Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 1 Giugno 2006

Sentenza 14 aprile 2006, n.156

Corte costituzionale. Sentenza 14 aprile 2006, n. 156: “Infondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 16, comma 3, e 21, comma 1, lettera f) della L.R. Friuli-Venezia Giulia 4 marzo 2005, n. 5 (Norme per l’accoglienza e l’integrazione sociale delle cittadine e dei cittadini stranieri immigrati)”.

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

– Annibale MARINI Presidente
– Franco BILE Giudice
– Giovanni Maria FLICK ”
– Francesco AMIRANTE ”
– Ugo DE SIERVO ”
– Romano VACCARELLA ”
– Paolo MADDALENA ”
– Alfio FINOCCHIARO ”
– Alfonso QUARANTA ”
– Franco GALLO ”
– Luigi MAZZELLA ”
– Sabino CASSESE ”
– Maria Rita SAULLE ”
– Giuseppe TESAURO ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 16, comma 3, e 21, comma 1, lettera f), della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia del 4 marzo 2005, n. 5 (Norme per l’accoglienza e l’integrazione sociale delle cittadine e dei cittadini stranieri immigrati), promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri notificato il 9 maggio 2005, depositato in cancelleria il 17 maggio successivo ed iscritto al n. 57 del registro ricorsi 2005.
Visto l’atto di costituzione della Regione Friuli-Venezia Giulia;
Udito nell’udienza pubblica del 21 marzo 2006 il Giudice relatore Maria Rita Saulle;
Uditi l’avvocato dello Stato Massimo Salvatorelli per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Giandomenico Falcon per la Regione Friuli-Venezia Giulia.

Ritenuto in fatto

1.- Con ricorso notificato il 9 maggio 2005, depositato il successivo 17 maggio, il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato, in via principale, questione di legittimità costituzionale degli articoli 16, comma 3, e 21, comma 1, lettera f), della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia del 4 marzo 2005, n. 5 (Norme per l’accoglienza e l’integrazione sociale delle cittadine e dei cittadini stranieri immigrati), per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettere a) e b), della Costituzione.
Il ricorrente, dopo aver premesso che le materie relative alla condizione dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea e all’immigrazione rientrano nella potestà legislativa esclusiva dello Stato, ex art. 117, comma 2, lettere a) e b), Cost., e ciò anche in ragione della finalità che le suddette materie siano regolate in modo uniforme a livello nazionale, rileva che le norme che regolano l’ingresso, la permanenza e l’espulsione dei cittadini stranieri hanno trovato, da ultimo, la loro disciplina nel decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) che, all’art. 1, comma 4, precisa che, per le Regioni a Statuto speciale, le disposizioni in esso contenute hanno valore di «norme fondamentali di riforma economica-sociale della Repubblica».
Così ricostruito il quadro normativo di riferimento, il ricorrente osserva che le norme censurate violerebbero la disciplina statale sopra indicata, costituendo solo clausola di stile il richiamo che la legge impugnata fa, all’art. 1, al rispetto della Costituzione e della normativa statale, nonché, all’art. 2, al rispetto del d.lgs. n. 286 del 1998, risultando, in realtà, eluso il sistema «delineato dagli artt. 4 e 5 dello Statuto regionale».
In particolare, quanto alla prima censura, il ricorrente osserva che l’art. 16 della legge impugnata, ponendosi l’obiettivo di assicurare ai minori stranieri non accompagnati particolari forme di tutela, mediante la previsione di interventi volti ad assicurare loro livelli adeguati di accoglienza, protezione e inserimento sociale, al comma 3 prevede che «Al fine di sostenere la conclusione dei percorsi di integrazione, gli interventi avviati durante la minore età ai sensi dei commi 1 e 2 possono proseguire successivamente al raggiungimento della maggiore età».
Tale ultima disposizione, secondo il ricorrente, contrasterebbe con la riserva contenuta nell’art. 117, secondo comma, lettere a) e b), Cost. e, in particolare, con l’art. 32 del d.lgs. n. 286 del 1998 che, con riferimento alla posizione del minore presente nel territorio italiano, prevede le modalità e la durata del rilascio del permesso di soggiorno al compimento della maggiore età, inserendosi tale disciplina in quella relativa alla più generale politica dell’immigrazione. In particolare, il richiamato art. 32 prevede che il permesso può essere rilasciato ai minori stranieri purché si trovino sul territorio nazionale da non meno di tre anni ed abbiano seguito un progetto di integrazione sociale e civile per non meno di due anni, sempre che dispongano di un alloggio e frequentino corsi di studio, ovvero svolgano attività lavorativa retribuita nelle forme e con le modalità previste dalla legge italiana, ovvero, ancora, siano in possesso di contratto di lavoro anche se non ancora iniziato. Stabilisce, ancora, la citata disposizione che il numero dei permessi di soggiorno in tal modo rilasciati sia portato in detrazione dalle quote di ingresso definite annualmente.
Secondo il Governo, la norma impugnata, incidendo sulla materia dell’immigrazione, prevede la possibilità per il minore straniero di permanere nel territorio nazionale in ipotesi diverse e ulteriori rispetto a quelle fissate dalla legge statale senza, peraltro, l’indicazione di un termine certo per tale permanenza, non essendo chiaro per quanto tempo il soggetto interessato possa partecipare al programma di integrazione una volta compiuta la maggiore età.
Parimenti illegittimo sarebbe l’art. 21, comma 1, lettera f), della legge in esame, laddove dispone che i comuni e le province organizzino, nell’ambito delle proprie competenze, i servizi territoriali che provvedono, tra l’altro, «allo svolgimento degli adempimenti istruttori relativi alle istanze di richiesta e rinnovo di permesso di soggiorno e di carta di soggiorno, di richiesta di nulla-osta al ricongiungimento familiare, in accordo con le competenti strutture del Ministero dell’interno».
Infatti, anche tale norma, sempre secondo il ricorrente, violando la disciplina statale in materia di immigrazione e, in particolare, l’art. 5 del richiamato d.lgs., si porrebbe in contrasto con i principi costituzionali che attribuiscono allo Stato la competenza esclusiva in materia di richiesta e rilascio del permesso di soggiorno.

2. – Si è costituita la Regione Friuli-Venezia Giulia chiedendo che la questione di legittimità sollevata sia dichiarata inammissibile e/o infondata, riservandosi di esporre i motivi di tali richieste in separata memoria.

3. – In prossimità dell’udienza, la Regione Friuli-Venezia Giulia ha depositato memoria con la quale ha insistito per una pronuncia di infondatezza del ricorso.
La Regione, riconosciuta la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di immigrazione e di condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea, ex art. 117, secondo comma, lettere a) e b), Cost., rileva che tali materie, regolate dal d.lgs. n. 286 del 1998, si intrecciano con altre attribuite alla competenza regionale, con la conseguenza che l’attuazione delle politiche connesse all’immigrazione deve prevedere la necessaria partecipazione delle Regioni, così come del resto previsto da alcune disposizioni contenute nel d.lgs. n. 286 del 1998.
Così individuata la propria competenza, la Regione rileva che l’art. 1, comma 1, della legge impugnata espressamente dispone che la stessa si pone «in armonia con la Costituzione», e che l’art. 2, comma 2, prevede che gli interventi in essa previsti devono essere attuati in conformità con il d.lgs. n. 286 del 1998, con la conseguenza che risulterebbe evidente l’intenzione del legislatore regionale di intervenire esclusivamente su quegli aspetti dell’immigrazione che la stessa legge nazionale riserva alla competenza regionale.
Nell’esaminare le singole censure, la Regione ritiene quella proposta avverso l’art. 16, comma 3, frutto di un’erronea interpretazione della norma, in quanto questa si limita a prevedere la possibilità della prosecuzione degli interventi a favore del minore non accompagnato, una volta che questi abbia raggiunto la maggiore età, senza disporre alcunché in relazione al rilascio del permesso di soggiorno al cui possesso è comunque subordinata la continuazione degli interventi e la cui emissione resta di competenza esclusiva dello Stato. A conferma di ciò, la resistente rileva che la stessa lettera dell’art. 16 prevede che tali interventi «possono» proseguire, così indicando la mera possibilità della loro prosecuzione.
Quanto alla mancata indicazione di un termine per la permanenza sul territorio nazionale del maggiorenne ammesso ai programmi previsti dall’art. 16, secondo la Regione, questa costituirebbe la prova del rispetto che la legge impugnata ha della competenza statale in materia di immigrazione che, viceversa, sarebbe stata violata ove detto termine fosse stato da essa previsto.
In relazione alla censura afferente l’art. 21, comma 1, lettera f), la Regione rileva che anche questa si fonda su di un erroneo presupposto interpretativo, in quanto tale norma si pone l’obiettivo di assicurare assistenza materiale agli stranieri immigrati, non intendendo, quindi, disciplinare aspetti relativi all’immigrazione. In particolare, gli «adempimenti istruttori» che gli enti locali possono affidare ai servizi territoriali, previsti dalla norma in esame, si differenzierebbero da quelli attribuiti agli organi dello Stato, trattandosi esclusivamente di funzioni istruttorie elementari.
Infine, la Regione osserva che la disposizione impugnata prevede che l’attività in essa disciplinata sia svolta in accordo con le competenti strutture del Ministero dell’interno, con la conseguenza che, in mancanza di detto accordo, la norma non potrebbe trovare applicazione.

Considerato in diritto

1.- Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna gli articoli 16, comma 3, e 21, comma 1, lettera f), della legge della Regione Friuli Venezia Giulia del 4 marzo 2005, n. 5 (Norme per l’accoglienza e l’integrazione sociale delle cittadine e dei cittadini stranieri immigrati), per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettere a) e b), della Costituzione.
Le norme impugnate – che prevedono, rispettivamente, interventi per i minori stranieri non accompagnati anche dopo il raggiungimento della maggiore età e lo svolgimento, direttamente o indirettamente, di compiti istruttori da parte degli enti locali nell’ambito dei procedimenti per il rilascio e il rinnovo dei permessi di soggiorno e delle carte di soggiorno, nonché di richiesta di nulla–osta al ricongiungimento – violerebbero la competenza statale esclusiva in materia di immigrazione, di diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea.

2.- Ai fini di un corretto inquadramento delle questioni sollevate dal Governo, occorre premettere che il decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione giuridica dello straniero), con il quale lo Stato ha disciplinato la materia dell’immigrazione, ha, tra l’altro, attribuito alle Regioni le competenze di seguito indicate, prevedendo, altresì, forme di cooperazione tra lo Stato e le Regioni medesime.
In particolare, l’art. 3 del d.lgs. citato afferma che, al fine della predisposizione del documento programmatico relativo alla politica dell’immigrazione e degli stranieri nel territorio dello Stato, il Presidente del Consiglio dei ministri senta anche la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e la Conferenza Stato-città e autonomie locali. Il comma 5 dello stesso articolo prevede, ancora, che «nell’ambito delle rispettive attribuzioni e dotazioni di bilancio, le Regioni, le province, i comuni e gli altri enti locali adottano i provvedimenti concorrenti al perseguimento dell’obbiettivo di rimuovere gli ostacoli che di fatto impediscono il pieno riconoscimento dei diritti e degli interessi riconosciuti agli stranieri nel territorio dello Stato, con particolare riguardo a quelli inerenti all’alloggio, alla lingua, all’integrazione sociale, nel rispetto dei diritti fondamentali della persona umana». Il successivo comma 6 prevede l’istituzione «di Consigli territoriali per l’immigrazione, in cui siano rappresentati le competenti amministrazioni locali dello Stato, la Regione, gli enti locali, gli enti e le associazioni localmente attivi nel soccorso e nell’assistenza agli immigrati, le organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro, con compiti di analisi delle esigenze e di promozione degli interventi da attuare a livello locale».
A sua volta l’art. 42 prevede che lo Stato, le Regioni, le province e i comuni, nell’ambito delle proprie competenze, anche in collaborazione con le associazioni di stranieri e con le organizzazioni stabilmente operanti in loro favore, nonché in collaborazione con le autorità o con enti pubblici e privati dei Paesi di origine, favoriscono una serie di attività di tipo sociale e assistenziale volte, tra l’altro, all’effettuazione di corsi della lingua e della cultura di origine, alla diffusione di ogni informazione utile al positivo inserimento nella società italiana degli stranieri medesimi, alla conoscenza e alla valorizzazione delle espressioni culturali, ricreative, sociali, economiche e religiose degli extracomunitari regolarmente soggiornanti.

3. – Da tali disposizioni, nonché da altre contenute nel d.lgs. n. 286 del 1998 – come l’art. 38 e l’art. 40 – risulta che in materia di immigrazione e di condizione giuridica degli stranieri è la stessa legge statale che disciplina una serie di attività pertinenti al fenomeno migratorio e agli effetti sociali di quest’ultimo, e che queste vengono esercitate dallo Stato in stretto collegamento con le Regioni alle quali sono affidate direttamente alcune competenze. Ciò tenuto conto del fatto che l’intervento pubblico non può limitarsi al controllo dell’ingresso e del soggiorno degli stranieri sul territorio nazionale, ma deve anche necessariamente considerare altri ambiti – dall’assistenza sociale all’istruzione, dalla salute all’abitazione – che coinvolgono competenze normative, alcune attribuite allo Stato ed altre attribuite alle Regioni.

4. – Alla luce del suddetto quadro normativo le questioni non sono fondate.
Invero, l’art. 16 della legge impugnata, quale risulta dalla sua stessa rubrica recante «Interventi per minori stranieri non accompagnati», si pone l’obiettivo di prevedere delle forme di sostegno finalizzate all’inserimento dei minori non accompagnati e, proprio al fine del completo raggiungimento di tali scopi, al comma 3, dispone che tali interventi possono proseguire anche dopo che i beneficiari abbiano raggiunto la maggiore età. La norma impugnata, quindi, va interpretata nel senso che essa si limita a prevedere l’esercizio di attività di assistenza rientranti nelle competenze regionali, senza incidere in alcun modo sulla competenza esclusiva dello Stato in materia di immigrazione.
In sostanza, la «possibilità» di proseguire, in favore del minore non accompagnato, gli interventi di sostegno previsti dall’art. 16, anche dopo il raggiungimento della maggiore età, con la sua conseguente ulteriore permanenza sul territorio nazionale, è subordinata al rilascio nei suoi confronti del permesso di soggiorno, cosa che potrà avvenire solo ricorrendo le condizioni a tal fine previste dal d.lgs. n. 286 del 1998.
Parimenti infondata è la censura relativa all’art. 21, comma 1, lettera f). Anche tale norma, infatti, lungi dal regolare aspetti propriamente incidenti sulla materia dell’immigrazione, si limita a prevedere in favore degli stranieri presenti sul territorio regionale una forma di assistenza che si sostanzia nel mero affidamento agli enti locali di quegli adempimenti che, nell’ambito dei procedimenti di richiesta e rinnovo di permesso di soggiorno e di carta di soggiorno, ovvero di richiesta di nulla-osta al ricongiungimento familiare, diversamente sarebbero stati svolti direttamente dagli stessi richiedenti.
D’altra parte il rispetto delle competenze statali nei procedimenti sopra indicati emerge, altresì, dal contenuto della norma impugnata la quale prevede che le attività in essa disciplinate siano svolte in accordo con le competenti strutture del Ministero dell’interno.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 16, comma 3, e 21, comma 1, lettera f) della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia del 4 marzo 2005, n. 5 (Norme per l’accoglienza e l’integrazione sociale delle cittadine e dei cittadini stranieri immigrati), sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettere a) e b), della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 aprile 2006.

Annibale MARINI, Presidente
Maria Rita SAULLE, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere