Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 4 Maggio 2006

Sentenza 31 gennaio 2006, n.6078

Corte di Cassazione-Sez. Civile I. Sentenza 31 gennaio 2006, n. 6078.

(Presidente: M. G. Luccioli; Relatore: M. R. San Giorgio)

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE I CIVILE

SENTENZA

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

D.V., cittadina rumena in possesso anche di cittadinanza italiana per matrimonio, chiese al Tribunale per i minorenni di Roma il riconoscimento della sentenza di adozione emessa dal Tribunale di Costanza in Romania il 23 apr. 2003, relativa alla minore A.I. V., già B., nata a Costanza il 15 sett. 2002, e l’ordine all’ufficiale di anagrafe del competente Comune di procedere alla trascrizione.

L’istanza fu respinta osservandosi che la richiedente era coniugata e che il provvedimento straniero, emesso solo nei suoi confronti, era in contrasto con la normativa che disciplina l’adozione internazionale nel nostro Paese.

Il Tribunale ritenne altresì la inapplicabilità dell’art. 36, comma 4, della legge sull’adozione, mancando la prova del soggiorno continuativo almeno biennale della richiedente in Romania.

La V. propose reclamo avverso detto provvedimento, osservando che l’adozione si era svolta nel rispetto della normativa vigente in Romania, Paese aderente alla Convenzione dell’Aja del 1993; e, in alternativa, premesso di aver dato prova di aver soggiornato continuativamente in Romania per avervi avuto la residenza nel 2001 e nel 2004, sostenne che, a norma dell’art. 36, comma 4, della legge n. 184 del 1983, come modificato dall’art. 3 della legge n. 476del 1998, si deve ritenere sufficiente un soggiorno continuativo non quantificato ma significativo, oltre alla residenza anagrafica per due anni.

Infine, dedusse la mancanza di motivazione del provvedimento impugnato in riferimento alla ritenuta non delibabilità della sentenza straniera perché pronunciata nei confronti della sola V.

La Corte di appello di Roma, con decreto in data 21 apr. 2005, rigettò il reclamo, rilevando anzitutto che, essendo la reclamante cittadina italiana, era soggetta alla legge italiana, che l’art. 6 stabilisce che l’adozione è consentita ai coniugi e non alla persona singola; e che inoltre, in base alla stessa legge, i coniugi devono ottenere dal Tribunale per i minorenni del luogo di residenza un decreto di idoneità all’adozione internazionale, e conferire poi l’incarico ad un ente autorizzato per l’ulteriore corso della procedura all’estero.

Detta normativa sarebbe stata completamente pretermessa dalla reclamante.

La circostanza richiamata dalla difesa, secondo la quale anche la Romania, come l’Italia, è parte della Convenzione di L’Aja del 1993, non modificherebbe i termini della questione: infatti, proprio in quanto vincolate dagli stessi impegni internazionali, le Autorità di detto Paese avrebbero dovuto prendere contatto con l’Autorità centrale italiana per avere chiarimenti in ordine alla normativa vigente in Italia.

In tal modo, esse avrebbero appreso che l’adozione richiesta non poteva in nessun caso avere efficacia nel nostro Paese, in quanto l’art. 35, comma 3, della legge n. 184 del 1983 subordina l’ordine di trascrizione del provvedimento straniero all’accertamento, di competenza del Tribunale per i minorenni, dell’autorizzazione all’ingresso rilasciata dalla Commissione per le adozioni internazionali, ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett. h), mentre il comma 6 dello stesso art. 35 stabilisce che non può comunque essere ordinata la trascrizione quando il provvedimento straniero riguardi adottanti che non siano in possesso dei requisiti previsti dalla legge italiana, e neppure quando l’adozione straniera si sia realizzata senza l’intervento delle Autorità centrali e di un ente autorizzato.

Ne avrebbe alcun pregio, secondo la Corte di appello, l’argomentazione della reclamante relativa alla erronea applicazione dell’art. 36, comma 4, della legge n. 184 del 1983, che richiederebbe in modo chiaro un soggiorno continuativo congiuntamente alla residenza almeno biennale.

Aggiunse la Corte che dal certificato del Comune di Roma del 23 giu. 2003 risulta che la reclamante era residente senza interruzioni a Roma dal 9 mag. 1992, mentre i due certificati del ministro rumeno delle finanze reperibili nel fascicolo di parte si riferivano a un domicilio fiscale ottenuto unicamente allo scopo di evitare la doppia imposizione.

Avverso tale decreto ricorre per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost. la V. sulla base di due motivi.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso, si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 35 e 36 della legge n. 184 del 1983, come modificati dalla legge n. 476 del 1998.

La Corte di appello non avrebbe tenuto conto che, se anche la legge n. 184 del 1983, agli artt. 35, comma 6, e 39, comma 1, lett. h), vieta il riconoscimento dell’adozione pronunciata all’estero in mancanza di determinati requisiti, resta comunque salva la previsione di cui all’art. 36, comma 4, della stessa legge, secondo il quale il Tribunale per i minorenni deve riconoscere ad ogni effetto in Italia l’adozione pronunciata dall’autorità di un Paese straniero ad istanza di cittadini italiani che dimostrino al momento della pronuncia di avere la residenza da almeno due anni.

Nella specie, la ricorrente aveva prodotto una certificazione dalla quale risultava la sua residenza negli anni 2001 e 2002 in Romania, ove la stessa aveva soggiornato continuativamente per otto mesi.

Il motivo non è meritevole di accoglimento.

Esse si fonda sull’erroneo presupposto esegetico secondo il quale il comma 4 dell’art. 36 della legge n. 184 del 1983, per il fatto di non aver quantificato il periodo di durata del soggiorno nel Paese nel quale sia stata pronunciata l’adozione a distanza di cittadini italiani, richiesto, congiuntamente all’altro requisito della residenza biennale nello stesso Paese, ai fini del riconoscimento del provvedimento ad opera del Tribunale per i minorenni, debba essere interpretato nel senso che sia sufficiente un soggiorno almeno significativo: ciò che determinerebbe la ricomprensione del caso di specie, nel quale la ricorrente aveva trascorso otto mesi continuativi in Romania, dove aveva anche prestato attività lavorativa in detto periodo, nella previsione della norma in questione.

Vero è, che, avuto anche riguardo alla nozione propria di residenza, deve escludersi che la formulazione letterale del comma 4 dell’art. 36 contestata di ritenere che il periodo minimo di durata del soggiorno nel Paese in cui viene pronunciata l’adozione sia inferiore al biennio imposto dalla stessa disposizione con riferimento alla residenza.

Al contrario, è ipotizzabile, a fronte di detto biennio, la necessità di un periodo di almeno uguale durata di soggiorno in quel Paese.

Ne la ratio della disposizione in esame, da ravvisarsi nella esigenza di un radicamento dell’adottante nel luogo di dimora del minore, può indurre a differente conclusione.

V’è poi, da aggiungere che nel decreto impugnato si fa riferimento alla certificazione, prodotta dal Comune di Roma, dalla quale la ricorrente risulta ivi residente ininterrottamente dal 1992.

Detta certificazione, non contestata, è stata correttamente valorizzata dalla Corte di appello romana quale elemento concorrente alla formazione del convincimento della non configurabilità, nella specie, della situazione che, ai sensi del citato comma 4 dell’art. 36 della legge n. 184 del 1983, legittima il riconoscimento in Italia dell’adozione pronunciata in un Paese straniero ad istanza di cittadini italiani.

Con il secondo motivo, si denuncia violazione dell’art. 36, con riferimento anche all’art. 44, della legge n. 184 del 1983, e falsa applicazione dell’art. 29- bis della stessa legge, che stabilisce che, per promuovere un procedimento di adozione internazionale, le persone residenti in Italia debbono possedere i requisiti prescritti dall’art. 6 della stessa legge, che consente l’adozione alle sole coppie, escludendola per le persone singole.

Nell’ordinamento vigente è ammessa dall’art. 44 della legge n. 184 del 1984 l’adozione da parte del single: e se detta norma non prevede la possibilità di adozione da parte di una persona singola, nemmeno essa la esclude: sicché, in via interpretativa ed analogica, è rimessa al giudice la facoltà di trovare una soluzione idonea a risolvere il problema in presenza di un rapporto affettivo e genitoriale di fatto ormai consolidato, quale si configura nella specie.

In proposito si rivela che la ricorrente è coniugata, e che la minore in questione ha instaurato un solido legame affettivo anche con il coniuge dell’adottante.

Anche tale censura è destituita di fondamento.

Per vero, la legislazione nazionale conosce l’adozione da parte del single: trattasi, come, peraltro, sottolineato dalla stessa ricorrente, dell’adozione in casi particolari, di cui all’art. 44 della legge n. 184 del 1983, che ha effetti limitati rispetto all’adozione legittimante, o nelle speciali circostanze di cui all’art. 25, comma 4 e 5, della stessa legge.

Sono, peraltro, quelli appena citati, i soli casi nei quali il legislatore nazionale si è avvalso della facoltà, rimessa agli Stati dall’art. 6 della Convenzione europea in materia di adozioni di minori, firmata a Strasburgo il 24 apr. 1967 e ratificata dall’Italia con la legge 22 mag. 1974, n. 357, norma non autoapplicativa, cioè direttamente applicabile nei rapporti intersoggettivi privati, occorrendo, a tal fine, l’interpretazione di una legge nazionale (v. Corte Cost., sentenza n. 183 del 1994), di prevedere l’adozione da parte di persone singole.

Al di fuori delle predette ipotesi, la citata norma pattizia non consente ai giudici italiani di concedere l’adozione di minori a persone singole.

Al contrario, il principio fondamentale al riguardo è quello, scaturente dall’art. 6 della legge n. 184 del 1983, secondo il quale l’adozione è permessa solo alla coppia di coniugi (uniti in matrimonio da almeno tre anni), e non ai singoli componenti di questa: principio, quello appena enunciato, applicabile, per effetto dell’art. 29- bis della stessa legge, introdotto dall’art. 3 della legge n. 476 del 1998, anche alle adozioni internazionali.

È bensì vero che, secondo una interpretazione costituzionalmente corretta, queste ultime devono essere ritenute ammissibili negli stessi casi in cui è ammessa l’adozione nazionale legittimante o quella in casi particolari (v. Corte Cost., ordinanza n. 347 del 2005).

Tuttavia, una siffatta esegesi, se induce alla conclusione della possibilità per il single di procedere all’adozione internazionale nei casi particolari di cui all’art. 44 cit., non può certamente fondare il riconoscimento di una generalizzata ammissibilità di tale adozione da parte di persona singola: ammissibilità, del resto, escussa in via generale, come si è già precisato, nell’adozione nazionale, alla stregua del diritto vigente.

Resta, ovviamente, fermo che, tanto più in presenza della disposizione convenzionale sopra menzionata (art. 6 della Convenzione di Strasburgo del 1967), che a ciò lo facoltizza, il legislatore nazionale ben potrebbe provvedere, nel concorso di particolari circostanze, tipizzate dalla legge o rimesse di volta in volta al prudente apprezzamento del giudice, ad un ampliamento dell’ambito di ammissibilità dell’adozione di minore da parte di una singola persona, anche qualificandola con gli effetti dell’adozione legittimante, ove tale soluzione sia giudicata più conveniente all’interesse del minore, salva la previsione di un criterio di preferenza per l’adozione da parte della coppia di coniugi, determinata dall’esigenza di assicurare al minore stesso la presenza di entrambe le figure genitoriale, e di inserirlo in una famiglia che dia sufficienti garanzie di stabilità (v. Corte Cost., sent. n. 183 del 1994, cit.).

Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato.

Non essendo stata spiegata attività difensiva dall’intimato, non v’è luogo a provvedimenti sulle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Roma, 31 gen. 2006.

Depositata in Cancelleria il 18 marzo 2006.