Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 15 Marzo 2009

Sentenza 19 febbraio 2009

Tribunale di Cremona. Sentenza 19 febbraio 2009: "Simboli religiosi ed esclusione della configurabilità del reato di porto ingiustificato di armi od oggetti atti ad offendere".

(omissis)

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con decreto in data 10 Ottobre 2007, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Cremona disponeva il giudizio nei confronti di S. L., affinché rispondesse del reato in epigrafe riportato.

All’udienza dibattimentale del 13-1-2009, celebratasi nella dichiarata contumacia dell’imputato, si procedeva, su richiesta del pubblico ministero, all’esame del teste P. F., nonché, su istanza della difesa, all’acquisizione di documentazione.

Quindi, indicati dal Giudice gli atti utilizzabili a norma dell’art. 511, 5° comma, c.p.p., le parti concludevano nei sensi di cui in epigrafe.

Occorre premettere come l’ipotesi accusatoria di porto abusivo di coltello, formulata a carico di S. L., si fondi esclusivamente sul fatto, direttamente constatato dai carabinieri di Vescovato (Cremona), che l’imputato era stato notato all’interno del centro commerciale “Iper Cremona Due” di Gadesco Pieve Delmona con in dosso un coltello.In particolare, il teste P. F., appuntato dei carabinieri in servizio presso la Stazione di Vescovato, ha riferito che durante un servizio perlustrativo era stato avvisato della presenza, presso il suddetto centro commerciale, di un cittadino indiano recante con sé “un coltellino”. I militari, giunti sul posto, dapprima avevano fermato un cittadino indiano il quale camminava con appeso al collo, sotto la barba, un coltello; quindi, su indicazione del personale di vigilanza che aveva informato come non fosse quella la persona segnalata, era stato individuato un cittadino indiano, poi identificato per S. L., recante con sé “un coltellino sempre appeso al collo”, ma “a tracolla”, calzato nel fodero.

Il testimone ha pure precisato come la lama, avente punta ricurva, misurasse circa cm. 10,5 e come anche quest’individuo – che indossava la tunica indiana bianca, nonché il turbante bianco – avesse la barba molto lunga.

Entrambi i cittadini indiani avevano giustificato la detenzione di tali coltelli con il motivo religioso.

A domanda del difensore, il teste non ha saputo riferire se gli individui in detta occasione avessero anche indossato al polso un braccialetto d’argento, precisando, tuttavia, come tale oggetto avesse comunque notato in dosso a molti cittadini indiani abitanti in quella zona di Vescovato, ove pure era ubicata una chiesa per l’esercizio del culto “sikh”.

Così sintetizzate le principali risultanze testimoniali, si deve innanzitutto evidenziare come alla luce di tali emergenze, pure riscontrate dal contenuto dell’allegato verbale di sequestro (redatto dai carabinieri di Vescovato in data 3-4-2006), non sia assolutamente contestabile il rinvenimento nella diretta disponibilità dell’imputato dell’oggetto sequestrato.

E’ appena il caso di precisare come esso, per l’evidente morfologia della lama e della punta (si veda la foto esibita dal teste in dibattimento), debba considerarsi “coltello”, così come correttamente definito sia dai carabinieri nel verbale di sequestro (nonché dall’appuntato P. nel corso del suo esame), sia dal pubblico ministero nel capo d’imputazione (si veda, pure, a riscontro, in relazione ad analogo sequestro, l’identica qualificazione adottata nell’acquisito decreto di convalida del P.M. presso il Tribunale di Modena del 9-8-2003).

Una più attenta disamina merita, invece, il motivo religioso che, sulla scorta di quanto prospettato dall’imputato al momento dell’intervento dei militari, giustificherebbe, secondo la difesa, il porto del coltello fuori dell’abitazione.

Trattasi di una delicata problematica, la cui imprescindibile rilevanza giuridica deriva all’evidenza dalla struttura normativa della contravvenzione in esame, che, a mente dell’art. 4, secondo comma, della legge 18 aprile 1975, n° 110, punisce coloro i quali “senza giustificato motivo” portino “fuori della propria abitazione o delle appartenenze di essa, bastoni muniti di puntale acuminato, strumenti da punta o da taglio atti ad offendere, mazze, tubi, catene, fionde, bulloni, sfere metalliche, nonché qualsiasi altro strumento non considerato espressamente come arma da punta o da taglio, chiaramente utilizzabile, per le circostanze di tempo e di luogo per l’offesa alla persona”.

Il porto del coltello sequestrato, sebbene indubbiamente riguardi uno strumento astrattamente idoneo all’offesa alla persona, integrerebbe dunque la suddetta ipotesi di reato, non già sempre e comunque, ma soltanto qualora avvenisse “senza giustificato motivo”.

Occorre quindi verificare se l’invocata ragione di culto possa nella fattispecie in esame effettivamente qualificarsi quale “giustificato motivo”, idoneo a consentire di ritenere non perfezionata la condotta illecita sanzionata dalla norma.

A tal fine appare necessario formulare alcune premesse in ordine alla religione “sikh”, atteso che è in ossequio alla professione di essa che l’imputato avrebbe portato con sé il coltello.

Orbene, alla stregua di quanto è dato di conoscere in base alla documentazione prodotta dalla difesa e al fatto notorio, si deve rilevare come secondo tale religione indiana, fondata dopo la metà del 1400, esista un unico Dio, il quale concede ai suoi seguaci di raggiungere l’assoluta beatitudine percorrendo cinque stadi. I simboli della religione sono: la Khanda, simbolo della khalsa, cioè della comunità sikh, che consta di una spada centrale (simbolo della fede in Dio) e due spade esterne incrociate (simbolo del potere spirituale e temporale), la Khanga (il pettine), simbolo della cura e della pulizia della persona in quanto creatura di Dio, il Kirpan (il pugnale), simbolo della resistenza al male, il Kara (braccialetto metallico che ricorda il principio di non rubare ed ha pure una funzione equilibratrice del ferro corporeo) segno dell’unità con Dio e infine la barba e i capelli non tagliati, segno di accettazione della volontà di Dio, in quanto fatto naturale voluto da Dio.

In particolare, il kirpan, così come il turbante, deve essere sempre portato dal seguace della religione “sikh”.

E ciò, si badi, risulta pure espressamente confermato in analogo caso dal Consolato Generale dell’India (si veda il certificato del 21-6-2001, prodotto dalla difesa, dal quale si evince come l’indiano “sikh” sia “obbligato”, e non già, si badi, semplicemente facoltizzato, “per motivi religiosi a portare sempre con sé un turbante e il kirpan (piccolo pugnale) come previsto dal Sikhismo”).

Tanto chiarito, non può negarsi come il coltello sequestrato, per la sua tipica forma e decorazione, altro non sia che il c.d. “kirpan”, usata dal cittadino indiano, seguace della religione “sikh” (si veda, oltre che, eloquentemente, l’acquisita foto, anche il verbale di sequestro, ove si accenna a “coltello avente lama di cm 10 e impugnatura di cm 7 completo di custodia avente simboli indiani in rilievo”).

Un coltello che evidentemente, proprio per la sua modesta dimensione e tipologia, non a caso è stato più volte sintomaticamente definito dallo stesso carabiniere operante come “coltellino”, ovvero “coltellino ornamentale” (ff. 4, 5, 8, 10).

Un coltello che, dunque, appare certamente compatibile con l’utilizzazione, da parte del cittadino indiano, nei termini sopra illustrati, ovvero come segno distintivo di adesione ad una regola religiosa e, in ultima analisi, come peculiare modalità di espressione della fede religiosa.

Si deve, d’altronde, marcare come qui il motivo che ha sollecitato l’imputato a indossare il coltello sequestrato non risulti, sotto il profilo probatorio, ascrivibile ad altri scopi.

Dalla deposizione resa dal verbalizzante, infatti, neppure si evince nella condotta del prevenuto un qualche comportamento sospetto, eventualmente declinato sul crinale di una callida azione diretta ad occultare sulla propria persona il coltellino, tenuto conto che esso veniva, per contro, portato visibilmente “a tracolla” e dunque affatto nascosto, ma, semmai, chiaramente ostentato.

E tale ostentazione, a fronte delle sintetizzate premesse in tema di fede “sikh”, non può essere semplicemente circoscritta ad una finalità, pure in qualche modo connessa, di ornamento dell’abbigliamento, illustrando piuttosto il porto del kirpan quella valenza intrinsecamente e coerentemente comunicativa dell’identità religiosa.

Ma se tali sono le coordinate motivazionali che ebbero a guidare la condotta dell’imputato, si deve allora inevitabilmente riconoscere come esse intercettino un valido supporto normativo, siccome obiettivamente collocabili all’interno della tutela della libertà di fede religiosa.

E’ questa una protezione giuridica di assoluta rilevanza, volta che risulta assicurata, in tutte le sue possibili esplicazioni, sia dall’art. 18 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 10 dicembre 1948, sia dall’art. 9 della legge 4 agosto 1955, n° 848, di ratifica della Convenzione per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali, sia dall’art. 19 della nostra Costituzione.

Una protezione giuridica che, si badi, in occasione di una problematica prospettata nel diritto canadese, ha significativamente indotto la Corte Suprema, con sentenza in data 2 marzo 2006 n° 30.322, a ritenere il porto del kirpan di per sé non vietato (addirittura) all’interno di istituti scolastici, evidenziando come per poter restringere un diritto tutelato dalla Carta occorra che la minaccia sia presente e reale (non già che sia fondata sulla mera avversione o preoccupazione) e che i mezzi scelti per limitarlo siano proporzionati all’obiettivo perseguito.

In questa importante decisione la Corte Suprema canadese ha fatto leva proprio sulla natura simbolica del coltellino dei “sikh”, evidenziando pure, sullo sfondo, il fondamentale valore canadese del multiculturalismo.

Del pari, il rango costituzionale assegnato dal nostro ordinamento giuridico alla libertà della confessione religiosa non consente di ritenere privo di “giustificato motivo” il porto di tale simbolico elemento ornamentale da parte del cittadino indiano, il quale per l’appunto invochi l’uso di esso, fuori della propria abitazione, quale vincolata modalità di professare il proprio culto.

Invero, a fronte del disposto dell’art. 19 Cost., che riconosce nel nostro Paese a “tutti” il “diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume”, non appare giuridicamente possibile limitare l’ostentazione, da parte del seguace della religione “sikh”, del suddetto coltellino all’interno della propria abitazione, senza inevitabilmente vulnerare il diritto costituzionale del medesimo a professare la sua fede anche fuori di detto luogo privato.

A quest’ultimo proposito, non può negarsi come sia proprio “in pubblico”, e dunque “fuori della propria abitazione”, che evidentemente il kirpan assume l’ulteriore rilevanza di esprimersi quale segno distintivo di adesione del seguace alla religione “sikh”, così pienamente consentendogli, anche mediante l’affermazione della propria identità religiosa, di professare liberamente la propria fede. Giacché il diritto a professare liberamente la propria confessione religiosa comporta, prima ancora che il diritto a non essere eventualmente costretto a dichiararla, principalmente quello di poterla volontariamente e apertamente manifestare con parole o atti, oltre che, finanche, quello di farne propaganda e opera di proselitismo.

Né, per ritenere egualmente integrata la contravvenzione in esame, potrebbero opporsi, alle suesposte considerazioni, le esigenze di tutela dell’ordine pubblico che l’art. 4 della legge n° 110/1975 intende perseguire, dal momento che tale disposizione in tanto assicura protezione all’ordine pubblico, in quanto il porto, fuori dell’abitazione, dello strumento atto ad offendere non sia giustificato.

Per come è normativamente organizzata la configurazione astratta del reato, è, infatti, evidente che il legislatore ha ritenuto pericoloso per la sicurezza pubblica soltanto il porto del coltello privo di una attendibile ragione, legittimandolo invece ogni qual volta l’agente possa invocare in suo favore un valido motivo. In tale seconda ipotesi le esigenze di tutela della collettività, che pure sono astrattamente connesse al portare fuori l’abitazione uno strumento potenzialmente idoneo ad attentare all’incolumità personale, sono sostanzialmente salvaguardate dallo scopo non offensivo (il c.d. “giustificato motivo”) positivamente avuto di mira dall’agente, alla cui responsabile condotta finisce dunque, in questo caso, per affidarsi il legislatore.

E’ all’interno di tale contesto interpretativo che, ad avviso del giudicante, si spiega la ragione per la quale la fattispecie penale in oggetto non può dirsi perfezionata in presenza di un “giustificato motivo”, poiché è proprio in virtù di esso che la tutela della sicurezza pubblica, connessa al divieto di porto di strumento atto ad offendere, non è, in definitiva, messa concretamente a repentaglio.

Consegue che non occorrano ulteriori indagini per ritenere penalmente irrilevante il porto del kirpan da parte di un cittadino indiano fuori della propria abitazione, qualora esso sia attendibilmente giustificato (come nella specie è stato provato) dalla finalità di professare la fede “sikh”.

Diversamente, si finirebbe per non ospitare, all’interno del concetto di “giustificato motivo”, una delle forme mediante le quali viene professato il culto “sikh” (senza, peraltro, che si rinvenga nel nostro ordinamento uno specifico divieto in tal senso), sul presupposto, difficilmente sostenibile, di una sua pericolosità ulteriore ed eccedente quella che intrinsecamente accompagna la condotta di qualsivoglia porto in luogo pubblico di un’arma impropria.

D’altronde, se deve pacificamente ritenersi insussistente il reato qualora il porto, fuori della propria abitazione, di un “coltellone” da cucina sia motivato dalla plausibile esigenza di tagliare il pane per una famiglia che intenda recarsi ad un “pic-nic”, non si vede francamente per quale ragione non dovrebbe del pari considerarsi non integrata la fattispecie penale nell’ipotesi in cui il porto riguardi un kirpan (cioè un coltellino avente una lama notoriamente più corta di quella del “coltellone” da cucina), laddove peraltro in quest’ultimo esempio il giustificato motivo (quello religioso) risieda addirittura nell’esercizio di un diritto costituzionalmente garantito e sottenda una mera finalità di esibizione ornamentale (diversamente dal “coltellone” da cucina, che verrà impugnato, sia pur per tagliare il pane).

E’ appena il caso di precisare come, quand’anche si valutasse la condotta in esame entro la diversa e non contestata qualificazione normativa prevista dall’art. 699, 2° comma, c.p. (sul presupposto, qui non provato, di ritenere il coltellino in sequestro un vero e proprio “pugnale”), analoghi argomenti militerebbero per escluderne l’antigiuridicità penale, siccome agevolmente mutuabili dall’art. 51 c.p. .

In forza di tutti i suesposti rilievi, si deve considerare obiettivamente insussistente il reato ascritto all’imputato, così come implicitamente ritenuto, in un caso analogo, dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Modena, il quale, già in sede di convalida del sequestro ebbe a disporre la restituzione di sei coltelli a sei indagati indiani, non potendone escludere “la finalità esclusivamente rituale-religiosa” (si veda il citato decreto del 9-8-2003).

Consegue l’assoluzione di S. L. in ordine all’imputazione a lui ascritta perché il fatto non sussiste e la restituzione al medesimo, a mente dell’art. 262 c.p.p., dell’oggetto sequestrato.

Ai sensi dell’art. 544, 3° comma, c.p.p., è stato indicato in giorni 40 il termine di deposito della motivazione della sentenza.

P.Q.M.

Il Giudice del Tribunale di Cremona,

visto l’art. 530 c.p.p.;
assolve S. L. dall’imputazione a lui ascritta perché il fatto non sussiste.
Visto l’art. 262 c.p.p.;
ordina la restituzione all’imputato del coltello in sequestro.
Visto l’art. 544, 3° comma, c.p.p.;
indica in giorni 40 il termine di deposito della motivazione della sentenza.

Cremona, 13-1-2009

IL GIUDICE
(Dott. Massimo VACCHIANO)

Depositata in cancelleria il 19 febbraio 2009