Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 1 Ottobre 2010

Sentenza 29 settembre 2010, n.32600

TAR Lazio. Sezione Terza bis. Sentenza 29 settembre 2010, n. 32600: "IRC: esclusione da sessione riservata di esami di abilitazione all’insegnamento nella scuola secondaria".

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 838 del 2001, proposto da:
S. M. A., rappresentata e difesa dagli avv.ti Laura La Rocca Tavana e Giuseppe Nastasi, con domicilio eletto in Roma alla via Gavorrano, 12 presso lo studio dell’avv. Mario Giannarini;

contro

Ministero della Pubblica Istruzione e Provveditorato agli Studi di Foggia, in persona dei rispettivi rappresentanti legali pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la cui sede – in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12 – domiciliano per legge;

per l'annullamento previa sospensione dell’efficacia del provvedimento in data 7 dicembre 2000, con il quale il Provveditore agli studi di Foggia ha escluso la ricorrente dalla sessione riservata di esami per il conseguimento dell’abilitazione all’insegnamento nella scuola secondaria, sull’asserito presupposto della mancanza del requisito del servizio, in quanto prestato nell’insegnamento della religione cattolica;

Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero della Pubblica Istruzione e di Provveditorato agli Studi di Foggia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 luglio 2010 il cons. Massimo Luciano Calveri e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1.- Con ricorso notificato in data 30 dicembre 2000, la sig.ra M. A. S. impugnava il provvedimento in epigrafe con il quale era stata esclusa dalla sessione riservata di esami di abilitazione all’insegnamento nella scuola secondaria, indetta con O.M. n. 153 del 15 giugno 1999, integrata dalla O.M. n. 33 del 7 febbraio 2000.

L’esclusione era stata disposta perché il servizio era stato prestato per l’insegnamento della religione; tanto in applicazione dell’ultimo comma dell’art. 2 di detta Ordinanza n. 153/99, ai sensi del quale: “I servizi prestati nell’insegnamento della religione cattolica o delle attività alternative all’insegnamento della religione cattolica non sono validi ai fini dell’ammissione alla sessione riservata in quanto non prestati su posti di ruolo né relativi a classi di concorso”.

Dopo avere illustrato la normativa primaria (art. 2, comma 4, legge n. 124/1999) e regolamentare di riferimento (precitate ordinanze ministeriali), e dopo avere riferito di avere partecipato alla sessione riservata di esami a seguito della riapertura dei termini di presentazione delle domande disposta dalla ordinanza del 2000, precisava la deducente che, con ricorso n. 14624/1999, aveva già impugnato l’O.M. n. 153/1999 nella parte in cui erano stati ritenuti non validi, ai fini dell’ammissione all’esame di abilitazione de quo, i servizi svolti , in tutto o in parte, come insegnante di religione cattolica.

Eccepiva – in buona sostanza – l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 4, della legge n. 124/1999, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, nella parte in cui, prevedendo quale requisito di ammissione solo un servizio prestato in insegnamenti corrispondenti a posti di ruolo o relativi a classi di concorso, esclude dalla sessione medesima i docenti che, quali incaricati annuali, hanno svolto la richiesta esperienza didattica, in tutto o in parte, nell’insegnamento della religione cattolica.

Riferiva di non ignorare che la Sezione, con ordinanza n. 524 del 3 giugno 1996, aveva già sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 3 e 11 della legge n. 417/1989, nella parte in cui avevano escluso dalla sessione riservata dagli esami di abilitazione i docenti di religione, e che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 343 del 22 luglio 1999, aveva ritenuto non fondata la questione. Soggiungeva però che la Corte non potrebbe non apprezzare la palese irragionevolezza e ingiustizia operata nei riguardi degli insegnanti di religione, posto che con l’art. 2 comma 4 della legge n. 124/99, è stata ritenuta valida come titolo di ammissione l’esperienza didattica in sé, in qualsiasi insegnamento comunque maturata (purché in base ad idoneo titolo di studio), a prescindere dall’ordine e grado di scuola in cui detta esperienza è stata acquisita.

1.2.- Resistevano al ricorso le amministrazioni intimate depositando documentazione.

1.3.- Alla udienza pubblica del 19 luglio 2010, il ricorso è stato trattenuto in decisione.

2.- Il ricorso non è fondato.

2.1.- Va significativamente premesso che il ricorso cui la ricorrente ha fatto riferimento (ric. n. 14624/1999) è stato respinto dalla Sezione con sentenza n. 12337 del 1 dicembre 2003, confermata dal Consiglio di Stato con sentenza n. 4058 del 19 giugno 2009.

Con la decisione del giudice d’appello è stato ribadito che l’O.M. n. 153 del 15 giugno 1999, nella parte in cui stabilisce che i servizi di insegnamento della religione cattolica non sono utili ai fini della maturazione del requisito di anzianità didattica prescritto per l'ammissione alla sessione di abilitazione è conforme al dettato legislativo di cui all'art. 2 comma 4, l. n. 124 del 1999 e non incorre nei denunciati profili di incostituzionalità per violazione degli art. 3 e 97 cost.; che di conseguenza il provvedimento di esclusione dalla sessione riservata di esami di abilitazione per l'insegnamento nelle scuole statali, il cui contenuto è vincolato alla disciplina sui requisiti di ammissione dettata dalla predetta ordinanza, si sottrae ad ogni dedotto vizio di invalidità in via derivata.

Si è anche affermato, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, che la non fondatezza della questione nei termini formulati con il ricorso all’esame era comunque desumibile dai contenuti della riferita pronuncia della Corte Costituzionale n. 343/1999.

Tanto alla stregua delle seguenti proposizioni argomentative che, in quanto pienamente condivisibili, si ritiene opportuno riportare:

– la pronuncia della Corte Costituzionale si riferisce formalmente agli articoli 2 e 11 del D.L. 6.11.1989, n. 357 (norme in materia di reclutamento del personale della scuola), convertito in legge dall’art. 1, comma 1 della legge 27.12.1989, n. 417, nella parte in cui tali disposizioni disciplinavano l’ammissione a concorsi per soli titoli di docenti, che avessero “prestato servizio per almeno trecentosessanta giorni, anche non continuativi, nel triennio precedente…per insegnamenti corrispondenti a posti di ruolo, svolti sulla base del titolo di studio richiesto per l’accesso ai ruoli, nonché per insegnamenti relativi a classi di concorso”(art. 2 cit., comma 10, lettera b);

– in rapporto a tale normativa, si erano, sì sviluppati indirizzi giurisprudenziali non univoci, per quanto attiene alla necessità che il servizio in questione fosse stato prestato con riferimento alla medesima materia oggetto della perseguita abilitazione, o anche a materie non corrispondenti, purché affini o quanto meno richiedenti lo stesso titolo di studio (cfr., per il principio, Cons. St., sez. VI, 24.7.1998, n. 1103, 10.7.1996, n. 939, 20.6.1996, n. 844, 20.5.1995, n. 492, 7.9.1994, n. 1344 e 16..1993, n. 246);

– non è da tale profilo, tuttavia, che la Corte ha fatto discendere il rigetto della questione di costituzionalità, sollevata sulla base di argomentazioni del tutto simili a quelle oggetto del presente giudizio. Nella ricordata sentenza n. 343/1999, infatti, si sottolinea come l’esperienza didattica – ritenuta “elemento di qualificazione professionale, da verificare in sede di esame” – sia stata da parte della giurisprudenza identificata con quella della specifica classe di abilitazione, alla quale si intendeva essere ammessi, o quanto meno di classi affini, tali da giustificare comunque una “verifica semplificata della professionalità, in sessioni riservate di esame o di concorso”;

– la circostanza che logicamente – alla luce dei principi costituzionali – è stata ritenuta preclusiva della possibile assimilazione dell’esperienza degli insegnanti di religione, a quella degli altri docenti, risulta essere comunque corrispondente non al mero carattere non affine della materia religiosa, rispetto a quella oggetto di altre discipline, ma all’assoluta peculiarità di posizione di tali insegnanti, i cui profili di qualificazione professionale sono determinati dall’autorità scolastica, d’intesa con la Conferenza Episcopale Italiana;

– in definitiva, sia pure in presenza di una motivazione estremamente sintetica, non sembra ipotizzabile che la Corte Costituzionale avrebbe assunto una diversa decisione qualora (come affermato dagli appellanti in quel gravame) fosse stato oggetto di esame l’art. 2, comma 4 della legge n. 124/1999, in quanto tale norma ammetterebbe una più ampia “intercambiabilità” dell’esperienza didattica, idonea a consentire l’accesso alla sessione riservata di cui trattasi;

– l’elemento discriminante, ai fini della ragionevolezza del testo legislativo e della coerenza del medesimo con principi di buona amministrazione, infatti, appare riconducibile alla considerazione della pregressa attività didattica quale indice di esperienza, giustificativo di modalità agevolate di accesso stabile nei ruoli docenti, solo ove tale attività fosse stata svolta secondo regole dettate dallo Stato, nonché in corrispondenza di materie, individuate dallo Stato stesso come parte del processo formativo della pubblica istruzione (garantita dall’art. 33 della carta costituzionale, tenuto conto anche della piena libertà di credo religioso, di cui al precedente art. 3 della medesima carta);

– l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche, viceversa, corrisponde non a scelte squisitamente didattiche, ma ad un impegno assunto dallo Stato rispetto ad altro Ente sovrano, al cui magistero resta direttamente connessa una dottrina – il cui apprendimento è comunque facoltativo – ritenuta attinente al patrimonio storico e culturale del popolo italiano, con modalità di selezione del personale docente del tutto peculiari, dovendo l’idoneità del medesimo essere riconosciuta dalla competente autorità ecclesiastica, non estranea nemmeno alla scelta dei testi di apprendimento e ad altre modalità organizzative, per finalità di approfondimento e diffusione dell’ortodossia cattolica (artt. 2 e 3 D.P.R. n. 751/1985 cit.; cfr. anche, Cons. St., sez. VI, 27.8.1988, n. 1006);

– un siffatto percorso formativo, i cui contenuti morali e culturali giustificano la pari dignità del relativo personale docente, rispetto a quello addetto ad altre discipline, nell’ambito di quanto attenga allo svolgimento dell’anno scolastico, senza che ciò possa razionalmente escludere una diversa valutazione dell’esperienza didattica in questione, in rapporto a normative eccezionali di favore, attraverso le quali l’amministrazione intenda – come nel caso di specie – agevolare l’immissione nei ruoli di personale precario, che sia stato reclutato e abbia svolto attività di insegnamento secondo le regole dettate dallo Stato stesso, per finalità strettamente inerenti alla formazione culturale e scientifica degli studenti.

Va poi conclusivamente soggiunto che l’elaborazione giurisprudenziale è coralmente orientata nel ritenere – come del resto da ultimo affermato da questa Sezione con sentenza 13 aprile 2010, n. 6669 – che l'insegnamento della religione cattolica non può considerarsi pienamente equiparato agli altri insegnamenti rivestendo, i soggetti abilitati ad impartirlo, una peculiare posizione di status in ragione dei differenziati profili di abilitazione professionale richiesti, delle distinte modalità di nomina e di accesso ai compiti didattici, nonché della specificità dell'oggetto dell'insegnamento. Trattasi di peculiare posizione che non trova corrispondenza nella dotazione di organico dei ruoli ordinari, traendo fonte il relativo rapporto di lavoro da incarichi annuali e senza collegamento con altre classi di concorso; requisiti, invece, richiesti dall'art. 2 comma 4, l. n. 124 del 1999 ai fini della maturazione dell'anzianità didattica occorrente per l'ammissione alla sessione riservata di abilitazione (CdS, VI, 19 giugno 2009, n. 4043; id., 13 luglio 2007, n. 3715; id. 4 aprile 2007, n. 1515; id., 27 settembre 2005, n. 5645).

2.2.- Alla stregua delle svolte considerazioni il ricorso va respinto.

Giusti motivi spingono però a compensare tra le parti spese di giudizio e onorari di causa.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sez. III-bis, decidendo il ricorso in epigrafe, lo respinge.
Compensa tra le parti le spese di lite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 luglio 2010 con l'intervento dei Magistrati:

Evasio Speranza, Presidente
Paolo Restaino, Consigliere
Massimo Luciano Calveri, Consigliere, Estensore

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 29/09/2010