Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

Olir

Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 16 Giugno 2004

Sentenza 23 gennaio 2002, n.627/98 R.G. A

Tribunale Ordinario di Venezia. Terza Sezione Civile. Sentenza 23 gennaio 2002: “Risarcimento danni subiti dalla Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova a seguito di pubblicazioni diffamatorie”.

N. 627/98 R.G. A

REPUBBLICA ITALIANA
NEL NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Ordinario di Venezia, Terza Sezione Civile, in persona del Giudice Unico, Dott.ssa Rita Rigoni, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Nella causa civile promossa con atto di citazione notificato il 7.02.1998 cron. N. A/0/2047 rep. Ass. Unep Corte App. Venezia

da

CONGREGAZIONE CRISTIANA DEI TESTIMONI DI GEOVA, nella persona del legale rappresentante Sig. V.F., con l’avv. M.A. Fochesato di Vicenza e con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. U. Ticozzo di Venezia-Mestre, per mandato a margine dell’atto di citazione
attore

contro

F.L., con l’avv. F.Schioppa, per mandato in calce alla comparsa di costituzione e risposta 24.04.98 e con l’avv. P.Volpe per mandato a margine della comparsa di costituzione 15.01.1999

e contro

G.B., con l’avv. (A.Terzi, prima e dopo) G.Terzi per mandato a margine della comparsa di costituzione 20.4.2001

con la chiamta in causa di

PARROCCHIA DI *** in persona del suo legale rappresentante Monsignor G.P., con l’avv. G.Terzi per mandato a margine della comparsa di costituzione e risposta

e di

DIOCESI DI ***, nella persona del legale rappresentante pro tempore Mons. P.M., con l’avv. M.Miele di Mogliano Veneto e e con domicilio eletto presso lo studio dell’Avv. A.Maggiolo di Venezia per mandato a margine della comparsa di costituzione

e di

SOCIETA' FINANZIARIA EDITORIALE *** S.P.A., in persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione e legale rappresentante L.R., con l'avv. A. Salvadori di Venezia per mandato a margine della comparsa di risposta
terze chiamate

causa interrotta e riassunta con ricorso in riassunzione notificato il 30.01.2001 cron. n. A/0/1911 rep. ass. unep Corte App. Venezia

da

CONGREGAZIONE CRISTIANA DEI TESTIMONI DI GEOVA, nella persona del legale rappresentante sig. V.F., con l'avv. M.A. Fochesato di Vicenza e con domicilio eletto presso lo studio dell'avo. U. Ticozzi di Venezia-Mestre, per mandato a margine dell'atto di citazione
attore

contro

F.L., con l'avv. F. Schioppa per mandato in clace alla comparsa di costituzione e risposta 24.04.98 e con l'avv. P. Volpe per mandato a margine della comparsa di costituzione 15.01.1999

e contro

G.B., con l'avv. G. Terzi per mandato a margine della comparsa di costituzione 20.04.2001

e contro

PARROCCHIA DI *** in persona del suo legale rappresentante Monsignor G.P., con l'avv. G. Terzi per mandato a margine della comparsa di costituzione e risposta

e contro

DIOCESI DI ***, nella persona del legale rappresentante pro tempore Mons. P.M., con l'avv. M. Miele di Mogliano Veneto e con domicilio eletto presso lo studio dell'avv. A. Maggiolo di Venezia per mandato a margine della comparsa di costituzione

e contro

SOCIETA' EDITRICE *** S.P.A., in persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione e legale rappresentante L.R., con l'avv. A. Salvadori di Venezia per mandato a margine della comparsa di costituzione in sede di riassunzione

in punto: risarcimento danni

Causa decisa il giorno 23.01.2002 con le seguenti conclusioni delle parti costituite:

Precisazione delle conclusioni dell'attrice Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova:
Nel merito
1 ) Condannarsi l'avv. F.L. e G.B. in solido tra loro al pagamento a favore della Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova della somma di £.264.557.340 o della maggior o minor somma che il Tribunale dí Venezia riterrà di giustizia, quale liquidazione del risarcimento danni dovuto per il reato di diffamazione compiuto ai danni degli attori, giusta condanna della Corte d'Appello di Venezia n. 1532/97, per quanto scritto nell'articolo "Ama Geova e distruggi la famiglia" apparso sulla pubblicazione "Comunità Parrocchiale di ***" del 21.1.1990 ed, inoltre, condannarsi l'avv. F.L., in proprio, al pagamento a favore degli attori della ulteriore somma di £.300.000.000, o della maggior o minor somma che il Tribunale di Venezia riterrà di giustizia, quale risarcimento danni perché, con l'intervista rilasciata al quotidiano il Gazzettino di Venezia del 1° settembre 1989, offendeva la reputazione della Congregazione Cristiana dei Testimoni Geova con le espressioni suriportate nella parte in fatto, per un totale complessivo di £.564.557.340 con gli interessi legali e rivalutazione dalla data di pubblicazione degli articoli (1.09.89 e 21.01.90) all'effettivo saldo .
2) Condannarsi entrambi i convenuti alla pubblicazione, a proprie spese e cure, della sentenza della Corte d'Appello di Venezia sez.IV penale n.1532/1997 del 17.7.1997 su almeno due quotidiani di tiratura nazionale, nonché sul quotidianoo "Il Gazzettino".
3) Con vittoria dí spese, diritti ed onorari di causa oneri fiscali compresi.
4) Sentenza immediatamente esecutiva come per legge.
Si fa presente che la somma che verrà riconosciuta a titolo di risarcimento danni,
sarà integralmente destinata dalla Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova
per la ricerca scientifica sulle malattie ematologiche e metodiche alternative all'emotrasfusione.
In istruttoria:
Accogliere le richieste istruttorie così come formulate nelle memorie istruttorie del 29.6.1999 e del 19.7.1999, che si riportano.
A dimostrazione delle gravi lesioni all'onore ed alla reputazione causate dalle pubblicazioni del sig. F. alla Congregazione dei Testimoni di Geova ed ai suoi adepti si chiede prova testimoniale sui seguenti capitoli di prova con i testi che verranno qui indicati
a) Sulla gravità dell'illecito, b) Intensità del dolo o grado di colpevolezza:
1) Vero che dal 1990 sono in corso delle trattative tra il Governo italiano e la Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova per la stipulazione dell'intesa ai sensi dell 'art.8.3 Cost. (cosiddetto 8 per mille)
2) Vero che il sig. F. nel corso degli anni 1990-1991 ha inviato numerose missive al Governo italiano invitandolo a non far sottoscrivere l'intesa di cui all 'art.8.3 con la Vostra Congregazione.
3) Vero che 1'articolo apparso su il Gazzettino di Venezia in data 1 Settembre 1989, nonché la diffusione del Bollettino "Ama Geova e distruggi Geova”, assieme ad altre pubblicazioni di F., di cui al doc.4 attoreo, hanno leso ed offeso l'immagine della Congregazione anche nell'ambito delle trattative da anni in corso con il Governo per la stipulazione dell’Intesa di cui all 'art.8.3 Cost..
Si indica quale teste il dott. ***, residente a Roma, Via *** n.***, in qualità di incaricato dall'ente confessionale alle trattative con íl Governo per la stipulazione dell'intesa ai sensi dell'art.8 co.3 Cost.
4) Vero che è stato più volte accusato di plagio pubblicamente da parte del sig.F. sul giornali, (doc.4 e) e, nuovamente, è stato coinvolto da queste accuse con le pubblicazioni del Gazzettino del 1.10.1989 e del bollettino della Parrocchia di ***.
5) Vero che in seguito al persistere di queste pubblicazioni, tra cui in particolare le due succitate, ha subito denigrazioni ed emarginazione dalla gente che vive attorno Lei.
Si indicano quali testi sui capitoli 4)-5) i signori *** e *** entrambi residenti a *** (TV), Via *** n.***.
c) Sul clamore suscitato dalla pubblicazione e sulla diffusione del periodico.
6) Vero che il bollettino parrocchiale intitolato "Ama Geova e distruggi la famiglia” del 21 Gennaio 1990 è stato diffuso presso le famiglie del paese di ***.
7) Vero che a seguito della suddetta pubblicazione nonché a seguito dell'articolo apparso su il Gazzettino di Venezia 1'1.9.1989, intitolato “Cacciatore di sette, siete stati emarginati da diversi compaesani”.
8) Vero che a seguito delle succitate pubblicazioni i vicini di casa vi denigravano.
9) Vero che Vi è derivato un grave danno d'immagine anche in relazione al vostro lavoro a seguito della denuncia penale presentata nei Vostri confronti dai coniugi *** per esorcismo nei confronti della loro figlia minore, in quanto ripetutamente riportato sui giornali locati e nazionali tra cui il Gazzettino dell'1.9.1989 da parte del sig. F.
10)) Vero che il processo penale nei Vostri confronti si è conlcuso con la piena assoluzione.
Si indicano quali testi sui capitoli da 6) a 10) i sigg. ***, ***, ***, ***, ***, confratelli della comunità dí ***, tutti domiciliati in *** (VE), Via *** n.***, nonché ***, residente in *** (VE), Via *** n.***. Si chiede inoltre l'interpello formale del chiamato in causa Dott. L.R. quale legale rappresentante della Società Finanziaria ed Editoriale S.M. s.p.a sul seguente capitolo.
11) Vero che la tiratura giornaliera del II Gazzettino di Venezia è di circa 45.000 copie.
Cοn riserva di indicare ulteriori testi e di formulare altre istanze istruttorie.
Ciò esposto, rigettata ogni avversa domanda formulata dalla Congregazione Cristiana dei Testimoni dí Geova, si insiste per l'accoglimento delle seguenti
Conclusioni
In via preliminare
Accertarsi la carenza di legittimazione attiva del Sig. V.F. e della Congregazione attrice per i motivi indicati in premessa e condannarsi la stessa al pagamento delle spese di giudizio.
In via principale
Respingersi la domanda proposta dall'attrice perché infondata in fatto ed in diritto e pertanto condannarsi la stessa al pagamento delle spese ed onorari di giudizio.
In via riconvenzionale
Condannarsi l'attrice al risarcimento dei danni ex art. 2043 e art. 96 c.p.c. nella misura che sarà ritenuta di giustizia graduando il risarcimento del danno alla domanda proposta dall'attrice. Condannarsi l'attrice alla restituzione della somma di lire 8.330.000.= oltre ed interessi e rivalutazione monetaria a fronte dí quanto pagato a seguito di atto dí precetto.
In via subordinata
Dichiararsi i chiamati in causa obbligati a manlevare i convenuti da ogni richiesta di parte attrice ed in ulteriore subordine dichiararsi gli stessi tenuti in solido con i convenuti a soddisfare la domanda proposta dall'attrice "Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova".

E' altresì presente l'avv. Salvadori per la Società E.P. – s.p.a. il quale conclude richiamando le conclusioni formulate in Comparsa di Costituzione in Sede di riassunzione".
Per praticità si ritrascrivono le conclusioni già formulate in comparsa di costituzione in sede di riassunzione:
"A) In via preliminare: dichiararsi la nullità della citazione e in ogni caso la carenza di legittimazione passiva de "Il Gazzettino" respingendosi conseguentemente le domande di F.L. nei confronti de "Il Gazzettino".
B) Sempre in via preliminare: in accoglimento della eccezione di prescrizione estintiva di cui all'art. 2947, primo comma, codice civile o, in alternativa, in accoglimento dell'eccezione di prescrizione estintiva di cui all'art. 2947, terzo comma, codice civile, respingersi le domande di F.L. nei confronti de "Il Gazzettino", o, in via alternativa, nei confronti della Società Editrice P. s.p.a. che ha incorporato la Società Finanziaria ed Editoriale S.M. s.p.a..
C) In via subordinata di rito: respingersi le domande di F.L. nei confronti de "Il Gazzettino" o, in alternativa, nei confronti della Società Editrice P. s.p.a. che ha incorporato la Società Finanziaria ed Editoriale S.M. s.p.a. per nullità, inammissibilità e improcedibilità delle stesse nonché per inammissibilità della chiamata in causa nei confronti de "Il Gazzettino" o, in alternativa, della Società E.P. s.p.a. che ha incorporato la Società Finanziaria ed Editoriale S.M. s.p.a. e conseguentemente estromettersi dal presente giudizio "Il Gazzettino" o, in alternativa, la Società E.P. s.p.a. che ha incorporato la Società Finanziaria ed Editoriale S.M. s.p.a..
D) In via subordinata di merito: respingersi le domande di F.L. nei confronti de "Il Gazzettino" o, in alternativa, nei confronti della Società Editrice P. s.p.a. che ha incorporato la Società Finanziaria ed Editoriale S.M. s.p.a., perché infondate.
E) Condannarsi F.L. alla rifusione delle spese, diritti, onorari di causa, oltre C.P.A. e I.V.A..
F) In via istruttoria si chiede prova per interrogatorio dell'attrice e del chiamante in causa, nonché prova per testi sui seguenti capitoli:
a) "Se sia vero che prima della pubblicazione sul Gazzettino dell'1/9/1989 di cui è causa, l'avv. L.F. sia stato Relatore o abbia partecipato a Convegni o Tavole rotonde in tema di Confessioni Religiose e ciò sia in Italia, in particolare, tra l'altro, a Venezia, a Catania, a Rapallo, a Forte dei Marmi, sia in Francia";
b) "Se sia vero che prima della pubblicazione sul Gazzettino dell'1/9/1989 di cui è causa, l'avv. L.F. si sia occupato professionalmente quale difensore, in procedimenti civili di separazioni coniugali dove il dissidio tra i coniugi era derivato dall'appartenenza ad Enti o Confessioni Religiose, che gli interrogandi e i testi vorranno specificare".
Si indicano a testi:
– avv. *** – Venezia;
– avv. *** – ***;
– ***;
– avv. *** – Mestre".

Per l'ente Diocesi di ***, terza chiamata, con gli avv. prof. M. Miele e prof. A. Maggiolo.
La Diocesi di ***, attraverso il sottoscritto Patrocinio, insiste per l'accoglimento delle conclusioni già rassegnate ad atti, che qui ribadisce:
l.
– in via pregiudiziale assorbente:
– dichiararsi l'infondatezza, l'illegittimítà e l'inammissibilità della chiamata n causa dell'ente Diocesi di *** da parte del convenuto L.F. e, conseguentemente, estromettersi la stessa Diocesi dal presente giudizio, mandandola assolta da qualsiasi pretesa;
2.
– più specificamente in via pregiudiziale di rito:
– dichiararsi l'incompetenza territoriale del Tribunale di Venezia in ordine alla chiamata in causa (per garanzia impropria) dell'ente Diocesi di ***, a favore della competenza territoriale del Tribunale di Treviso;
3.
– in subordine nel merito:
– respingersi come infondate le domande tutte da chiunque rivolte contro la Diocesi chiamata, attesa la sua assoluta estraneità – sia oggettiva che soggettiva – al presente giudizio;
4.
– in via ulteriormente subordinata e salvo gravame:
– nella denegata ipotesi di accertato concorso di colpa della Diocesi di ***, accertarsi la totale o prevalente responsabilità del chiamante L.F. rispetto al danno asseritamente subìto dall'Attrice e di conseguenza condannarsi il F. medesimo, in relazione all'incidenza del rispettivo apporto causale, a manlevare e tenere indenne e quindi rifondere alla Diocesi di *** in via di regresso la somma che essa Diocesi fosse tenuta a corrispondere per ogni titolo (capitali, interessi, spese ecc.) a favore dell'Attrice.
5.
– Inoltre, ed in ogni caso, condannarsi il chiamante L.F. al risarcimento dei danni ex art. 96, co. I, c.p.c., a favore della Diocesi chiamata in causa, nella misura che il Giudice medesimo riterrà equa.
6
– Con vittoria di diritti, spese ed onorari.
Salvis omnibus iuribus per l'eventuale appello, con particolare riserva dei mezzi istruttori già proposti nel presente grado di giudizio.

Per G.B.:
Nel merito: respingersi al domanda. Spese ed onorari di lite rifusi.
In via istruttoria: chiedesi ammettersi prove per interpello del F. sui seguenti capitoli:
1) vero che il Parroco di *** frazione di ***, a seguito dei fatti avvenuti in quella frazione e di cui alla denuncia presentata dai coniugi ***, pregò il convenuto G. di far pubblicare, nella sua veste di direttore responsabile, lo scritto del F. nel foglietto parrocchiale;
2) vero che tale foglietto parrocchiale viene gratuitamente consegnato alla comunità cattolica sandonatese da parte di personale religioso (suore) e laici;
3) vero che il numero dei cattolici di *** ascende a 12.000 e il numero di copie del foglietto stampate quindicinalmente ascende a 2.000.
Indica a testi, con riserva d'altri in termine assegnando: Don *** (Ve)".

Per la Parrocchia di ***:
Nel merito e in via assorbente: dichiararsi l'infondatezza, l'illegittimità e l'inammissibilità della chiamata in causa dell'ente Parrocchia di *** da parte del convenuto F.L. e conseguentemente estromettersi la stessa Parrocchia dal presente giudizio.
In subordine nel merito: respingersi siccome infondate le domande tutte spiegate dalle controparti della Parrocchia di ***.
Con vittoria di spese ed onorari di lite.

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 7.02.1998, la Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova, in persona del legale rappresentante sig. V.F., sulla premessa che con sentenza della Corte d'Appello di Venezia n. 1532 del 17.07.1998, aveva dichiarato di non doversi procedere per il reato di diffamazione nei confronti di F.L. essendo il reato prescritto in riferimento all'intervista rilasciata al quotidiano il Gazzettino dell'1.09.1989 e aveva ritenuto F.L. e G.B. responsabili del reato di diffamazione in relazione all'articolo "Ama Geova e distruggi la famiglia" apparso sulla pubblicazione "Comunità Parrocchiale di ***" del 21.01.90 e aveva condannato il F. alla pena di £ 1.500.000 di multa ed il G., concesse le attenuanti generiche, alla pena di £ 1.000.000 dí multa, nonché al pagamento in solido delle spese processuali di entrambi i gradi di giudizio ed al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separato giudizio ed alle spese di costituzione e difesa della parte civile, con concessione dei doppi benefici; evocava in giudizio F.L. e G.B. per sentirli condannare al risarcimento dei danni – morali e patrimoniali (spese processuali di costituzione di parte civile e spese sostenute dai responsabili della Congregazione per presenziare al processo penale) derivati da entrambi i reati di diffamazione. Si costituivano entrambi i convenuti.
F.L. eccepiva:
1- la carenza di legittimazione attiva di parte attrice non avendo la stessa proposto querela in violazione degli artt. 90, 91, 92 e 93 c.p.c. con conseguente improcedibilità dell'azione penale, come eccepito anche in sede di ricorso in Cassazione della sentenza penale d'appello invocata dalla Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova. Inoltre rilevava che per gli stessi fatti era stata presentata una precedente querela ed il procedimento era stato archiviato di talchè, ai sensi dell'art. 409 c.p.p., non poteva instaurarsi un nuovo procedimento penale in assenza di autorizzazione alla riapertura delle indagini. Affermava, poi, che l'ente morale attore non era mai stato richiamato negli articoli incriminati e, quindi, non avrebbe potuto costituirsi parte civile iure proprio, ma come ente esponenziale dei Singoli Testimoni di Geova, subordinata al consenso degli stessi ai sensi dell'art. 92, comma 2 c.p.. Evidenziava, comunque, che, laddove avesse voluto conferirsi all'attrice una capacità ad intervenire "ad adiuvandium", avrebbe dovuto, il giudice valutare lo Statuto e gli atti dell'associazione per verificare, ai sensi dell'art. 91 c.p.p., l'assenza di scopo di lucro dell'associazione, mentre nella specie, la Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova aveva natura commerciale;
2- la carenza di giurisdizione del giudice italiano e l' improcedibilità dell'azione penale per violazione del Protocollo aggiuntivo della L. 25.3.1985 n. 121, punto 2 lett. B, trattandosi di procedimento promosso anche nei confronti di un ecclesiastico (Mons. B.G.) e dell'art. 178 lett. B c.p.p.;
3- la violazione dell'art. 2 L. 25.3.1985 n. 121 ed art. 21 c.p.p. con conseguente difetto di giurisdizione del giudice italiano e ciò in quanto l'articolo apparso sul Gazzettino dell'1.9.1989 era rivolto esclusivamente ai parrocchiani della chiesa di ***;
4- l'inammissibilità delle querele ex art. 337, comma 3 c.p.p., non avendo V.F. indicato il potere di rappresentanza in base al quale agiva;
5- la preclusione da parte del giudice penale di ogni valutazione nel merito del reato dichiarato prescritto.
6- l'insussistenza del reato di diffamazione in quanto entrambi gli articoli in questione rientravano nell'ambito della libertà di espressione, di giudizio, di critica e di informazione e di propaganda garantiti dalla Costituzione. Inoltre doveva essere considerato il limite della verità dei fatti tenuto conto che la critica da lui espressa andava inquadrata nel contesto di un'indagine condotta con serietà di metodo e che, inoltre, era rispettato il limite della continenza, da valutarsi in rapporto di proporzione tra la forma adottata ed il livello polemico raggiunto nonché l'ambiente in cui si realizza l'offesa;
7- l'eccessività della pretesa attorea. Sul punto rilevava che già il 10.3.92, per tetti i reati previsti nell'originario capi di imputazione, i danni patrimoniali e morali erano stati quantificati nella somma di £ 8.000.000 per F. e £ 2.000.000 per G.
Chiedeva dunque, in via pregiudiziale. ex art. 75 comma 3 c.p.p., la sospensione del giudizio in attesa della decisione del giudice penale. Nel merito chiedeva la declaratoria di carenza dì legittimazione attiva di F.V. e della Congregazione attrice nonché il rigetto della domanda attorea. In via riconvenzionale chiedeva che l'attrice venisse condannata ai sensi dell'art. 96 c.p.c. e 2043 cod.civ. attesa l'abnormità della sua richiesta che costituiva fatto illecito poiché diretta a ridurlo al silenzio, impedendogli di rendere di conoscenza pubblica le verità scomode che parte attrice non voleva che si conoscessero, come risultava anche dalla lettera 1.4.9, ciò che aveva arrecato danni a lui ed alla sua famiglia. Inoltre chiedeva la restituzione di quanto già pagato in base alla sentenza penale, essendo stata revocata la costituzione dí parte civile ai sensi dell'art. 82 n. 2 c.p.p. di talchè l'attrice non poteva chiedere le relative spese.
Chiedeva, poi, di chiamare in causa la Parrocchia di ***, la Diocesi di *** e il quotidiano "Il Gazzettino", per manlevare i convenuti da ogni richiesta formulata dall'attrice e, in via subordinata, per sentirli condannare quali solidalmente obbligati con i convenuti.
G.B. chiedeva la sospensione del giudizio ai sensi dell'art. 295 c.p.c. essendo stato proposto ricorso per Cassazione avverso la sentenza penale della Corte d'Appello di Venezia posta dagli attori a fondamento della domanda ed inoltre sosteneva l'eccessività della pretesa attorea tenuto conto anche della quantificazione già fatta in sede penale e considerando che nessun danno era seguito alla pubblicazione dell'articolo del F. nel foglietto Parrocchiale della Comunità *** del 21.01.90, essendo lo stesso diretto alla solo popolo cattolico sandonatese con una tiratura di circa 2000 copie. Di talchè chiedeva il rigetto della domanda attorea.
Il Giudice, attesa la richiesta del convenuto F., disponeva ai sensi dell'art. 269 c.p.c.
Si costituivano i terzi chiamati.
La Parrocchia di *** eccepiva che non vi era comunanza di causa petendi e di petitum con l'azione principale – basata su un giudicato penale non opponibile alla Parrocchia – e l'azione esercitata dal F.. Rilevava, ροi, che la parrocchia – ente ecclesiastico civilmente riconosciuto ai sensi degli artt. 1,2,29 e 30 della L. n. 222 del 1985 ed iscritta al registro
delle persone giuridiche presso il Tribunale a norma dell'art. 5 della medesima legge – non poteva essere tenuta a rispondere di attività compiute dal parroco p.t. al di fuori di quelle espressamente previste dal codice di diritto canonico di cui ai canoni 519-534, limite quest'ultimo opponibile ai terzi (come nella specie attesa la condanna penale del parroco). Chiedeva, pertanto, la propria estromissione dal giudizio e in subordine il rigetto delle domande spiegate nei suol confronti.
La Diocesi di *** eccepiva che il giudizio era un mero procedimento di liquidazione dei danni a seguito di una sentenza generica di risarcimento contenuta nel dispositivo della sentenza penale di condanna della Corte d'Appello di Venezia n. 1532 del 1997, confermata, per le statuizioni civili, dalla Suprema Corte di Cassazione, e pronunciata in un giudizio nel quale la Diocesi non era mai stata parte e le cui statuitimi, dunque, non le erano opponibili. Rilevava, poi, l'assenza di connessione tra l'azione principale e quella proposta dal F., per assenza di comunanza di causa petendi e di petitum, atteso che il presente giudizio era vincolato al giudicato circa l"'an debeatur", mentre se si fosse ammessa la chiamata in causa della Diocesi, quest'ultima avrebbe dovuto essere messa in condizione di contestare l"'an" stesso, con pericolo di conflitto di statuizioni. Rilevava, poi, che laddove l'azione proposta dal F. fosse qualificabile come chiamata in garanzia, quest'ultima sarebbe impropria perchè fondata su titolo diverso ed autonomo da quello fatto valere dall'attrice e, dunque, competente per territorio potrebbe essere solo il Tribunale di Treviso, ove aveva sede l'ente chiamato (art. 19 c.p.c.). Nel merito rilevava l'infondatezza della domanda atteso che tra la Diocesi di *** ed il F. non vi era alcun rapporto giuridico che giustificasse la domanda di garanzia, avendo il F. agito a titolo personale come privato cittadino, al di fuori del canone 216 del codice di diritto canonico. Rilevava, poi, che non fondato era l'assunto del F. secondo cui, affermando egli di avere agito "su invito di Mons. G.", l'autorità ecclesiastica competente per territorio sarebbe responsabile civile dell'attività di ministero svolta dagli ecclesiastici, atteso che l'art. 2 lett. b del Protocollo addizionale dell'Accordo di modificazioni al Concordato lateranense (ratificato con la legge n. 206 del 1985) prevedeva un diritto di informativa in capo all'Autorità ecclesiastica come persona fisica gerarchicamente sovraordinata all'ecclesiastico sottoposto a procedimento penale e non alla stessa Autorità come legale rappresentante dell'ente ecclesiastico territoriale, il quale, dunque, non era responsabile civile dell'attività posta ín essere dagli ecclesiastici che dimorano nella sua circoscrizione territoriale. Inoltre sosteneva che la Parrocchia era ente ecclesiastico ríconosciuto ed il parroco ne era legale rappresentante delle cui azioni la parrocchia era tenuta a rispondere nei limiti delle attività compiute secondo i canoni 519-534 del codice di diritto canonico e, comunque, in ogni caso la Diocesi non poteva essere chiamata a rispondere patrimonialmente per attività compiute dal legale rappresentante della parrocchia stessa o in suo nome, trattandosi di ente giuridico distinto e patrimonialmente autonomo. Concludeva, pertanto, come in epigrafe.
La Società Finanziaria ed Editoriale S.M. s.p.a. eccepiva:
– la nullità dell'atto di citazione e la carenza di legittimazione passiva de "Il Gazzettino" che non era soggetto giuridico, ma testata giornalistica;
– la prescrizione estintiva di cui all'art. 2947, primo comma cod.civ. o, in via alternativa, la prescrizione estintiva di cui all'art. 2947, terzo comma cod.civ. nei confronti della pretesa del F.;
– la nullità, inammissibilità, improcedibilità ed infondatezza della domanda del chiamante in quanto priva di "causa petendi" ed in assenza di titolo per cui dovrebbe rispondere di quanto chiesto dal F., inammissibilmente, anche per il G. e per quanto scritto sul giornale "La Comunità Parrocchiale di ***";
– l'assenza di responsabilità avendo l'articolista esercitato il diritto-dovere di cronaca.
Concludeva, dunque, come in epigrafe.
Radicatasi, così, la lite, le parti depositavano memorie autorizzate.
Il F. contestava l'eccezione di incompetenza per territorio sollevata dalla Diocesi di ***, avendo questa un'estensione territoriale che non coincide con quella della Provincia, ma comprende anche parrocchie ubicate in provincia di Venezia e di Padova. In ogni caso sosteneva che operava l'art. 20 c.p.c. e dell'art. 33 c.p.c.. Richiamava, poi, il canone 515 e seguenti del Codice di Diritto Canonico che prevedeva la dipendenza in via gerarchica della parrocchia al Vescovo diocesano e nel giornale della Diocesi di *** ("La Vita del Popolo" del 27.7.1997) era evidenziata la solidarietà e continuità di linea di condotta della Diocesi con quanto sostenuto dall'avv. F. Circa le difese del "Gazzettino" rilevava che la fondatezza della domanda era confermata dal decreto di citazione a giudizio per direttissima del Direttore pro tempore *** conclusosi con l'aministia.
La Diocesi di *** replicava la non invocabilità del foro del locus commissi delicti in quanto la domanda del F. era fondata non su una forma di partecipazione alle sue azioni, bensì su un canone del codice di diritto canonico, il canone 515, che peraltro atteneva al solo rapporto gerarchico-teologico tra parrocchia e vescovo (non diocesi). Inoltre esponeva che “La Vita del Popolo” non era il giornale ufficiale della Diocesi di ***, ma un organo di informazione diocesana con un proprio direttore responsabile che non coincideva col legale rappresentantre della Diocesi di ***.
La Società Finanziaria ed Editoriale S.M. s.p.s. sosteneva che del tutto irrilevante era il fatto che un primo momento fosse stato citato in giudizio penale anche il direttore del quotidiano, ***, atteso che la richiesta era poi stata ritirata dal P.M. ed il procedimento archiviato dal GIP.
Il G. precisava di non avere mai chiesto al F., che non aveva mai conoscituo, di scrivere l’articolo comparso nel foglietto parrocchiale in quanto la richiesta era stata fatta dal Parroco di ***, Don ***.
La causa era dunque istruita solo documentalmente ed era dichiarata interrotta stante l’intervenuta fusione per incorporazione dalla s.p.s. Editoriale Finanziaria S.M. nella Socirtà Editoriale P. spa.
Una volta riassunta la causa era trattenuta in decisione all’udienza del 5.10.2001, con concessione alle parti dei termini di cui all’art. 190, primo comma c.p.c., per il deposito degli scritti conclusivi.

Motivi della decisione

Deve in primo luogo respingersi l'istanza di sospensione del giudizio in relazione al ricorso straordinario ex art. 625 bis. 130 e 129 c.p.p., atteso che la sentenza della Corte di Cassazione n. 1693 del 7.10.1998 risulta essere definitiva e ciò tanto basta ad escludere l'applicazione del disposto dell'art. 75, comma 3 c.p.p..
Ciò posto si ritiene che la domanda attorea sia fondata per quanto di ragione ed entro detti limiti vada dunque accolta.
L'azione attorea si fonda sulla pronuncia della Corte d'Appello di Venezia n. 1532 del 17.7.97, la quale, in riforma della sentenza di primo grado del Tribunale di Venezia del 10.3.1992, ha dichiarato di non doversi procedere nei confronti di F.L. in ordine al reato di diffamazione in riferimento all'intervista rilasciata al quotidiano “I1 Gazzettino" dell' 1.9.1989, perché estinto per prescrizione e ha dichiarato il F. e G.B. responsabili del reato di diffamazione in riferimento all'articolo "Ama Geova e distruggi la famiglia" apparso sulla pubblicazione "Comunità Parrocchiale" di *** del 21.1.1990, condannandoli oltre che alla pena pecuniaria (per il G. concesse le attenuanti generiche), al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separato giudizio, nonché a rifondere le spese di costituzione e difesa della parte civile (Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova), liquidate per entrambi i gradi in complessive £ 6.000.000, otre IVA e CPA come per legge.
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 1693/1998 ha annullato con rinvio l'impugnata sentenza della Corte d'Appello per essere il reato di diffamazione che vedeva imputati sia il G. che il F. estinto per prescrizione e ha dichiarato inammissibili i ricorsi agli effetti delle disposizioni civili, “dovendosi escludere la sussistenza di dati legittimanti un proscioglimento nel merito".
Ne consegue che nel presente giudizio non può più discutersi della sussistenza o meno del reato di diffamazione posto in essere da entrambi i convenuti con l'articolo apparso sulla pubblicazione della Comunità Parrocchiale di *** de121.1.1990, così come in riferimento al reato di diffamazione contestato al solo F. per l'intervista comparsa sul quotidiano “Il Gazzettino" dell'1.9.1989, attesa, appunto, la pronuncia della Corte di Cassazione.
Peraltro, in riferimento a tale ultimo reato (contestato al solo F.), occorre precisare che, non vi è alcuna controversia nel presente giudizio circa l'intervento della condanna penale al risarcimento del danno del F. per il reato di diffamazione di cui all'articolo comparso sul quotidiano "II Gazzettino". D'altra parte, va rilevato che nel processo penale i capi di imputazione per diffamazione erano due (l'uno relativo al solo F. e l'altro ad entrambi gli imputati) e poichè nella pronuncia della Corte d'Appello é assente ogni specificazione circa il reato cui si riferisce la condanna al risarcimento dei danni, deve ritenersi che la stessa attenga ad entrambi i reati di diffamazione oggetto di imputazione. Allora, sebbene l'azione civile risarcitoria, esercitata nel processo penale dal soggetto al quale il reato ha provocato danno, possa essere accolta soltanto in presenza di una sentenza di condanna dell'imputato, di talchè ove nel giudizio di impugnazione il reato sia stato dichiarato estinto per prescrizione od amnistia, la decisione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili puo' essere assunta soltanto nel caso in cui, nel precedente grado di giudizio, sia stata affermata, con la sentenza di condanna, la responsabilita' dell'imputato (Cass. pen n. 11509 del 10/11/2000 ed argomentando da Cass. pen. n. 06138 del 26/05/1998 e Cass pen n. 4668 del 15/04/199), deve nel caso in esame necessariamente affermarsi che la definitività della sentenza penale anche nella parte in cui ha condannato il F. per il reato di diffamazione a mezzo dell'intervista rilasciata al surrichiamato quotidiano (mai
impugnata sotto questo aspetto), non consenta in questa sede di discostarsene. Ne consegue che questo Giudice è tenuto a pronunciarsi sulla quantificazione dei danni per entrambi i reati di diffamazione contestati nel processo penale (ciò che ovviamente rileva solo per il convenuto F., l'unico imputato per tutti e due i reati). D'altra parte non potrebbe neppure qui pronunciarsi sulla responsabilità del F. in ordine al reato di diffamazione a mezzo della ridetta intervista, essendo, il presente, solo un giudizio di quantificazione di una condanna già pronunciata in sede penale. Analoghe considerazioni circa la definitività della sentenza penale vanno fatte anche per la comunque inammissibile richiesta di applicazione dell'art. 1227, comma 2 cod.civ. relativamente al mancato utilizzo dell'istituto della rettifica ad opera dell'attrice. Tale eccezione è stata sollevata dal F. solo in sede di comparsa conclusionale e, quindi, tardivamente, non trattandosi di eccezione rilevabile d'ufficio, atteso che, per tale esimente da responsabilità il giudice del merito e' tenuto a svolgere l'indagine in ordine all'omesso uso dell'ordinaria diligenza da parte del creditore soltanto se vi sia un'espressa istanza del debitore, la cui richiesta integra gli estremi di una eccezione in senso proprio (Cass. n. 7025 del 23/05/2001). Quanto sopra va, ovviamente, detto a prescindere dalla fondatezza o meno nel merito dell'eccezione.
Del tutto inammissibili nella presente sede sono anche tutte le eccezioni sollevate dal F. relativamente alla sentenza penale (della Corte d'Appello di Venezia) e riportate nella parte espositiva dello svolgimento del processo dai numeri da 1 a 4 debe difese del convenuto F..
Infatti queste non possono di certo essere fatte valere in questo procedimento, mentre occorre anche evidenziare che la Suprema Corte, adita con apposito ricorso, ha fatto giustizia delle stesse rigettandole in toto.
Pertanto, tutto ciò posto, occorre passare all'esame della quantificazione del danno.
Parte attrice chiede il risarcimento del danno morale e del danni patrimoniale.
Quanto al primo, lo quantifica in £ 500.000.000 (per il G. limitatamente a £ 200.000.000) per il danno provocato dalla pubblicazione del bollettino parrocchiale e £ 300.000.000 per il danno derivante dalla pubblicazione sul Gazzettino.
Orbene, va rilevato che secondo ormai ai consolidata giurisprudenza, anche di questo Tribunale, i criteri da utilizzarsi nella determinazione, necessariamente equitativa, del danno non patrimoniale sono: le condizioni sociali del danneggiato, la collocazione professionale, l'entità del patema d'animo sofferto in relazione al contesto sociale, l'utile ricavato dalla pubblicazione, le condizioni economiche del responsabile, la notorietà del personaggio, il tipo di notizia (gravità dell'offesa), l'intensità dell'elemento psicologico, la diffusione della pubblicazione, le modalità di esposizione dei fatti (tipo di articolo, collocazione, anche del titolo), l'ampiezza e risalto dei fatti diffamatori, il tempo trascorso dai fatti, l'esistenza di altri articoli analoghi.
Orbene, se carattere neutro può attribuirsi, nella specie, ai criteri della collocazione professionale, dell'utile ricavato dalla pubblicazione, delle condizioni economiche del responsabile, del tempo trascorso dai fatti nonché della posizione e condizione sociale dell'attrice, essendo del tutto irrilevante – ai meri fini della quantificazione – il fatto che la stessa sia dotata di personalità giuridica (attribuita con D.P.R. 31.10.1986), occorre rilevare che gli altri elementi vanno vagliati in relazione alle due diverse posizioni dei convenuti e delle due distinte pubblicazioni. Depongono per una maggiore quantificazione, per entrambi le posizioni e le pubblicazioni la notorietà dell'attrice, attesa la sua ampia diffusione e la gravità dell'illecito, atteso che, come sostenuto dalla Corte d'Appello di Venezia, nel bollettino parrocchiale: "il diritto di critica viene ampiamente travalicato e si trasforma in aperta contumelia"…laddove viene attribuito "alla setta l'intenzione programmatica di impossessarsi dei beni dei propri adepti", tanto che "l'attribuzione di un illecito intento di arricchimento mediante plagio costituisce palese denigrazione che intacca l'onore e la reputazione degli appartenenti alla confessione religiosa", mentre "non si può consentire che, per sostenere le proprie ragioni, si addebiti ad una congregazione religiosa finalità criminose che all'evidenza esulano da ogni presupposto dogmatico". Ed anche le singole espressioni di"pseudoreligiosità, di asservimento intellettuale e di fanatismo appaiono nel contesto generale, alla luce dell'illecita fianalità economica attribuita, come affermazioni di totale disconoscimento del carattere religioso della congregazione e non come critiche ai suol fondamenti dottrinali" D'altra parte nell'articolo "nessun argomento di natura teologica o filosofica sorregge le affermazioni dell'articolista, unicamente rivolto a negare la religiosità della dottrina dei Testimoni di Geova e a dimostrarne la pericolosità sociale".
Circa l'intensità del dolo vanno tenute distinte le posizioni del F. e del G. Infatti, per il F., invece, si tratta di criterio di maggiorazione dell'ammontare del risarcimento, diversamente è a dirsi per il G.
Invero, per il parroco di *** va considerata la sua particolare posizione di religioso e, dunque, la necessità di difendere il proprio culto, che, sebbene non possa arrivare alla contumelia ed alla denigrazione degli altrui idee e credo religiosi, può concretare una minore intensità ell'elemento soggettivo del reato proprio in riferimento alla giustificazione interiore che l'ecclesiastico tende trarre dalla sua condotta.
Quanto, invece, al F., va considerato che egli, quanto meno all'epoca dei fatti, era avvocato ed esercitava la professione, di talchè, stanti le espressioni usate e la fianalità criminosa attribuita all'attrice ("ladri di cervelli…associazioni segrete che irretiscono le persone…togliendo loro ogni volontà e capacità di scelta"), ben era consapevole della loro attitudine offensiva, considerato anche l'utilizzo di termini tecnici ("associazioni a delinquere") dei quali, nella sua qualità di avvocato, ben conosceva il significato, e dei quali, per la medesima ragione, non poteva intendere dí fare uso in modo improprio.
Inoltre per il F. depone per una maggiore quantificazione del danno. F. anche la reiterazione della sua condotta, con pubblicazione di precedenti articoli (doc. 4 attoreo, mentre il doc. 16 attiene ad articoli dei quali non vi sono elementi per affermare – come fa l'attrice – che sia stati fatti pubblicare dal F.).
Inducono, invece, ad una minore quantificazione del danno la diffusione delle pubblicazioni.
Infatti, se così è a dirsi per l'articolo sul "Gazzettino", atteso che l'articolo risulta apparso nella cronaca di Mestre e, dunque non nella cronaca nazionale – seppure debba essere valutato (a favore di parte attrice) anche il fatto che l'indicazione dei "Testimoni di Geova" appare anche nel titolo, con ciò dando maggiore risalto alla notizia – ancora maggiormente apprezzabile ai fini della diminuzione del risarcimento è la ristretta diffusione del periodico – bollettino parrocchiale della Parrocchia di ***. Invero, questo è diretto ai soli parrocchiani e solo a coloro che la religione cattolica professano. Dunque, oltre che a un numero limitato di lettori, anche a soggetti che già hanno un loro credo religioso, intendono professarlo e a tutelarlo.
Da ultimo, poi, ai fini della quantifιcazione del danno non patrimoniale deve senza dubbio tenersi ìn considerazione la indicazione originariamente data dall'attrice in sede di processo penale, nel quale era chiesto il risarcimento per danni morali e patrimoniali di £ 8.000.000 per F. e £ 2.000.000 per G.. Infatti, non sono state evidenziate ragioni particolari che abbiano indotto ad un plurima moltiplicazione del già quantificato danno (così è a dirsi anche per la pretesa incidenza delle pubblicazioni in questione nel corso delle trattative con il Governo italiano per la stipulazione dell'intesa dell'art. 8, comma 3 Cost., i quanto, appunto, risalente agli anni 1990-1991), mentre è verosimile che lo stesso doveva ritenersi più sentito (quale patema d'animo in relazione al contesto sociale) nell'immediatezza e nell'epoca subito successiva al verificarsi dei fatti , rispetto alla data di instaurazione del presente giudizio.
Pertanto, a titolo di danno non patrimoniale (esclusa l'ammissibilità delle istanze istruttorie orali formulate dall'attrice sul punto, in quanto attinenti a circostanze documentabili o implicanti giudizi, non consentiti ai testimoni) si ritiene dí dovere liquidare all'attrice l'importo complessivo di € 7746,85 di cui € 1.549,37 in solido tra F. e G.
Circa, invece, il danno patrimoniale parte attrice chiede il risarcimento del danno relativo alle spese sostenute dai responsabili della Congregazione per presenziare al processo penale (valutate forfettariamente in £ 10.000.000) nonché le spese di costituzione di parte civile con un esborso per la Congregazione per £ 61.840.140.
Circa queste ultime, va rilevato, in primo luogo, che nel sistema processuale vigente non e' ammessa la proposizione di una domanda per conseguire il rimborso delle spese processuali che sia formulata autonomamente e fuori della sede nella quale quelle spese furono prodotte (Cass. n. 10450 del 21/10/1993) ed in secondo luogo che l'ammontare di dette spese risulta essere già stato quantificato dal giudice penale nella somma di £ 6.000.000, oltre IVA e CPA. e sulle equità di tale liquidazione, sulla cui corrispondenza alle tariffe di legge non vi è contestazione, si ritiene di non doversi discostare.
Quanto poi alle ulteriori spese asseritamente sostenute dai responsabili della Congregazione per presenziare al processo penale, va rilevato che la domanda non può essere accolta. Infatti ai sensi dell’art. 1226 c.c. la liquidazione in via equitativa del danno presuppone l’impossibilità di provare l’ammontare preciso del danno in riferimento ai mezzi probatori di cui il danneggiato dispone, tramite sforzo diligente. Nella specie, invece, non è stato neppure se non dedotto neppure provato il tipo di spese sostenite, né le udienze a cui detti responsabili hanno partecipato, a che fine, da dove provenivano, che erano, quanti, etc., tuttte circostanze che potevano essere dimostrate (quanto meno con la produzione dei verbali d’udienza).
Pertanto complessivamente i convenuti vanno condannati al pagamento in favore dell’attrice della somma di € 7.746,85 – Il G. limitatamente all’importo di € 1.549,37 – oltre interessi al tasso legale dalla sentenza al saldo.
Non va, invece, disposta la chiesta pubblicazone della sentenza penale della Corte d’Appello di Venezia, sez. IV n. 1532/1997 del 17.07.1997 su almeno due quotidiani di tiratura nazionale nonché sul quotidiano “Il Gazzettino”.
Trattasi infatti di pronuncia accessoria e che, dunque, doveva essere disposta dal giudice della cui sentenza viene chiesta la pubblicazione medesima. Ciò che non risulta essere stato fatto e neppure risulta una domanda in tale senso di parte attrice nel procedimento penale.
Non possono, poi, essere accolte le domande svolte dal F. nei confronti dei terzi chiamati.
In primo luogo, va ritenuta l'infondatezza dell'eccezione comune svolta dalla Parrocchia di *** e dalla Diocesi di *** in relazione all'inammissibilità della chiamata in causa.
Se è vero che il presente giudizio attiene solo alla quantificazione del danno essendo già stata decisa in sede penale la responsabilità dei convenuti, e pur essendo altrettanto vero che tale decisione non è di certo opponibile a quel soggetti che non hanno partecipato al giudizio penale e che neppure sono stati messi nella condizione di parteciparvi, va comunque ritenuto che ciò non preclude l'esercizio dell'azione di accertamento della responsabilitá per i medesimi reati in capo ad altri soggetti (in riferimento ai quali nessuna pronuncia penale è intervenuta) e ciò anche ai fini dell'azione di regresso o manleva.
E' indubitale che a ciò possano conseguire, nella medesima sentenza, statuizioni tra loro contrastanti, dovendosi svolgere il giudizio civile nel più ampio contraddittorio e consentire a quel soggetti che non hanno partecipato al giudizio penale di dedurre e provare l'assenza di ogni addebito a loro carico. Peraltro ciò, se potrebbe contrastare con il principio di economia processuale (nei riguardi di parte attrice), non può precludere lo svolgimento di unico processo, tanto più che il contrasto di statuizioni potrebbe comunque verificarsi anche nell'instaurazione di un distinto procedimento Ciò posto, neppure puó ritenersi che non sussista connessione tra la domanda principale di parte attrice e quelle svolta dal F. nei confronti dei terzi chiamati.
Così è evidentemente per la domanda subordinata svolta dal F. verso detti terzi chiamati di "dichiararsi gli stessi tenuti in solido con i convenuti a soddisfare la domanda proposta dall'attrice", poiché il fondamento di tale domanda non può che essere il concorso degli stessi terzi nel reato di diffamazione e, quindi, l'identica causa petendi (relativamente ai soli F. e G.) che fonda la domanda della Congregazione attrice, mentre evidentemente identico è il "petitum".
Per quanto attiene, invece, alla domanda proposta in via principale dal F. nei confronti dei terzi chiamati non di meno vi è connessione di "causa petendi", atteso che la stessa è fondata su una pretesa qualifica di responsabile civile della Diocesi di *** (oltre che ) e della Parrocchia di *** e, comunque, di una responsabilità che sempre trova fondamento nel reato di diffamazione.
Ed allora è evidente che si tratta di garanzia propria.
Si ha, invero, garanzia propria – che legittima lo spostamento di competenza per territorio ex art. 32 c.p.c. – quando il garantito, parte della causa principale, fa valere nei confronti di un terzo – il garante appunto – il suo diritto sostanziale ad essere risarcito dalle conseguenze di un'eventuale soccombenza e garanzia impropria. E ciò si verifica (anche) quando tra la causa principale e quella accessoria si verifica identità di titolo oppure tra le due domande esiste una connessione obiettiva di titoli nel senso che l'uno è concatenato all'altro o, infine, sia unico il fatto generatore della
responsabilità prospettata con l'azione principale e con quella di regresso (giurisprudenza costante; si veda per es. Cass. n. 3981184). Ne consegue che infondata è pure l'eccezione di incompetenza per territorio del Tribunale di Venezia sollevata dalla Diocesi di ***, attesa la connessione esistente tra la domanda svolta nei suoi confronti e la domanda attorea. In ogni caso, poi, una tale competenza comunque sussisterebbe ai sensi dell'art. 20 c.p.c. (profilo sotto il quale nella comparsa di risposta la Diocesi di *** non ha, come era in suo dovere, eccepito l'incompetenza per territorio), atteso il riferimento al foro del "loco commissi delicti", essendosi consumato il reato di diffamazione nella circoscrizione del Tribunale di Venezia.
Ma infondata è comunque la domanda svolta dal F. nei confronti di tali enti, come anche nei confronti di Sep s.p.a..
Va premesso che l'azione svolta dal F. nei confronti delle terze chiamate è carente di interesse per quanto attiene alla domanda di regresso o di condanna in solido in riferimento alla posizione del G., mentre è certamente infondata la domanda del chiamante nei confronti di Diocesi di *** e Parrocchia di ***, relativamente alla pubblicazione apparsa sul quotidiano "Il Gazzettino" e nei confronti della s.p.a. Società Editrice P., relativamente alla pubblicazione apparsa sul bollettino parrocchiale della Parrocchia di ***.
Ciò posto, circa l'azione proposta dal F. nei confronti di Parrocchia di *** va rilevato che la stessa è un ente ecclesiastico civilmente riconosciuto ai sensi degli artt. 1,2,29 e 30 L. n. 222 del 1985, iscritta nel registro delle persone giuridiche presso il Tribunale. Essa non è tenuta a rispondere delle attività compiute dal parroco, che ne ha la legale rappresentanza, al di fuori da quelle previste dal codice di diritto canonico e di cui ai canoni 519-534, limite opponibile ai terzi stante la pubblicità. Pertanto tale Parrocchia non può essere chiamata a rispondere dell'attività del parroco che abbia agito al di fuori di detti canoni. Quindi, avendo il G. posto in essere attività illecita, questa è certamente contraria ai canoni richiamati e, dunque, della medesima non può rispondere la Parrocchia. Né questa può rispondere quale responsabile civile, tanto che la stessa Corte di Cassazione, nella sentenza n. 1639 del 1998, ha affermato che non è data individuarsi la "ratio" dell'equiparazione dell'autorità ecclesiasitica al responsabile civile, con il ciò escludendo una tale qualità alla Parrocchia di *** per i fatti controversi. Quanto, invece, alla domanda svolta nei confronti della Diocesi di ***, va ugualmente osservato che si tratta di un ente ecelesiastico civilmente riconosciuto a norma dell'art. 29 della L. n. 222/1985, iscritto al registro delle persone giuridiche del Tribunale di Treviso (doc.3) e facente parte della "costituzione gerarchica della Chiesa" (art. 2 comma 1 L. n. 22/1985) Orbene, escluso che il F. sia un ecclesiastico o titolare di ufficio ecclesiastico, non risulta neppure che egli abbia alcun rapporto giuridicamente rilevante con la detta Diocesi e tale da configurare il rapporto di garanzia fatto valere in giudizio.
Infatti non è contestato che egli non sia stato incaricato dalla Diocesi di scrivere l'articolo o di rilasciare l'intervista per cui è stato condannato per diffamazione.
Né ciò può derivare dall'avere agito nella sua qualità di fedele della chiesa cattolica, atteso che se il canone 216 del codice canonico prevede che tutti i fedeli possono "promuovere e sostenere l'azione apostolica", stabilisce anche che nessuna iniziativa possa essere attribuita alla Chiesa Cattolica "senza il consenso dell'autorità ecclesiastica competente". Né la responsabilità può derivarle per il fatto compito dall'ecclesiastico G. Infatti, se la natura di responsabile civile della Diocesi è stata esclusa dalla Suprema Corte con la sentenza citata, va in ogni caso rilevato che una tale responsabilità non potrebbe neppure ricavarsi dal disposto dell'art. 2 lett. b) del protocollo addizionale dell'Accordo di modificazioni del Concordato Lateranense (ratificato con la L. n. 206/85). Infatti questo prevede esclusivamente un diritto di informativa in capo all'Autorità Ecclesiastica come persona fisica gerarchicamente sovraordinata all'ecclesiastico sottoposto a procedimento penale e non è certo diretta a configurare in capo alla stessa Autorità a qualità di responsabile civile. Senza considerare che ciò riguarderebbe solo il G. e non certo il F. che, si ripete, ecclesiastico non è.
Inoltre va altresì considerato che il parroco è legale rappresentante della Parrocchia, soggetto che, dal punto di vista giuridico, è distinto e patrimonialmente autonomo rispetto al soggetto Diocesi. Infatti il canone 515 , par. 1 del codice di diritto canonico che stabilisce che la parrocchia è posta "sotto l'autorità del vescovo diocesano" (e non della Diocesi) ha evidente carattere teologico-disciplinare e non certo patrimoniale e l'unico rappresentante – amministratore della Diocesi è, invero, il Vescovo pro tempore (canoni 393, 494, par. III, 1227 del codice di diritto canonico), mentre unico rappresentante – amministratore dell'ente Parrocchia è il parroco pro tempore (canoni 532 e 1279, par. 1, del codice di diritto canonico).
Quindi di eventuali responsabilità del Parroco risponde – nei limiti dei canoni di cui si è detto sopra (nella specie, come si è visto, superati) – la Parrocchia e non la Diocesi.
Né, da ultimo, l'obbligo di manleva della Diocesi di *** può trovare fondamento nella lettera di Mons. G. (e non del F.) pubblicata sul settimanale "La vita del Pοροlο" del 27.7.1997. Infatti la Diocesi di *** ha dimostrato che tale settimanale non è, come assunto dal F., "Giornale Ufficiale della Diocesi di ***", bensì un organo di informazione diocesana con un proprio direttore responsabile che non coincide col legale rappresentante della Diocesi di *** (si veda doc. 6. pag. 2, in fondo. della Diocesi di ***).
Per quanto concerne, infine, la posizione di Società Editrice P. s.p.a., deve in primo luogo respingersi l'eccezione di nullità della citazione de "Il Gazzettino". Infatti, sebbene non si tratti di soggetto giuridico ma solo di testata giornalistica, in giudizio non si è creata alcuna confusione circa il soggetto destinatario dell'atto di citazione per chiamata in causa, atteso che si è costituita ritualmente e svolgendo integralmente le sue difese la Società Finanziaria Editoriale S.M. s.p.a. e, successivamente alla sua fusione per incorporazione, la S.E.P. spa. Pertanto nessuna difficoltà nell'individuazione del soggetto giuridico legittimato passivo vi è stata, con conseguente sanatoria delle eventuali nullità della citazione.
Ugualmente infondata è l'eccezione di prescrizione sollevata da detta società.
Invero, per quanto concerne la domanda principale di manleva, va rilevato che nell'azione di regresso fra condebitori, prevista dall'art. 1299 cod civ., il termine d'inizio della prescrizione coincide con quello in cui il debitore in solido abbia adempiuto l'intera obbligazione (Cass. 4507 del 28/03/2001), di talchè, nella specie, il termine prescrizionale non può certamente dirsi maturato.
Quanto, invece, alla condanna in solido di convenuti e terzi chiamati, va osservato che il principio per cui in ipotesi di condanna generica al risarcimento del danno – la quale pur difettando dell'attitudine all'esecuzione forzata costituisce una statuizione autoritativa contenente l'accertamento dell'obbligo in via strumentale rispetto alla successiva determinazione del quantum – l'azione diretta alla determinazione del danno resta assoggettata alla prescrizione decennale di cui all'art. 293 cod.civ. con decorrenza dalla data in cui la sentenza di condanna sia divenuta irrevocabile ha carattere generale e trova applicazione anche nelle ipotesi in cui la sentenza di condanna generica sia emessa nel corso di procedimento penale, in favore del danneggiato costituitosi parte civile (Cass. 6757 del 26/07/1996) e di tale termine prescrizionale potrebbe
valersi anche il F., tanto più che in caso di obbligazioni solidale opera il disposto dell'art. 1310 cod.civ.. E ciò è a dirsi pur considerando che la Socieà Editrice P. s.p.a. è stata convenuta in giudizio quale responsabile civile ai sensi dell'art. 11 della L. n. 47/1948, e che il procedimento penale a carico *** – Direttore – e *** – autore dell'articolo – si è chiuso o con amnistia (come sostenuto dal Faraon) o con decreto di archiviazione 21.3.90 del GIP di Venezia (doc. 6 F. e come sostenuto da Società Editrice P. s.p.a.). In ordine, poi, all'eccezione di SEP s.p.a. di inopponibilità della sentenza penale di condanna va ribadito quanto sopra precisato circa la non opponibilità della medesima sentenza alla Parrocchia di *** ed alla Diocesi di ***.
Peraltro deve rilevarsi che non è ravvisabile il reato di diffamazione in capo alla società terza chiamata.
Invero "Il giornalista che assuma una posizione imparziale può essere scriminato in forza del diritto di cronaca quando il fatto in sé dell'intervista, m relazione alla qualità dei soggetti coinvolti, alla materia, in discussione e al più generale contesto dell'intervista, presenti profili di interesse pubblico all'informazione, tali da prevalere sulla posizione soggettiva del singolo. In tal caso il giornalista potrà essere scriminato anche se riporterà espressioni offensive pronunciate dall'intervistato all'indirizzo di altri, quando, ad esempio, per le rilevanti cariche pubbliche ricoperte dai soggetti coinvolti nella vicenda o per la loro indiscussa notorietà in un determinato ambiente, l'intervista assuma il carattere di un evento di pubblico interesse, come tale non suscettibile di censura alcuna da parte dell'intervistatore" (così Cass. pen. n. 37140/2001)
Orbene, posto che mai (se non in un rapido accenno negli scritti conclusivi) il F. ha disconosciuto la riferibilità a sè di quanto riportato nell'articolo comparso su "Il Gazzettino" e ciò sia sotto il punto di vista formale che di quello sostanziale, occorre considerare la distinta posizione dell'intervistatore e, pertanto del giornale, da quella dell'intervistato e cioè del F. Infatti il giornale, nel riportare le dichiarazioni rese dall'intevistato non ha concorso nel reato di diffamazione (nella specie per indubbio superamento dei limiti del diritto di critica), bensì ha esercitato il diritto di cronaca, riportando, come si è detto, nella forma e nella sostanza quanto affermato dal F. Infatti le dichiarazioni del F. sono state fedelmente riportate, l'articolista ha assunto una posizione imparziale, mentre era evidente l'interesse pubblico alla pubblicazione dell'intervista nell'edizione locale di Mestre, stante la tematica trattata e la notorietà della Congregazione Cristiana dei testimoni di Geova nonchè della posizione dell'avv. F., qualificatosi come esperto in materia e professionista legale.
Pertanto, anche alla luce della surrichiamata condivisibile giurisprudenza va esclusa la responsabilità di Società Editrice P. s.p.a. nel reato di diffamazione in questione. Va anche respinta la domanda riconvenzionale del F. ex art. 2043 cod.civ. e 96 c.p.c., fondata sull'illiceità dell'abnormità della richiesta risarcitoria di parte attrice la cui "vera finalità è quella di tentare di silenziare definitivamente l'avv. F., impedendo così la conoscenza pubblica di quelle verità scomode che parte attrice non vuole si conosca", ciò che si manifesterebbe anche attraverso la lettera 1.4.96 dimessa come doc. 14. Se, invero, non si riesce a capire come un'abnorme quantificazione dei danni possa far tacere il F., il quale non viene, in tale modo, di certo privato della sua libertà di espressione, d'altra lato la lettera succitata non risulta avere il significato voluto dal convenuto F., ma a sua volta è manifestazione di libertà di pensiero e tutela del proprio credo religioso.
Ugualmente infondata è la richiesta di restituzione di quanto già pagato dal F. a seguito del giudizio penale, atteso che sull'eccezione relativa alla pretesa revoca "ope legis" della costituzione di parte civile ai sensi dell'art. 82 n. 2 c.p.c. si è già pronunciato il giudice penale e comunque costituiva oggetto di eccezione da proporsi in quella sede.
Anche la domanda della Diocesi di *** ex art. 96 c.p.c. non può essere accolta in mancanza di qualsiasi elemento probatorio a sostegno della richiesta fatta, seppure in via equitativa.
Le spese processuali di parte attrice seguono la soccombenza dei convenuti e sono liquidate come in dispositivo, in base al valore della causa, e vanno ripartite, internamente, per un quinto a carico del G. e per il resto a carico del F.
Quest'ultimo va invece condannato alla rifusione delle spese processuali nei confronti dei chiamati in causa.
La presente sentenza va dichiarata provvisoriamente esecutiva ex lege.

P. Q. M.

Definitivamente pronunciando sulla causa di cui in epigrafe, ogni altra domanda, deduzione ed eccezione disattesa, così provvede:
– condanna i convenuti in solido – ed il G. fino alla concorrenza di € 1.549,37 – al pagamento in favore di parte attrice della somma di € 7.746,85, oltre agli interessi al tasso legale dalla sentenza al saldo;
– condanna i convenuti in via tra loro solidale – e nei rapporti interni per un quinto il G. e per il resto il F. – alla rifusione in favore dell'attrice delle spese processuali che liquida nella somma complessiva di € 6.268,02 di cui € 1.829,07 per spese, € 1.701,73 per diritti ed il resto per
onorari, oltre rimborso forfetario per spese generali, I. V.A., e C.P.A. come per legge;
– condanna F.L. alla rifusione in favore dei terzi chiamati delle spese processuali, che liquida per la Parrocchia di *** nella somma complessiva di € 3.330,38 di cui € 138,67 per spese, € 1.296,31 per diritti ed il resto per onorari, oltre rimborso forfetario per spese generali I.V.A. e C.P.A. come per legge; per la Diocesi di *** nella somma complessiva di € 6.043,58 di cui € 1.547,82 per spese, € 1.174,94 per diritti ed il resto per onorari, oltre rimborso forfetario per spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge; per Società Editrice P. s.p.a. (d'ufficio) nella somma complessiva di € 4.903,99 di cui € 413,17 per spese, € 1170,00 per diritti ed il resto per onorari, oltre I.V.A.. e C.P.A, come per legge;
– dichiara la presente sentenza provvisoriamente esecutiva ex lege.

Venezia, 23.1.2002
Il Giudice
Rita Rigoni

Depositato in Cancelleria il 5.06.2002