Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 7 Gennaio 2006

Sentenza 29 gennaio 1997, n.901

Corte di Cassazione, Sezione Terza Civile. Sentenza 29 gennaio 1997, n. 901: “Fabbricerie quali associazioni non riconosciute”.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE III CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
Dott. Manfredo GROSSI
Presidente
Claudio FANCELLI
Paolo VITTORIA
Francesco SABATINI
Luigi Francesco DI NANNI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da

M. F.,elettivamente domiciliato in ROMA VIA MARCOPOLO 80-82, presso lo studio dell’avvocato ALDO CIPOLLONE, difesodall’avvocato SCALONE F. ALBERTO, giusta delega in atti;
Ricorrente

contro

FABBRICERIA DELLA CHIESA CATTEDRALE PALERMO, in persona del Presidente e Legale Rappresentante pro tempore Mons. G. C.,elettivamente domiciliato in ROMA VIA F.CONFALONIERI5, presso lo studio dell’avvocato LUIGI MANZI, difeso dall’avvocato GIROLAMO CALANDRA, giusta procura speciale per Francesco PIZZUTO di Palermo del 30-10-95 n. 55156 di rep.
Controricorrente

nonché contro

COMUNE PALERMO;
Intimato

avverso la sentenza n. 399-95 della Corte d’Appello di PALERMO,emessa il 28-04-95 e depositata il 07-06-95 (R. G. 331-94);
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20-09-96 dal Relatore Consigliere Dott. Luigi Francesco DI NANNI;
udito l’avvocato Dott. Emanuele COGLITORE (con delega Avv. G.CALANDRA);
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.Paolo DETTORI che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

1. La Fabbriceria della Cattedrale di Palermo, con atto del 20 giugno 1984, ha intimato a F. M. licenza per finita locazione da un locale al vicolo del Pellegrino, detenuto dal M. e lo ha convenuto davanti al pretore di Palermo per la convalida della licenza.
Costituitosi in giudizio l’intimato si è opposto alla convalida, ha dedotto che la Fabbriceria non aveva personalità giuridica e la legittimazione ad agire ed ha proposto domanda riconvenzionale subordinata per conseguire il pagamento di quanto gli era dovuto.

2. Il pretore ha dichiarato la propria incompetenza per valore ed ha rimesso le parti davanti al tribunale di Palermo.
Il giudizio è stato riassunto da F. M., il quale ha chiesto che fossero dichiarate inammissibili o infondate le domande rivolte contro di lui e, subordinatamente, che la Fabbriceria fosse condannata al pagamento della somma di 10 milioni a titolo di indennità per la perdita dell’avviamento commerciale.
Nel giudizio si è costituito Mons. G. C., quale presidente pro tempore della Fabbriceria, il quale ha insistito per la condanna del M. al rilascio dell’immobile.
Il tribunale di Palermo, con sentenza, ha dichiarato cessata la locazione ed ha condannato il M. a rilasciare l’immobile in contestazione in favore della Fabbriceria della Cattedrale di Palermo, in persona del presidente pro tempore Mons. C. G..
La decisione del tribunale è stata interamente confermata dalla Corte di appello di Palermo con sentenza del 7 giugno 1995.

3. Per la cassazione di questa sentenza F. M. ha proposto ricorso, svolgendo quattro motivi.
Resiste con controricorso la Fabbriceria della Chiesa Cattedrale di Palermo in persona del presidente e legale rappresentante Mons. G. C..
L’altro intimato Comune di Palermo non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Diritto

1.1. Con il primo motivo è denunciata violazione dell’art. 39 r.d. 2 dicembre 1929 n. 2262 e dell’art. 100 cod. proc. civ.
Il motivo si riferisce al capo della sentenza impugnata nel quale è stata affermata la legittimazione della Fabbriceria della Cattedrale di Palermo.
La Corte di appello ha ritenuto non rilevante la questione dell’esistenza della personalità giuridica della Fabbriceria ed ha considerato: che anche un soggetto sfornito di personalità giuridica può stipulare contratti (a rendersi locatore di un proprio bene; che le fabbricerie esistenti prima dell’entrata in vigore della legge 20 maggio 1985 n. 222 possono concludere i contratti che attengono alla gestione dei loro beni, compresi quelli di locazione; che esattamente il tribunale aveva ritenuto che la Fabbriceria della Cattedrale di Palermo aveva titolo a chiedere il rilascio dell’immobile.
Il ricorrente censura la decisione e sostiene: che le fabbricerie svolgono compiti di mera manutenzione dei beni della chiesa cui sono collegate; che spetta alla chiesa la rappresentanza legale e l’amministrazione dei propri beni; che la Fabbriceria della Cattedrale di Palermo non ha personalità giuridica, non ha un legale rappresentante, non può avere un patrimonio ed è un mero ufficio tecnico della chiesa.
Il motivo non è fondato.
1.2. Nel sistema vigente prima dell’entrata in vigore della legge 20 maggio 1985 n. 222, recante la nuova disciplina in tema di enti e beni ecclesiastici in Italia e di sostentamento del clero cattolico, era previsto che le chiese sono amministrate dall’ecclesiastico ad essa proposto (vescovo, parroco, rettore o sacerdote), che ha la rappresentanza sostanziale e processuale, ove non esistano le fabbricerie (art. 15, primo comma, della legge 27 maggio 1929 n. 849 (NDR: così nel testo), contenente disposizioni sugli enti ecclesiastici e sulle amministrazioni civili dei patrimoni destinati a fini di culto).
Con l’espressione fabbriceria (in Sicilia maramma) la legge si riferisce promiscuamente a due realtà:
– la fondazione, la massa patrimoniale autonoma e le oblazioni dei fedeli, raccolte giornalmente e amministrate in maniera autonoma, entrambe destinate alla manutenzione ed all’officiatura del tempio (fabrica ecclesiae);
– il consiglio (consilium fabricae) competente ad amministrare i beni prima indicati, il quale è costituito da ecclesiastici o da laici (art. 15, secondo comma, della legge n. 848 del 1929 ed art. 39 del r.d. 2 dicembre 1929 n. 2262 di approvazione del regolamento di esecuzione di detta legge).
Le fabbricerie esistenti nelle chiese cattedrali, dichiarate monumento nazionale, composte di sette membri, sono rette da un presidente, scelto dal rappresentante diocesano, che ne ha evidentemente la rappresentanza (art. 35 d.r. n. 2262 del 1929, commi, primo, terzo e nono).
Nel caso di riconoscimento della personalità giuridica della chiesa, con questa coesiste la fabbriceria, che provvede all’amministrazione del patrimonio e dei redditi delle chiese ed alla manutenzione dei rispettivi edifici, senza ingerenza nei servizi di culto (art. 15, terzo comma, della legge n. 848 del 1929).
La fabbriceria, in considerazione della sua struttura soggettiva, nell’ambito dell’ordinamento statale si inquadra tra le associazioni non riconosciute.
Quindi, esse stanno in giudizio nella persona di colui al quale è attribuita la presidenza o la direzione (art. 36, secondo comma, cod. civ.).
1.3. La decisione della Corte di appello di Palermo deve essere inquadrata in questo quadro normativo.
La Corte di appello ha ritenuto che non era necessario stabilire se la Fabbriceria della Cattedrale di Palermo fosse munita di personalità giuridica.
La conclusione è esatta, in quanto, nell’ordinamento statale, la personalità giuridica, intesa come riconoscimento dell’ente, non è il presupposto per la titolarità di rapporti giuridici attivi o passiva: le associazioni di fatto sono titolari del loro fondo comune, come indicato dall’art. 37 cod. civ.
Pertanto, alla Fabbriceria della Cattedrale di Palermo bene è stato riconosciuto il diritto di gestire l’immobile in contestazione dando attuazione a rapporti di locazione che lo riguardano o disponendo la cessazione di quegli esistenti.
La Corte di appello di Palermo ha ritenuto anche che la Fabbriceria della Cattedrale di Palermo si era costituita in giudizio correttamente nella persona di Mons. G. C., che ne era il legittimo rappresentante pro tempore.
Anche questa conclusione è esatta, in quanto, come è stato già indicato, le associazioni di fatto stanno in giudizio a mezzo di coloro che, secondo l’ordinamento interno dell’ente, ne hanno la rappresentanza.
Nell’atto introduttivo del giudizio l’intimazione della licenza per finita locazione è stata proposta dal C. nella indicata qualità di presidente pro tempore della Fabbriceria.
Rispetto a queste considerazioni non vale, quindi, sostenere che la Fabbriceria della Cattedrale di Palermo non ha personalità giuridica, non ha un legale rappresentante e non può avere un patrimonio; essendo un mero ufficio tecnico.
Queste considerazioni, infatti, sono smentite dalla ricostruzione dell’ente come associazione di fatto, dal richiamo alle norme del codice civile sulla rappresentanza in giudizio di questi enti, dalla possibilità, indicata dall’art. 15 delle legge n. 848 del 1929, riconosciuta alle fabbricerie di amministrare tutti i beni destinati alla manutenzione della chiesa ed all’officiatura del culto.
Nè vale richiamare le disposizioni contenute nell’art. 39 del r.d. 2 dicembre 1929 n. 2262, già citato e dell’art. 8 del r.d. 26 settembre 1935 n. 2032 (che ha modificato il precedente regolamento) per sostenere che la tutela dei diritti relativi ai beni della chiesa spetta soltanto al vescovo, parroco o rettore di questa.
Infatti, queste norme s’inquadrano nel regime del riconoscimento della personalità giuridica degli enti “chiesa”, rispetto alla quale concorre la fabbriceria come è stato indicato nella premessa normativa di questa motivazione.
Concludendo quindi l’esame del primo motivo del ricorso, si deve ritenere che il fatto che la Cattedrale di Palermo ha personalità giuridica, ciò non esclude che alla Cattedrale sia collegata una maramma e che a questa sia riconosciuto il potere di gestire i beni della Cattedrale attraverso il suo legale rappresentante pro tempore, il quale, all’epoca della domanda oggetto di questo giudizio si identificava con la persona di Mons.
G. C..

2.1. Con il secondo motivo, denunciando violazione dell’art. 100 cod. proc. civ., il ricorrente ripete l’eccezione già svolta davanti alla Corte di appello che la Fabbriceria della Cattedrale di Palermo non era proprietaria dell’immobile locato, perché proprietario di questo è il Comune di Palermo.
Il motivo non è fondato.
2.2. Nell’ordinamento vigente, il contratto di locazione è lo strumento formale della seguente operazione economica: trasferimento ad un terzo, mediante corrispettivo, del godimento di cosa mobile o immobile da parte di chi sia titolare di un diritto di godimento su di esso: art. 1571 cod. civ.
Da ciò discende che il contratto non presuppone affatto che il locatore sia proprietario della cosa, potendo egli goderne a qualsiasi titolo legittimo.
Questo principio è stato adottato puntualmente dalla Corte di appello di Palermo, la quale ha dichiarato irrilevante l’accertamento sulla proprietà dell’immobile in considerazione del carattere personale del rapporto che si instaura tra locatore e conduttore.

Pertanto la sentenza impugnata si sottrae alle critiche mosse con il motivo che si è esaminato.
3.1. Con il terzo motivo è denunciata violazione dell’art. 1571 cod. civ. e dell’art. 115 cod. proc. civ.
Con il motivo il ricorrente si riferisce alla qualificazione del rapporto controverso come di locazione e sostiene che, invece, egli si era limitato a versare semplici elargizioni, le quali non potevano essere considerati canoni di un rapporto locativo.
La censura contenuta nel motivo non è ammissibile.
3.2. Essa si fonda sulla prospettazione di una situazione di fatto (avere versato danaro alla Fabbriceria non in base ad un rapporto contrattuale di locazione, ma per spirito di liberalità, tendente ad una qualificazione del rapporto intrattenuto con la Fabbriceria della Cattedrale di Palermo diversa dalla locazione, al riconoscimento di un “pacifico possesso dell’immobile”, alla negazione della pretesa delle controparte sulla base di questa indicazione.
Questa situazione di fatto e gli effetti che il ricorrente trae da essa potevano e dovevano essere fatti valere davanti al giudice del merito e non possono essere esibiti per la prima volta nel giudizio di legittimità oggetto del presente ricorso.
Pertanto, resta confermato il giudizio di inammissibilità della censura.

4.1. Con il quarto motivo è denunciata violazione dell’art. 45 cod. proc. civ.
Con il motivo il ricorrente censura la decisione con la quale la Corte di Palermo ha rigettato il motivo di appello rivolto contro la decisione del tribunale, perché questo non aveva rimesso al pretore la cognizione della domanda riconvenzionale relativa al pagamento dell’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale.
La Corte del merito ha ritenuto che il tribunale non era stato investito della cognizione di siffatta domanda riconvenzionale, perché il pretore, rimettendo le parti davanti al giudice competente per valore, non si era spogliato di questa domanda sulla quale egli era funzionalmente competente.
Il M. sostiene che il tribunale era stato investito dal pretore di Palermo della cognizione della controversia riguardante sia la cessazione della locazione, sia la richiesta dell’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale e che il tribunale avrebbe dovuto sollevare il conflitto di competenza rispetto alla decisione del pretore sulla questione della perdita dell’avviamento commerciale.
Il motivo non è fondato.
4.2. La trasmigrazione della causa davanti al giudice competente è compiuta attraverso atto di riassunzione, il quale deve contenere le indicazioni dettate dall’art. 125 disp. att. cod. proc. civ.
Nel caso particolare, poiché la riassunzione è stata compiuta dal M., che era il soggetto convenuto nella controversia di risoluzione del contratto di locazione, l’atto di riassunzione, anziché contenere il richiamo all’atto introduttivo del giudizio (n. 3 della norma ora richiamata), doveva fare riferimento a quanto chiesto dallo stesso M. con la domanda riconvenzionale proposta davanti al pretore.
In mancanza di questo richiamo, la trasmigrazione del giudizio operava limitatamente a quanto chiesto dalla Fabbriceria della Cattedrale di Palermo con l’atto introduttivo della causa di intimazione di licenza per finita locazione.
Esaminando l’atto di riassunzione della causa davanti al tribunale di Palermo del 22 novembre 1984, come consente il motivo di violazione di norme processuali, si ricava che in esso non è contenuto alcun riferimento alla domanda riconvenzionale; sicché il tribunale di Palermo non è stato investito della cognizione della domanda riconvenzionale.
Il tribunale, quindi, non doveva decidere in ordine a questa.
La decisione della Corte di appello di Palermo, che è in questo senso, è dunque corretta sul punto criticato.

5. Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato con la condanna del ricorrente al rimborso delle spese di questo giudizio secondo la regola della soccombenza.

P.Q.M

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese di questo giudizio, liquidate in lire 180.100, oltre onorari che si liquidano in lire. 1.500.000.