Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 16 Novembre 2011

Sentenza 04 novembre 2009

TAR Toscana. Sentanza 4 novembre 2009: "Esercizi commerciali: giorno di riposo dello Shabbath e divieto di apertura domenicale".

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 905 del 2008, proposto dal dr.
M. M., rappresentato e difeso dagli avv.ti Francesca Abeniacar e Daniela Scaravilli e con domicilio eletto presso lo studio della seconda, in Firenze, via dei Servi n. 12

contro

Comune di Livorno, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Lucia e Paolo Macchia e con domicilio eletto presso la Segreteria del T.A.R. in Firenze, via Ricasoli n. 40
Azienda A.U.S.L. n. 6 Livorno, non costituita in giudizio
Ordine dei Farmacisti della Provincia di Livorno, non costituito in giudizio

per l’annullamento
– della nota del Responsabile dell’Ufficio Commercio su Aree Pubbliche e Private del Comune di Livorno, prot. n. 19401 del 4 marzo 2008, pervenuta il 7 marzo 2008;
– della disposizione dirigenziale del Comune di Livorno prot. n. 5449 in data 21 novembre 2007, allegata alla nota sopra citata e pervenuta con la stessa;
– del parere dell’Azienda A.U.S.L. n. 6 – U.O. Politiche del Farmaco e Farmaceutica Territoriale, con protocollo n. 91159 del 31 ottobre 2007, e del parere dell’Ordine dei farmacisti con protocollo n. 95108 del 12 novembre 2007, entrambi richiamati dalla disposizione dirigenziale impugnata quali atti presupposti, nelle parti in cui eventualmente escludano l’applicabilità dell’art. 4 della l. n. 101/1989, dando parere negativo alla richiesta formulata dal ricorrente

e per la condanna

del Comune di Livorno al risarcimento dei danni.

Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Livorno;
Viste le memorie ed i documenti prodotti dalle parti a sostegno delle rispettive tesi e difese;
Visti tutti gli atti della causa;
Nominato relatore, nell’udienza pubblica del 2 luglio 2009, il dott. Pietro De Berardinis;
Uditi i difensori presenti delle parti costituite, come specificato nel verbale;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

FATTO

Il ricorrente, dr. M.M., espone di appartenere alla confessione ebraica e di essere titolare di una farmacia privata in Livorno.

Per rispettare il fondamentale precetto religioso della confessione ebraica che impone il riposo nel giorno del sabato (“Shabbath”), l’esponente ha sempre articolato l’orario di apertura della propria farmacia in cinque giorni settimanali dal lunedì al venerdì, senza mai valersi dell’orario alternativo di apertura dal martedì al sabato. Inoltre, quando il turno obbligatorio di apertura cade di sabato, il dr. M., pur mantenendo la farmacia aperta, si fa sostituire nel servizio da una propria dipendente e versa in beneficenza l’incasso giornaliero.

Basandosi sull’art. 4 della l. n. 101/1989 (recante norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e l’Unione delle Comunità ebraiche italiane) e considerato che, a seguito della disciplina introdotta in attuazione del d.lgs. n. 114/1998, veniva consentita alle farmacie l’apertura per un’ulteriore mezza giornata oltre alle cinque obbligatorie previste dalla normativa regionale, l’esponente – il quale già in passato aveva richiesto al Comune di Livorno di poter recuperare il turno di chiusura del sabato con l’apertura per mezza giornata di domenica – con lettera datata 4 febbraio 2008 rendeva noto al predetto Comune il nuovo orario di apertura della farmacia di cui è titolare. L’orario era articolato nelle cinque giornate dal lunedì al venerdì, indicando come giorno di chiusura settimanale il sabato e con apertura (per mezza giornata) la domenica mattina.

Tuttavia, in riscontro alla suddetta lettera il Comune di Livorno inviava la nota prot. n. 19401 del 4 marzo 2008, recante in allegato la disposizione dirigenziale n. 5449 del 21 novembre 2007, con cui era stata dettata la disciplina degli orari di apertura settimanale giornaliera e dei turni delle farmacie in vigore dal 1° gennaio 2008. Il punto 5 della parte A di siffatta disposizione autorizza la chiusura infrasettimanale delle farmacie di titolari osservanti di religioni diverse da quella cattolica nei giorni corrispondenti a dette festività, con obbligo di recupero dei giorni di chiusura nella prima giornata festiva successiva. Poiché, però, sono escluse da tale disciplina le festività con cadenza settimanale, il dr. M. ne ha dedotto il rigetto dell’articolazione del nuovo orario di apertura della farmacia da lui formulata (in specie, della possibilità di recupero della festività religiosa del sabato con apertura la domenica mattina). Tale deduzione è stata, poi, confermata dalla nota del Comune di Livorno – Ufficio Commercio su Aree Pubbliche e Private, prot. n. 21810 del 5 marzo 2008, recante espressa esclusione dell’apertura domenicale della farmacia (a parte i turni di guardia farmaceutica diurna e festiva).

Dolendosi della suindicata disciplina comunale, che gli impedisce di beneficiare dell’ampliamento a cinque giorni e mezzo dell’orario settimanale di apertura, svantaggiandolo rispetto agli altri titolari di farmacia in Livorno, l’esponente con il ricorso in epigrafe ha impugnato la nota comunale prot. n. 19401 in data 4 marzo 2008 e la disposizione dirigenziale n. 5449 del 21 novembre 2007 (nonché i pareri dell’Azienda A.U.S.L. n. 6 e dell’Ordine dei farmacisti da questa richiamati), chiedendone l’annullamento.

A supporto del gravame ha dedotto le doglianze di:

– violazione dell’art. 4 della l. n. 101/1989, degli artt. 26 e 32 della l.r. n. 16/2000 e del decreto del Ministro dell’Interno 22 giugno 2007, recante determinazione del calendario delle festività religiose ebraiche per il 2008, in quanto nessun divieto di recupero del giorno di chiusura settimanale nella mezza giornata della domenica sarebbe dettato dalla normativa nazionale, né da quella regionale;

– violazione degli artt. 3, 8 e 19 Cost., disparità di trattamento, violazione dell’art. 41 Cost., poiché il diniego comunale sulla pretesa del ricorrente di ampliare l’orario della propria farmacia il giorno della domenica dalle 9.00 alle 12.30 limiterebbe la libertà religiosa del dr. M., fonderebbe una disparità di trattamento rispetto a tutti gli altri titolari di farmacie provocando una discriminazione per motivi di carattere religioso, e violerebbe il principio della libera iniziativa economica, facendo subire al ricorrente la concorrenza sleale delle altre farmacie (che possono fruire dell’ampliamento di orario per mezza giornata);

– eccesso di potere per sviamento, contraddittorietà, ingiustizia ed illogicità manifeste, difetto dei presupposti, giacché il fine che la P.A. ha dichiarato di voler perseguire è di garantire ai cittadini la fruizione del servizio e di aumentarlo anche nei giorni festivi, ma tale fine è contraddetto dal rifiuto opposto al ricorrente, che finisce per danneggiare i residenti nella zona dove ha sede la farmacia del ricorrente. Il Comune inoltre, contraddittoriamente, dapprima avrebbe rimesso alla disponibilità dei singoli farmacisti la flessibilità nell’articolazione degli orari, ma poi non avrebbe acconsentito alla proposta del dr. M.;

– difetto di motivazione e violazione dell’art. 3 della l. n. 241/1990, essendo il diniego gravato privo di motivazione;

– violazione dell’art. 10-bis della l. n. 241/1990, con violazione del principio della partecipazione procedimentale, non essendosi accordata all’interessato la possibilità di presentare, nei dieci giorni dalla comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, le proprie osservazioni scritte corredate di documenti.

Il ricorrente ha formulato, altresì, domanda di risarcimento dei danni nei confronti del Comune di Livorno.

Si è costituito in giudizio il Comune di Livorno, depositando, in prossimità dell’udienza pubblica, una memoria con cui ha eccepito pregiudizialmente l’irricevibilità del ricorso per tardività. Sempre in via pregiudiziale, ha poi eccepito l’inammissibilità del gravame, per non essere la disposizione dirigenziale n. 5449 del 21 novembre 2007 atto lesivo degli interessi del ricorrente. Il Comune ha, altresì, evidenziato la mancata impugnazione della nota comunale prot. n. 21810 del 5 marzo 2008. Nel merito ha, infine, eccepito l’infondatezza del gravame, chiedendone la reiezione.

Non si sono, invece, costituiti in giudizio né l’Azienda A.U.S.L. n. 6 di Livorno, né l’Ordine dei farmacisti della Provincia di Livorno, pur ritualmente evocati.

In vista dell’udienza di merito, il ricorrente ha depositato una memoria finale, corredata di ulteriori documenti, replicando alle eccezioni della difesa comunale ed insistendo per l’accoglimento del gravame (inclusa la domanda di risarcimento dei danni, distinti nel danno patrimoniale per mancato guadagno, quantificato in € 14.400 all’anno, e nel danno all’immagine della farmacia).

All’udienza pubblica del 2 luglio 2009 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

Con il gravame in epigrafe il ricorrente impugna gli atti mediante cui si è vista respinta dal Comune di Livorno la sua (proposta di) articolazione dell’orario settimanale di apertura della farmacia di cui è titolare, ed in particolare la proposta di estensione dell’apertura alla domenica mattina.

Il Collegio ritiene di dover preliminarmente scrutinare le eccezioni processuali avanzate dalla difesa comunale, attesa l’idoneità delle stesse, ove accolte, a precludere l’esame del merito.

Nello specifico, deve essere anzitutto esaminata l’eccezione di tardività del gravame, formulata dal Comune resistente sul rilievo dell’intervenuta decorrenza dei termini per impugnare la disposizione dirigenziale n. 5449 del 21 novembre 2007 (della quale l’altro atto impugnato, la nota prot. n. 19401 del 4 marzo 2008, costituisce mera lettera di trasmissione) in un momento ben anteriore alla notifica del ricorso, avvenuta il 5 maggio 2008. La tardività dell’impugnazione della predetta disposizione dirigenziale si evincerebbe sotto tre profili: 1) per l’affissione di essa all’Albo Pretorio del Comune per un periodo di 15 giorni consecutivi; 2) per la sua trasmissione alle organizzazioni di categoria interessate con nota di pari data (la nota prot. n. 98222 del 21 novembre 2007: v. all. 6 della difesa comunale); 3) per il fatto che la lettera del ricorrente del 4 febbraio 2008, con cui questi comunicava (la proposta) di nuovo orario di apertura della sua farmacia, dimostrerebbe la conoscenza, in capo al ricorrente stesso, dei contenuti della disposizione dirigenziale de qua.

Ad avviso del Collegio, l’eccezione è fondata, e deve essere condivisa, sotto il terzo dei profili ora descritti. Ed invero, ai fini della tardività del gravame non è decisivo l’argomento dell’intervenuta affissione della disposizione dirigenziale gravata all’Albo Pretorio, perché – in disparte il problema dell’ammissibilità di tale affissione anche per gli atti dirigenziali, oltre che per le deliberazioni degli organi di governo dell’Ente locale (problema, peraltro, risolto in senso positivo dalla giurisprudenza prevalente: cfr. C.d.S., Sez. V, 15 marzo 2006, n. 1370) – la difesa comunale non ha versato in atti la prova dell’avvenuta affissione, ma solo la richiesta di affissione, da parte dell’Ufficio Commercio su Aree Pubbliche e Private ai Servizi Generali del Comune, della disposizione de qua. Così, però, non viene chiarito né se quest’ultima è stata poi davvero pubblicata, né, soprattutto, quando è stata pubblicata tramite affissione all’Albo Pretorio, sicché si imporrebbe, sul punto, un approfondimento istruttorio: approfondimento da cui, però, si può prescindere, attesa la prova per altra via (come si vedrà subito) dell’intervenuta conoscenza, in capo al ricorrente, dei contenuti della disposizione in discorso. Nemmeno ha, poi, rilevanza l’argomentazione dell’invio del provvedimento dirigenziale gravato alle organizzazioni di categoria, perché è evidente che questo non dimostra, di per sé solo, l’avvenuta conoscenza del provvedimento stesso da parte del ricorrente dr. M..

Per la valutazione di fondatezza dell’eccezione di tardività del gravame, è decisivo, invece, il fatto che la lettera del 4 febbraio 2008, con la quale il dr. M. ha trasmesso al Comune la proposta di nuovo orario di apertura della farmacia di cui è titolare, dimostri indiscutibilmente la conoscenza a tale data, in capo allo stesso, almeno dei contenuti essenziali della disposizione dirigenziale n. 5449 del 21 novembre 2007. La lettera de qua, infatti, si apre con la menzione, a supporto della proposta del privato, della “nuova ordinanza dell’Amministrazione Comunale” che “permette di ampliare il tempo di apertura della farmacia con lo scopo di aumentare l’offerta del servizio farmaceutico sul territorio comunale”: orbene, quella menzionata è senza dubbio la disposizione dirigenziale n. 5449 cit., atteso che quest’ultima è stata emanata proprio per soddisfare gli scopi ricordati dal dr. M.. Si legge, infatti, nelle premesse del provvedimento dirigenziale de quo, che la sua adozione deriva dal ricevimento, da parte del Comune, di “richieste di prolungamento dell’orario di apertura delle farmacie, a testimonianza dell’esigenza di carattere generale di svolgere l’attività di cui si tratta in un arco temporale diverso e comunque più ampio”, salvo l’obbligo di chiusura nei giorni festivi: di qui l’opportunità, positivamente valutata dal Comune, di “prevedere l’articolazione dell’orario di apertura delle farmacie urbane su cinque giorni alla settimana, con facoltà di effettuare una ulteriore mezza giornata di apertura”, osservando le prescrizioni che il provvedimento di seguito specifica. Tra queste ultime particolare importanza, ai fini che qui interessano, ha la regola che ha ristretto la scelta dell’ampliamento dell’orario di apertura delle farmacie per mezza giornata e per non più di 4 ore, al sabato mattina (ore 8.30-13.30), ovvero al lunedì pomeriggio (ore 15.30-20.30), escludendo l’apertura domenicale (del resto, in coerenza con il poc’anzi ricordato obbligo di chiusura nei giorni festivi).

Alla luce di quanto fin qui detto, ad avviso del Collegio, dalla lettera del 4 febbraio 2008 non può che desumersi l’intervenuto realizzarsi, quantomeno a tale data, in capo al ricorrente, della “piena conoscenza” dell’atto lesivo, prevista dall’art. 21 della l. n. 1034/1971 al fine della decorrenza del termine decadenziale di impugnazione dell’atto stesso (qui la disposizione dirigenziale n. 5449 del 21 novembre 2007). Sul punto, si ricorda che, per giurisprudenza costante, la “piena conoscenza” dell’atto, ai fini del decorso del termine per la sua impugnazione, si realizza quando l’interessato ha acquisito cognizione degli elementi essenziali del provvedimento (l’autorità emanante, l’oggetto, il contenuto dispositivo ed il suo effetto lesivo), in quanto detti elementi sono sufficienti a rendere il legittimato all’impugnativa consapevole dell’incidenza dell’atto nella sua sfera giuridica, avendo egli la concreta possibilità di rendersi conto della lesività dell’atto e non rilevando l’asserzione di una difficoltà personale nell’apprensione del suo significato (cfr., ex plurimis, C.d.S., Sez. VI, 19 marzo 2009, n. 1690). Osserva il Collegio come, nel caso di specie, tutti gli elementi della “piena conoscenza” della disposizione dirigenziale de qua siano rinvenibili in capo al dr. M. alla data del 4 febbraio 2008 e ciò, come detto, proprio sulla base della descrizione che di tale disposizione il medesimo dr. M. fornisce nella sua lettera datata, appunto, 4 febbraio 2008. In particolare, risulta evidente la conoscenza, a tal momento, da parte sua, dell’oggetto della disposizione dirigenziale in discorso, dell’autorità che l’ha emanata e del suo contenuto dispositivo. Quanto alla consapevolezza dell’effetto lesivo, non pare possibile obiettare che l’interessato l’abbia acquisita solo al ricevere la risposta negativa del Comune sulla sua proposta di ampliamento dell’orario di apertura. Una simile obiezione, infatti, presupporrebbe una conoscenza solo vaga, generica e parziale del provvedimento dirigenziale de quo da parte del ricorrente. Ma ciò non tiene conto del fatto che – come dimostrano le precedenti richieste di modifica dell’orario da lui inoltrate all’Amministrazione – quella in esame è una questione di altissimo interesse per il dr. M., in quanto ritenuta afferente all’esercizio del suo credo religioso, e che, perciò, il medesimo ha sempre seguito da vicino e con grande attenzione: come, del resto, conferma il contenuto della lettera del 4 febbraio 2008, da cui si ricava, come già visto, la consapevolezza, in capo all’interessato, dei contenuti e delle finalità del provvedimento in discorso.

In proposito non sono nemmeno condivisibili le argomentazioni contenute nella memoria finale del ricorrente, secondo cui la disposizione dirigenziale n. 5449 del 21 novembre 2007 avrebbe dovuto essergli personalmente comunicata o notificata, con il corollario della tempestività del gravame, in quanto notificato entro sessanta giorni dalla data dell’effettiva comunicazione della stessa (7 marzo 2008), in allegato alla nota prot. n. 19401 del 4 marzo 2008. In contrario, tuttavia, si rileva che, per giurisprudenza costante, gli atti amministrativi a contenuto generale non sono soggetti all’obbligo di notificazione (o comunicazione) personale (cfr. C.d.S., Sez. VI, 29 dicembre 2008, n. 6578, T.A.R. Puglia, Bari, Sez. I, 27 agosto 2002, n. 3729; C.d.S., Sez. V, 15 gennaio 1990, n. 27). Vero è che la medesima giurisprudenza, proprio sulla base dell’assenza di un simile obbligo, arriva a concludere per il decorso del termine dell’impugnazione di tali atti dalla data della loro pubblicazione e non dal momento eventualmente posteriore in cui gli interessati ne abbiano acquisito l’effettiva conoscenza, né tantomeno dalla data della loro comunicazione ai singoli destinatari: conclusione che, per quanto prima detto sull’assenza, allo stato, di una prova effettiva circa l’an ed il quando della pubblicazione della disposizione dirigenziale gravata, non si può applicare al caso di specie. In questo, pertanto, ai fini del decorso del termine decadenziale di impugnazione occorre valutare il momento nel quale il ricorrente dr. M. ha avuto effettiva conoscenza dell’indicata disposizione dirigenziale: momento che, per ciò che si è visto, non può essere comunque posteriore al 4 febbraio 2008. Ne discende che il gravame, notificato solo il 5 maggio 2008, è tardivo e, dunque, irricevibile.

Piuttosto, il dubbio circa la tardività del ricorso potrebbe essere ingenerato dal fatto che con esso si lamenta, tra l’altro, la discriminazione che avrebbe subito l’interessato sul piano del libero esercizio del proprio credo religioso. Ciò, in quanto il divieto di recuperare il giorno di chiusura settimanale nella mezza giornata di domenica discriminerebbe il ricorrente rispetto agli altri titolari di farmacia aderenti a credi religiosi diversi da quello ebraico (o non aderenti ad alcun credo religioso). Questi ultimi, infatti, possono portare a cinque giorni e mezzo l’orario settimanale di apertura: dal lunedì al venerdì (chiusura settimanale il sabato), con ulteriore mezza giornata di apertura da individuarsi il sabato mattina, o, in alternativa, dal martedì al sabato (chiusura settimanale il lunedì), con ulteriore mezza giornata di apertura il lunedì pomeriggio. Il dr. M., invece, volendo rispettare il precetto religioso dello “Shabbath”, costituzionalmente garantito, si troverebbe costretto a limitare l’orario di apertura della propria farmacia a soli cinque giorni, per avere la disposizione dirigenziale gravata escluso espressamente la possibilità di recuperare le festività religiose con cadenza settimanale nella prima domenica successiva.

La configurazione degli atti gravati (ed in particolare della disposizione dirigenziale n. 5449 cit.) in termini di atti discriminatori porterebbe a concludere per la loro nullità, e non solo annullabilità. Ne discenderebbe, oltre ad un problema di giurisdizione (attesi i limiti in cui il giudice amministrativo può conoscere degli atti amministrativi nulli, ex art. 21-septies, comma 2, della l. n. 241/1990), che il ricorso dovrebbe reputarsi tempestivo: ciò, sia seguendo la tesi dell’imprescrittibilità dell’azione di nullità, quale azione diretta avverso un provvedimento nullo, che incide su un diritto soggettivo preesistente, fondamentale, costituzionalmente garantito (il diritto di libertà religiosa); sia seguendo la tesi che considera in ogni caso applicabile, nel silenzio del Legislatore, la regola civilistica di cui all’art. 1422 c.c.; sia, infine, seguendo la tesi che, prendendo spunto dalla giurisprudenza formatasi in passato in materia di provvedimenti adottati in violazione del giudicato (cfr. T.A.R. Lazio, Sez. II, 11 gennaio 1995, n. 34), opta per la possibilità di far valere la nullità nel termine di prescrizione ordinaria decennale.

Il Collegio reputa, tuttavia, che il dubbio ora esaminato sia privo di fondamento.

Ed invero, la disposizione dirigenziale n. 5449 del 21 novembre 2007, a ben guardare, non si può in alcun modo configurare quale atto discriminatorio e, quindi, affetto da nullità: ciò, anzitutto perché, per potersi parlare di atto discriminatorio, occorre, mutuando la giurisprudenza formatasi in tema di discriminazioni perpetrate dal datore di lavoro in danno dei suoi dipendenti (Cass. Civ., Sez. lav., 1° febbraio 1988, n. 868; id., 28 marzo 1980, n. 2054), che l’atto stesso sia qualificato da tipici motivi illeciti, cioè dall’intento del datore di lavoro (qui, della P.A.) non tanto di favorire dei lavoratori dal medesimo preferiti, quanto di nuocere ad altri lavoratori, a causa, tra l’altro, del loro atteggiamento religioso. Orbene, nella fattispecie in esame è palese che esula dall’operato del Comune di Livorno qualsiasi intento di nuocere all’odierno ricorrente, in quanto osservante i precetti religiosi del credo ebraico: il predetto Comune, infatti, a ben vedere ha soltanto inteso perpetuare (peraltro, sulla base di una tradizione normativa che risulta superata dalla più recente legislazione: v. l’abrogazione, ad opera dell’art. 26 del d.lgs. n. 114/1998, dell’art. 1 della l. n. 558/1971, che statuiva il principio di chiusura totale degli esercizi nei giorni domenicali: abrogazione poi confermata dall’art. 24 del d.l. n. 112/2008) la regola della chiusura domenicale delle farmacie, fatta salva l’osservanza dei turni di guardia farmaceutica.

Peraltro, nella vicenda de qua gli estremi dell’atto discriminatorio non sussistono neppure sul piano oggettivo o materiale: invero, la disposizione dirigenziale n. 5449 cit. non impedisce in alcun modo al ricorrente di osservare il fondamentale precetto religioso dello “Shabbath”, riconosciuto dall’art. 4, comma 1, della l. n. 101/1989 e che, per il 2008, ha trovato puntuale regolamentazione nel d.m. 22 giugno 2007. Il provvedimento in parola, infatti, consente di articolare l’orario di apertura delle farmacie (oltre che dal martedì al sabato) dal lunedì al venerdì, con chiusura settimanale il sabato: modalità, questa, che permette appieno al ricorrente di osservare il cd. riposo sabbatico. Insomma, non vi è alcun obbligo, imposto dal Comune di Livorno, di tenere aperte le farmacie nella giornata del sabato (obbligo che, qualora esistente, darebbe vita sul piano oggettivo agli estremi del cd. atto discriminatorio, andando nel caso di specie a conculcare un diritto fondamentale della persona qual è quello di libertà religiosa, in violazione degli artt. 3, primo comma, e 19 Cost.).

A ben vedere, peraltro, l’operato del Comune trova supporto nella stessa disciplina dettata dall’art. 4 della l. n. 101/1989, il quale, al comma 2, dispone che “gli ebrei dipendenti dallo Stato, da enti pubblici o da privati o che esercitano attività autonoma o commerciale, i militari e coloro che siano assegnati al servizio civile, sostitutivo, hanno diritto di fruire, su loro richiesta, del riposo sabbatico come riposo settimanale. Tale diritto è esercitato nel quadro della flessibilità dell’organizzazione del lavoro. In ogni altro caso le ore lavorative non prestate il sabato sono recuperate la domenica o in altri giorni lavorativi senza diritto ad alcun compenso straordinario”. Pertanto, è la stessa legge statale di attuazione dell’Intesa tra Stato e Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (raggiunta il 27 febbraio 1987) a non prevedere, per i titolari di esercizi farmaceutici professanti il credo ebraico, la facoltà di recuperare la domenica le ore lavorative non prestate il sabato per l’osservanza del riposo sabbatico: infatti la previsione del predetto recupero domenicale non riguarda i titolari di farmacie, ma, com’è reso palese dal riferimento al compenso straordinario, si limita ai lavoratori dipendenti per i quali l’esercizio del diritto al riposo sabbatico trovi ostacolo nell’organizzazione lavorativa e nonostante la flessibilità di questa (e che debbano, perciò, recuperare la domenica le ore lavorative non prestate il sabato).

In altre parole, l’art. 4 della l. n. 101 cit. si limita a garantire in ogni caso agli osservanti il precetto religioso il diritto di conformarvisi. Il recupero domenicale non è una facoltà in più, che si aggiunge in via generale al riposo sabbatico, ma è soltanto una guarentigia per i lavoratori dipendenti, rivolta a consentire a questi l’adesione al predetto riposo; opera, cioè, solo nei casi in cui, in mancanza del recupero, l’aderente al culto ebraico troverebbe ostacoli, a causa dell’organizzazione lavorativa, ad osservare il precetto religioso de quo, ed è ispirato alla logica del contemperamento degli interessi: l’interesse del praticante a rispettare il precetto religioso, quale espressione del suo diritto di libertà religiosa, e l’interesse del datore di lavoro, anch’esso garantito costituzionalmente (ex art. 41 Cost. o, qualora il datore sia la P.A., ex art. 97 Cost.).

Poiché, nel caso di specie, gli atti gravati – ed in particolare la disposizione dirigenziale n. 5449 del 21 novembre 2007 – nessun ostacolo pongono all’osservanza, ad opera del ricorrente, della regola dello “Shabbath”, se ne deduce l’infondatezza dell’invocazione, da parte sua, dell’art. 4 cit. (norma che non supporta la tesi della pretesa discriminazione).

D’altro canto, a ben vedere ciò di cui il ricorrente si lamenta non è tanto l’impossibilità di rispettare, a causa della regolamentazione comunale, il riposo sabbatico, quanto i riflessi sul piano economico (della concorrenza rispetto agli altri titolari di farmacie) che gli derivano dall’impossibilità di fruire dell’ampliamento dell’orario di apertura alla mattina della domenica. In altri termini, la situazione soggettiva di cui si lamenta l’ingiusta lesione non è il diritto di libertà religiosa, bensì il diritto alla libertà di iniziativa economica, come del resto ammette il medesimo ricorrente, invocando (anche) la violazione dell’art. 41 Cost.: pur trattandosi di situazione soggettiva anch’essa costituzionalmente tutelata, è evidente che, pur se una lesione fosse ravvisabile, ci si troverebbe, comunque, al di fuori della nozione di atto discriminatorio, non rinvenendosi nessuna violazione dell’art. 3 Cost.: sicché, anche per questa via, va escluso che l’azione proposta con il ricorso in epigrafe possa configurarsi, sostanzialmente, quale azione di nullità, come tale sottratta al termine decadenziale.

In definitiva, l’infondatezza dei dubbi su un possibile carattere discriminatorio degli atti impugnati, nel ribadire che la domanda proposta va qualificata in termini di domanda di annullamento, soggetta al termine decadenziale, conferma la tardività del gravame. Questo deve, pertanto, essere dichiarato irricevibile.

Per conseguenza, la domanda di risarcimento dei danni deve essere respinta, poiché tale domanda postula che sia coltivato con successo il giudizio di annullamento del provvedimento illegittimo (v. C.d.S., Sez. IV, 31 marzo 2009, n. 1917; T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. IV, 13 febbraio 2008, n. 322).

Sussistono, comunque, giusti motivi per disporre la compensazione delle spese, in considerazione della complessità delle questioni trattate.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, Seconda Sezione, così definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, lo dichiara irricevibile.
Respinge la domanda risarcitoria.
Compensa le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Firenze, nella Camera di consiglio del 2 luglio 2009, con l’intervento dei Magistrati

Maurizio Nicolosi, Presidente
Pierpaolo Grauso, Primo Referendario
Pietro De Berardinis, Primo Referendario, Estensore

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 04/11/2009
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO