Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Ordinanza 12 settembre 2018, n.22218/18

La Corte di Cassazione ha chiarito che può essere
dichiarata efficace nella Repubblica italiana la sentenza
ecclesiastica che dichiara la nullità del matrimonio per vizio
del consenso, qualora, dalle esternazioni fatte da un coniuge, anche
prima del matrimonio, all’altro fosse sicuramente chiara la
propria volontà di escludere l'indissolublità del
vincolo nuziale.
Nello specifico, le prove testimoniali
raccolte avevano confermato la consapevolezza della moglie in merito
alla posizione del marito e la possiblità di questa, anche
prima del matrimonio, di prendere coscienza delle volontà del
futuro coniuge.

Ordinanza 01 marzo 2017, n.5250

"(…) la convivenza triennale come coniugi, quale situazione
giuridica di ordine pubblico ostativa alla delibazione della sentenza
canonica di nullità del matrimonio, è oggetto di
un’eccezione in senso stretto, non rilevabile d’ufficio,
né opponibile dal coniuge, essendo caratterizzata da una
complessità fattuale strettamente connessa all’esercizio
di diritti, adempimento di doveri e assunzione di
responsabilità di natura personalissima".


(Fonte: www.renatodisa.com)

Ordinanza 03 settembre 2014, n.18627

Il recepimento materiale, nell’Accordo di modifica del
Concordato, della disciplina dettata dagli artt. 796 e 797 c.p.c.
comporta che, nell’ambito regolato da tale Accordo, le predette
disposizioni codicistiche continuino ad operare in tutta la loro
ampiezza (nonostante l'entrata in vigore della l.n. 218/1995).
Secondo il Giudice adito resta dunque fermo il principio, già
enunciato da Cass. n. 3345/97 e n. 12671/99, secondo cui i rapporti
fra giurisdizione ecclesiastica e giurisdizione civile sono
disciplinati sulla base di un "principio di prevenzione" in
favore di quest’ultima.

Sentenza 17 luglio 2014, n.16380

Ai fini specifici che rilevano in questa sede, ovvero la
composizione del contrasto giurisprudenziale in merito alla fatto se
la convivenza prolungata possa rappresentare una condizione di
violazione dell’ordine pubblico interno (ostativa dunque della
dichiarazione d’efficacia nell’ordinamento civile della
sentenza di nullità del matrimonio pronunciata dal giudice
ecclesiastico), il Collegio ritiene di potere prendere a riferimento
– in ragione delle strette analogie tra le due fattispecie
– i commi 1 e 4 dell’art. 6 della legge n. 184 del 1983
(Diritto del minore ad una famiglia) nel testo sostituito
dall’art. 6, comma 1 della legge n. 149 del 2001, secondo i
quali “L’adozione è consentita a coniugi uniti in
matrimonio da almeno tra anni". Al riguardo, la Corte
costituzionale, chiamata a pronunciarsi tra l’altro sulla
legittimità di tale disposizione originaria, nella parte in cui
disponeva che ai fini della adottabilità che i coniugi
potessero vantare anche una convivenza prematrimoniale di almeno 10
anni, ha sul punto precisato di appoggiare la “scelta adottata
dal legislatore italiano che, al pari di numerosi legislatori europei,
intende il matrimonio … non solo come ‘atto
costitutivo’ ma anche come ‘rapporto giuridico’,
vale a dire come vincolo rafforzato da un periodo di esperienza
matrimoniale, in cui sia perdurante la volontà di vivere
insieme”; ed ha dichiarato infine che “il criterio dei tre
anni successivi alle nozze si configura come requisito minimo
presuntivo a dimostrazione della stabilità del rapporto
matrimoniale” (n. 2 delle considerazioni in diritto, della
sentenza n. 281 del 1994): dalla lettura di tali disposizioni pare
evidente la loro possibile riferibilità alle fattispecie in
esame (in particolare, gli argomenti fondati sulla distinzione
matrimonio-atto e matrimonio rapporto, sulla valorizzazione della
convivenza coniugale con le caratteristiche di stabilità ed
omogeneità, e soprattutto sul criterio dei tre anni successivi
alle nozze). Ciò porta ad affermare che la convivenza dei
coniugi, protrattasi per almeno tra anni dalla celebrazione del
matrimonio, in quanto costitutiva di una situazione giuridica
disciplinata da norme di “ordine pubblico interno
italiano”, anche in applicazione dell'art. 7, comma 1 della
Costituzione e del principio supremo di laicità dello Stato,
osta alla dichiarazione di efficacia nella Repubblica Italiana delle
sentenze di nullità del matrimonio concordatario.


[così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio delle
Sezioni Unite Civili, il 3 dicembre 2013. Depositata in cancelleria il
17 luglio 2014]


cfr. in OLIR.it.
Corte
di Cassazione, Sezione I Civile, sentenza n. 1780 del 2012

Corte
di Cassazione. Sezione I Civile, sentenza n. 9844 del 2012

Corte
di Cassazione. Sezione I Civile, sentenza n. 8926 del 2012

Corte
di Cassazione, Sezione, I Civile, sentenza n, 1343 del 2011

Corte
di Cassazione. Sezioni Unite Civili. Sentenza 24 giugno – 18 luglio
2008, n. 19809

Sentenza 17 luglio 2014, n.16379

Ai fini specifici che rilevano in questa sede, ovvero la
composizione del contrasto giurisprudenziale in merito alla fatto se
la convivenza prolungata possa rappresentare una condizione di
violazione dell’ordine pubblico interno (ostativa dunque della
dichiarazione d’efficacia nell’ordinamento civile della
sentenza di nullità del matrimonio pronunciata dal giudice
ecclesiastico), il Collegio ritiene di potere prendere a riferimento
– in ragione delle strette analogie tra le due fattispecie
– i commi 1 e 4 dell’art. 6 della legge n. 184 del 1983
(Diritto del minore ad una famiglia) nel testo sostituito
dall’art. 6, comma 1 della legge n. 149 del 2001, secondo i
quali “L’adozione è consentita a coniugi uniti in
matrimonio da almeno tra anni". Al riguardo, la Corte
costituzionale, chiamata a pronunciarsi tra l’altro sulla
legittimità di tale disposizione originaria, nella parte in cui
disponeva che ai fini della adottabilità che i coniugi
potessero vantare anche una convivenza prematrimoniale di almeno 10
anni, ha sul punto precisato di appoggiare la “scelta adottata
dal legislatore italiano che, al pari di numerosi legislatori europei,
intende il matrimonio … non solo come ‘atto
costitutivo’ ma anche come ‘rapporto giuridico’,
vale a dire come vincolo rafforzato da un periodo di esperienza
matrimoniale, in cui sia perdurante la volontà di vivere
insieme”; ed ha dichiarato infine che “il criterio dei tre
anni successivi alle nozze si configura come requisito minimo
presuntivo a dimostrazione della stabilità del rapporto
matrimoniale” (n. 2 delle considerazioni in diritto, della
sentenza n. 281 del 1994): dalla lettura di tali disposizioni pare
evidente la loro possibile riferibilità alle fattispecie in
esame (in particolare, gli argomenti fondati sulla distinzione
matrimonio-atto e matrimonio rapporto, sulla valorizzazione della
convivenza coniugale con le caratteristiche di stabilità ed
omogeneità, e soprattutto sul criterio dei tre anni successivi
alle nozze). Ciò porta ad affermare che la convivenza dei
coniugi, protrattasi per almeno tra anni dalla celebrazione del
matrimonio, in quanto costitutiva di una situazione giuridica
disciplinata da norme di “ordine pubblico interno
italiano”, anche in applicazione dell'art. 7, comma 1 della
Costituzione e del principio supremo di laicità dello Stato,
osta alla dichiarazione di efficacia nella Repubblica Italiana delle
sentenze di nullità del matrimonio concordatario.

[Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio delle Sezioni
Unite Civili, il 3 dicembre 2013. Depositata in cancelleria il 17
luglio 2014]


Si veda:
Ordinanza interlocutoria 14 gennaio 2013, n. 712


cfr. in OLIR.it.

Sentenza 19 maggio 2014, n.10956

Nel procedimento di delibazione la domanda che una delle parti
introduce con citazione (come richiesto dall'art. 4, lett. b), del
protocollo addizionale all'accordo tra Repubblica italiana e Santa
Sede del 18 febbraio 1984, esecutivo con L. 25 marzo 1985, n. 121)
dinanzi alla Corte di appello è soggetta alle regole del
procedimento ordinario, ivi comprese quelle relative al termine di
comparizione di cui all'art. 163 bis c.p.c.
Tale norma,
allo scopo di assicurare il diritto di difesa della controparte,
impone infatti che fra la data della notificazione della citazione e
la data della prima udienza di comparizione trascorra un congruo
termine (dilatorio) minimo, pari a 90 giorni, tenendo conto per
consolidato orientamento giurisprudenziale anche della sospensione
feriale dei termini processuali (Nel caso specie, non essendo stato
osservato il termine di novanta giorni liberi, poichè nel
relativo computo veniva calcolato anche il periodo di sospensione
feriale dei termini processuali, la Suprema Corte ha accolto il
ricorso e rinviato alla Corte d'Appello).

Sentenza 18 settembre 2013, n.21331

La delibazione della pronuncia ecclesiastica dichiarativa della
nullità del matrimonio non costituisce un elemento sopraggiunto, in
grado di incidere sul provvedimento economico contenuto nella sentenza
di divorzio. La revisione (che è ipotesi diversa da quella della
estinzione del diritto all’assegno divorzile per nuove nozze o morte
del beneficiario) trova, infatti, la sua naturale giustificazione solo
in un mutamento delle condizioni economiche degli ex coniugi, tale da
non rendere più attuali le ragioni giustificative dell’imposizione
di un assegno divorzile ovvero della misura fissata nella sentenza di
divorzio.

Ordinanza interlocutoria 14 gennaio 2013, n.712

Afferma la Sezione I Civile della Cassazione, nella sentenza n.
1343/2011 [https://www.olir.it/documenti/index.php?documento=5571], che
la prolungata convivenza tra i coniugi rappresenta condizione ostativa
alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del
matrimonio concordatario laddove si sia tradotta in un rapporto
corrispondente alla durata del matrimonio o comunque ad un periodo di
tempo considerevole dopo la celebrazione del matrimonio e la scadenza
del termine per l’impugnativa del matrimonio-atto. La costruzione
esegetica, che assume a dato dirimente la durata del matrimonio intesa
quale convivenza prolungata dei coniugi successivamente alla
celebrazione del matrimonio, richiamando espressamente il dettato
delle S.U. n. 19809 del 18 luglio 2008
[https://www.olir.it/documenti/index.php?documento=4915], rileva che
l’ordine pubblico interno matrimoniale manifesta il “favor” per la
validità del matrimonio, quale fonte del rapporto familiare incidente
sulla persona e oggetto di rilievo e tutela costituzionali. A questo
orientamento si è sostanzialmente uniformata la sentenza n. 9844/2012
[https://www.olir.it/documenti/index.php?documento=5898], in un caso in
cui la sentenza del tribunale ecclesiastico aveva dichiarato la
nullità del matrimonio concordatario per difetto di consenso,
assumendo tale vizio psichico a condizione d’inettitudine del
soggetto ad intendere i diritti ed i doveri del matrimonio al momento
della manifestazione del consenso, sostanzialmente conforme
all’ipotesi di invalidità contemplata dall’art. 120 c.c.,
sostenendo all’esito che la durata ventennale del matrimonio
prospettata dalla ricorrente come impeditiva della delibazione non
rilevava nella specie, essendosi la medesima ricorrente limitata a
porre in evidenza solo detto elemento temporale, e non l’effettiva
convivenza dei coniugi nello stesso periodo, che in ogni caso avrebbe
dovuto essere dedotta e provata in sede di delibazione. Anche la
sentenza della Cass. n. 1780 del 2012
[https://www.olir.it/documenti/index.php?documento=5784] ha aderito al
richiamato arresto, con la distinzione concettuale ad esso sottesa tra
matrimonio atto e matrimonio rapporto, pur escludendo nella specie
l’instaurazione di un matrimonio-rapporto duraturo e radicato. Si
è invece consapevolmente discostata da tale orientamento la sentenza
della Cassazione n. 8926 del 2012
[https://www.olir.it/documenti/index.php?documento=5897] che, in un
caso in cui era accertato il vizio simulatorio di uno degli sposi, ha
escluso che la convivenza dei coniugi successiva alla celebrazione del
matrimonio, che pur nella specie considerata si era protratta per
oltre trent’anni, “esprima norme fondamentali che disciplinano
l’istituto del matrimonio e, pertanto, non è ostativa, sotto il
profilo dell’ordine pubblico interno, alla delibazione della sentenza
ecclesiastica di nullità del matrimonio canonico” (nel solco
tracciato dal precedente delle S.U. n. 4700/1988
[https://www.olir.it/documenti/index.php?documento=4023]). Ed invero,
prosegue nella motivazione la sentenza n. 8926/2012, “considerata la
natura dei rapporti fra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica,
disciplinati da accordi il cui valore, nell’ambito del principio di
bilateralità, è consacrato nell’art. 7 Cost., comma 2, che fornisce
copertura costituzionale anche agli accordi successivi ai Patti
Lateranensi, ivi espressamente indicati”, e pur nel vigore della L. 25
marzo 1985 n. 121 che ha dato esecuzione all’accordo di modificazioni
ed al protocollo addizionale del 18 febbraio 1984 tra la Santa Sede e
l’Italia, “restando attribuita in via esclusiva al tribunale
ecclesiastico la cognizione sull’invalidità del matrimonio
concordatario, siccome disciplinato nel suo momento genetico dalla
legge canonica”, la Corte d’appello, chiamata in sede di delibazione
ad attribuirne efficacia nel nostro territorio, è tenuta a trovare un
punto di equilibrio nelle non poche ipotesi di divergenza tra il
diritto canonico e quello civile. Di qui la necessità di delimitare
il concetto di “ordine pubblico interno” circoscrivendolo al caso
in cui si ravvisi una contrarietà ai canoni essenziali cui secondo
l’ordinamento interno è improntata la struttura dell’istituto
matrimoniale, tra i quali non si annovera l’instaurazione del
“matrimonio-rapporto” e la stabilità ad esso attribuita dalla
previsione dell’art. 123 comma 2 c.c. La tesi ivi propugnata si
colloca, dunque, in una cornice interpretativa del tutto contrastante
con quella fondante la sentenza n. 1343/2011 e la composizione del
rilevato contrasto, ad avviso della Suprema Corte adita, deve pertanto
essere rimessa alle Sezioni Unite della Cassazione, così come la
definizione delle ulteriori questioni originate dalle riferite opzioni
interpretative allo stato irrisolte.

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La Redazione di OLIR.it ringrazia per la segnalazione del documento
Settimio Carmignani Caridi, Università degli Studi di Roma “Tor
Vergata”, Segretario generale della Consociatio Internationalis
Studio Iuris Canonici Promovendo

Sentenza 15 giugno 2012, n.9844

In tema di delibazione della sentenza di un tribunale ecclesiastico
dichiarativa della nullità di un matrimonio concordatario, per
difetto di consenso, la situazione di vizio psichico (defectum
discretionis iudicii) da parte di uno dei coniugi, assunta in
considerazione dal giudice ecclesiastico siccome comportante
inettitudine del soggetto ad intendere i diritti ed i doveri del
matrimonio al momento della manifestazione del consenso, non si
discosta sostanzialmente dall’ipotesi di invalidità contemplata
dall’art. 120 c.c., cosicchè è da escludere che il riconoscimento
dell’efficacia di una tale sentenza trovi ostacolo nei principi
fondamentali dell’ordinamento italiano.

Quanto alla rilevanza della durata ventennale del matrimonio (
prospettata dalla ricorrente nel caso di specie) con riferimento
all’orientamento della  Corte secondo cui è ostativa alla
delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio
concordatario la convivenza prolungata dai coniugi successivamente
alla celebrazione del matrimonio, in quanto essa è espressiva di una
volontà di accettazione del rapporto che ne è seguito, con cui è
incompatibile, quindi, l’esercizio della facoltà di rimetterlo in
discussione, altrimenti riconosciuta dalla legge (Cass. 2011/1343),
osserva il collegio che il principio giurisprudenziale richiamato
attribuisce rilievo, quale situazione ostativa alla delibazione della
sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario, alla
convivenza prolungata dei coniugi successivamente alla celebrazione
del matrimonio e non alla semplice durata del matrimonio medesimo.