Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

Olir

Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 09 febbraio 2007, n.113

Con l’entrata in vigore del nuovo Testo Unico sull’espropriazione,
l’avvio del procedimento finalizzato all’approvazione del progetto
definitivo dell’opera pubblica e all’adozione della conseguente
dichiarazione di pubblica utilità deve essere comunicato al
proprietario delle aree interessate, come prescritto dall’art. 16
comma 4, D.P.R. n. 327 del 2001; ai sensi dell’art. 17, comma 2,
D.P.R. n. 327 del 2001 l’ente locale, a mezzo raccomandata con avviso
di ricevimento, deve poi rendere edotto l’interessato della data in
cui è divenuto efficace il provvedimento che ha approvato il progetto
definitivo dell’opera pubblica e della facoltà di prendere visione
dei relativi atti. Si tratta di adempimenti distinti e separati, che
assolvono ad esigenze teleologicamente diverse. La comunicazione,
effettuata ai sensi dell’art. 17 decreto citato, non assorbe dunque
anche quella di cui al precedente art. 16. Le due formalità non sono
affatto equipollenti e nell’ambito del procedimento espropriativo,
in ragione delle (costituzionalmente rilevanti) situazioni giuridiche
intercettate, le forme diventano sostanza. L’avviso di cui all’art. 16
comma 4, D.P.R. n. 327 del 2001 realizza, infatti, una garanzia
partecipativa non meramente formale rappresentando un necessario
passaggio cognitivo-dialettico funzionale sia per la parte, che può
opporre fatti e/o circostanze non considerati, sia per
l’amministrazione che quelle osservazioni deve esaminare e valutare
prima di approvare il progetto definitivo dell’opera; per cui, da tale
omissione procedurale discende l’illegittimità degli atti approvativi
del progetto e della dichiarazione di pubblica utilità ed in via
derivata di quello occupativo ed espropriativo.

Sentenza 10 maggio 2005, n.2234

L’art. 5, comma 1, dell’Accordo che apporta modificazioni al
Concordato Lateranense dell’11 febbraio 1929, firmato il 18 febbraio
1984 e ratificato con la L. 25 marzo 1985 n. 121, stabilisce che
“gli edifici aperti al culto non possono essere requisiti, occupati,
espropriati o demoliti se non per gravi ragioni e previo accordo con
la competente autorità eccesiastica”. Pertanto, posto che la
qualificazione dei beni finalizzati nel senso voluto dalla norma
assume rilevanza nell’ordinamento statale poichè introduce una
disciplina derogatoria speciale, essendo la deputatio ad cultum un
atto proprio dell’Autorità ecclesiastica, la verifica della
sussistenza di tale presupposto deve essere condotta alla luce del
Codice di Diritto Canonico. In particolare, il canone 1208 stabilisce,
al riguardo, che “della compiuta dedicazione o benedizione della
Chiesa si rediga un documento e se ne conservi una copia nella Curia
diocesana ed un’altra nell’archivio della Chiesa”. Ed il canone
1215 precisa ancora che “non si costruisca alcuna Chiesa senza il
consenso scritto del Vescovo Diocesano”. In mancanza di tale
documento che non ammette equipollenti, da redigere contestualmente
alla dedicatio o benedictio e conservare nei modi indicati, come
previsto e richiesto dal canone n. 1208, non può dunque ritenersi
integrato il presupposto richiesto per l’applicazione della
particolare disciplina in esame.

Sentenza 10 marzo 2004, n.133

La destinazione all’esercizio pubblico del culto cattolico assume
rilevanza per l’ordinamento giuridico statuale, al fine di
assicurare il particolare regime giuridico di cui godono gli edifici
di culto; per accertare detta destinazione il nostro ordinamento
rinvia espressamente al diritto canonico. Al riguardo è necessario in
particolare un atto, proprio dell’Autorità ecclesiastica,
costitutivo della destinazione al culto pubblico, il quale risulta
produttivo di effetti anche sul diritto statuale e non viceversa. La
prova della cessazione della destinazione all’esercizio pubblico del
culto cattolico degli edifici in questione non può pertanto essere
raggiunta, secondo la previsione dell’art. 831 c.c., che “in
conformità alle norme che li riguardano” e cioè le previsioni del
diritto canonico. (Nel caso di specie, la Parrocchia ricorrente non
produceva in giudizio copia dell’atto scritto – previsto nelle varie
ipotesi dai canoni 1208, 1215 e 1223 – recante la deputatio ad cultum
pubblicum deglli immobili de quibus).