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    Sentenza 06 luglio 2015, n.13883

    Grave difetto di discrezione di giudizio e delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità

    Data: 06 luglio 2015
    Autore:
    Corte di Cassazione - Civile
    Argomento:
    Confessioni religiose, Libertà religiosa, Matrimonio, Chiesa cattolica, Delibazione
    Dossier:
    Chiesa cattolica, Confessioni religiose
    Nazione:
    Italia
    Parole chiave:
    Ordine pubblico, Matrimonio concordatario, Tribunale ecclesiastico, Buona fede, Delibazione, Incapacità psichica, Tutela dell'affidamento, Grave difetto di discrezione di giudizio, Convivenza coniugale protrattasi per oltre un anno
    In tema di delibazione della sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullità di un matrimonio concordatario per difetto di consenso, le situazioni di vizio psichico assunte dal giudice ecclesiastico come comportanti inettitudine del soggetto, al momento della manifestazione del consenso, a contrarre il matrimonio non si discostano sostanzialmente dall'ipotesi d'invalidità contemplata dall'art. 120 c.c., cosicchè è da escludere che il riconoscimento dell'efficacia di una tale sentenza trovi ostacolo in principi fondamentali dell'ordinamento italiano. In particolare, tale contrasto non è ravvisabile sotto il profilo del difetto di tutela dell'affidamento della controparte, poichè, mentre in tema di contratti la disciplina generale dell'incapacità naturale dà rilievo alla buona o malafede dell'altra parte, tale aspetto è ignorato nella disciplina dell'incapacità naturale, quale causa d'invalidità del matrimonio, essendo in tal caso preminente l'esigenza di rimuovere il vincolo coniugale inficiato da vizio psichico.

    Corte di Cassazione. Sezioni I Civile. Sentenza 6 luglio 2015, n. 13883: "Grave difetto di discrezione di giudizio e delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità".

    LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
    SEZIONE PRIMA CIVILE

    Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
    Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –
    Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –
    Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –
    Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –
    Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –
    ha pronunciato la seguente:

    sentenza

    sul ricorso 27920/2013 proposto da:
    C.E. (c.f. (OMISSIS)), domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall'avvocato CINGARI GAETANO,  giusta procura in calce al ricorso;
    – ricorrente –

    contro

    D.F.G. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in ROMA, Via ENNIO QUIRINO VISCONTI 99, presso l'avvocato BERARDINO IACOBUCCI, rappresentato e difeso dall'avvocato DONVITO PAOLA ANTONIA, giusta procura a margine del controricorso;
    – controricorrente –

    avverso la sentenza n. 326/2013 della CORTE D'APPELLO DI LECCE – SEZIONE DISTACCATA DI TARANTO, depositata l'08/07/2013;

    udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/04/2015 dal Consigliere Dott. MARIA ACIERNO;
    udito, per la ricorrente, l'Avvocato CINGARI GAETANO che si riporta e chiede l'accoglimento del ricorso;
    udito, per il controricorrente, l'Avvocato DONVITO P.A. che si riporta e chiede il rigetto del ricorso;
    udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CERONI Francesca, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

    Fatto

    SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

    Con la sentenza impugnata la Corte d'Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, ha dichiarato efficace nella Repubblica italiana la sentenza del Tribunale ecclesiastico regionale pugliese di Bari del 22/3/2010 con la quale è stata dichiarata la nullità del matrimonio concordatario contratto da C.E. e D. F.G. per grave difetto di discrezione di giudizio,, circa i diritti e doveri matrimoniali essenziali, dovuto a cause di natura psichica in capo al D.F..

    Al riconoscimento si era opposta la C. deducendo di aver legittimamente confidato nella validità del matrimonio non essendo a conoscenza del deficit psichico grave dell'attore ma soltanto di quello motorio.

    A sostegno della decisione la Corte d'Appello ha rilevato che il vizio del consenso riscontrato non è incompatibile con l'ordine pubblico interno; che il giudice della delibazione deve tenere conto della specificità dell'ordinamento canonico; che, in particolare, il dedotto vizio nella disciplina del codice civile non contempla come elemento essenziale la riconoscibilità; che non vi è un principio generale di ordine pubblico a tutela dell'affidamento, valendo il canone di buona fede solo per le apposizioni unilaterali di condizioni (riserve mentali) vizianti il consenso.

    Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione la C. affidato ad un unico motivo. Ha resistito con controricorso il D.F. che ha anche depositato memoria.

    Nel motivo di ricorso viene dedotta la violazione e falsa applicazione della L. n. 121 del 1985, art. 8; L. n. 218 del 1995, art. 64; degli artt. 120 e 122 c.c., nonchè dell'art. 29 Cost., per avere la Corte territoriale escluso il contrasto rispetto all'ordine pubblico nonostante la mancata conoscenza del deficit psichico e l'intervenuta convivenza coniugale per oltre un anno. In particolare la Corte non ha applicato il principio di salvaguardia della validità del vincolo coniugale fatto proprio dalla giurisprudenza di legittimità, e non ha tenuto in alcun conto l'affidamento incolpevole della ricorrente, a conoscenza esclusivamente dell'handicap motorio.

    Il motivo prospettato è infondato. In primo luogo deve rilevarsi che non trovano applicazione nella specie i principi elaborati nella recente pronuncia delle S.U. 16379 del 2014 dal momento che non risulta eccepita tempestivamente la convivenza coniugale come causa ostativa al riconoscimento della sentenza canonica. Peraltro la durata indicata dalla medesima parte ricorrente è inferiore a quella minima, indicata in tre anni, nella sentenza sopra richiamata.

    La causa di nullità matrimoniale accertata in sede canonica è costituita dall'incapacità psichica di fornire un consenso effettivo al matrimonio, non essendo risultato in grado il resistente di comprenderne ab origine il complesso di diritti e doveri. Non trova, nella specie, di conseguenza, applicazione il limite di ordine pubblico relativo all'affidamento incolpevole dell'altro coniuge. Al riguardo la Corte di cassazione ha ribadito anche di recente che:

    "In tema di delibazione della sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullità di un matrimonio concordatario per difetto di consenso, le situazioni di vizio psichico assunte dal giudice ecclesiastico come comportanti inettitudine del soggetto, al momento della manifestazione del consenso, a contrarre il matrimonio non si discostano sostanzialmente dall'ipotesi d'invalidità contemplata dall'art. 120 c.c., cosicchè è da escludere che il riconoscimento dell'efficacia di una tale sentenza trovi ostacolo in principi fondamentali dell'ordinamento italiano. In particolare, tale contrasto non è ravvisabile sotto il profilo del difetto di tutela dell'affidamento della controparte, poichè, mentre in tema di contratti la disciplina generale dell'incapacità naturale da rilievo alla buona o malafede dell'altra parte, tale aspetto è ignorato nella disciplina dell'incapacità naturale, quale causa d'invalidità del matrimonio, essendo in tal caso preminente l'esigenza di rimuovere il vincolo coniugale inficiato da vizio psichico". (Cass. 6611 del 2015; cfr. anche 19691 del 2014; 1262 del 2011).

    In conclusione il ricorso deve essere respinto, con applicazione del principio della soccombenza in ordine alle spese di lite del presente giudizio.

    P.Q.M.

    La Corte, rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente procedimento da liquidarsi in Euro 3.000,00, per compensi, Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.

    Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

    In caso di diffusione omettere le generalità.

    Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 13 aprile 2015.
    Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2015.

    « Convenzione 07 maggio 2015 » Sentenza 21 maggio 2015, n.10481

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