Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 22 maggio 2007, n.100

Il diritto di critica giornalistica e il diritto di cronaca possono
essere esercitati anche quando ne derivi una lesione all’altrui
reputazione, purché vengano rispettati determinati limiti,
individuati dalla giurisprudenza a) nella verità della notizia
pubblicata; b) nell’utilità sociale dell’informazione in relazione
all’attualità e rilevanza dei fatti narrati (c.d. pertinenza) e c)
nell’esigenza che l’informazione sia mantenuta nei limiti della
obiettività o serenità e in una forma espositiva corretta (c.d.
continenza), in modo che siano evitate gratuite aggressioni all’altrui
reputazione. Ciò rilavato, l’agente può in particolare invocare
l’esimente del diritto di cronaca, sotto il profilo putativo, solo se
abbia provato di avere riscontrato, con ogni possibile cura, la
verità dei fatti che si accingeva a narrare, al fine di vincere ogni
dubbio o incertezza intorno a essi, e ciò nonostante sia incorso
nell’errore di ritenere che tali fatti fossero veri. Nessuna efficacia
scriminante può invece riconoscersi all’errore in cui il soggetto
incorra per non aver riscontrato la verità del fatto, stante che in
questo caso il suo errore attiene a un elemento normativo, vertendo
sulla liceità del comportamento e derivando da una inesatta
conoscenza dei propri obblighi e dei presupposti normativi del diritto
di informazione (nel caso di specie, l’imputato – autore di un volume
sull’Islam in Italia – invocava quale esimente dell’utilizzo di alcune
espressioni dispregiative nei confronti della persona offesa,
l’esercizio putativo del diritto di cronaca, affermando che “a livello
di opinione pubblica quello di S. è da anni un personaggio discusso e
controverso”).

Sentenza 31 gennaio 2006

Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Sentenza 31 gennaio 2006: “Giniewski c. France: reato di diffamazione e violazione dell’art. 10 CEDU”. DEUXIÈME SECTION. Requête no 64016/00. Cet arrêt deviendra définitif dans les conditions définies à l’article 44 § 2 de la Convention. Il peut subir des retouches de forme. En l’affaire Giniewski c. France, La Cour […]

Disegno di legge 11 luglio 2005, n.5986

Camera dei Deputati. Proposta di legge, di iniziativa del deputato Perrotta, n. 5986 dell’11 luglio 2005: “Modifica agli articoli 299 e 404 del codice penale, in materia di offesa alla bandiera o alla religione di uno Stato estero” RELAZIONE ONOREVOLI COLLEGHI ! — La presente proposta di legge apporta modifiche a due articoli del codice […]

Sentenza 14 giugno 2005

I delitti previsti dagli artt. 403 e 404 c.p. puniscono l’offesa
alla religione mediante, rispettivamente, vilipendio di persone o di
cose che formino oggetto di culto. In particolare, il vilipendio è
ravvisabile nell’offesa volgare e grossolana, che si concreta in
atti che assumono caratteri evidenti di dileggio, derisione e
disprezzo; con riferimento alle cose che formino oggetti di culto,
può estrinsecarsi non solo in atti materiali di disprezzo, ma anche
in espressioni verbali. L’elemento psicologico di tali delitti è il
dolo generico, ossia la volontà di commettere il fatto con la
consapevolezza della sua idoneità a vilipendere. Integra, pertanto,
gli estremi del reato di cui all’art. 403 c.p. la condotta di colui
che, nel corso di una trasmissione televisiva, abbia definito la
Chiesa cattolica come “un’associazione a delinquere” ed il Papa
come “un signore extracomunitario che capeggia la chiesa” ed un
“abile doppiogiochista”, posto che i riferimenti in questione –
oltre ad essere rivolti all’istituzione della Chiesa in sé – si
estendono ai suoi esponenti, per ruolo dagli stessi rivestito, con
effetti chiaramente offensivi. Integra, inoltre, il reato di offesa
alla religione mediante vilipendio di cose, il riferimento al
crocifisso come “cadavere in miniatura”, in quanto tale
definizione spoglia la croce del suo significato simbolico religioso,
riducendola ad una beffarda definizione anatomica.

Sentenza 26 marzo 2002, n.15178

Non è considerato necessario, per la sussistenza del reato di
ingiuria e diffamazione, il c.d. “animus iniuriandi vel diffamandi”,
essendo invece sufficiente, come notato dal ricorrente, il dolo
generico (che, è stato affermato, può assumere la forma anche del
dolo eventuale). È dunque bastevole che vengano usate consapevolmente
espressioni il cui valore, socialmente diffuso, sia obiettivamente
offensivo, espressioni, insomma, adoperate in base al significato che
esse vengono ad assumere presso la stragrande maggioranza dei
consociati. Va da sè che, quando si accusi taluno di comportamenti
penalmente sanzionati, la offesa è innegabile, in quanto il disvalore
della azione cui si riferisce l’espressione è, non solo socialmente
condiviso, ma giuridicamente stabilito. Nè la qualità o lo status
colui che adopera la espressione ingiuriosa può assumere rilievo
discriminante, a meno che tale potere “pedagogico” (che comunque deve
essere esercitato entro i limiti della continenza) gli sia
riconosciuto dal destinatario o dal l’ordinamento.

Sentenza 01 ottobre 2001

L’art. 404 c.p. punisce l’offesa alla religione commessa “mediante
vilipendio di cose che formino oggetto di culto, o siano consacrate al
culto, o siano destinate necessariamente all’esercizio del culto”.
Sin da epoca risalente, l’elaborazione dottrinale e
giurisprudenziale individua le cose che “formano oggetto di culto”
in quelle verso cui il culto si tributa, la quali sono pertanto
adorate ed oggetto di preghiera per il fatto di rappresentare o
simboleggiare l’essenza divina: si tratta delle immagini sacre, del
crocifisso, ecc. La natura mobile o immobile, la commerciabilità o
meno delle cose, l’avvenuta consacrazione o benedizione delle stesse
sono invece indifferenti, < > – secono la dottrina – <>. Tra le
“cose consacrate al culto” vengono ricomprese quelle (chiese,
altari, calici, tabernacoli, ecc.) che hanno ricevuto il particolare
atto rituale della consacrazione del vescovo o benedizione del
sacerdote, atto che sottrae la cosa ad ogni uso profano o improprio.
Infine, “cose necessariamente destinate all’esercizio del culto”
sono quelle che, non appartenenti alle altre due categorie, sono
comunque necessarie per lo svolgimento della liturgia o del rito sacro
(paramenti, stendardi, ceri, ecc.). Secondo la pacifica
interpretazione della dottrina, inoltre, il vilipendio può essere
commesso non solo con atti materiali, ma anche con parole o qualunque
altro mezzo idoneo; è invece imprescindibile che la condotta sia
posta in essere direttamente sopra o verso la cosa in questione, e
comunque in sua presenza. Nell’accertamento della sussistenza del
reato di cui all’art. 404 c.p. non può dunque in alcun modo
prescindersi dalla presenza – quale oggetto della condotta di
vilipendio – di una cosa che sia realmente ed effettivamente oggetto
di culto o consacrata, ovvero destinata all’esercizio del culto, con
l’ulteriore precisazione, quanto a tale ultima categoria, che detta
destinazione sia attuale e non solo possibile. (Nel caso di specie,
concernente la produzione cinematografica dal titolo “Totò che
visse due volte”, non è stata dimostrata la riconducibilità di
alcuno degli oggetti impiegati nelle riprese – croci, statue, edicole
votive, ecc. – all’una o all’altra delle categorie di “cose”
di cui all’art. 404, nel senso tecnico sopra precisato, ma queste
ultime sono per contro risultate oggetti fabbricati durante la
produzione ovvero noleggiati presso negozi specializzati).

Codice penale 1860

Codice penale indiano, 1860. (Omissis) CHAPTER XV : OF OFFENCES RELATING TO RELIGION 295. (Injuring or defiling place of worship with intent to insult the religion of any class) Whoever destroys, damages or defiles any place of worship, or any object held sacred by any class of persons with the intention of thereby insulting the […]

Sentenza 26 maggio 1952, n.343 U.S. 495

U.S. Supreme Court. Sentenza 26 maggio 1952: “Tutela penale. Joseph Burstyn, Inc. v. Wilson, 343 U.S. 495 (1952)”. JOSEPH BURSTYN, INC. v. WILSON, COMMISSIONER OF EDUCATION OF NEW YORK, ET AL. APPEAL FROM THE COURT OF APPEALS OF NEW YORK. No. 522. Argued April 24, 1952. Decided May 26, 1952. Provisions of the New York […]

Decisione 02 novembre 1994

In una procedura penale per perturbamento alla libertà di credenza e
di culto (art. 261 CP), è arbitrario negare la qualità di
danneggiato, giusta i §§ 40 e 395 cpv. 1 n. 2 del codice di
procedura penale zurighese, a colui il quale è offeso nelle sue
convinzioni religiose (consid. 3). (Abstract ufficiale in lingua
italiana)

Sentenza 08 giugno 1989

Il superamento della contrapposizione per la religione cattolica
“sola religione dello Stato” e gli altri culti ammessi, sancito al
punto 1) del Protocollo Addizionale del 18 febbraio 1984, renderebbe
ormai inaccettabile ogni tipo di discriminazione che si basasse
soltanto sul maggiore o minore numero degli appartenenti alle varie
confessioni religiose. Se la Corte costituzionale con sentenza
dell’8 luglio 1988 n. 925 ha ritenuto tuttora legittima la punizione
della bestemmia non sembra che gli argomenti utilizzati siano
estensibili al reato di vilipendio punito dall’ art. 402 c.p. E,
perciò, possibile sostenere che sia venuto meno il presupposto
dell’art. 402 c.p. e cioè la religione di Stato. Non appare nel
caso rilevante la questione di legittimità costituzionale dell’art.
402 c.p., essendo per altro verso esclusa l’integrazione del
contestato reato.