Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 20 febbraio 1995, n.54

Le speciali norme dettate, negli artt. 1, primo comma, ultima parte, e
3, terzo comma, della legge 29 aprile 1983, n. 167 (sull'”affidamento
in prova del condannato militare”) riguardo al condannato per reati
originati dall’obiezione di coscienza, attribuiscono al Ministro della
difesa – organo che, per la sua posizione istituzionale e funzionale,
non e’ certo qualificato in ordine al perseguimento delle finalita’ di
rieducazione e reinserimento sociale – la competenza, in via
esclusiva, a individuare gli uffici o enti pubblici – anche se non
militari – presso i quali l’affidato in prova dovra’ prestare
servizio. Tali disposizioni – nelle quali, sotto altra veste
giuridica, si riproduce sostanzialmente il regime riservato a chi
venga ammesso al servizio sostitutivo civile ai sensi della legge n.
772 del 1972 – regime che resta collegato, sia pure indirettamente,
all’organizzazione della difesa – non possono piu’ trovare
giustificazione dopo la sentenza (n. 358 del 1993) con la quale la
Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimita’ costituzionale
dell’art. 27 cod. pen. mil. di pace, nella parte in cui consentiva che
la conversione della pena della reclusione comune in quella della
reclusione militare potesse avvenire in relazione alla sanzione penale
comminata per i c.d. obiettori totali. Infatti, poiche’ la funzione
assolta dalle misure alternative non puo’ che rispecchiare quella
assegnata alla pena inflitta, appare irragionevole sostituire una pena
ispirata al reinserimento sociale del condannato con una misura
finalizzata – come le altre di cui alla legge n. 167 del 1983 – al
recupero dello stesso al servizio militare. Gli artt. 1, primo comma,
ultima parte, e 3, terzo comma, della legge n. 167 del 1983 vanno
dunque dichiarati costituzionalmente illegittimi nella parte in cui
prevedono l’affidamento in prova del condannato per reati originati da
obiezione di coscienza esclusivamente ad uffici od enti pubblici non
militari individuati dal Ministro della difesa, anziche’ al servizio
sociale ai sensi della legge n. 354 del 1975.

Sentenza 26 luglio 1993, n.358

La prevista sostituzione, per i reati militari commessi da militari,
della reclusione comune con quella militare, pur essendo il frutto di
una scelta discrezionale – dal momento che non sussiste un obbligo
costituzionale di sottoporre a pena militare la commissione di un
reato militare – e in se’ non irragionevole, da’ luogo a manifesta
incongruenza quando sia applicata nei confronti del soggetto che
rifiuti di prestare il servizio di leva per motivi di coscienza.
Infatti, poiche’ lo scopo primario della reclusione militare e’ quella
del recupero del condannato al servizio alle armi appare,
innanzitutto, contraddittorio basare sull’adduzione di giustificati
motivi di coscienza un trattamento punitivo per il rifiuto del
servizio militare all’esito del quale si prevede l’esonero dal
servizio e, al tempo stesso, far consistere quel trattamento in
modalita’ volte al recupero del soggetto al servizio militare; in
secondo luogo, l’applicazione nei confronti dell’obiettore per motivi
di coscienza, di un trattamento punitivo – qual’e’ la reclusione
militare – volto al recupero del soggetto alle armi, potrebbe farlo
incorrere in altri reati connessi al rifiuto del servizio dando luogo
a quella “spirale delle condanne” negatrice di ogni valore collegato
alla finalita’ rieducativa della pena. Deve essere pertanto dichiarata
la illegittimita’ costituzionale dell’art. 27 c.p.m.p., nella parte in
cui consente che la conversione della pena della reclusione comune in
quella militare possa avvenire in relazione alla sanzione penale
comminata per il reato previsto dall’art. 8, comma secondo, l. 15
dicembre 1972 n. 772.

Sentenza 20 luglio 1993, n.343

La clausola di esonero dal servizio di leva a pena espiata stabilita
per coloro che rifiutano il servizio militare per motivi di coscienza,
costituisce una sorta di clausola di garanzia della proporzionalita’
della pena, in quanto, in mancanza di essa, di fronte alla
manifestazione di un rifiuto totale del servizio di leva, la sanzione
penale e’ destinata ad applicazioni reiterate fino all’esaurimento del
correlativo obbligo di leva (45 anni). La inapplicabilita’ di tale
clausola nei confronti di coloro, che rifiutano il servizio militare
senza addurre alcun motivo ovvero adducendo motivi diversi da quelli
considerati dal legislatore, da’ adito, in pratica, alla c.d. spirale
di condanna, rendendo al contempo eccessivamente sproporzionato il
trattamento sanzionatorio e vanificando altresi’ il fine rieducativo
della pena che costituisce una garanzia istituzionale della liberta’
personale in relazione allo stato di detenzione. Deve pertanto essere
dichiarata la illegittimita’ costituzionale, per violazione degli
artt. 3 e 27 Cost. – restando assorbiti gli ulteriori profili di
incostituzionalita’ – dell’art. 8, terzo comma, l. n. 772 del 1972 in
connessione con l’art. 148 c.p.m.p., nella parte in cui non prevede
l’esonero dalla prestazione del servizio militare di leva a favore di
coloro che, avendo rifiutato totalmente in tempo di pace la
prestazione del servizio stesso dopo aver addotto motivi diversi da
quelli indicati nell’art. 1 della l. n. 772 del 1972 o senza aver
addotto motivo alcuno, abbiano espiato per quel comportamento la pena
della reclusione in misura quantomeno non inferiore complessivamente
alla durata del servizio militare di leva, rimanendo peraltro urgente
un intervento del legislatore volto alla razionalizzazione del
trattamento sanzionatorio relativamente ai reati militari connessi al
rifiuto di prestare il servizio militare.