Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 23 Settembre 2006

Sentenza 21 settembre 2006, n.20442

Corte di Cassazione. Sezione lavoro. Sentenza 21 settembre 2006, n. 20442: “Natura imprenditoriale dell’attività tipografica e reintegrazione del lavoratore ingiustamente licenziato”.

Presidente Lamorgese – Relatore Cellerino
Pm Gaeta – conforme – Ricorrente S.P. – Controricorrente F.

(omissis)

Svolgimento del processo

La Soc. S. P. propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi contro la sentenza descritta in epigrafe del Tribunale di Roma che, in parziale accoglimento del suo appello, l’ha condannata a corrispondere a L.F., a titolo di risarcimento del danno, un importo corrispondente a tutte le retribuzioni, compresa la sola tredicesima, maturate dalla data del licenziamento all’effettiva reintegra, pari a lire 2.167.693, ovvero ad euro 1119,52 mensili (e non a lire 2.285.296), oltre accessori e spese.
La sentenza d’appello ha ritenuto, confermando la decisione di primo grado, ingiustificato il licenziamento del F., intimato per inidoneità fisica all’esercizio delle mansioni di operaio addetto a macchine per l’allestimento di libri, sulla base di quanto attestato dall’Istituto di medicina legale dell’Università romana “La Sapienza”.
Il F. resiste con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Motivi della decisione

Con il primo motivo l’Ente denuncia difetti di motivazione e la violazione ed errata applicazione dell’articolo 4 della legge 108/90, negando di poter essere considerato, ai fini della procedura di reintegrazione prevista dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, imprenditore essendo ente religioso con “unica e primaria finalità di affermare la dottrina e il credo cattolici” e non svolgendo attività con fini di lucro. In particolare, sostiene che l’attività di stampa e commercializzazione di libri e pubblicazioni a contenuto religioso non era né è, conformemente al proprio Statuto, svolta a fini di profitto, ma esclusivamente per divulgare la fede e la morale cristiana.
Aggiunge che, oltre al dato religioso, privilegiato dall’articolo 4 cit., non può esserle attribuita un’attività imprenditoriale con fini di lucro, né ciò sarebbe emerso in concreto, “contrariamente a quanto ritenuto dai Giudici” di merito, non potendosi «sostenere che l’attività svolta… sia caratterizzata da economicità sol perché capitale e lavoro vengono organizzati e utilizzati al fine di trasformare materie prime per produrre beni da commercializzare» oltretutto non essendo «stata accertata la sussistenza di un’eventuale autonomia gestionale, implicante poteri deliberativi, ampia libertà di azione ed organizzazione, nonché autonomia finanziaria», posto che dai documenti contabili “non risultano voci tali da pervenire ad utili di bilancio”.
Con il secondo mezzo d’impugnazione, ipotizzando difetti di motivazione (articolo 360, n. 5, Cpc), contesta il giudizio espresso, sulla scorta di apposita ctu, dal Giudice d’appello circa l’inesistenza di «un’inidoneità assoluta del lavoratore allo svolgimento delle specifiche mansioni.., potendole svolgere a condizione che fosse stato dotato di comuni strumenti di protezione…» in quanto tra l’aprile e il luglio del 1994 il lavoratore era stato sottoposto ad accertamenti sanitari che avevano evidenziato crisi asmatiche in atto di seria gravità, tanto da rendere necessarie severe terapie che sottolineavano come «il Forcellini era effettivamente del tutto inabile allo svolgimento delle mansioni di appartenenza» ed impossibilitato a rendere la prestazione pattuita.
Infine, con l’ultimo motivo, denunciando la violazione ed errata applicazione dell’articolo 18, comma 4, della legge 300/70, la Società S. P. nega, rifacendosi ad un’autorevole giurisprudenza di questa Corte (sentenze 10260/02 e 9464/98) qualsiasi responsabilità eccedente le cinque mensilità stabilite come misura risarcitoria del licenziamento, non potendo esserle addebitata alcuna colpa del recesso, esercitato sulla base di una valutazione affidabile, resa da “Ente esterno preposto alla tutela della salute dei lavoratori”.
Premesso che quest’ultima censura è inammissibile tentando di introdurre in questa sede un argomento di merito non tempestivamente dedotto, avendo il Tribunale, con la sentenza d’appello, non contestata relativamente a questo rilievo, escluso di «poter prendere in esame invece ‑ siccome proposta con le note difensive depositate il 25 marzo 2003‑ la questione concernente la riduzione o l’esclusione di ogni obbligo risarcitorio per assenza dell’elemento soggettivo» i restanti motivi appaiono manifestamente infondati.
Quanto al primo, è appena il caso di osservare che il giudizio di merito sulla natura imprenditoriale dell’attività tipografica di pubblicazione e commercializzazione di libri e riviste, cui era addetto il lavoratore, da parte della Società S. P., pur finalizzata all’annuncio e alla divulgazione della fede e della morale cristiana, appare immune da vizio logico e giuridico, fondandosi su argomentazioni concretamente desunte dall’istruttoria testimoniale e documentale che ha consentito di attestare, tra l’altro, l’esistenza di un volume d’affari, per quanto concerne la tipografia dove operava da tempo il F., di circa un miliardo ‑ un miliardo e mezzo (di lire naturalmente).
D’altra parte, fermo restando che caposaldo fondamentale dell’attività economica è l’organizzazione, da parte di taluno, con rischio proprio, dei fattori della produzione, tra cui primeggiano il capitale e il lavoro destinati all’esecuzione di beni e/o servizi ex articolo 2195, Cc, nel caso delle organizzazioni di tendenza, dove l’assenza della finalità di lucro ha un significato evidentemente rafforzativo dell’esclusione d’imprenditorialità, essendo quest’ultimo elemento di‑ per sé connaturale alla “area di non applicazione” dell’articolo 18, statuto dei lavoratori, il dato dirimente per l’ammissione al beneficio di legge consiste nel fatto che, dal punto di vista lavorativo, l’attività, per come prestata e, a vario titolo, respinta dal datore di lavoro che intenda avvalersi del beneficio d’esclusione, deve innestarsi e realizzare direttamente le finalità politiche, sindacali, culturali, d’istruzione, di religione o culto, come si è verificato nei casi scrutinati dalle sentenze di questa Corte nn. 12634/03; 12349/01; 8195/00, richiamate dal ricorso, poiché, in tali casi, è stato provato dal datore che la ricaduta dell’attività del lavoratore si compenetrava e attuava immediatamente i fini dell’ente, senza il diaframma operativo neutrale costituito dall’intrinseca valenza meramente aziendalistica della prestazione (v. Cassazione 7207/05).
Per questo la giurisprudenza più avveduta riconosce l’esistenza di un’attività imprenditoriale, estranea all’area di attuazione dell’articolo 4, cit., in base al solo criterio della mera economicità di gestione, funzionalmente diretta all’equilibrio tra costi e ricavi, senza la necessità di includere il fine di lucro, che, come detto, giustifica l’esclusione dell’applicazione dell’articolo 18, cit., nel momento in cui non si evidenzia una consistenza imprenditoriale all’attività esercitata (da ultimo: Cassazione 10155/05).
Infine, quanto al secondo motivo, le certificazioni di crisi asmatiche riferite in ricorso, hanno avuto, in ordine al giudizio di totale inidoneità lavorativa del F., puntuale confutazione nelle relazioni del Ctu di primo e di secondo grado, secondo cui, complessivamente, “in assenza di specifici agenti eziologicamente allergizzanti…. lo scatenamento di crisi asmatiche si sarebbe fortemente ridotta utilizzando mezzi di protezione individuale” essendo l’ambiente di lavoro idoneo, «poiché ampiamente aerato e dotato di sistemi di aspirazione..» mentre dell’impossibilità di un suo repechage si accenna senza costrutto in sede di ricorso, che si limita a ricordare, senza fornire altri utili elementi di discussione, che «il provvedimento di recesso si era reso necessario per l’impossibilità di reperire una posizione lavorativa in grado di tutelare la professionalità del lavoratore in uno con le di lui condizioni di salute» (v. Cassazione 7207/05).
Premesso che costituisce principio condiviso dal Collegio l’insegnamento secondo cui, rientrando la valutazione delle risultanze probatorie nei compiti istituzionali del Giudice di merito, ove si siano resi necessari accertamenti tecnici, non possono essere prospettati al Giudice di legittimità temi nuovi di dibattito non tempestivamente affrontati nelle precedenti fasi e, in questo contesto, non possono, quindi, trovare ingresso le contestazioni mosse alle conclusioni del consulente tecnico e, per esse, alla sentenza impugnata che le abbia recepite in motivazione, deve essere sottolineato che le censure espresse in questa sede non denunciano una palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica o l’omissione di accertamenti strumentali dai quali non può prescindersi ai fini di una corretta diagnosi, limitandosi ad esprimere, sulla assoluta, o non, inidoneità del F. alla prestazione a causa delle crisi asmatiche, un «mero dissenso diagnostico, che si traduce in un’riammissibile critica del convincimento del giudice di merito che si sia fondato sulla consulenza tecnica». (v., tra le tantissime, Cassazione, 7341/04 e 24589/05).
D’altra parte, riguardando la situazione del F. una patologia, senza tuttavia inibire in modo assoluto e preclusivo la sua attività, come è emerso dalla Ctu, è appena il caso di osservare che lo stato di malattia rientra a pieno titolo nell’ambito d’applicazione dell’articolo 2110, Cc, secondo le persuasive considerazioni che si leggono, in motivazione, nella sentenza di questa Corte 15508/05, che il Collegio condivide, risalendo, tra l’altro, alla puntuale indicazione delle Sezioni unite civili (sentenza 2072/80) che aveva stabilito, rispetto ad ipotesi concernenti l’inidoneità assoluta della prestazione, la prevalenza fondamentale, nell’economia del rapporto di lavoro nel corso del quale s’innesti un processo morboso, dell’accennata disposizione, da leggere in trasparenza con il precetto costituzionale di diritto alla salute, con la conseguenza per il datore di lavoro, in caso di malattia del lavoratore da cui derivi l’impossibilità della prestazione, di non poter esercitare il recesso prima del compimento del periodo del ed. comporto.
Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.
Le spese processuali di questo giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alle spese che liquida in euro 46 e in euro 3500 per onorari, oltre Iva, Cpa e spese generali.

(omissis)