Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 2 Dicembre 2003

Sentenza 08 luglio 1993, n.7482

Cassazione. Sezioni unite. Sentenza 8 luglio 1993, n. 7482.

(Bile; Sensale)

Motivi della decisione

(omissis)

Con il primo motivo, i ricorrenti principali, ai sensi dell’art. 360 nn. 1,3 e 5 c.p.c. censurano la sentenza impugnata per motivi attinenti alla giurisdizione del giudice italiano; per violazione o falsa applicazione dell’art. 120 c.c., come richiamato ed integrato dagli artt. 12 e 16 della “legge matrimoniale” e dalla sentenza n. 32 del 1971 della Corte costituzionale; per contraddittorietà di motivazione.

Sostengono che essi avevano chiesto dichiararsi la nullità non del matrimonio canonico, riservata alla giurisdizione ecclesiastica, ma della sua trascrizione, attribuita alla giurisdizione italiana; e che la Corte d’appello, nel ritenere infondato il gravame contro la declaratoria del tribunale di difetto di giurisdizione, avrebbe errato nel ritenere proposte due domande, o quanto meno, nel non ritenere che esse erano unificate ai sensi dell’art. 184 c.p.c. oppure legate da un rapporto di continenza, omettendo di pronunziarsi sulla giurisdizione del giudice italiano in relazione alla seconda o riaffermando contraddittoriamente la propria giurisdizione, di fatto pronunziandosi su tale domanda.

All’esame della censura giova premettere che il tribunale, dopo avere interpretato l’originaria domanda di Gino Carpi come volta alla dichiarazione di nullità del matrimonio e dopo avere rilevato che gli eredi, oltre a ribadire tale domanda, avevano chiesto “in ogni caso” dichiararsi la nullità della trascrizione, dichiarò il proprio difetto di giurisdizione sulla domanda di nullità del matrimonio e, ritenuta implicitamente la giurisdizione sulla domanda formulata dagli eredi, la dichiarò improponibile, non essendo prosecuzione della domanda originaria.

Per contro la Corte d’appello, mentre confermò il difetto di giurisdizione in relazione alla domanda di nullità del matrimonio (e tale affermazione non è censurata, in sé, dai ricorrenti, per cui non può formare oggetto di riesame in questa sede), ritenne ritualmente proseguita, da parte degli eredi, la domanda di nullità della trascrizione, ritenendola contenuta in quella originariamente proposta da Gino Carpi, e la esaminò nel merito, con ciò affermando la propria giurisdizione su quella domanda, che del resto nessuno aveva contestato.

Quanto deducono i ricorrenti appare, per un verso, infondato e, per altro verso, inammissibile per carenza d’interesse ad impugnare tali statuizioni.

é, infatti, manifesto che la Corte d’appello, non incorse nel vizio di contraddittorietà di motivazione allorché, da un lato, confermò la declinatoria di giurisdizione, da parte del tribunale, con riguardo all’originaria domanda “letta” come volta alla dichiarazione di nullità del matrimonio canonico; dall’altro, affermando la proponibilità della domanda degli eredi di nullità della trascrizione (conformemente alla tesi degli odierni ricorrenti), si ritenne investito di giurisdizione in relazione a tale domanda, tanto da deciderla nel merito.

Ovvia l’estraneità dei ricorrenti alla declinatoria di giurisdizione sulla domanda di nullità del matrimonio; posto che assumono di non averla mai proposta, essi hanno ottenuto dalla Corte d’appello, in termini di qualificazione e proponibilità della domanda e di giurisdizione su di essa del giudice adito, ciò che avevano chiesto e non possono dolersi di una statuizione che, sul punto, è risultata loro favorevole.

Hanno, invece, interesse ad impugnare la statuizione di merito in ordine alla quale sono rimasti soccombenti. Ed è ciò che essi hanno fatto con il secondo motivo, denunciando violazione di legge e contraddittorietà di motivazione in relazione agli artt. 654 c.p.p. e 643 c.p., con riferimento all’art. 16 L. 27 maggio 1929 n. 847, come ampliato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 1971 nella materia regolata dall’art. 120 c.c.

Erroneamente la Corte d’appello avrebbe riconosciuto l’autorità del giudicato penale, costituito dalla sentenza di assoluzione, perché il fatto non sussiste, dell’Agostinis dal reato di circonvenzione d’incapace. Deducono, al riguardo, i ricorrenti che l’incapacità d’intendere e di volere, prevista come causa di nullità del matrimonio e della trascrizione, non costituisce identico oggetto d’accertamento in sede penale, poiché il reato di circonvenzione d’incapace si consuma con l’abuso dei bisogni, della passione e dell’inesperienza o dello stato d’infermità o deficienza psichica di una persona, anche se non interdetta o inabilitata, sì che l’esclusione dell’abuso non implica l’esclusione dell’incapacità. Inoltre, la Corte d’appello non avrebbe considerato che il giudice penale aveva motivato in assoluto contrasto con il parere reso dal collegio di consulenti tecnici da esso stesso nominato. Infine, la sentenza penale vincolerebbe il giudice civile limitatamente all’accertamento dei fatti materiali ma non impedirebbe il riesame ex novo della fattispecie ed una diversa valutazione giuridica. A ciò i ricorrenti aggiungono che la Corte d’appello, ritenuta la propria giurisdizione, avrebbe dovuto rimettere gli atti al primo giudice ai sensi dell’art. 353 c.p.c.

Tali censure sono infondate.

La Corte del merito ha insindacabilmente accertato, in punto di fatto, che al giudizio penale avevano partecipato anche gli eredi Carpi, il che rende vincolante nel giudizio civile, anche dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 55 del 22 marzo 1971, l’accertamento dei fatti materiali compiuto in sede penale (vedi sent. 20 dicembre 1976 n. 4688); e che l’assoluzione dell’Agostinis, perché il fatto non sussiste, fu basata sull’esclusione dell’incapacità del Carpi, desunta da una perizia d’ufficio, sì che, tale essendo il risultato dell’accertamento (vincolante in sede civile), la Corte d’appello non poteva sindacare le ragioni che avevano indotto il giudice penale a dare maggior credito alle conclusioni del primo perito rispetto alle critiche formulate dai periti delle parti civili e dal collegio dei periti nominato dallo stesso giudice.

Resta da stabilire se la malattia mentale costituisca “fatto materiale”, formante oggetto di accertamento vincolante per il giudice civile. A ciò questa Corte ha dato risposta affermativa con piú decisioni, a partire dalla più remota sentenza n. 90 del 18 gennaio 1943 alle sentenze n. 2302 del 14 luglio 1971, n. 2982 del 14 ottobre 1971 e n. 5248 del 30 luglio 1983, affermando l’efficacia vincolante in sede civile dell’accertamento sullo stato di capacità della parte lesa del reato di cui all’art. 643 c.p., che rileva in termini di fatto materiale, trattandosi di dato suscettibile di accertamento e verifica con gli appositi strumenti mediante un’operazione mentale non dissimile, salva la complessità e difficoltà, da ogni altra diretta ad acquisire nozione concreta della realtà esterna.

La sentenza impugnata si sottrae, dunque, alle censure sia di contraddittorietà di motivazione sia di violazione di legge. Né la Corte d’appello avrebbe dovuto rimettere, ai sensi dell’art. 353, comma 1 c.p.c. la causa al primo giudice, perché questo non aveva declinato la giurisdizione sulla domanda di nullità della trascrizione formulata dagli eredi, ma l’aveva dichiarata improponibile, ritenendo, diversamente da quanto ha poi affermato la Corte d’appello, che essa non fosse contenuta nella domanda originaria proposta da Gino Carpi.

(omissis)