Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 23 novembre 2016, n.11961

La Corte ha ritenuto non riscontrabile le condizioni per il
riconoscimento richiesto, non risultando comprovata l'appartenenza
alla "razza ebraica" dell'istante all'epoca delle
persecuzioni razziali, non avendo lo stesso fornito adeguati elementi
di valutazione al riguardo (in particolare, dall’atto di nascita
non si rinviene l'annotazione discriminatoria "di razza
ebraica", né risulta la sua appartenenza alla religione
ebraica o l'iscrizione ad una Comunità Ebraica).

Legge 16 giugno 2016

Legge 16 giugno 2016, n. 115: "Modifiche all'articolo 3 della legge 13 ottobre 1975, n. 654, in materia di contrasto e repressione dei crimini di genocidio, crimini contro l'umanita' e crimini di guerra, come definiti dagli articoli 6, 7 e 8 dello statuto della Corte penale internazionale" (in vigore dal 13 luglio 2016). [in GU Serie […]

Decreto 22 febbraio 2016

Parte della dottrina ha evidenziato la cd. “trascrizione
tardiva” è un istituto tipico del diritto concordatario
(v. art. 8 dell’Accordo del 18.2.1984), e andrebbe più
esattamente definita "trascrizione a richiesta degli sposi",
dal momento che, in questo caso, la trascrizione tempestiva non
è stata impedita da un "vizio" nel normale iter, ma
non è stata voluta per espresso intendimento degli sposi, ai
quali l'ordinamento in questo caso consente comunque, in prosieguo
di tempo, la possibilità di mutare opinione, trascrivendo
"tardivamente" – ma anche in questo caso con effetti
retroattivi – il matrimonio religioso a suo tempo celebrato; nei sensi
sopra ricordati, a parere del Tribunale adito, la trascrizione tardiva
non è applicabile nel caso di matrimoni celebrati con riti
diversi da quello concordatario, trattandosi di uno jus speciale non
esteso alle confessioni religiose diverse dalla cattolica; ciò
nondimeno, esclusa l’ipotesi della trascrizione tardiva –
nei sensi sopra indicati -, è invece ammissibile quella che la
dottrina definisce “trascrizione con effetti ex tunc”,
ossia un procedimento che risponde alla mera esigenza di porre riparo
a vizi o errori in cui sia incorso l’organo preposto nel
procedimento di mera trasmissione. Secondo il giudice adito, nel
silenzio della Legge, certamente esclusa una trascrizione tardiva per
mera volontà degli sposi – nei sensi in cui è ammessa –
dall’Accordo del 1984 per la confessione cattolica –,
è invece ammissibile una trascrizione riparatrice ossia il
porre rimedio a un procedimento di registrazione del matrimonio che,
per mero fatto ostativo non rimproverabile ai nubendi, non si è
validamente perfezionato; ciò a condizione che, al momento
della istanza di trascrizione posticipata, sussistano ancora i
requisiti per accedere all’unione matrimoniale e, soprattutto,
non siano venute meno le condizioni che legittimavano, a suo tempo, il
matrimonio (ad es., lo stato libero di entrambi i nubendi); ciò
anche a condizione che sia provato come, sin dall’inizio,
l’intenzione degli sposi fosse quella di ottenere un matrimonio
con effetti civili (e ciò è provato producendo – nel
caso di specie – la richiesta di nulla osta all’Ufficiale dello
Stato Civile, prima dell’unione).

Comunicato 12 giugno 2013

Ministero dell'Interno. Comunicato relativo al calendario delle festività ebraiche per l'anno 2014 ("Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana" n. 136 del 12 giugno 2013) L'art. 5, n. 2, della legge 8 marzo 1989, n. 101, recante "Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e l'Unione delle Comunita' ebraiche italiane", emanata sulla base dell'intesa stipulata […]

Sentenza 31 gennaio 2013, n.12-1354

Il 31 gennaio scorso la Corte federale distrettuale degli Stati Uniti
d’America – distretto del Minnesota – ha rigettato un ricorso
collettivo contro una società che distribuisce alimenti confezionati,
ConAgra Foods, accusata dell’etichettatura ingannevole di prodotti
di una sua controllata, Hebrew National. L’indicazione “100%
kosher” faceva seguito alla certificazione rilasciata da Triangle K,
ente di certificazione kosher. I querelanti sostenevano che il
procedimento di macellazione dei bovini da cui proveniva la carne
asserita “100% kosher” non era in realtà conforme allo standard
stabilito dall’ente certificatore. Essi dunque chiedevano al
tribunale un giudizio sulla rispondenza di tale procedimento non tanto
alle regole ebraiche di per sé stesse, quanto ad uno standard
esplicitato da Triangle K e dunque, in un certo qual modo,
“oggettivato” ed estrapolato dal mero contesto dei contenuti
dottrinali della confessione. Il convenuto sosteneva che, anche
qualora fosse sussistita una rappresentazione ingannevole, la
responsabilità doveva ricadere sull’ente di certificazione che
aveva apposto il proprio sigillo. Ad ogni modo, la giustizia civile
non era competente a dirimere la questione, pena la violazione della
clausola separatista del Primo Emendamento alla Costituzione Federale.
È proprio su quest’ultimo argomento che la corte ha fondato la
propria decisione di rigetto. Posta la natura intrinsecamente
religiosa dei contenuti prescrittivi della kasherut, qualsiasi
giudizio sulla veridicità della dicitura ‘kosher’ apposta sui
prodotti in commercio è interdetto agli organi dello stato. (La
Redazione di OLIR.it ringrazia per la stesura dell’Abstract
Mariagrazia Tirabassi, Università Cattolica del Sacro Cuore –
Piacenza)

Sentenza 03 aprile 2012, n.28790/08

Il rifiuto dell’autorità giudiziaria di rinviare la data di una
udienza fissata in coincidenza di una festività religiosa ebraica non
viola dell’art. 9 CEDU. Così ha stabilito la  la Corte Europea dei
Diritti dell’Uomo nel caso Sessa Francesco contro Italia, non ancora
definitivo.
Nella fattispecie il giudice italiano aveva fondato il rifiuto di
rinvio in base a quanto stabilito dal codice di procedura penale che
ammette il rinvio dell’udienza concernente la produzione di prove solo
nei casi di assenza del pubblico ministero o del consiglio
difensivo. La Corte europea ha ritenuto che la decisione del giudice
italiano non viola il diritto del ricorrente di manifestare la propria
fede:perché non in discussione se il ricorrente fosse stato o meno in
grado di rispettare i suoi doveri religiosi; perché, egli avrebbe
dovuto conoscere che la sua istanza sarebbe stata rifiutata sulla base
della normativa vigente ed avrebbe potuto organizzarsi per essere
sostituito all’udienza in modo da osservare i suoi doveri
professionali. La Corte ha notato, inoltre, che il sig. Sessa non è
stato costretto a cambiare religione o non gli è stato proibito di
manifestare la sua religione o credenza, aspetti questi che
costituirebbero violazione del par. 1 dell’art.  9 CEDU.
Anche ammettendo una interferenza nel diritto del ricorrente ai sensi
dell’art. 9 § 1 CEDU, la Corte ha ritenuto che tale interferenza,
prescritta dalla legge, fosse giustificata dalla protezione dei
diritti e delle libertà altrui – ed in particolare del diritto
pubblico alla corretta amministrazione della giustizia – e dal
principio della ragionevole durata dei processi. L’interferenza,
secondo la Corte, ha rispettato il principio di proporzionalità tra
gli strumenti impiegati e gli obiettivi perseguiti. 

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In OLIR.it: traduzione in lingua italiana
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