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    Pronuncia 07 novembre 1995, n.219

    Offesa al sentimento religioso.

    Data: 07 novembre 1995
    Autore:
    Giurì di autodisciplina pubblicitaria
    Argomento:
    Pubblicità
    Nazione:
    Italia
    Parole chiave:
    Pubblicità, Convinzioni religiose, Esclusione, Offesa, Utilizzazione, Lessico religioso, Contesto commerciale
    La volgarizzazione del dato religioso attuata attraverso l’utilizzazione del lessico del mondo religioso, in un contesto commerciale, non costituisce offesa delle convinzioni religiose dei cittadini. Il parametro di valutazione di ciò che deve ritenersi offensivo deve ricomprendere sia l’evoluzione del senso comune sia i principi fondamentali della religione. La concezione liberale accolta dal codice e ribadita nella giurisprudenza del Giurì consente di considerare non offensiva la pubblicità che, pur utilizzando riferimenti religiosi, non si appropria di elementi che sono considerati dalla generalità dei cittadini avvolti dalla sacralità.

    Giurì di autodisciplina pubblicitaria. Pronuncia 7 novembre 1995, n. 219.

    (Armani; Ubertazzi)

    (omissis)

    La tutela dell’art. 10 si esprime verso le convinzioni religiose dei cittadini, senza estendersi alla innocua volgarizzazione del dato religioso; il parametro di valutazione di ciò che deve ritenersi offensivo, pertanto, deve poter ricomprendere sia l’evoluzione del comune senso religioso sia, imprescindibilmente, i principi fondamentali, i dogmi, della religione che sono alla base dell’atto di fede. Al di sotto di questa soglia tutelata dall’Autodisciplina, la concezione liberale accolta dal Codice e ribadita nella giurisprudenza del Giurì (1988/173/3) consente di considerare non offensive le pubblicità che, pur utilizzando riferimenti religiosi, non si appropriano di elementi “che sono considerati dalla generalità avvolti nella sacralità”.

    (omissis)

    La fraseologia religiosa è del resto, ormai, componente del linguaggio comune, senza che ciò susciti scandalo ove sia utilizzata anche in contesti commerciali: esiste un formato di pasta che si chiama “avemarie”; un noto ristorante si fregia dell’insegna “i dodici apostoli”; di un poveretto si commenta “che è mezzo in chiesa”; e poi si dice “il battesimo dell’aria”, “il diavolo e l’acquasanta”, “un povero Cristo”, “tutti i salmi finiscono in Gloria”, “guidare da Dio”.

    Tutelare ogni accezione religiosa in senso lato, vorrebbe dire, per il Giurì, farsi partecipe delle convinzioni personalissime di qualsiasi cittadino e, quindi, proteggere anche il senso “religioso” di chi si professa integralista o persino adepto di satana.

    All’Autodisciplina pubblicitaria non si può dare il carico di salvaguardare la patologia o l’ottica individuale nel sentire la religione, dovendo limitare il proprio intervento, se richiesto, alla miglior difesa dei valori religiosi storici generalmente condivisi.

    Nel caso in esame, d’altra parte, mentre il messaggio pubblicitario, ad avviso del Giurì, non può obbiettivamente essere considerato blasfemo o espressione di vilipendio, o dissacrante nei limiti di competenza dell’art. 10, la volgarizzazione pubblicitaria del lessico religioso può certamente ferire la sensibilità individuale, come provano gli scritti prodotti dal Comitato di Controllo. Tuttavia, quello della sensibilità individuale, ma anche dei limiti del buon gusto, o del fastidio personale e dell’indignazione circoscritta, è un territorio che il Giurì deve ritenere al di fuori del proprio ambito di dovuta tutela e nell’ambito del quale il giudizio finale non può che essere espresso dalla risolutiva risposta d’acquisto, positiva o negativa, del consumatore.

    (omissis)

    P.Q.M.

    “Il Giurì, esaminati gli atti e sentite le parti, dichiara che la pubblicità denunciata non è in contrasto con gli artt. 10 e 1.

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