Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 19 Agosto 2008

Sentenza 02 luglio 2008, n.18174

Corte di Cassazione. Sezione Prima Civile. Sentenza 2 luglio 2008, n. 18174: “Ricongiungimento familiare di minore affidato in custodia Kafalah”.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Ugo VITRONE – Presidente –
Dott. Mario Rosario MORELLI – Rel. Consigliere –
Dott. Francesco Maria FIORETTI – Consigliere –
Dott. Maria Cristina GIANCOLA – Consigliere –
Dott. Marina TAVASSI – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’ AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis; – ricorrente –

contro

xxx – intimato –

avverso il decreto della Corte d’Appello di BRESCIA, depositato il 11/01/07;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/06/2008 dal Consigliere Dott. Mario Rosario MORELLI;
udito il P. M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Umberto APICE che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo e motivi della decisione

1. Il Ministero degli Affari Esteri impugna per cassazione il decreto in data 20 marzo 2007, della Corte di appello di Brescia, che ha respinto il suo reclamo avverso il precedente provvedimento del Tribunale di Bergamo che ha disposto il rilascio del visto (inizialmente negato dal Consolato d’Italia in Casablanca) al minore XXX», per il ricongiungimento familiare (in Italia), al cittadino marocchino XXX» e alla di lui moglie, ai quali il piccolo, in stato di abbandono, era stato affidato in custodia “Kafalah” dall’Autorità Marocchina.
Gli intimati non si sono costituiti.

2. Con i due connessi motivi di cui si compone l’odierna impugnazione il Ministero – nel denunciare (anche, non ritualmente, in termini di “vizi di motivazione”) la “violazione e falsa applicazione”, nella fattispecie, dell’art. 29 del d.lgs. n. 286/98, dalla Corte territoriale posto a base del decreto impugnato (in correlazione all’art. 20 della Convenzione di New York, sui diritti del fanciullo, del 20 novembre 1989) – formula conclusivamente (ex art. 366 bis c.p.c) il seguente quesito di diritto: se la kafalah di diritto islamico possa essere considerata rilevante al fine del ricongiungimento familiare ai sensi del predetto art. 29 d. Lgs. n. 286, nonostante la sua natura esclusivamente negoziale e l’assenza di ogni intervento giurisdizionale volto alla verifica dei presupposti di fatto della situazione di abbandono del minore e dell’idoneità dei kafil (o affadatari).

3. La tesi per cui al riferito quesito andrebbe data risposta negativa è sostenuta dall’Amministrazione ricorrente sulla base di un sillogismo argomentativo.
La cui premessa maggiore è costituita dalla presupposta “natura eccezionale” (“in linea con le politiche di contenimento della immigrazione”) dell’istituto del ricongiungimento familiare, che la richiamata disposizione dell’art. 29 d. Lgs. 286/98 (non suscettibile per ciò, a suo avviso, di interpretazione analogica od estensiva) circoscriverebbe ai soli specifici rapporti (di filiazione, adozione, affidamento e tutela) ivi testualmente elencati.
E la cui premessa minore si risolverebbe nell’assunto che a nessuno di tali rapporti – e non a quello in particolare dell’affidamento ex art. 4 1.184/1983 (cui a torto, quindi l’avrebbe ritenuta equipollente la Corte bolognese) – sia viceversa equiparabile, per la sua natura prettamente “negoziale”, quello di Kafalah.

4. Nessuna delle riferite premesse pare, però, condivisibile.

4/1. Quanto, in primo luogo, alla norma dell’art. 29 d. lgs. n. 286/98, vale, infatti, per questa, come per ogni altra, il canone ermeneutico, di chiusura, della esegesi costituzionalmente adeguata.
Laddove, ove plurimi, ed antagonisti, siano i valori costituzionali di riferimento (come, appunto, nel caso del ricongiungimento familiare, con riguardo al quale vengono in gioco, da un lato, l’esigenza di protezione dei minori e, dall’altro, la tutela democratica dei confini dello Stato), potrà considerarsi “adeguata” solo quella interpretazione, della norma ordinaria, che realizzi l’equo bilanciamento di tali superiori interessi, alla luce anche della scala, di valori presupposta dal Costituente.
Bilanciamento – questo – che con riguardo al t. u. sulle immigrazioni, la stessa Corte Costituzionale (Giudice naturale, in materia) ha già avuto appunto occasione di operare (in sede di controllo di legittimità di altre sue denunziate disposizioni), nel segno di una tendenziale prevalenza, del valore di protezione del minore, anche in relazione al minore straniero, rispetto a quelli di difesa del territorio e contenimento dell’immigrazione (cfr. sent.ze nn. 198 e 205/2003). Prevalenza che, a maggior ragione, appare peraltro coessenziale ad una esegesi costituzionalmente orientata della disciplina sul ricongiungimento, per lo specifico profilo che qui viene un rilievo, ove si consideri che – mentre ai “pericoli di strumentalizzazione ai fini di elusione della normativa in materia di immigrazione”, non irragionevolmente paventati dal Ministero ricorrente, può comunque porsi in qualche modo rimedio attraverso i controlli interni al complesso e articolato procedimento autorizzatolo che (previo nulla osta dello Sportello Unico per l’immigrazione e visto d’ingresso dell’autorità consolare) si conclude con il rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari – una pregiudiziale esclusione (come quella che pretende l’Amministrazione) del requisito per il ricongiungimento familiare per i minori affidati in “Kafalah”, penalizzerebbe (anche con vulnus al principio di eguaglianza) tutti i minori, dì paesi arabi, illegittimi, orfani o comunque in stato di abbandono, per i quali la kafalah è – come si dirà – l’unico istituto di protezione previsto dagli ordinamenti islamici,

4/2. Negli ordinamenti musulmani, infatti – stante la sancita illiceità di qualsiasi rapporto sessuale fuori dal matrimonio, l’esclusa giuridicità, ad ogni effetto, nei confronti del padre, dei figli naturali, e la considerazione di quelli adottati come “non veri figli” [Sura, XXXIII, versetto 4] – il dovere di fratellanza e di solidarietà, cui pure esorta il Corano [ivi versetto 5], è assolto, nei confronti dei minori illegittimi, orfani o comunque abbandonati, attraverso l’unico strumento, appunto, di tutela e protezione dell’infanzia, definito “Kafalah”. Mediante il quale il minore, per il quale non sia possibile attribuire la custodia ed assistenza (hadana) nell’ambito della propria famiglia (legittima), può essere accolto da due coniugi od anche da un singolo affidatario (kafil), che si impegnano a mantenerlo, educarlo ed istruirlo, come se fosse un figlio proprio, fino alla maggiore età, senza però che l’affidato (makful) entri a far parte, giuridicamente, della famiglia che così lo accoglie. Ogni singolo Paese di area islamica ha disciplinato, in maniera più o meno dettagliata, la Kafalah.
La quale – espressamente riconosciuta come istituto di protezione del fanciullo anche nella Convenzione di New York del 20 novembre 1989 (sub. art. 20) – è nella maggior parte delle legislazioni disposta con procedura giudiziaria, o previo accordo (tra affidanti e affidatari) comunque autorizzato da un Giudice, e con previsione di autorizzazioni, da richiedersi dal Kefil all’Autorità competente, per atti di particolare rilievo, come, tra l’altro, l’espatrio.
E ciò anche nel caso specifico del Marocco (cui appartengono il richiedente e la minore di cui si discute) , che ha regolato, con tali modalità, la kafalah (non espressamente menzionata nel Code du Statut personnel et successoral) nel (successivo) dahir portant loi n. 1-93-165 del 10 settembre 1993 e nell’ancor più recente d.p.l. n. 1-02-172 del 13 giugno 2002, intitolato alla “prise en charge des enfant abbandonnes”.

4/3. Venendo allora al secondo assunto dell’Avvocatura, non si vede (alla luce di una interpretazione costituzionalmente adeguata, come detto, della normativa di riferimento) come possa quindi pregiudizialmente escludersi, agli effetti del ricongiungimento familiare, l’equiparabilità della Kafalah islamica all’affidamento.
Atteso, in definitiva, che – fuori dai casi (per cui restano margini di dubbio ma diversi da quello in esame), in cui la Kafalah abbia base esclusivamente negoziale, in assenza dì controllo alcuno della autorità sull’idoneità dell’affidatario e l’effettività delle esigenze dell’affidamento – (quale invece previsto dallo Stato del Marocco) – tra la Kafalah islamica e il modello dell’affidamento nazionale prevalgono, sulle differenze, i punti in comune, non avendo entrambi tali istituti, a differenza dell’adozione, effetti legittimanti , e non incidendo, sia 1’uno che 1′ altro, sullo stato civile del minore; ed essendo anzi la Kafalah, più dell’affidamento, vicina all’adozione, in quanto, mentre 1’affidamento ha natura essenzialmente provvisoria, la Kafalah (ancorché ne sia ammessa la revoca) si prolunga tendenzialmente fino alla maggiore età dell’affidato.

4/4. Per cui, conclusivamente, può darsi risposta affermativa al quesito di diritto, come sopra formulato, ribadendo il principio – già enunciato con la recente sentenza n. 7427/08 – per cui la Kafalah di diritto islamico, come disciplinata (nella specie) dalla legislazione del Marocco, può fungere da presupposto per il ricongiungimento familiare, e dare titolo allo stesso, ai sensi, dell’art. 29, co. 2, d. lgs. n. 286/1998.

5. Il riferito principio non si pone in contrasto con la precedente sentenza n. 21395/2005 di questa stessa Sezione che (occupandosi, per la prima volta, dell’istituto della kafalah prevista dalla legge marocchina) ha bensì escluso il potere di rappresentanza legale dell’affidatario nei confronti di un makful espatriato in Italia (con riconoscimento della permanenza dì un siffatto potere in capo all’autorità del Marocco competente), ma ciò per il profilo esclusivamente processuale della (denegata) legittimazione autonoma del kafil (nella specie per altro rappresentato da una coppia italiana) ad opporsi alla dichiarazione dello stato di adattabilità del minore – mentre, sul piano sostanziale, anche quella sentenza ha a sua volta, riconosciuto che “la kafalah attribuisce agli affidatari un potere di custodia, a tempo sostanzialmente indeterminato, con i contenuti educativi di un vero e proprio affidamento preadottivo”.

5/1. Il ricorso va, pertanto, respinto.

6. Nulla deve disporsi per le spese di questo giudizio, non essendovi stata costituzione di controparte.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso.

Roma 10 giugno 2008

L’Estensore
Il Presidente

Depositato in Cancelleria il 2 luglio 2008