Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 4 Luglio 2005

Sentenza 10 gennaio 2003, n.786

Consiglio di Stato. Sezione VI. Sentenza 10 gennaio 2003, n. 786: “Divieto di collocazione o di affissione di mezzi pubblicitari sugli immobili o sui luoghi dichiarati di interesse”.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha
pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso (n. 4801/2002 R.G.) proposto da Marfim Marketing Service
s.r.l., in persona dell’Amministratore Delegato, Sig. Vito Spagnuolo,
rappresentata e difesa dagli Avvocati Marco Locati ed Antonella
Giglio, e presso lo studio di quest’ultima in Roma, Via del Quirinale
n. 26, elettivamente domiciliata;

contro

il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e la Soprintendenza
per i Beni Ambientali ed Architettonici di Milano, in persona
rispettivamente del Ministro e del Soprintendente in carica,
rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i
cui uffici in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, sono domiciliati;

per l’annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia
– Sede di Milano – Sez. III n. 1492 del 17 aprile 2002;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Vista la nota della Soprintendenza per i beni Architettonici per il
Paesaggio di Milano n. 23109 del 19 dicembre 2002;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore, nella camera di consiglio del 10 gennaio 2003 il
Consigliere Alessandro Pajno ed uditi l’Avv. Antonella Giglio per la
Società appellante e l’Avv. dello Stato Sabelli per
l’Amministrazione.
Considerato che, in sede di decisione collegiale sull’istanza
cautelare di sospensione della sentenza impugnata, la Sezione,
accertata la completezza del contraddittorio e dell’istruttoria e
ritenuta la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 21, decimo
comma, della legge 6 dicembre 1971 n. 1034, ha stabilito, sentito le
parti costituite, di definire il giudizio nel merito, a norma
dell’art. 26 della stessa legge.
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

Fatto

Con atto n. 3455 del 19 febbraio 2002 la Soprintendenza per i Beni Ambientali ed Architettonici di Milano a seguito di apposita richiesta dell’odierna appellante esprimeva, ai sensi dell’art. 50 del d. lgs. n. 490 del 1999, parere negativo alla esposizione di mezzi pubblicitari consistenti in un impianto monofacciale luminoso fisso da posarsi sul tetto dell’edificio di Piazza San Babila 1/3.
Nel parere veniva precisato che i “mezzi proposti sono del tutto estranei al carattere delle architetture che li supportano e costituiscono una alterazione del panorama della città che è in questa area caratterizzato da edifici di grande rilevanza simbolica come il Duomo e la Torre Velasca”.
Veniva, altresì specificato che “la Piazza S. Babila rappresenta un esempio tra i più interessanti a Milano, per la qualità degli edifici e per la completezza dell’intervento, dell’attività di trasformazione del tessuto edilizio storico attuata con determinazione nel corso del secolo XX”.
Il provvedimento della Sovrintendenza veniva impugnato dalla s.r.l. Marfim Marketing Service con ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia. Questo, con sentenza n. 1492 del 17 aprile 2002, pronunciata ai sensi dell’art. 21 della legge 6 dicembre 1971 n. 1034, come novellato dall’art. 3 della legge 21 luglio 2000 n. 205, rigettava il ricorso. Il Tribunale, dopo aver osservato che l’art. 50 del d. lgs. n. 490 del 1999, nell’attribuire al Soprintendente il potere di adottare divieti concernenti forme di pubblicità che danneggino l’aspetto, il decoro o il pubblico godimento degli immobili indicati negli artt. 2, 3 e 4 del medesimo decreto, richiedevano un nesso logico tra le esigenze di tutela della singola cosa culturale ad il divieto, e che le esigenze di salvaguardia dell’aspetto e del pubblico godimento indicate dalla norma implicavano il mantenimento di una visibilità complessiva degli immobili soggetti a vincolo diretto, osservava che tali esigenze apparivano, nella fattispecie, soddisfatte con il richiamo, contenuto nel provvedimento impugnato, ad “edifici di grande rilevanza simbolica come il Duomo e la Torre Velasca”. Il TAR precisava, altresì, che l’ “incombenza” e la visione panoramica di tali edifici dalla zona interessata all’installazione del mezzo pubblicitario da una parte valeva a relativizzare il concetto di prossimità di cui all’art. 50 del d. lgs. n. 490 del 1999, e dall’altra connotava, sul piano della motivazione, l’ordine di prevalenza fatto proprio dalla Soprintendenza a tutela del pregio dei beni presi in considerazione.
La sentenza di primo grado è stata impugnata con ricorso al Consiglio di Stato della società interessata. Questa ha dedotto le seguenti doglianze:
1) Carenza di pronuncia sul primo motivo del ricorso.
Il Tribunale avrebbe omesso di pronunciarsi su di un punto decisivo della controversia.
Il provvedimento impugnato in primo grado non conterrebbe alcun riferimento a provvedimenti di vincolo gravanti sull’immobile specifico oggetto della domanda di esposizione pubblicitaria, con riferimento a immobili prospettanti la piazza ma la piazza stessa.
La fattispecie di cui all’art. 50, primo comma, del d. lgs. n. 490 del 1999 presupporrebbe sempre l’esistenza di un vincolo avente ad oggetto l’edificio ed il luogo interessato all’intervento, ovvero che siano vincolati edifici e luoghi “in prossimità” dell’immobile sul quale esporre i mezzi pubblicitari.
Nel caso in esame il provvedimento non avrebbe indicato alcun vincolo: tale aspetto non sarebbe stato preso in considerazione dal primo giudice.
La domanda di autorizzazione non avrebbe, peraltro, avuto ad oggetto edifici collocati in “prossimità” ad immobili sottoposti a vincoli specifici, sicché non sarebbero stati sussistenti i presupposti per l’intervento della Soprintendenza.
Le limitazioni per gli edifici non oggetto di vincolo dovrebbero, peraltro, derivare da una ulteriore normativa di secondo grado che individui, se non il bene specifico, l’ambiente meritevole di tutela storico-ambientale recante adeguata motivazione in ordine alla rilevanza dei beni. Nella fattispecie, non sussisterebbe una previsione riguardante un vincolo indiretto.
2) Insufficienza ed erroneità della motivazione.
La motivazione addotta dal Tribunale sarebbe illogica, erronea ed inconferente. Il riferimento ai due edifici (il Duomo e la Torre Velasca) non atterrebbe alla “prossimità” prescritta dall’art. 50; la motivazione non riguarderebbe, così, edifici collocati in prossimità ma visibili solo “in panoramica”. La limitazione non potrebbe essere imposta se non nei confini di immediata adiacenza dell’immobile tutelato.
Con ordinanza del 3 luglio 2002 la Sezione ha chiesto chiarimenti alla Soprintendenza di Milano.
Tale richiesta è stata rinnovata con ordinanza del 19 novembre 2002.
I chiarimenti sono stati forniti dalla Soprintendenza con foglio n. 23109 del 19 dicembre 2002.
Nella Camera di consiglio del 10 gennaio 2003 i procuratori delle parti hanno illustrato le rispettive ragioni.

Diritto

1. Deve innanzitutto, essere osservato che, mentre l’art. 49 del d. lgs. 29 ottobre 1999 n. 490, nel disporre che il Ministero ha facoltà di prescrivere le distanze, le misure e le altre norme dirette ad evitare che sia messa in pericolo l’integrità delle cose immobili soggette alle disposizioni del testo unico, ne sia danneggiata la prospettiva o la luce, o ne siano alterate le condizioni di ambiente o di decoro, pone la disciplina concernente il c.d. vincolo indiretto e la relativa imposizione, il successivo art. 50, riguardante in particolare, secondo quanto precisa la rubrica, i “manifesti e cartelli pubblicitari”, pone forme di protezione diverse ed ulteriori rispetto a quelle realizzate con il vincolo diretto, e che operano attraverso la previsione immediata, ad opera della norma, di un divieto generalizzato di collocazione o affissione di cartelli pubblicitari, superabile, peraltro, a seguito di valutazione positiva del Soprintendente.
In particolare, l’art. 50 del d. lgs. n. 490 del 1999 prevede due ipotesi diverse, sia in relazione all’ambito specifico in cui opera la previsione e la tutela, sia con riferimento alle modalità di realizzazione della tutela medesima.
La prima di esse è disciplinata nell’art. 50, comma 1, alla stregua del quale “è vietato collocare affiggere altri mezzi di pubblicità sugli edifici nei luoghi di interesse storico artistico, o in prossimità di essi. Il Soprintendente può autorizzare il collocamento o affissione quando non ne derivi danno all’aspetto, al decoro e al pubblico godimento di detti immobili.
La norma, pertanto, pone, a tutela degli immobili o dei luoghi di interesse storico artistico un divieto di collocazione o affissione di mezzi pubblicitari direttamente sugli immobili (o sui luoghi) dichiarati di interesse storico-artistico o in prossimità, e cioè nelle adiacenze, dei medesimi.
Il divieto non è peraltro assoluto, ma relativo, potendo tuttavia il Soprintendente, con proprio provvedimento, autorizzare l’affissione quando valuti che da essa non derivi danno all’aspetto, al godimento ed al decoro degli immobili tutelati.
La norma di cui all’art. 50, comma 1 del d. lgs. n. 490 del 1999 introduce, pertanto, quanto meno con riferimento alla eventuale collocazione dei mezzi pubblicitari una tutela ulteriore a quella assicurata con il vincolo indiretto (non vi sarebbe, infatti la necessità di prescrivere esplicitamente la necessità della autorizzazione del Soprintendente, se si fosse dinanzi ad una tutela assicurata con il tradizionale vincolo indiretto, discendendo la necessità di essa dal regime di quest’ultimo), che si realizza attraverso l’esplicita autorizzazione del Soprintendente alla collocazione del mezzo pubblicitario. L’interesse direttamente tutelato è, poi, quello storico-artistico, dal momento che il provvedimento autorizzatorio, che rimuove l’ostacolo alla collocazione o affissione del mezzo pubblicitario, è del Soprintendente.
Sotto questo profilo, la disposizione del testo unico n. 490 del 1990 riproduce, sostanzialmente, il contenuto dell’art. 22 della legge n. 1089, del 1939, anche se prevede una autorizzazione del Sovrintendente volta a superare il generale divieto di collocazione, anziché – come l’art. 21 – disposizioni del medesimo Sovrintendente volte a vietare la collocazione di manifesti pubblicitari in via generale non oggetto di divieto.
Del tutto diversa è, invece, l’ipotesi di cui all’art. 50, comma 2, del d. lgs. n. 490 del 1999, (riguardante il caso in esame), alla stregua della quale “lungo le strade site nell’ambito e in prossimità di edifici o di luoghi di interesse storico è vietato collocare cartelli o altri mezzi di pubblicità, salvo autorizzazione rilasciata a norma dell’art. 23 comma 4 del decreto legislativo 30 aprile 1992 n. 285, previo parere favorevole della Soprintendenza sulla compatibilità della collocazione o della tipologia dell’insegna con l’aspetto, il decoro e il pubblico godimento degli edifici o dei luoghi soggetti a tutela”.
La norma, innanzitutto, non trova il proprio antecedente in una disposizione della legge n. 1089 del 1939, ma si ricollega alle disposizioni contenute nell’art. 23 del d. lgs. 30 aprile 1992 n. 285, concernenti la “pubblicità sulle strade e sui vincoli” che, nel prevedere un divieto di collocazione “luogo le strade o in vista di esse” di mezzi pubblicitari che possano interferire con la segnaletica stradale, o arrecare disturbo visivo agli utenti della strada (art. 23, comma 1), affida all’ente proprietario delle strade e, nei centri abitati, ai comuni, il potere di autorizzare la collocazione dei mezzi pubblicitari lungo le strade o in vista di esse (art. 23, comma 4).
In particolare, l’art. 50, comma 2, del d. lgs. n. 490 del 1999, riproduce sostanzialmente la disposizione di cui all’art. 23, comma 3, del d. lgs. n. 285 del 1992, secondo la quale “lungo le strade, nell’ambito e in prossimità di luoghi sottoposti a vincoli a tutela di bellezze naturali o paesaggistiche, o di edifici o di luoghi di interessi storico o artistico, è vietato collocare altri mezzi pubblicitari”. La norma dell’art. 50 comma 2 del d. lgs. n. 490 del 1999, pur confermando l’affidamento ai soggetti previsti dall’art. 23, comma 4, del d. lgs. n. 285 del 1992 (enti proprietari delle strade e comuni) del potere di autorizzare la collocazione dei mezzi pubblicitari, demanda, nell’ambito del relativo procedimento, la considerazione dello speciale interesse storico-artistico, all’intervento della Soprintendenza, chiamata ad esprimersi sulla compatibilità della collocazione o della tipologia dell’insegna con l’aspetto, il decoro e il pubblico godimento degli edifici o dei luoghi soggetti a tutela.
L’art. 50 del d. lgs. n. 490 del 1999, pertanto, pur ribadendo il generale potere dei comuni (o degli enti proprietari delle strade) con riferimento all’autorizzazione all’affissione di mezzi pubblicitari, subordina la relativa autorizzazione, allorché l’ambito preso in considerazione registri la presenza di luoghi di interesse storico-artistico, alle determinazioni vincolanti della Soprintendenza: la norma, infatti, subordina l’autorizzazione di cui all’art. 23 comma 4 del d. lgs. n. 285 del 1990 non alla semplice acquisizione del parere ma al “previo parere favorevole della Soprintendenza” (art. 50, comma 2, d. lgs. n. 490 del 1990). E’ proprio per tale autonomo rilievo decisivo che le determinazioni della Soprintendenza pur costituendo un atto di un diverso procedimento, appaiono autonomamente e immediatamente impugnabili: come, appunto, è avvenuto nel caso in esame.
2. Alla stregua della superiore ricostruzione, evidente appare la diversità delle due fattispecie disciplinate dall’art. 50 del d. lgs. n. 490 del 1999.
L’art. 50, comma 1 riguarda, infatti, un potere autorizzatorio dello stesso Soprintendente e concerne un ambito oggettivo da identificarsi sostanzialmente con gli edifici ed i luoghi di interesse storico artistico e le loro adiacenze e vicinanze. Relativamente ai cartelli o mezzi pubblicitari che si intende installare sugli edifici o suoi luoghi di interesse storico-artistico o nelle loro adiacenze e vicinanze, il Soprintendente, esercitando un potere proprio, può egli stesso autorizzare la collocazione, superando il divieto della norma, quando da essa non derivi pregiudizio all’aspetto al decoro o al godimento del bene.
L’ambito oggettivo e spaziale cui si riferisce la norma, per un verso evidenzia come la progettata installazione del mezzo pubblicitario debba riguardare almeno le adiacenze dell’immobile, e per l’altro qualifica la valutazione del Soprintendente, che, per espressa previsione normativa, deve riguardare il “danno”, e cioè il pregiudizio che dalla collocazione dell’impianto possa derivare all’aspetto ed alla godibilità dell’immobile vincolato. Il divieto di installazione o collocazione del mezzo pubblicitario riguarda l’immobile vincolato e le sue adiacenze, ed esso può essere superato soltanto con l’esercizio del potere autorizzatorio del Soprintendente.
Diverso è invece, l’ambito oggettivo preso in considerazione dall’art. 50, comma 2 del d. lgs. n. 490 del 1999, ed il divieto con essa imposto, come diverso è il potere autorizzatorio preso in considerazione, in occasione del cui esercizio sono espresse le valutazioni della Soprintendenza, ancorate e presupposti oggettivi diversi da quelli considerati dall’art. 50, comma 1.
Il generale divieto di collocare senza autorizzazione cartelli o altri mezzi di pubblicità, di cui all’art. 50, comma 2, opera “lungo le strade site nell’ambito e in prossimità di edifici o di luoghi di interesse storico e artistico”.
La disposizione riguarda un ambito oggettivo più ampio di quello preso in considerazione dal comma 1, che concerne invece gli edifici e i luoghi di interesse storico-artistico, e le loro immediate vicinanze: come risulta evidente considerando che nel più ristretto ambito preso in considerazione dall’art. 50, comma 1, del d. lgs. n. 490 del 1999, ai fini della tutela dell’interesse storico-artistico, opera direttamente il potere autorizzatorio del Soprintendente e non quello delle autorità di cui all’art. 23 del d. lgs. n. 285 del 1992.
L’espressione contenuta nell’art. 50, comma 2, del d. lgs. n. 490 del 1999 deve, quindi, essere considerata come idonea a ricomprendere una zona di scorrimento viario che ha sempre riferimento ad immobili di interesse storico o artistico, ma che è più ampia ed ulteriore rispetto a quella oggetto dell’art. 50, comma 1, e nella quale, spettando il potere autorizzatorio all’autorità indicato dall’art. 23, comma 4, del d. lgs. n. 285 del 1992, il Soprintendente interviene attraverso l’espressione di un parere. La maggiore ampiezza di tale zona rispetto al bene tutelato ed alle sue immediate vicinanze è, poi, implicitamente evidenziata dall’oggetto del parere che la Soprintendenza è chiamata ad esprimere: mentre l’autorizzazione di cui all’art. 50, comma 1, riguarda il “danno” all’aspetto e al decoro del bene immobile, il parere dell’art. 50, comma 2, concernente i luoghi obiettivamente non immediatamente interessati dal bene tutelato o le loro immediate vicinanze, ha per oggetto la “compatibilità” della collocazione e della tipologia dell’insegna con l’aspetto, il decoro o il godimento dell’immobile, e cioè non un pregiudizio a tale aspetto o decoro, ma il rispetto di un limite sostanziale di coerenza fra i mezzi pubblicitari di cui si progetta l’installazione nella zona che circonda l’immobile e le sue adiacenze ed il bene tutelato.
Si deve, pertanto, ritenere che con l’espressione di cui all’art. 50, comma 2, del d.lgs. n. 199 del 2000 si sia inteso far riferimento ad un ampio contesto di inserimento del bene tutelato, e, per quanto riguarda i centri urbani, al contesto urbano più generale in cui si colloca il bene tutelato; contesto, del quale, in relazione alla possibile installazione di mezzi pubblicitari, va preservata non soltanto la sicurezza, ma anche la coerenza con l’aspetto, il decoro e il godimento del bene culturale.
3. Nel caso in esame, il Soprintendente per i beni Ambientali ed Architettonici di Milano con il provvedimento impugnato, si è espresso appunto, ai sensi dell’art. 50, comma 2, del d. lgs. n. 490 del 1999, peraltro su richiesta della stessa Marfim Marketing Service s.r.l., indirizzando il proprio avviso al Comune di Milano, titolare del potere autorizzatorio ex art. 50, comma 2 .
Il Soprintendente, infatti, si è espresso nella vicenda con il parere, facendo presente che “l’esposizione di mezzi pubblicitari fissi, specie se luminosi, si sovrappongono al contesto in modo dissonante”, e che “i mezzi proposti sono del tutto estranei al carattere dell’architettura che li supportano e costituiscono una alterazione del panorama della città che è in questa area caratterizzato da edifici di grande rilevanza simbolica come il Duomo e la Torre Velasca”.
Il Soprintendente ha poi ricordato l’unitarietà architettonica della Piazza S. Babila e la qualità dell’ambiente generato dagli edifici che la circondano.
4. Tali essendo, da un lato, la portata dell’art. 50, comma 2, del d. lgs. n. 490 del 1999 e dall’altra il contenuto dell’atto impugnato, infondata si manifesta l’impugnazione proposta dalla Società appellante.
In proposito, deve, innanzitutto essere precisato che, contrariamente a quanto afferma l’appellante con il primo motivo di gravame, il Tribunale si è sostanzialmente pronunciato sul primo motivo del ricorso di primo grado, indicando sia la disciplina applicabile sia i beni di interesse storico artistico che giustificavano il parere negativo, e dei quali doveva essere assicurata la “visione panoramica”, sia infine chiarendo in qual modo andava intesa la “prossimità” cui fa riferimento la disposizione di legge; sicché il problema è, semmai, quello di stabilire se la pronuncia del TAR sui motivi di ricorso sia corretta.
Il Collegio ritiene, peraltro che debba essere confermata la statuizione di rigetto del ricorso di primo grado, apparendo, comunque, il potere del Soprintendente di pronunciarsi sul progetto di installazione del mezzo pubblicitario, correttamente esercitato alla stregua dei presupposti a tal fine richiesti dall’art. 50, comma 2, del d. lgs. n. 490 del 1999.
Tale disposizione richiede, infatti, che sussista un bene di interesse storico o artistico al quale abbia riferimento il parere e che esso sia indicato nel medesimo; che il mezzo pubblicitario che si intende installare sia collocato “lungo le strade site nell’ambito e in prossimità di edifici o di luoghi di interesse storico o artistico”; che la valutazione della Soprintendenza riguardi la “compatibilità della collocazione della tipologia” del mezzo pubblicitario con l’aspetto, con il decoro e il pubblico godimento del bene culturale.
Tali elementi appaiono, sostanzialmente, sussistere nella fattispecie in esame.
Quanto, infatti, al primo di essi, il Collegio ritiene sufficiente il riferimento esplicito operato, con il provvedimento impugnato ad un edificio di grande rilevanza simbolica come il Duomo di Milano, che nell’area in questione caratterizza il panorama della città, relativamente al quale non è contestata dalla società appellante il carattere di bene di interesse storico artistico sottoposto a vincolo, sicché non acquista rilevanza concreta la questione se, la Torre Velasca, pure menzionata nel provvedimento, sia anch’essa un bene di interesse storico artistico.
L’esistenza di beni sottoposti a tutela ai sensi del decreto legislativo n. 490 del 1999 (quali la chiesa di S. Babila, come comunicato con la nota della Sovrintendenza del 21 novembre 2002) nella piazza S. Babila, e cioè nella piazza nella quale dovrebbe essere installato il mezzo pubblicitario conferma ulteriormente la legittimità del provvedimento impugnato.
Quanto al secondo dei profili sopra indicati, si è visto sopra come l’espressione contenuta nell’art. 50, comma 2, del d. lgs. n. 490 del 1990 debba essere intesa come volta ad indicare il contesto urbano più generale di inserimento dei beni culturali, e come, in particolare, l’espressione contenuta nel predetto art. 50, secondo comma, non possa ritenersi equivalente a quella utilizzata dall’art. 50, comma 1 (che fa riferimento ad un divieto di affissione operante “sugli edifici e nei luoghi di interesse storico artistico in prossimità di essi”), che designa un ambito più ristretto, nel quale opera il potere diretto del Soprintendente di concedere o negare l’autorizzazione al collocamento. Non può, invece, essere condivisa la prospettazione riduttiva della società appellante, secondo la quale l’art. 50, comma 2 del d. lgs. n. 490 del 1999 avrebbe riferimento alla collocazione di cartelli pubblicitari “a livello stradale”. La norma si riferisce infatti, a tale ipotesi, ma è idonea a ricomprendere, più genericamente, tutto il contesto urbano più ampio, ed anche il caso che i mezzi pubblicitari siano collocati ad un livello superiore a quello stradale, rimanendo intatte, anche relativamente ad esso, le esigenze di tutela che la norma intende perseguire con l’autorizzazione di cui all’art. 23, comma 4, del d. lgs. n. 285 del 1992 e con il parere della Soprintendenza.
Una situazione del genere si verifica nella fattispecie, relativamente alla quale esattamente il Tribunale ha osservato non solo che il richiamo, contenuto nel provvedimento impugnato ad “edifici di grande rilevanza simbolica come il Duomo e la Torre di Velasca” soddisfa alle esigenze di salvaguardia indicate dalla norma, ma anche che “l’incombenza e la visione panoramica” di tali edifici della zona interessata dalla installazione contestata vale a relativizzare il concetto di prossimità indicato dalla norma”. In tal modo il Tribunale ha sostanzialmente sottolineato che i luoghi destinati alla installazione contestata si riferiscono al contesto urbano più generale nel quale si collocano gli edifici oggetto di tutela (ed in particolare, il Duomo) e del quale occorre oggettivamente preservare la coerenza. Sotto questo profilo, non appare esatta o condivisibile l’affermazione contenuta nell’atto di appello, secondo cui la domanda di autorizzazione presentata dalla Società non avrebbe avuto riferimento ad edifici collocati “in prossimità” ad immobili sottoposti a vincoli specifici, sicché non sarebbero stati sussistenti i presupposti per l’intervento della Soprintendenza. Un tal modo di pensare è fondato, infatti su una nozione di “prossimità” ai luoghi di interesse artistico e storico ritagliata sulla ipotesi disciplinata dall’art. 50, comma 1, e che non corrisponde, invece, al più ampio ambito oggettivo preso in considerazione dalla fattispecie di cui all’art. 50, comma 2, del d.lgs. n. 490 del 1999.
Per quanto riguarda, infine, la valutazione della Soprintendenza, la stessa appare sostanzialmente operata con riferimento, come prescrive la norma, alla compatibilità del mezzo pubblicitario con l’aspetto, il decoro ed il pubblico godimento degli edifici e dei luoghi tutelati. La Soprintendenza ha, infatti rilevato non solo che i mezzi pubblicitari proposti sono estranei al carattere delle architetture che li supportano, ma anche essi “costituiscono una alterazione del panorama della città, che è in questa area caratterizzato da edifici di grande rilevanza simbolica”.
Deve, in proposito essere osservato che, contrariamente a quanto sostiene l’appellante, con il parere da esprimersi da parte del Soprintendente ai sensi dell’art. 50, comma 2 del d. lgs. n. 490 del 1999, ben può essere presa in considerazione la “visione panoramica” dell’immobile tutelato. Tale esito, appare, infatti, coerente sia con l’ambito oggettivo preso in considerazione dalla norma (concernente, come si è visto, tutto il contesto urbano più generale in cui si colloca l’immobile tutelato), sia con il tipo di valutazione che la norma richiede, che riguarda la “compatibilità” del mezzo non solo con il pubblico godimento, ma anche con l’aspetto e il decoro complessivo dell’immobile. La valutazione riguarda, infatti anche un giudizio di oggettiva coerenza tra il mezzo pubblicitario e l’immobile, al fine di assicurarne l’aspetto ed il decoro, che non appare necessariamente e strutturalmente legata alla immediata ordinaria percepibilità dell’immobile.
5. Le osservazioni sopra esposte evidenziano, altresì, l’infondatezza dei profili di doglianza prospettati con il secondo motivo di appello. La società appellante opera, infatti, una lettura della concreta fattispecie alla luce della disposizione di cui all’art. 50, comma 1, e pone a fondamento di essi una nozione di “prossimità” dei luoghi interessati dal mezzo pubblicitario ritagliata proprio su tale ipotesi normativa, sostanzialmente corrispondente a quella di “adiacenza fisica” (pag. 8 dell’atto di appello).
Nel caso in esame ricorre, invece, come si è già diffusamente illustrato, la diversa fattispecie di cui all’art. 50, comma 2, del d. lgs. n. 490 del 1999, sicché non condivisibili, per i motivi già esposti, appaiono le ragioni prospettate dalla società.
6. In conclusione, l’appello deve essere respinto, sicché deve essere confermata la statuizione di rigetto del ricorso di primo grado adottata dal Tribunale.
La particolarità delle questioni trattate induce il Collegio a disporre l’integrale compensazione delle spese dovute.

P.Q.M

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando, respinge l’appello in epigrafe, confermando per l’effetto l’impugnata sentenza di primo grado.
Compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.