Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 8 Ottobre 2009

Sentenza 19 giugno 2009, n.4054

Consiglio di Stato. Sentenza 16 giugno 2009, n. 4054: “Sessione di abilitazione riservata ed IRC”.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n. 10128/2004, proposto da D. D. A., rappresentata e difesa dagli Avv.ti Giuseppe Nastasi e Laura La Rocca Tavana, con domicilio eletto in Roma, Via Gavorrano, n. 12, sc. B, int. 4, presso l’Avv.to Mario Giannarini;

contro

il Ministero dell’Istruzione, dell’Università, e della Ricerca Scientifica, costituitosi in giudizio, il Centro Servizi Amministrativi di Napoli, costituitisi in giudizio, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio per legge presso la sede della stessa in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;

per l’annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sez. III bis, n. 12112/2003 del 10.12.2003;

Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio delle parti intimate;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Nominato relatore per la pubblica udienza del 3 aprile 2009 il Consigliere Polito Bruno Rosario;
Udito l’Avvocato dello Stato Saulino;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO

1). L’odierno appellante con ricorso proposto avanti al T.A.R. per il Lazio si gravava avverso il decreto con il quale l’Amministrazione scolastica disponeva la sua esclusione dalla sessione riservata di abilitazione, indetta con O.M. n. 153 del 15.06.1999 in applicazione dell’art. 2, comma quarto, della legge n. 124/1999, per difetto del requisito di ammissione consistente nell’aver prestato servizio per la durata di 360 giorni, nell’arco temporale indicato dal richiamato art. 2, comma quarto, della legge n. 124/999, per insegnamenti corrispondenti a posti di ruolo e relative classi di concorso.

Con la sentenza di estremi indicati in epigrafe il T.A.R. adito respingeva il ricorso.

Il T.A.R., in particolare, poneva in rilievo il meccanismo idoneativo fondato “sullo stretto collegamento fra titolo di studio posseduto, servizio di insegnamento prestato e superamento di prove di esame sempre nel contesto del medesimo ambito disciplinare”. In tale quadro il pregresso servizio di insegnamento non viene a costituire una generica e comune esperienza didattica da far valere per ogni settore disciplinare, ma uno specifico elemento di qualificazione professionale per accedere al posto di ruolo cui corrisponde la classe di abilitazione.

Ai predetti effetti non possono, pertanto, considerarsi utili i servizi resi dagli insegnanti di religione cattolica, che si basano su diversi e peculiari presupposti di qualificazione professionale, determinati con l’intesa fra l’Autorità scolastica e la Conferenza Episcopale, cui ha dato esecuzione il d.P.R. n. 751/1985, i quali di per sé non costituiscono titolo per l’accesso ad altri insegnamenti.

Detta sentenza è stata impugnata con il ricorso di estremi indicati in epigrafe.

L’istante premette in punto di fatto che, per la medesima vicenda, pende appello collettivo contro la sentenza del T.A.R. per il Lazio che ha respinto l’impugnativa avverso l’art. 2, comma quarto, dell’O.M. n. 153/1999, nella parte in cui esclude la valutabilità, ai fini dell’ammissione alla sessione di abilitazione riservata, dei periodi di insegnamento della religione cattolica, nonché i servizi resi per le attività alternative a detto insegnamento.

Con detto ricorso collettivo è stata, in particolare, rinnovata la questione di costituzionalità dell’art. 2, comma quarto, della legge n. 124/1999 per contrasto con gli artt. 3 e 97 della Costituzione, nella parte in cui considera utile alla maturazione del requisito di anzianità didattica ai fini dell’ammissione ai corsi abilitanti il solo servizio prestato in insegnamenti corrispondenti a posti di ruolo o a classi di concorso, con ogni conseguente riflesso sulla legittimità della clausola dell’O.M. n. 153/1990 preclusiva della valutazione del servizio del insegnamento della religione cattolica.

Avverso l’atto di esclusione l’odierno appellante rinnova i motivi articolati nel ricorso collettivo in precedenza richiamato – legati in via principale ai rilievi di costituzionalità dell’art. 2, comma quarto, della legge n. 124/1999 (cui segue in via derivata l’invalidità dell’ O.M. n. 153/1999 in parte “de qua” e del provvedimento di essa applicativo) – che possono così riassumersi:

– ai fini dell’ammissione alla sessione abilitante indetta con O.M. n. 153/1999 non viene richiesta – a differenza di quanto in precedenza praticato per le sessioni di esami di abilitazione previste dall’art. 11 del d.l. n. 357/1989 – una rigida corrispondenza o affinità del pregresso servizio di insegnamento che costituisce requisito di ammissione, come reso evidente dalla possibilità di cumulo ai fini del raggiungimento dei 360 giorni utili di servizi resi nelle scuole secondarie di primo e di secondo grado o nelle istituzioni educative, secondo le condizioni indicate dalle lettere A) e B) dell’O.M. predetta;

– deve, quindi escludersi, che ai fini dell’ammissione alla sessione riservata, sia necessaria una esperienza didattica specificatamente qualificata per la classe di insegnamento per la quale si concorre;

– in tale contesto deve riconoscersi utile ai fini della maturazione di detto requisito l’insegnamento della religione cattolica che, ai sensi del punto 4.1 lett. a) dell’intesa Stato/C.E.I., è “impartito nel quadro delle finalità della scuola, (e) deve avere dignità formativa e culturale pari a quella di altre discipline”, con inserimento dei docenti incaricati nella componente docente degli organi scolastici, con medesimi diritti e doveri (punto 2.7. dell’intesa ed art. 209 del d.lgs. n. 297/1994), ed omologazione dello stato giuridico a quello degli altri insegnanti;

– l’insegnamento in questione viene, quindi, a configurarsi come vera e propria materia curriculare, con valenza giuridica agli effetti dell’esperienza didattica pari a quella acquisibile nell’insegnamento di qualsivoglia altra disciplina, che non può formare oggetto di irragionevole discriminazione nella determinazione dei requisiti di ammissione alla sessione di abilitazione indetta ai sensi dell’art. 2, comma quarto, della legge n. 124/1999.

Il Ministero dell’Istruzione, dell’Università, e della Ricerca Scientifica si è costituito in giudizio opponendosi all’accoglimento del ricorso.

All’udienza del 3 aprile 2009 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.

2). L’appello è infondato.

2.1). La Sezione, nel pronunciarsi con separata decisione sul ricorso promosso in via collettiva avverso il contenuto prescrittivo dell’art. 2, comma quarto, dello O.M. n. 153/1999, si è già espressa in ordine alla manifesta infondatezza della questione di costituzionalità dell’art. 2, comma quarto, e della legge n. 124/1999 per contrasto con gli artt. 3 e 97 della Costituzione con ordine argomentativo che va in questa sede ribadito.

L’odierno appellante, invero, non contesta l’orientamento – già oggetto di consolidata giurisprudenza – secondo cui l’insegnamento della religione cattolica non appare “corrispondente a posti di ruolo”, né “relativo a classi di concorso”, tenuto conto della peculiarità del rapporto di impiego di cui trattasi, basato su procedure diverse da quelle del restante ordinamento scolastico, poiché originate dai cosiddetti “Patti Lateranensi”, concordati fra lo Stato italiano e la Santa Sede in data 11.2.1929 e poi modificati con accordo in data 18.2.1984, ratificato dalla legge 25.3.1985, n. 121, cui è seguita l’intesa per l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche firmata il 14.12.1985, che ha avuto esecuzione con D.P.R. 16.12.1985, n. 751.

In base al descritto quadro normativo ed istituzionale lo “status” del docente di religione (sacerdote o laico ritenuto idoneo dall’ordinamento diocesano) è caratterizzato da peculiari profili di abilitazione professionale, connessi a distinte modalità di nomina e di accesso ai compiti didattici, senza corrispondenza nella dotazione di organico dei ruoli ordinari, traendo fonte il rapporto di lavoro di cui trattasi, alla data che qui interessa, da incarichi annuali e senza collegamento con altre classi di concorso, requisiti, invece, richiesti dall’art. 2, comma 4, della citata legge n. 124/1999 ai fini della maturazione dell’ anzianità didattica occorrente per l’ammissione alla sessione riservata di abilitazione (sul principio di non omologazione dei docenti di religione cattolica agli insegnanti in posizione ordinaria cfr. Cons. St., sez. VI^, nn. 3725/2007;1515/2007; 3567/2006, 5645/2006, 4447/2004, 5153/2001, 530/1999, 756/1994).

Se è vero, del resto, che l’insegnamento della religione cattolica “deve avere dignità formativa e culturale pari a quella delle altre discipline”, è anche vero che “detto insegnamento deve essere impartito in conformità alla dottrina della Chiesa, da insegnanti riconosciuti idonei dall’Autorità ecclesiastica e in possesso di qualificazione professionale adeguata” (art. 4.1, punti a) e b) del D.P.R. n. 751/1985 cit.); i programmi di insegnamento – necessariamente conformi alla predetta dottrina – sono adottati “per ciascun ordine e grado di scuola con decreto del Presidente della Repubblica ….previa intesa con la Conferenza Episcopale Italiana” (art. 1 del d.P.R. n. 751/1985).

In base alla medesima intesa agli insegnanti di religione cattolica sono estese tutte le norme sullo stato giuridico del personale docente non di ruolo. Nella prospettazione del ricorrente l’esperienza didattica acquisita nell’insegnamento della religione dovrebbe, quindi, essere ritenuta del tutto equivalente a quella maturata nell’insegnamento delle altre discipline, evidenziandosi in caso contrario violazione dei principi costituzionali di uguaglianza e buon andamento dell’Amministrazione.

La questione di costituzionalità dell’art. 2, comma 4 della legge n. 124/1999, benché rilevante, si configura manifestamente infondata, per ragioni che non si discostano dai contenuti della decisione della Corte Costituzionale n. 343 del 22.7.1999 assunta in ordine ad analoga fattispecie.

Detta pronuncia ha investito agli articoli 2 e 11 del D.L. 6.11.1989, n. 357 (norme in materia di reclutamento del personale della scuola), convertito in legge dall’art. 1, comma 1 della legge 27.12.1989, n. 417, nella parte in cui tali disposizioni disciplinavano l’ammissione a concorsi per soli titoli di docenti, che avessero “prestato servizio per almeno trecentosessanta giorni, anche non continuativi, nel triennio precedente…per insegnamenti corrispondenti a posti di ruolo, svolti sulla base del titolo di studio richiesto per l’accesso ai ruoli, nonché per insegnamenti relativi a classi di concorso” (art. 2 citato, comma 10, lettera b).

In rapporto a tale normativa si erano sviluppati indirizzi giurisprudenziali non univoci circa la necessità che il servizio in questione fosse stato prestato con riferimento alla medesima materia oggetto dell’abilitazione per la quale si concorre, o anche in materie non corrispondenti, purché affini o quanto meno richiedenti lo stesso titolo di studio (cfr. Cons. St., sez. VI, 24.7.1998, n. 1103, 10.7.1996, n. 939, 20.6.1996, n. 844, 20.5.1995, n. 492, 7.9.1994).

Non è da tale profilo, tuttavia, che la Suprema Corte fa discendere il rigetto della questione di costituzionalità, sollevata sulla base di argomentazioni del tutto simili a quelle oggetto del presente giudizio. Nella ricordata sentenza n. 343/1999, infatti, si sottolinea come l’esperienza didattica – ritenuta “elemento di qualificazione professionale, da verificare in sede di esame” – sia stata da parte della giurisprudenza identificata con quella della specifica classe di abilitazione, alla quale si intendeva essere ammessi, o quanto meno di classi affini, tali da giustificare comunque una “verifica semplificata della professionalità, in sessioni riservate di esame o di concorso”.

La circostanza che – alla luce dei principi costituzionali – sia stata dalla Corte ritenuta preclusiva di ogni assimilazione dell’esperienza degli insegnanti di religione a quella degli altri docenti si identifica non nell’assenza di affinità della materia religiosa con quelle oggetto di altre discipline, ma nell’assoluta peculiarità della posizione di tali insegnanti, i cui profili di qualificazione professionale sono determinati, come già in precedenza ricordato, dall’Autorità scolastica d’intesa con la Conferenza Episcopale Italiana.

Anche in presenza di una motivazione estremamente sintetica non è ipotizzabile che la Corte Costituzionale avrebbe assunto una diversa decisione qualora – come affermano gli appellanti – fosse stato oggetto di esame l’art. 2, comma 4 della legge n. 124/1999, in quanto tale norma ammetterebbe una più ampia “intercambiabilità” dell’esperienza didattica, idonea a consentire l’accesso alla sessione riservata di cui trattasi.

L’elemento discriminante, ai fini della razionalità del testo legislativo e della coerenza del medesimo con principi di buona amministrazione è, infatti, riconducibile alla considerazione della pregressa attività didattica quale indice di esperienza, giustificativo di modalità agevolate di accesso stabile nei ruoli docenti, solo ove tale attività sia stata svolta secondo regole dettate dallo Stato, nonché in corrispondenza di materie individuate dallo Stato stesso come parte del processo formativo della pubblica istruzione (garantita dall’art. 33 della carta costituzionale, tenuto conto anche della piena libertà di credo religioso, di cui al precedente art. 3 della medesima carta).

L’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche, viceversa, corrisponde non a scelte squisitamente didattiche, ma ad un impegno assunto dallo Stato rispetto ad altro Ente sovrano, al cui magistero resta direttamente connessa una dottrina – il cui apprendimento è comunque facoltativo – ritenuta attinente al patrimonio storico e culturale del popolo italiano, con modalità di selezione del personale docente del tutto peculiari, dovendo l’idoneità del medesimo essere riconosciuta dalla competente autorità ecclesiastica, non estranea nemmeno alla scelta dei testi di apprendimento e delle altre modalità organizzative per finalità di approfondimento e diffusione dell’ortodossia cattolica (artt. 2 e 3 D.P.R. n. 751/1985 cit.; cfr. anche, Cons. St., sez. VI^, 27.8.1988, n. 1006).

Un percorso formativo, quello sopra indicato, il cui valore culturale e morale giustifica la pari dignità del relativo personale docente, rispetto a quello addetto ad altre discipline. Quanto precede, tuttavia, senza che possa razionalmente escludersi una diversa valutazione dell’esperienza didattica in questione, in rapporto a normative eccezionali di favore, attraverso le quali l’Amministrazione intenda – come nel caso di specie – agevolare l’immissione nei ruoli di personale precario, che sia stato reclutato e abbia svolto attività di insegnamento secondo le regole dettate dallo Stato stesso, per finalità strettamente inerenti alla formazione culturale e scientifica degli studenti.

Il carattere di specialità della posizione degli insegnanti di religione ha trovato del resto conferma nella successiva evoluzione normativa, ove si consideri che con legge 18.07.2003, n. 186, sono state dettate apposite norme sullo stato giuridico di detti docenti, prevedendo l’istituzione di dotazioni di organico a livello regionale ed uno speciale concorso riservato per titoli ed esami per l’immissioni in ruolo.

L’O.M. n. 153/1999 nella parte contestata è, quindi, conforme al dettato legislativo di cui all’ art. 2, comma quarto, della legge n. 124/1999, che non incorre nei denunciati profili di incostituzionalità; in conseguenza il provvedimento di esclusione dalla sessione riservata di esami di abilitazione per l’insegnamento nelle scuole statali, il cui contenuto è vincolato alla disciplina sui requisiti di ammissione dettati dalla predetta ordinanza, si sottrae ad ogni dedotto vizio di invalidità in via derivata.

Quanto alle spese ed onorari di giudizio la complessità della disciplina giuridica di riferimento e la nuova prospettazione dei principi coinvolti ne rendono equa la compensazione.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, respinge il ricorso in epigrafe.
Compensa fra le parti le spese del giudizio
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, il 3 aprile 2009 dal Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale – Sez.VI – nella Camera di Consiglio, con l’intervento dei Signori:

Luciano Barra Caracciolo Presidente f.f.
Bruno Rosario Polito Consigliere, Rel. ed Est.
Manfredo Atzeni Consigliere
Gabriella De Michele Consigliere
Fabio Taormina Consigliere

DEPOSITATA IN SEGRETERIA il 19.06.2009