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    Sentenza 26 marzo 2002, n.15178

    Reato di ingiuria e diffamazione e dolo generico

    Data: 26 marzo 2002
    Autore:
    Corte di Cassazione - Penale
    Argomento:
    Tutela penale
    Nazione:
    Italia
    Parole chiave:
    Culto cattolico, Dolo, Offese, Sacerdote, Diffamazione, Ingiuria, Accuse, Frasi ingiuriose, Comportamenti antigiuridici, Elemento psicologico del reato
    Non è considerato necessario, per la sussistenza del reato di ingiuria e diffamazione, il c.d. "animus iniuriandi vel diffamandi", essendo invece sufficiente, come notato dal ricorrente, il dolo generico (che, è stato affermato, può assumere la forma anche del dolo eventuale). È dunque bastevole che vengano usate consapevolmente espressioni il cui valore, socialmente diffuso, sia obiettivamente offensivo, espressioni, insomma, adoperate in base al significato che esse vengono ad assumere presso la stragrande maggioranza dei consociati. Va da sè che, quando si accusi taluno di comportamenti penalmente sanzionati, la offesa è innegabile, in quanto il disvalore della azione cui si riferisce l'espressione è, non solo socialmente condiviso, ma giuridicamente stabilito. Nè la qualità o lo status colui che adopera la espressione ingiuriosa può assumere rilievo discriminante, a meno che tale potere "pedagogico" (che comunque deve essere esercitato entro i limiti della continenza) gli sia riconosciuto dal destinatario o dal l'ordinamento.

    Corte di Cassazione. Sezione V Penale. Sentenza 26 marzo 2002, n.15178: “Reato di ingiuria e diffamazione e dolo generico”.

    LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

    QUINTA SEZIONE PENALE

    Composta dagli Ill.mi Sigg.:

    Dott. FERRUA GIULIANA PRESIDENTE
    1. Dott. CICCHETTI NUNZIO CONSIGLIERE
    2. Dott. ROTELLA MARIO CONSIGLIERE
    3. Dott. MARASCA GENNARO CONSIGLIERE
    4.Dott. FUMO MAURIZIO CONSIGLIERE

    ha pronunciato la seguente

    SENTENZA

    sul ricorso proposto da:
    N. IL 9-5-1942

    avverso SENTENZA del 24-03-2000 TRIBUNALE di PESARO
    visti gli atti, la sentenza ed il procedimento
    udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere FUMO MAURIZIO
    Udito il PG nella persona della dott.sa A.M. De Sandro che ha concluso con l’annullamento con rinvio,

    Fatto Diritto

    è stato assolto dal Tribunale di Pesaro dal delitto ex art. 594 commi I, II, e IV cp in danno di (costituitosi PC), perché il fatto non costituisce reato. Ricorre per cassazione il difensore del e deduce violazione dell’art. 594 cp, nonché mancanza e manifesta illogicità della motivazione, sostenendo che erroneamente il giudice di merito ha ritenuto insussistente la lesione del bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice, atteso che il contenuto della lettera che l’imputato indirizzò al contiene frasi ingiuriose ed accuse di comportamenti antigiuridici.
    Il Tribunale ha poi di nuovo errato quando ha escluso la sussistenza dell’elemento psicologico del reato de quo, sostenendo che il fine perseguito dall’imputato non era “del tutto coincidente con l’offesa”. Secondo il primo giudice, l’imputato aveva rivolto critiche certamente severe al , ma lo aveva fatto anche (in quanto sacerdote) perché intendeva indirizzargli un messaggio moralizzatore. Osserva il ricorrente che il dolo del delitto di ingiuria è generico, in quanto richiede la semplice consapevolezza della capacità offensiva delle espressioni usate, mentre non può certo invocarsi il diritto di critica, sia perché non si è in presenza di un delitto di diffamazione, sia perché, nè la veste di sacerdote, nè la qualità di parente di un soggetto defunto, a favore della cui memoria si ritiene di scrivere, sono circostanze che autorizzano ad insolentire gli altri.
    Il difensore del chiede l’annullamento con rinvio.
    È pervenuta comunicazione scritta dell’avv. Francesco Coli, con la quale è stato reso noto che lo stesso non ha ricevuto avviso per la presente udienza. Al proposito osserva il Collegio che l’ ebbe a nominare, nella fase di merito, quali suoi difensori, gli avvocati Mario e Francesco Coli (fol. 28 del fascicolo trasmesso dal Tribunale di Pesaro). Il primo risulta essere cassazionista e, conseguentemente, a tale professionista è stato dato l’avviso (la notifica è avvenuta a mani del collega di studio Alberto Coli).
    Tanto premesso, va detto che la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio al giudice di merito.
    Dalla lettura della predetta sentenza, si evidenzia che il giudice di merito ha erroneamente ritenuto che nel caso in esame dovesse condursi indagine sul “fine perseguito” dall’imputato nel formulare le espressioni ritenute offensive. Avrebbe dovuto viceversa essere verificato se l’ ebbe ad usare espressioni il cui significato obiettivo, socialmente condiviso, dovesse essere interpretato come offensivo.
    Nel capo di imputazione si legge che, non solo le parole del vennero paragonate a “liquami schifosi e puzzolenti” rivelatori di “grettezza” e “malvagità”, ma che lo stesso venne accusato di tenere una condotta che, di fatto, integra reato (avvalersi di un’organizzazione per delinquere, pretendere interessi usurari). Ora, è noto che, secondo consolidata giurisprudenza di questa Sezione (vedasi ad esempio: ASN 199907597 – RV 213631), non è necessario, per la sussistenza del reato di ingiuria e diffamazione, il c.d. animus iniuriandi vel diffamandi, essendo sufficiente, come notato dal ricorrente, il dolo generico (che, è stato affermato, può assumere la forma anche del dolo eventuale). È dunque bastevole che vengano usate consapevolmente espressioni il cui valore, socialmente diffuso, sia obiettivamente offensivo, espressioni, insomma, adoperate in base al significato che esse vengono ad assumere presso la stragrande maggioranza dei consociati. Va da sè che, quando si accusi taluno di comportamenti penalmente sanzionati, la offesa è innegabile, in quanto il disvalore della azione cui si riferisce l’espressione è, non solo socialmente condiviso, ma giuridicamente stabilito. Nè la qualità o lo status colui che adopera la espressione ingiuriosa può assumere rilievo discriminante, a meno che tale potere “pedagogico” (che comunque deve essere esercitato entro i limiti della continenza) gli sia riconosciuto dal destinatario o dal l’ordinamento.
    Si impone dunque l’annullamento della sentenza con rinvio al giudice di merito, il quale, nel rispetto dei principi sopra enunziati, dovrà rivalutare e verificare gli elementi sottoposti al suo esame, accertando anche, eventualmente, se ricorrano cause di giustificazione o circostanze giuridicamente rilevanti.

    P.Q.M.

    la Corte annulla la impugnata sentenza con rinvio al Tribunale di Pesaro per nuovo giudizio.

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