoltre la tematica in esame
è altresì riconducibile al "diritto alla salute,
che, secondo la costante giurisprudenza [della] Corte, va inteso
«nel significato, proprio dell'art. 32 Cost., comprensivo
anche della salute psichica oltre che fisica» (sentenza n. 251
del 2008; analogamente, sentenze n. 113 del 2004; n. 253 del 2003) e
«la cui tutela deve essere di grado pari a quello della salute
fisica» (sentenza n. 167 del 1999). Peraltro, questa nozione
corrisponde a quella sancita dall'Organizzazione Mondiale della
Sanità, secondo la quale «Il possesso del migliore stato
di sanità possibile costituisce un diritto fondamentale di ogni
essere umano» (Atto di costituzione dell'OMS, firmato a New
York il 22 luglio 1946). In relazione a questo profilo, non sono
dirimenti le differenze tra PMA di tipo omologo ed eterologo,
benché soltanto la prima renda possibile la nascita di un
figlio geneticamente riconducibile ad entrambi i componenti della
coppia. Anche tenendo conto delle diversità che caratterizzano
dette tecniche, è, infatti, certo che
l'impossibilità di formare una famiglia con figli insieme
al proprio partner, mediante il ricorso alla PMA di tipo eterologo,
possa incidere negativamente, in misura anche rilevante, sulla salute
della coppia, nell'accezione che al relativo diritto deve essere
data, secondo quanto sopra esposto. In coerenza con questa
nozione di diritto alla salute, deve essere, quindi, ribadito che,
«per giurisprudenza costante, gli atti dispositivi del proprio
corpo, quando rivolti alla tutela della salute, devono ritenersi
leciti» (sentenza n. 161 del 1985), sempre che non siano lesi
altri interessi costituzionali" (Corte costituzionale, sentenza
n. 162 del 2014).
Trattandosi quindi di prestazione
riconducibile a una pluralità di beni costituzionali –
libertà di autodeterminazione e diritto alla salute – né
il legislatore né, a maggior ragione, l'autorità
amministrativa possono ostacolarne l'esercizio o condizionarne in
via assoluta, la realizzazione, ponendo a carico degli interessati
l'intero costo della stessa, al di fuori di ogni valutazione e
senza alcun contemperamento con l'eventuale limitatezza delle
risorse finanziarie.

Sentenza 11 novembre 2015, n.229

Con la sentenza n. 96
del 2015
, questa Corte ha, infatti, già dichiarato
l’illegittimità costituzionale degli artt. 1, commi 1 e
2, e 4, comma 1, della legge n. 40 del 2004, «nella parte in cui
non consentono il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente
assistita alle coppie fertili portatrici di malattie genetiche
trasmissibili, rispondenti ai criteri di gravità di cui
all’art. 6, comma 1, lettera b), della legge 22 maggio 1978, n.
194 […], accertate da apposite strutture
pubbliche». E «Ciò al fine esclusivo»,
come chiarito in motivazione, «della previa
individuazione», in funzione del successivo impianto
nell’utero della donna, «di embrioni cui non risulti
trasmessa la malattia del genitore comportante il pericolo di
rilevanti anomalie o malformazioni (se non la morte precoce) del
nascituro», alla stregua del suddetto “criterio normativo
di gravità”. Ed è in questi esatti termini e
limiti che l’art. 13, commi 3, lettera b), e 4, della legge n.
40 del 2004 va incontro a declaratoria di illegittimità
costituzionale, nella parte, appunto, in cui vieta, sanzionandola
penalmente, la condotta selettiva del sanitario volta esclusivamente
ad evitare il trasferimento nell’utero della donna di embrioni
che, dalla diagnosi preimpianto, siano risultati affetti da malattie
genetiche trasmissibili rispondenti ai criteri di gravità di
cui all’art. 6, comma 1, lettera b), della legge n. 194 del
1978, accertate da apposite strutture pubbliche.

Ordinanza 04 marzo 2015, n.164

Il Tribunale adito rimette alla Corte costituzionale la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 1 e 2, e
dell'art. 4, comma 1 della legge 19 febbraio 2004, n. 40, per
contrasto con gli articoli 2, 3 e 32 Cost., nonche' con l'art.
117, comma 1 della Costituzione, in relazione agli articoli 8 e 14
della Cedu nella parte in cui dette norme non consentono il ricorso
alla procreazione medicalmente assistita, e dunque anche alla diagnosi
preimpianto, alle coppie fertili, portatrici di malattia geneticamente
trasmissibile.