Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 21 Ottobre 2008

Ordinanza 09 aprile 2008, n.245

Tribunale di Savona. Ordinanza 9 aprile 2008, n. 245: “Omessa inclusione del convivente more uxorio fra i beneficiari di permessi retributi per l’assistenza a persona con handicap grave”.

IL TRIBUNALE

A scioglimento della riserva che precede assunta in data 4 marzo 2008, visti gli atti del procedimento R.G. LAV. n. 729/A/2007 promosso da G.M.. (avv. Massimo Piccone Casa) contro INPS Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (avv. Giuseppe Iovino e Rita Pisanu).

Rilevato in fatto

G. M. ha sollevato questione di legittimita’ costituzionale dell’art. 33, comma 3 della legge n. 104/1992 in relazione agli artt. 2, 3 e 32 della Costituzione rilevando quanto segue: e’ dipendente della Cooperativa corrente in Savona; con istanza datata 6 aprile 2007 ha richiesto all’INPS sede di Savona, di potere usufruire per l’anno 2007 dei premessi mensili di cui all’art. 33, comma 3 della legge n. 104/1992 e succ. mod. in relazione allo stato di handicap grave da cui e’ affetto il signor P.C., nato in Savona il ………., con il quale convive da anni e da cui ha avuto il figlio N., nato in Savona il ………….. l’INPS ha respinto l’istanza di cui sopra indicando che il signor P. non era ne’ parente, ne’ affine entro il terzo grado della G., ma soltanto convivente;
L’art. 33 comma 3 della legge n. 104/1992 prevede, tra l’altro, che «(. . .) colui che assiste una persona con handicap in situazione di gravita’, parente o affine entro il terzo grado, convivente» ha «diritto a tre giorni di permesso mensile coperti da contribuzione figurativa, fruibili anche in maniera continuativa a condizione che la persona con handicap in situazione di gravita’ non sia ricoverata a tempo pieno»;
L’art. 2 del d.l. 27 agosto 1993, n. 324, convertito dalla legge 27 ottobre 1993, n. 423, ha chiarito poi che le parole «hanno diritto a tre giorni di permesso mensile» devono interpretarsi nel senso che il permesso mensile deve essere comunque retribuito;
Ha sostenuto la G. che pur avendo l’Istituto fatto corretta applicazione della norma, si debba ritenere che essa violi la Carta costituzionale in quanto: la parola handicap esprime la situazione di oggettiva difficolta’ in cui viene a trovarsi (in un rapporto spazio/temporale) il portatore di deficit (fisico o mentale) nel processo di integrazione nella comunita’ (organizzata per sua natura secondo standard di potenzialita’ o di prestazioni «normali»);
La funzione della legge n. 104/1992 e’ stata proprio quella di tutelare i diritti (anche) dei portatori di handicap promuovendone l’integrazione e l’inserimento sociale, in attuazione di principi fissati nella Carta costituzionale (e interpretati secondo l’evoluzione della sensibilita’ nel tempo) conferendo concreta attuazione a quei diritti inviolabili dell’uomo sanciti nella Costituzione italiana (all’art. 2, con riferimento al diritto/dovere inderogabile di solidarieta’ sociale; all’art. 3, ove vengono riconosciute pari opportunita’ a tutti; all’art. 32, che tutela la salute; all’art. 38 che sancisce il diritto dell’inabile all’assistenza sociale), ma anche nell’art. 25 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (New York, 10 dicembre 1948) e nell’art. 12 del Patto Internazionale dei Diritti economici, sociali e culturali (approvato dall’Assemblea Generale della Nazioni Unite e ratificato dall’italia in forza della l. n. 881/1977);
La legge n. 104/1992 (nel rafforzare le azioni tese a sostenere il disabile e il suo nucleo familiare, a migliorarne le condizioni, ad evitarne il ricovero in istituto) ha individuato nella famiglia il luogo primario delle relazioni quotidiane che regolano la vita del disabile;
La famiglia svolge, invero, un ruolo essenziale nei confronti del disabile, ricoprendo una molteplicita’ di funzioni e quella di riferimento della legge n. 104/1992 non e’ la famiglia nucleare (che trova specifici riconoscimento e tutela nell’art. 29 Cost.), ne’ quella parentale, ma la convivenza di un aggregato esteso a comprendervi finanche gli affini;
Risulterebbe, pertanto, evidente la volonta’ del Legislatore di permettere l’attuazione di quei diritti richiamati, ivi compreso il dovere di solidarieta’ sociale di cui all’art. 2 Cost., attraverso il piu’ esteso numero di figure soggettive, anche al di fuori della cerchia della famiglia legittima, purche’ con il disabile abitualmente conviventi (cosi’ riconducendo l’attuazione di quei diritti nell’ambito della protezione, offerta anch’essa dall’art. 2, dei diritti inviolabili dell’uomo nelle formazioni sociali nelle quali si svolge la sua personalita);
Se tale e’ la ratio legis, risulterebbe irragionevole che nell’elencazione dei soggetti aventi diritto ai permessi mensili di cui all’art. 33 della legge n. 104/1992 non compaia chi sia legato more uxorio nella stabile convivenza con una persona portatrice di handicap grave;
Costituitosi in giudizio, l’INPS non ha contestato ne’ l’effettivita’ della situazione di convivenza tra la G. ed il P., ne’ l’esistenza della grave situazione di handicap di cui il P. risulta essere portatore e si e’ rimesso sulla richiesta diremissione degli atti alla Corte costituzionale, evidenziando di essersi limitato, nel caso specifico, all’applicazione letterale dell’art. 33, comma 3 della legge n. 104/1992.

Rilevato in diritto

Ritiene il giudice del lavoro che la sollevata questione risulti rilevante ai fini del decidere poiche’ l’oggetto del presente giudizio consiste nella richiesta della ricorrente dell’accertamento del proprio diritto ad usufruire dei permessi mensili retribuiti e coperti da contribuzione figurativa, permessi di cui al citato art. 33, comma 3 della legge n. 104/1992 in relazione allo stato di handicap del convivente, ora, secondo 1’INPS, non concedibili, in base ad un’ineccepibile interpretazione letterale della norma.
Inoltre la questione appare non manifestamente infondata in riferimento agli artt. 2, 3, e 32 della Costituzione.
In particolare pare condivisibile l’impostazione della ricorrente secondo cui l’art. 33, comma 3 della legge n. 104/1992 violerebbe l’art. 3 della Costituzione per la contraddittorieta’ logica della esclusione proprio di un convivente dalla previsione di una norma che intende tutelare le persone con handicap (in situazione di gravita’) abitualmente conviventi: quando il legislatore, nel contesto della legge n. 104/1992 rubricata «Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate», all’art. 33 detta le «agevolazioni» che spettano a colui che assiste una persona in stato di handicap grave (ovvero, in ultima analisi, le agevolazioni che spettano alla persona handicappata) esprime il dovere collettivo di consentire l’adempimento del dovere inderogabile di solidarieta’ sociale, dovere che connota da un canto la forma costituzionale di Stato sociale e, dall’altro, riconosce un diritto collocabile fra quelli inviolabili dell’uomo.
Mentre altrove il Legislatore ha discriminato la famiglia fondata sul matrimonio da forme di convivenza more uxorio poiche’ queste ultime sono fondate esclusivamente sulla affectio quotidiana – liberamente e in ogni istante revocabile – di ciascuna delle parti e si caratterizzano per l’inesistenza di quella stabilita’ e certezza, nonche’ di quei diritti e doveri reciproci, sia personali che patrimoniali, che nascono dal matrimonio, tale discriminazione non pare potere essere nel presente caso giustificata.
La mancata inclusione del convivente more uxorio fra i soggetti beneficiari dell’assistenza (cui e’ subordinato il diritto ai permessi per cui e’ causa) non sembra trovare allora una sua ragionevole giustificazione, poiche’ i permessi previsti dalla legge non si ricollegano geneticamente ad un preesistente rapporto giuridicamente rilevante: rispetto al bene primario della salute (l’assistenza e’ una forma di tutela della salute della persona gravemente handicappata) che la ratio legis salvaguarda, il titolo della convivenza, in forza di rapporto parentale (indipendentemente dal grado) o di affinita’, oppure di convivenza more uxorio, non puo’ avere effetto discriminatorio senza vulnerare ancora una volta sia l’art. 32 Cost., sia il combinato disposto degli artt. 2 e 3 della Costituzione nella configurazione in precedenza richiamata.
D’altra parte agli argomenti sopra esposti non pare potersi obiettare che l’elencazione normativa delle categorie aventi titolo ai permessi dovrebbe essere ispirata al criterio della certezza delle situazioni giuridiche, mentre attribuire tali permessi anche in ipotesi di assistenza al mero convivente more uxorio richiederebbe una verifica di fatto in ordine al requisito della convivenza, e comporterebbe la rinuncia al citato principio di certezza delle situazioni giuridiche che, al contrario, dovrebbe trovare nel diritto previdenziale la piu’ rigorosa attuazione data anche la sua incidenza sugli equilibri della spesa pubblica: detta obiezione che e’ stata proposta in ipotesi in cui, sempre con riferimento alla convivenza more uxorio, si era sostenuta la legittimita’ costituzionale di altre norme (in tal senso, da ultimo, sentenza n. 461/2000 con cui la Corte costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimita’, sollevata con ordinanza 27 dicembre 1999 del Tribunale di Taranto, dell’art. 13 del r.d. n. 636/1939 – Modificazioni delle disposizioni sulle assicurazioni obbligatorie per l’invalidita’ e la vecchiaia, per la tubercolosi e per la disoccupazione involontaria e sostituzione dell’assicurazione per la maternita’ con l’assicurazione obbligatoria per la nuzialita’ e la natalita’ – nella parte in cui non include il convivente more uxorio tra i soggetti beneficiati del trattamento pensionistico di reversibilita) non si attaglia al caso esaminato in quanto l’art. 33, comma 3 della legge n. 104/1992 e’ volto ad assicurare al Convivente more uxorio non un trattamento pensionistico e/o comunque di natura patrimoniale che viene in essere una volta cessata la situazione di convivenza, ma un permesso di assentarsi dal lavoro che, sebbene retribuito, ha la finalita’ di garantire, anche e soprattutto, la tutela del soggetto portatore di handicap, per favorirne l’assistenza.
In ogni caso, abundantiam, va rilevato come nell’ipotesi esaminata il rapporto di convivenza (fra l’altro rafforzato dalla circostanza che da esso sia stato generato un figlio) risulti per tabulas sulla base della documentazione prodotta e non sia stato neppure posto in contestazione.
In conclusione nel presente caso il principio piu’ volte richiamato dalla Corte costituzionale per il quale la convivenza more uxorio rappresenta l’effetto di una libera scelta a fronte delle regole costruite dal Legislatore per il matrimonio e da cui consegue l’impossibilita’ di estendere alla famiglia di fatto anche le regole processuali o sostanziali proprie dell’istituto matrimoniale o che ad esso, direttamente od indirettamente, si ricollegano, sembra trovare attenuazione per i motivi sopra esposti nel caso sottoposto all’attenzione di questo Giudicante ed appare necessario sottoporre la questione all’esame della Corte.

P. Q. M.

Visto l’art. 23 della legge n. 87/1953;
Dichiara non manifestamente infondata e rilevante la questione di legittimita’ costituzionale dell’art. 33, comma 3 della legge n. 104/1992 in relazione agli artt. 2, 3 e 32 della Costituzione.
Dispone la sospensione del presente giudizio con immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
Manda alla cancelleria a provvedere alla notifica della presente ordinanza al signor Presidente del Consiglio dei ministri ed alla comunicazione ai signori Presidenti delle due Camere del Parlamento.
Si comunichi alle parti.

Savona, addi’ 8 aprile 2008
il giudice del lavoro: Acquarone