Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 16 Settembre 2005

Sentenza 09 giugno 2005, n.12169

Corte di Cassazione. Prima Sezione Civile. Sentenza 9 giugno 2005, n. 12169: “Ricongiungimento dei figli delle donne islamiche ripudiate nei Paesi di origine”.

(Omissis)

Svolgimento del processo

M.J., cittadina del Marocco dotata di permesso di soggiorno, ottenuto il nullaosta della Questura di Perugia al ricongiungimento al suo secondo marito e ai figli minori (A) e (B) nati dal suo primo matrimonio rispettivamente nel 1986 e nel 1988, ricorreva al Tribunale di Perugia ex art. 30, 6° comma, D.Lgs. 25 luglio 1998 n. 286 (T.U. sull’immigrazione, da ora T.U. n. d.e.), contro il diniego del visto di ingresso in Italia ai figli da parte dell’Ambasciata italiana a Rabat.
Secondo il Consolato generale in Rabat competente al rilascio del visto, in base alla documentazione esibita dall’istante ai sensi dell’art. 29, comma 1, lett. a) e b), del T.U. e dell’art. 6 del D.P.R. 31 agosto 1999 n. 394 (Regolamento di attuazione del T.U.), con l’atto di ripudio del 25 settembre 1992, il primo marito dell’istante, aveva escluso la M. dalla tutela dei minori, riservandola a se stesso, come consentito dalla normativa interna, senza fare alcun cenno alla minore (A), nata durante il matrimonio, essendo la esclusione della tutela limitata al solo (B).
Ad avviso dell’autorità consolare, pur essendo agli atti una dichiarazione di una sorella della istante che dichiarava che i figli erano mantenuti dalla madre, il visto non poteva rilasciarsi, perché solo al padre spettava l’esercizio della potestà genitoriale, secondo il diritto marocchino.
Il Tribunale di Perugia accoglieva il ricorso, perché, ai sensi della lett. b) del citato art. 29 T.U., i minori dovevano ritenersi «a carico» dell’istante, che provvedeva al mantenimento dei figli, ai quali doveva quindi rilasciarsi il visto d’ingresso.
Il reclamo dei due Ministeri, ai sensi dell’art, 739 C.P.C., era rigettato, con decreto del 25 marzo 2004, dalla Corte d’appello di Perugia, che condannava i reclamanti alle spese del grado.
Secondo i reclamanti, per la «Moudawana», cioè il codice dello stato delle persone vigente in Marocco, applicabile come «legge nazionale del figlio» ex art. 36 della L. 31 maggio 1995 n. 218, la rappresentanza legale dei minori compete al solo padre, spettando alla madre solo in caso di morte dell’altro genitore.
Ad avviso della Corte territoriale, tale disparità di posizione dei genitori rispetto ai figli, di cui alla normativa del Marocco, è contraria all’ordine pubblico internazionale e al principio costituzionale della parità dei coniugi oltre che al loro obbligo comune di mantenere i figli (art. 29. Cost.); di conseguenza, al caso va applicata la legge italiana, già art. 16 della L. n. 218 del 1995.
Poiché la M. provvede al mantenimento dei figli, ai sensi dell’art. 3, comma 1, della Convenzione sui diritti del fanciullo di New York del 20 novembre 1989 ratificata in Italia dalla L. 27 maggio 1991 n. 176, occorre tenere conto dell’interesse superiore dei minori, che in Marocco erano affidati ad una zia nel disinteresse del padre, che aveva dichiarato di consentire al loro espatrio per il ricongiungimento alla madre; pertanto, il diritto all’unità familiare dei minori imponeva il rilascio del nulla osta e il reclamo delle Amministrazioni doveva essere rigettato.
Per la cassazione di tale decreto hanno proposto ricorso, con quattro motivi, il Ministero dell’Interno e quello degli Affari Esteri e la M. si è difesa con controricorso.

Motivi della decisione

1.1
Il primo motivo di ricorso deduce violazione degli artt. 29, comma 1, lett. b) del T.U., e 136, 147, 148 e 149 della Moudawana (Codice dello stato e delle persone e delle successioni vigente nel Regno del Marocco), da applicare in l’Italia ai sensi degli artt. 36 e 16 della L. 31 maggio 1995 n. 218, oltre che dell’art. 29 Cost., pure per insufficiente e contraddittoria motivazione.
In ordine alla posizione di diseguaglianza della madre rispetto al padre nella legislazione marocchina, il decreto impugnato confonde il concetto di «carico» familiare con quello di obbligo di mantenimento dei figli nell’applicare il limite dell’ordine pubblico.
Erroneamente la Corte di merito afferma infatti che la normativa del Marocco contrasta con l’art. 29 della Cost., fondamento del principio d’ordine pubblico internazionale della parità dei coniugi, e quindi ostativo, ai sensi dell’art. 16 della L. n. 218/95, all’applicazione in Italia della normativa straniera.
La norma della Costituzione citata, pur ponendo a base del matrimonio l’uguaglianza giuridica e morale dei coniugi, chiarisce che quest’ultima è disciplinata nei limiti della legge ordinaria, la quale ha attribuito fino al 1975 la potestà genitoriale al solo padre, senza violare la Carta fondamentale.
In sostanza, riconoscere al solo padre la potestà sui figli minori, non viola l’uguaglianza tra i coniugi e la diversità di compiti dei due genitori, propria del diritto islamico e di quello del Regno del Marocco, non contrasta con tale uguaglianza.
Le diverse tradizioni culturali del mondo islamico e del regno del Marocco rispetto a quelle occidentali, giustificano pienamente la disciplina positiva del diritto di famiglia di quel paese, che attribuisce compiti diversi ai due genitori, ma non viola l’art. 29 della Cost. e l’ordine pubblico internazionale.
Il concetto di «carico» dell’art. 29, comma 1, lett. b), T.U. non va inteso in senso materiale, ma comprende quello della rappresentanza legale del minore, per il quale, nelle ipotesi come quella oggetto di causa, nella quale la madre richiedente il nulla osta provvede al mantenimento dei figli minori, questi non possono considerarsi a suo carico, se l’istante non sia la loro rappresentante legale come titolare della potestà genitoriale, perché nel caso il mero consenso del padre all’espatrio dei figli comunque non conferisce alla madre il potere-dovere di esercitare una potestà che la legge le nega.
La potestà genitoriale di entrambi i genitori non è principio d’ordine pubblico internazionale, che corrisponde cioè alle esigenze di diversi ordinamenti interni, potendosi attuare in modi diversi nei diversi paesi in conformità alle loro tradizioni e culture.

1.2
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta ancora violazione dell’art. 29, comma 1, lett. b), del T.U. e delle norme sopra citate del Regno del Marocco, in rapporto all’art. 36 della L. n. 218 del 1995 oltre che della Convenzione sui diritti del fanciullo di New York del 20 novembre 1989, ratificata in Italia dalla Legge 27 maggio 1991 n. 176, pure per insufficiente motivazione, ex art. 360, 1° comma, nn. 3 e 5, C.P.C. Erroneamente la Corte territoriale ha presunto, in base ad un atto notarile, che i figli della istante fossero affidati a una zia materna, deducendo dal consenso all’espatrio dato dal padre una situazione di fatto, per la quale vi sarebbe stato un interesse superiore dei minori a ricongiungersi con la madre.
Solo se la M. avesse avuto la potestà genitoriale sui minori, ella avrebbe potuto avere l’affidamento dei figli, che hanno diritto all’unità familiare con il padre che su loro esercita le potestà di legge, per cui devono restare in Marocco.

1.3
Il terzo motivo di ricorso, lamentando le stesse violazioni di legge e insufficienze motivazionali del secondo, deduce che, pure in difetto della potestà genitoriale, la M. deve mantenere i figli minori, ma che è errato che il concetto di carico familiare di cui al T.U., possa tradursi nei soli obblighi di mantenimento, potendosi in tal modo eludere la normativa locale e internazionale.

1.4
Con il quarto motivo d’impugnazione si lamenta violazione dell’art. 92 C.P.C., pure per insufficiente motivazione, sussistendo nel caso ragioni per compensare le spese del secondo grado, non considerate in alcun modo dalla Corte d’appello.

2
Il ricorso è infondato.
Lo stesso art. 29, lett. b bis, del T.U., introdotto dalla L. 23 agosto 2002 n. 189, impone, con riferimento ai figli maggiorenni ai quali lo straniero ha diritto a ricongiungersi che gli stessi siano a suo «carico», nessun rilievo avendo nel caso la potestà genitoriale, prevedendosi solo che detti figli «non possano per ragioni oggettive provvedere al proprio sostentamento».
Se per i figli maggiorenni il concetto di «carico» è connesso a uno «stato di salute che comporti invalidità totale», per i minori lo stesso concetto, sia nel diritto interno che in quello internazionale, integra sempre e solo quello del collegamento tra due soggetti per il quale uno ha «l’onere» del sostentamento dell’altro, che non è in grado di provvedere al proprio mantenimento,
Il c. d. «carico» integra nel T.U. una fattispecie nella quale colui che chiede il ricongiungimento è il soggetto che provvede e dovrà provvedere al sostentamento del familiare al quale chiede di riunirsi, tanto che deve dimostrare l’esistenza di un alloggio idoneo e di redditi sufficienti (art. 29, comma 3, lett. a) e b), funzionali all’adempimento del «carico» esistente anche dopo la materiale riunione del gruppo familiare in Italia.
Nel caso di specie la M. è, secondo il decreto impugnato, l’unico genitore che vuole convivere con i figli ai quali chiede di ricongiungersi per curare meglio la loro crescita ed educazione, già provvedendo da sola al loro sostentamento e mantenimento, nel disinteresse del padre.
Nessun riferimento specifico ad altri concetti, come quello di «potestà» sui minori dei genitori, esclusiva o concorrente, può avere rilievo per negare il diritto dello straniero extracomunitario a riunirsi ai figli minori, quando al loro sostentamento egli provveda in via esclusiva, non contribuendovi l’altro genitore, il cui assenso è necessario (art. 29, 1° comma, lett. b), proprio per assicurare comunque l’esercizio della potestà genitoriale in Italia al soggetto che richiede il ricongiungimento.
Nella legislazione interna la qualifica di minore «a carico» è sempre collegata alla convivenza e al sostentamento di lui dal soggetto che deve ottemperare all’onere di mantenimento, vi sia tenuto da solo o con altri (cfr., di recente, Cass. 6 agosto 2003 n. 11876, 2 aprile 2003 n. 5060), tanto che, anche in sede di revoca della potestà genitoriale, è possibile porre a «carico» del genitore privato di tale potestà, il figlio minore, imponendogli di contribuire al suo mantenimento (Cass. 4 novembre 1997 n. 10779).
Perfino sul piano fiscale, la detrazione per carichi familiari si collega al sostentamento del soggetto il cui carico per il contribuente è attestato dallo stesso con apposita dichiarazione (Cass. 24 luglio 2003 n. 11492).
Sul piano sovranazionale, la Convenzione sui diritti del fanciullo di New York, se individua nelle figure dei genitori i responsabili legali del minore (art. 51, chiarisce che gli Stati firmatari si impegnano a riconoscere il principio per il quale «entrambi i genitori hanno comuni responsabilità in ordine all’allevamento e allo sviluppo del bambino» (art. 18), prevedendo la figura eventuale di un responsabile finanziario, in modo che il fanciullo goda di un livello di vita atto a garantire il suo sviluppo psico-fisico e sociale (art. 27, commi 1 e 4).
Sia in sede interna che internazionale il concetto di figlio minore a «carico» si identifica con quello di fanciullo il cui sostentamento è garantito dal genitore che subisce detto onere, indipendentemente da ogni connessione con il concetto di potestà genitoriale e quindi, per detto profilo, il ricorso è certamente infondato.
In tale contesto, più dell’art. 29 rileva l’art. 30 della Cost., per il quale entrambi i genitori hanno il dovere di mantenere, educare e istruire i figli, cioè di averli a loro «carico», in conformità a quanto sancito dall’art. 18 della Convenzione di New York sopra citata.
In relazione ai principi esposti e al fatto che il visto per l’ingresso in Italia è dato previo accertamento dell’esistenza di sufficienti garanzie in ordine alla convivenza nel territorio nazionale dei minori con il genitore che ivi soggiorna e chiede il ricongiungimento, quest’ultimo, come si è accennato, deve dimostrare l’esistenza di un alloggio idoneo ad ospitare le persone per le quali è chiesto il ricongiungimento e redditi sufficienti a mantenerli, come previsto dall’art. 29 del T.U., che quindi non dà rilievo ostativo all’ingresso in Italia ai problemi che sorgono dall’esigenza di rappresentanza legale dei minori, ritenendoli risolti dal consenso del genitore che resta all’estero all’espatrio dei figli al fine di unirsi al genitore che li mantiene.
In sostanza, analogamente a quanto accadeva prima della riforma del diritto familiare in Italia del 1975 e accade ancora oggi, può ritenersi che il legislatore abbia distinto la titolarità della potestà genitoriale dall’esercizio di essa (artt. 315 e ss. c. c.), che spetta di regola al genitore convivente e non a quello che non abita con il figlio minore, il quale con il suo assenso all’espatrio dei figli ha consentito pure all’esercizio della potestà da parte della madre.
Quando, come nel caso, il padre che, per il diritto del regno del Marocco è unico titolare della potestà di genitore, incontestamente non vive con i figli minori che, in base a quanto accertato dalla Corte territoriale, sono mantenuti dalla sola madre, che non coabita con loro solo perché emigrata in Italia per ragioni di lavoro, non sussiste ragione per il rifiuto del visto sul passaporto all’ingresso in Italia dei o minori, dato che l’assenso all’espatrio del padre titolare della potestà è incompatibile con la pregressa revoca della tutela per la madre di cui all’atto di ripudio, e in concreto la annulla.
Nel sistema della legge del minore, applicabile ai sensi dell’art. 36 della L. 218 del 1995, la titolarità esclusiva della potestà genitoriale in capo al padre non appare ostativa al fatto che lo stesso consenta la convivenza dei suoi figli con la madre, alla quale in tal caso è delegato l’esercizio concreto della potestà, della quale, di regola, ella può divenire titolare solo dopo la morte del marito in base alle norme vigenti nel Regno del Marocco.
Risulta chiaro allora che i primi tre motivi di ricorso sono inammissibili in ordine ai vizi motivazionali dedotti comunque insussistenti ai sensi dell’art. 135 C.P.C., essendo irrilevanti nel ricorso straordinario ex art. 111 Cost., perché solo la totale mancanza di motivazione comporta violazione di legge rilevante in via esclusiva in tale tipo d’impugnazione.
Le denunciate violazioni di legge non sussistono, perché emerge chiaro dalla motivazione il sostanziale disinteresse del padre verso i figli minori che sono a «carico» della madre che provvede al loro sostentamento mentre essi convivono in Marocco con una zia materna; risulta dimostrata dal provvedimento impugnato la piena rispondenza all’interesse dei minori del ricongiungimento alla madre, che, riunendosi ai figli e con loro convivendo, potrà provvedere oltre che al loro sostentamento anche alla loro educazione e crescita, esercitando su loro la potestà genitoriale in assenza del padre, che ne è e resta il titolare in base alla legge marocchina.
Il diritto dei minori a non restare separati da quello dei genitori che li mantiene e prova la concreta volontà di occuparsi di loro e di abitare con loro, cioè nel caso dalla controricorrente, è garantito dalla stessa Convenzione di New York (artt. 9 e 10) e corrisponde all’interesse dei minori e pertanto, pure per detto profilo, l’impugnazione non può che essere rigettata.
Inammissibile è poi il quarto motivo di ricorso che censura la corretta applicazione della regala della soccombenza in sede di appello, regola che dovrà applicarsi anche in questa fase, ponendosi a carico dei ricorrenti le spese del presente giudizio di cassazione nella misura di cui in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.