Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

Olir

Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 24 Settembre 2003

Sentenza 03 febbraio 1993, n.1320

Cassazione. Seconda Sezione. Sentenza 3 febbraio 1993, n. 1320.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE II CIVILE ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da MONTEFUSCO TOMMASO, MONTEFUSCO FIORE, MONTEFUSCO FILIPPO, MONTEFUSCO ORAZIO, VERONESE BAUDOLINO e VERONESE CARLA, gli ultimi due nella qualità di eredi di MONTEFUSCO DOMENICA, tutti elettivamente domiciliati in Roma, Via A. Fusco n. 95, presso l’avv. Carlo M.D’Acunti, rappresentati e difesi dall’avv. Aldo Marzano per delega amargine del ricorso. Ricorrenti contro COMUNE DI SALERNO, in persona del Sindaco pro tempore, legale rappresentante, elettivamente domiciliato in Roma, via C. Mirabellon. 23, presso l’avv. Corrado Figliuzzi, rappresentato e difeso dall’avv. Domenico Narni Mancinelli per delega a margine del controricorso. Controricorrente nonché contro TRAPANESE ANTONIO. Intimato Per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Salerno n.242 del 13.10-29.10.88. Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dell’11.2.92 dal Cons. Rel. Dott. Vella. Udito per i ricorrenti l’Avv. Carlo Mario D’Acunti (con delegadell’avv. Marzano) che ha chiesto l’accoglimento del ricorso. Udito per il resistente l’avv. Narni Mancinelli che ha chiesto il rigetto del ricorso.Udito il P.M., in persona del Sost. Proc. Gen. Dott. Sergio Lanni,che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Ritenuto in diritto

Con il primo motivo si denunzia la violazione degli artt. 692, 697 e 1362 ss. del codice civile, in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 del codice di procedura civile, e si censura la sentenza impugnata deducendosi che la Corte d’appello ha ritenuto che Francesco Montefusco abbia voluto lasciare alla madre il solo usufrutto dell’appartamento di via Gaeta e dei terranei di via Somma, e la nuda proprietà degli stessi all’Orfanotrofio, per avere erroneamente interpretato con criteri logici-sistematici il testamento, in particolare attribuendo rilevanza a un presunto turbamento dell’animo del “de cuius”, che sarebbe stato dominato dalla piena consapevolezza della sua morte imminente, e al comportamento tenuto dai destinatari delle disposizioni.
In proposito, si sostiene, invece, che le chiare e univoche espressioni adoperate (“I beni passeranno in proprietà all’Ente alla morte di mia madre”) e la discreta cultura giuridica, specie in tema di diritti reali, dallo stesso giudice d’appello riconosciuta al Montefusco, avrebbero dovuto indurre a ritenere che sua intenzione era stata quella di effettuare una duplice istituzione, in ordine successivo vietata (sostituzione fidecommissoria), intenzione che non si sarebbe potuta negare facendo riferimento all’irrilevante condotta dei destinatari dei lasciti e al turbamento dell’animo, che, se effettivamente esistente, avrebbe dovuto caratterizzare l’intero negozio “mortis causa”.
La censura è infondata.
Contrariamente a quel che sostengono i ricorrenti, la Corte d’appello ha adeguatamente e logicamente motivato la propria decisione osservando, innanzi tutto, che nel caso in cui il testatore assegni a una persona l’usufrutto e a un’altra la nuda proprietà di uno stesso bene, non si ravvisano gli estremi della sostituzione fedecommissoria vietata (art. 692 cod. civ.), perché per la sua sussistenza si richiedono la duplice delazione, l’ordine successivo delle chiamate e l’obbligo per l’istituito di conservazione e restituzione dei beni alla sua morte a favore di altro soggetto. Ciò premesso, ha affermato che Francesco Montefusco aveva voluto lasciare alla madre il solo diritto d’usufrutto della abitazione di via Gaeta e dei terranei di via Somma e all’Orfanotrofio la nuda proprietà degli stessi, avendo ritenuto, con incensurabile apprezzamento di fatto, che della sostituzione fidecommissoria, oltre a mancare la duplice disposizione dei beni a favore di due persone diverse chiamate a succedere l’una dopo l’altra, non era stato neanche previsto l’obbligo per Settimia Montefusco di conservare i beni affinché fossero devoluti alla sua morte all’Orfanotrofio. E, al riguardo, ha rilevato che un primo elemento probatorio dell’assenza della sostituzione fidecommissoria si desumeva dal fatto che nella scheda testamentaria i beni oggetto della controversia non erano compresi tra quelli che il Montefusco aveva espressamente destinati in proprietà alla genitrice; e che l’intenzione di lasciare un bene a una persona, sia pure limitatamente alla durata della sua vita, occorre manifestarla in modo chiaro, il che Francesco Montefusco aveva fatto, ma, avendo una superficiale conoscenza dei diritti reali, solo dichiarando di destinare la proprietà dei suddetti immobili all’Orfanotrofio dopo la morte della madre, mentre se avesse voluto costituire lo stesso diritto di proprietà in ordine successivo, prima a favore della genitrice e poi all’ente, lo avrebbe certamente detto. Inoltre, per la Corte, la mancata esplicitazione della volontà del testatore di attribuire il diritto d’usufrutto alla madre fino alla di lei morte, si giustificava ampiamente considerando che la donna era già nella materiale disponibilità dei beni in questione, e che il Montefusco, facendo dipendere l’acquisto della piena proprietà degli immobili da parte dell’ente dalla morte della genitrice, aveva implicitamente voluto che di essi la medesima avesse il godimento a titolo di usufrutto fino al verificarsi del menzionato evento. E tale conclusione che, in base agli stessi argomenti, è stata accolta anche con riguardo al lascito disposto a favore della ragazza madre, era confermata, ad avviso del giudice d’appello, dallo stesso comportamento tenuto dall’esecutore testamentario e dagli eredi Montefusco, i quali nelle denunzie di successione di Francesco e di Settimia non avevano incluso i beni oggetto della controversia tra quelli che erano stati a quest’ultima trasferiti espressamente in proprietà.
Con il secondo motivo si denunzia la violazione degli artt. 1 della legge 5 giugno 1850 n. 1037, 15 e 25 del D.P.R. 24 luglio 1977 n. 616 e 100 del codice di procedura civile, in relazione all’art. 360 n. 3 di quest’ultimo codice e si censura la sentenza impugnata deducendosi che la Corte d’appello ha erroneamente respinto per difetto d’interesse l’istanza dei ricorrenti di disapplicazione del provvedimento con cui la Regione Campania aveva disposto il trasferimento al Comune di Salerno del patrimonio dell’Orfanotrofio (per la parte relativa ai beni al medesimo lasciati da Francesco Montefusco), perché non ha considerato che la disapplicazione “era strumentale alla ricostruzione dell’asse ereditario sul quale concorrevano gli istanti”.
Si aggiunge che l’acquisto del lascito, da parte dell’Orfanotrofio, era inefficace, essendo stata l’autorizzazione a tale acquisto rilasciata dal Presidente della Giunta della Regione Campania ai sensi dell’art. 15 del D.P.R. n. 616 del 1977, sul presupposto che l’Orfanotrofio fosse un ente pubblico locale dipendente dalla Regione, mentre si sarebbe dovuto ritenere che la competenza a concedere l’autorizzazione spettava agli organi dello Stato, in quanto l’Orfanotrofio era, invece, una persona giuridica pubblica infraregionale (riconosciuto con D.P.R. 13.4.1971); in ogni caso, l’autorizzazione avrebbe dovuto essere preceduta dal parere obbligatorio del Consiglio di Stato, anche se l’Orfanotrofio avesse avuto natura di persona giuridica di diritto privato.
Le censure sono tutte infondate.
Infatti, correttamente è stato escluso l’interesse degli eredi Montefusco in ordine alla questione della legittimità del trasferimento disposto dalla Giunta della Regione Campania dall’Orfanotrofio al Comune di Salerno dei beni oggetto del lascito dal loro congiunto fatto a favore del primo, giacché per i Montefusco sussisteva l’interesse a divenire titolari dei menzionati beni, come rilevato anche dalle azioni giudiziarie da loro promosse, mentre era del tutto irrilevante che gli stessi beni entrassero a fare parte del patrimonio dell’Orfanotrofio o del Comune.
Ineccepibile è anche la statuizione relativa alla legittimità dell’autorizzazione del Presidente della Giunta Regionale all’acquisto del lascito da parte dell’Orfanotrofio, in quanto con il D.P.R. n. 616 del 1977 (artt. 13, 14 e 15) sono state trasferite alle Regioni le funzioni amministrative disciplinanti l’accettazione di eredità e di legati da parte degli enti operanti come l’Orfanotrofio Umberto I , nel settore della beneficienza pubblica e dell’istruzione artigiana e professionale.
Infine, conforme a diritto è la pronuncia con cui si è negato che l’autorizzazione all’acquisto dovesse essere preceduta dal parere obbligatorio del Consiglio di Stato, essendo stato tale parere legislativamente previsto (art. 1 legge n. 1037 del 1850) per la qualità statale dell’organo chiamato a emanare il provvedimento autorizzativo, e risolvendosi, quindi, l’eventuale estensione dell’obbligo consultivo alle Regioni in un limite ingiustificato all’autonomia a questi enti riconosciuta dalla Carta Costituzionale.
Con il terzo motivo si denunzia la violazione degli artt. 648 e 2697 del codice civile in relazione all’art. 360 n. 3 del codice di procedura civile, e si censura la sentenza impugnata deducendosi che la Corte di appello ha negato la sussistenza dei requisiti richiesti per la risoluzione della disposizione testamentaria (inosservanza dell’onere della liquidazione dei beni assegnati all’Orfanotrofio con destinazione del ricavato a favore dei minorenni non abbienti), avendo erroneamente omesso di esaminare i documenti prodotti in giudizio dai quali risultava che il Comune si era limitato a porre in essere l’attività diretta alla acquisizione dei beni oggetto del lascito testamentario a favore dell’Orfanotrofio, mentre aveva trascurato del tutto le operazioni successive dirette alla liquidazione dei beni che di tale lascito aveva formato oggetto. E, al riguardo, si precisa che detta omissione non era stata determinata nè dal comportamento degli eredi Montefusco, nè dalla condotta dell’esecutore testamentario, essendo stato costui convocato dal Comune soltanto nel mese di dicembre dell’anno 1982, pur avendo accettato l’incarico sin dall’anno 1979.
Neanche questa censura è fondata, risolvendosi in una critica generica degli apprezzamenti di fatto del giudice del merito, la cui sindacabilità in sede di legittimità è nella specie preclusa, essendo sorretti da una motivazione adeguata, esauriente e immune da errori di diritto.
A sostegno della decisione negativa dei presupposti della risoluzione della disposizione testamentaria per l’inadempimento dell’onere, la Corte d’appello ha, infatti, osservato che il Comune non era incorso in ritardi colpevoli e gravi, giacché doveva considerarsi che soltanto nell’agosto 1982 l’esecutore testamentario (che, per espressa volontà del testatore, doveva sovrintendere le operazioni di vendita dei beni) aveva comunicato al Sindaco la disponibilità a svolgere i propri compiti, e che la stessa instaurazione del giudizio, da parte degli eredi Montefusco, aveva rallentato “se non del tutto bloccato” le operazioni di liquidazione.
E ha, inoltre, affermato, sempre a conforto della pronuncia, che l’ente pubblico si era attivato avendo chiesto, all’esecutore testamentario con note del 30 e del 22 dicembre 1982 di prendere contatti con la sua segreteria, al fine della pratica attuazione delle disposizioni testamentarie e dello sgombero dei mobili da uno degli appartamenti oggetto del lascito, e, con successiva nota del 2 giugno 1983, di dare riscontro alle due note precedenti.
Consegue che si deve rigettare il ricorso, e, sussistendo giusti motivi, si devono compensare interamente tra le parti le spese di questo giudizio

P.Q.M

La Corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del giudizio di cassazione.
Roma, 11 febbraio 1992.