Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 13 ottobre 2015, n.41044

L'art. 403 cod. pen. sanziona chiunque offenda una confessione
religiosa mediante vilipendio di chi la professa o di un ministro del
culto. Al riguardo, la Corte costituzionale ha affermato
come «il vilipendio di una religione, tanto più se
posto in essere attraverso il vilipendio di coloro che la professano o
di un ministro del culto rispettivo, …, legittimamente può
limitare l'ambito di operatività dell'art. 21: sempre
che, beninteso, la figura della condotta vilipendiosa sia circoscritta
entro i giusti confini, segnati, per un verso, dallo stesso
significato etimologico della parola (che vuoi dire “tenere a
vile” e quindi additare al pubblico disprezzo o dileggio), e per
altro verso, dalla esigenza di rendere compatibile la tutela penale
accordata al bene protetto dalla norma in questione con la più
ampia libertà di manifestazione del proprio pensiero in materia
religiosa, con specifico riferimento alla quale non a caso l'art.
19 anticipa, in termini quanto mai espliciti, il più generale
principio dell'art. 21» (sentenza n. 188 del 1975). Sono
pertanto vilipendio, e dunque esclusi dalla garanzia dell'art. 21,
la contumelia, lo scherno, l'offesa fine a se stessa che
costituiscono oltraggio ai valori etici di cui si sostanza ed alimenta
il fenomeno religioso. (Nel caso di specie, la Corte adita ha pertanto
rigettato il ricorso, ritenendo violato il limite dovuto al rispetto
della devozione altrui, ingiustamente messo a repentaglio da una
manifestazione che, lungi dall'essere meramente critica di costumi
sessuali non consentiti a ministri di culto, è apparsa
costituire appunto una mera contumelia, scherno ed offesa fine a se
stessa).

Sentenza 27 gennaio 2014, n.[2014] EWCA Civ

Core Issue Trust, un’organizzazione di ispirazione cristiana,
aveva chiesto l’affissione di una campagna pubblicitaria su
mezzi del trasporto pubblico locale di Londra col seguente messaggio
“Non gay! Ex-gay, post-gay e fieri di esserlo! Fattene una
ragione!”, in risposta alla campagna pubblicitaria, sempre
ospitata sui mezzi del trasporto pubblico locale di Londra, promossa
da un’organizzazione pro-LGBT, col messaggio “Alcune
persone sono gay. Fattene una ragione!”. Accettata la richiesta
del Core Issue Trust da parte della società concessionaria
della pubblicità, era successivamente intervenuto il diniego di
Transport for London, ente pubblico responsabile del trasporto
pubblico locale di Londra e presieduto dal Sindaco della città.
Il contenzioso amministrativo che ne è scaturito – e la
decisione qui in esame – si appunta sulla legittimità o
meno del diniego opposto da Transport of London, motivato dal richiamo
dell’Equality Act e delle correlative policy adottate
dall’ente pubblico, anche in considerazione della circostanza
(emersa solo in appello) per cui il Sindaco Boris Johnson avrebbe
fatto adottare la decisione a Transport for London non per ragioni di
legittimità giuridica, bensì di opportunità
politica. Per quanto qui interessa, la sentenza ha affermato che il
rifiuto della campagna pubblicitaria non costituisce una violazione
della libertà di espressione di cui all’art. 10 CEDU
(rispondendo ai canoni della previsione di legge, della
legittimità dello scopo e della necessità e
proporzionalità – par. 50-89) ed ha, inoltre, ritenuto
che la libertà di religione o credo di cui all’art. 9
CEDU non rilevi nella fattispecie (par. 90-92). Secondo la Corte,
infatti, nonostante la norma in questione sia invocabile anche da
persone giuridiche ed enti di fatto, il Core Issue Trust non è
una comunità religiosa o una chiesa. Inoltre nel caso di specie
il Core Issue Trust intendeva esprimere la propria posizione su
questioni di carattere morale e sessuale anziché manifestare un
determinato credo, ed i Giudici hanno ritenuto che si debba
distinguere tra la manifestazione di un credo (protetta
dall’art. 9 CEDU) e le pratiche e gli atti meramente motivati da
una religione o credo (che non attengono all’art. 9 CEDU).
[La Redazione di OLIR.it ringrazia per la segnalazione del documento e
la stesura del relativo Abstract Mattia F. Ferrero, Università
Cattolica del Sacro Cuore di Milano]

Raccomandazione 13 giugno 2013

La Redazione di OLIR.it ringrazia per la segnalazione del documento
Mattia F. Ferrero, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano

Risoluzione 18 aprile 2013

European Parliament resolution of 18 April 2013 on Vietnam, in particular freedom of expression. The European Parliament , –  having regard to the Partnership and Cooperation Agreement between the EU and Vietnam signed on 27 June 2012 and to the EU-Vietnam human rights dialogue held twice a year between the EU and the government of Vietnam, […]

Sentenza 27 febbraio 2013, n.2013 SCC 11

Con questa sentenza la Corte Suprema del Canada ha dichiarato la
parziale illegittimità dell’art. 14, c. 1, lett. (b) del
_Saskatchewan Human Rights Code_, nella parte in cui vieta(va) ogni
manifestazione pubblica del pensiero «_that ridicues, belittles or
otherwise affront the dignity_» di persone o gruppi di persone, con
una motivazione proibita dalla legge. È stato, infatti, ritenuto che
simili manifestazioni del pensiero non siano idonee a suscitare nel
pubblico un livello di odio verso il _protected group_ tale da
giustificare una restrizione delle libertà di espressione e di
religione tutelate dalla Carta canadese dei diritti e delle libertà.
Il Supremo Consesso ha, invece, ritenuto legittima e conforme alla
Carta la residua disposizione della citata norma del _Saskatchewan
Human Rights Code_, laddove proibisce le manifestazioni pubbliche del
pensiero «_that expose[s] and tends to expose to hatred_» persone o
gruppi di persone, sulla base di una caratteristica protetta. Pur
riconoscendo che ciò costituisce una compressione delle libertà di
espressione e di religione, la Corte canadese ha considerato tale
limitazione ragionevole e manifestamente giustificata in una società
libera e democratica, poiché lo scopo della norma è quello di
evitare espressioni pubbliche idonee a determinare successive condotte
discriminatorie o violente nei confronti del _targeted group_, non
quello di prevenire le offese ai sentimenti delle persone. La sentenza
ha, inoltre, ritenuto che l’_hate speech_ rivolto al comportamento
sessuale debba considerarsi riferito anche all’orientamento sessuale
(che è uno dei motivi di discriminazione vietati), atteso che in tal
caso il comportamento concorre in maniera fondamentale ed inseparabile
ad identificare l’orientamento sessuale. Nel caso di specie era
contestata la violazione della richiamata previsione del _Saskatchewan
Human Rights Code_ in relazione a quattro volantini distribuiti da un
attivista anti-omosessuale cristiano che nel testo di essi aveva, tra
l’altro, citato alcuni versetti biblici. In applicazione dei
principi indicati, la Corte nel merito ha concluso per la liceità di
due dei volantini, ritenendo invece che gli altri due integrassero un
_hate speech_, in parziale riforma della sentenza appellata che, pur
considerando legittima la normativa del Saskatchewan, aveva
considerato leciti tutti quattro i volantini.

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(La Redazione di OLIR.it ringrazia per la segnalazione del documento
e la stesura del relativo abstract  Mattia F. Ferrero, Università
Cattolica del Sacro Cuore di Milano)

Raccomandazione 23 giugno 2010, n.1927

Council of Europe, Parliamentary Assembly. Recommendation n. 1927 (2010): "Islam, Islamism and Islamophobia in Europe" (provisional edition( (*) 1.       Referring to its Resolution 1743 (2010) on Islam, Islamism and Islamophobia, the Parliamentary Assembly emphasises the particular importance for the Council of Europe and its member states of increasing their action in this field. It is a priority […]

Risoluzione 23 giugno 2010, n.1743

Council of Europe, Parliamentary Assembly. Resolution 23 June 2010, n. 1743 (2010): "Islam, Islamism and Islamophobia in Europe" (Provisional edition) (*)   1. The Parliamentary Assembly notes that Islamic radicalism and manipulation of religious beliefs for political reasons oppose human rights and democratic values. At the same time, in many Council of Europe member states, […]

Risoluzione 29 aprile 2010, n.1728

Resolution 29 April 2010, n. 1728: "Discrimination on the basis of sexual orientation and gender identity". 1. The Parliamentary Assembly recalls that sexual orientation, which covers heterosexuality, bisexuality and homosexuality, is a profound part of the identity of each and every human being. The Assembly also recalls that homosexuality has been decriminalised in all member […]

Sentenza 20 aprile 2010

The Court declared inadmissible the application Le Pen v. France. The
Court considered that the penalty imposed on the applicant for his
statements about Muslims in France was justified. The Court reiterated
that it attached the highest importance to freedom of expression in
the context of political debate in a democratic society, and that
freedom of expression applied not only to “information” or
“ideas” that were favourably received, but also to those that
offended, shocked or disturbed. Furthermore, anyone who engaged in a
debate on a matter of public interest could resort to a degree of
exaggeration, or even provocation, provided that they respected the
reputation and rights of others.