Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 30 Maggio 2009

Decreto 16 gennaio 2009

Corte d’Appello di Cagliari. Sezione Civile. Decreto 16 gennaio 2009: “Direttive anticipate in ordine al rifiuto di trasfusioni di sangue e nomina dell’amministratore di sostegno”.

LA CORTE D’APPELLO DI CAGLIARI – SEZIONE CIVILE

composta dai magistrati:
dott. Gian Luigi Ferrero Presidente
dott. Fiorella Buttiglione Consigliere
dott. Maria Mura Consigliere relatore

ha pronunciato il seguente

decreto

nel procedimento iscritto al n° 522 del ruolo generale della volontaria giurisdizione per il 2008, promosso da:

C.F., beneficiario e L.P., in qualità di amministratore di sostegno del C., elettivamente domiciliati in Sestu presso l’avv. Stefania Muscas, rappresentati e difesi dall’avv. Giovanni Cavallo del foro di Roma in virtù di procura a margine del ricorso per reclamo e dall’avv. prof. Giovanni Cocco, che li rappresenta e difende in virtù di procura speciale per rogito notaio Rosetti in data 13 gennaio 2009,
RECLAMANTI

PUBBLICO MINISTERO, in persona del sostituto Procuratore Generale dott. Lucina Serra,
INTERVENUTO PER LEGGE

contro

il decreto del giudice tutelare del tribunale di Cagliari del 4 novembre 2008.

Con ricorso depositato il 31 ottobre 2008 nella cancelleria del tribunale di Cagliari, il signor P. L., premesso che il signor F. C.- suo suocero- si trova nell’impossibilità di provvedere ai propri interessi in quanto affetto da “ emorragia digestiva da gastrite e ulcere duodenali”, ha chiesto al giudice tutelare la propria nomina ad amministratore di sostegno del C… per poterlo rappresentare (ovvero assisterlo) nel compimento di tutti gli atti di straordinaria amministrazione, previa autorizzazione del giudice tutelare, ed inoltre nel compimento dei seguenti specifici atti di ordinaria amministrazione, senza l’autorizzazione del giudice tutelare:
a) riscossione di somme periodiche quali pensioni, indennità d’accompagnamento, canoni di locazione;
b) utilizzo delle somme percepite…per le esigenze ordinarie della vita quotidiana del beneficiario, anche mediante personale retribuito e per l’ordinaria amministrazione dei suoi beni, autorizzando il compimento di operazioni sul conto corrente bancario/postale intestato al beneficiario…;
c) presentazione di istanze per la concessione di benefici economici e personali presso enti pubblici;
d) adempimento degli obblighi di natura fiscale;
e) prestazione del consenso informato per le cure mediche.
Il ricorrente, tanto premesso, ha chiesto la sua nomina ad amministratore di sostegno del C. con una procedura connotata da urgenza, dato che il beneficiario era, in quel momento, ricoverato presso il presidio ospedaliero San Giovanni di Dio di Cagliari per emorragia digestiva da gastrite e ulcere duodenali, affinché possa tutelare gli interessi del suddetto, espressi nel documento “Direttive anticipate relative alle cure mediche con contestuale designazione di amministratore di sostegno attestante la volontà di non accettare trasfusioni di sangue.”
Nelle “ Direttive anticipate relative alle cure mediche con contestuale designazione di amministratore di sostegno”, personalmente sottoscritte dal C. il 31 ottobre 2008, questi ha espressamente dichiarato di rifiutare le trasfusioni di sangue e di nominare, nel pieno delle sue facoltà di intendere e di volere, amministratore di sostegno il L., per l’ipotesi in cui si ritenesse necessario il ricorso al giudice tutelare per ottenere il decreto di nomina anche attraverso una procedura d’urgenza affinché l’amministratore nominando si attenga alle esposte direttive anticipate che rappresentano la dichiarazione formale delle sue decisioni, aspirazioni e richieste, ferma la riaffermazione del proprio incondizionato rifiuto delle trasfusioni di sangue.
Il giudice tutelare del tribunale, con decreto 4 novembre 2008, ha nominato, in via provvisoria, amministratore di sostegno del signor C. il genero, signor L. e gli ha attribuito il potere-dovere di prendersi cura della persona del beneficiario, laddove questi non sia più in grado di manifestare una volontà; di assumere presso i sanitari tutte le informazioni sulla salute del C. e di prestare il consenso informato per gli interventi terapeutici; di richiedere gli interventi medici, farmacologici e psicoterapici che appaiono necessari e/o utili; di regolare, sentito il beneficiario, orari e modalità delle visite di soggetti estranei alla famiglia.
Nello stesso decreto l’amministratore di sostegno non è stato, invece, autorizzato nell’ipotesi di perdita di coscienza da parte del C., a rifiutare le terapie, compresa l’eventuale trasfusione di sangue, che i sanitari dovessero ritenere necessarie ed indifferibili per la salvaguardia dell’integrità fisica del paziente e della sua stessa vita. Infine, il giudice tutelare ha fissato l’udienza del 20 novembre 2008 per l’esame del beneficiario, il quale, personalmente comparso, ha ribadito il contenuto delle direttive anticipate.
Con provvedimento del 7 gennaio 2009, il giudice tutelare ha confermato le statuizioni contenute nel decreto di nomina provvisoria del 4 novembre precedente, ivi compresa la nomina del L. ad amministratore di sostegno del C., ulteriormente rinviando il procedimento all’udienza del 26 marzo 2009.
Il giudice tutelare ha rilevato che nel nostro ordinamento, in particolare secondo l’art. 32 della Costituzione, nessuno può essere sottoposto a trattamento sanitario contro la sua volontà se non nelle ipotesi previste dalla legge. Da qui la conseguenza che la persona maggiore di età e capace di intendere e di volere ha diritto ad autodeterminarsi in relazione anche al rifiuto di qualsiasi terapia medica, sia di quelle necessarie ad evitare danni alla salute sia anche delle cure necessarie per scongiurare un esito sicuramente o probabilmente letale.
Secondo il giudice tutelare non è, pertanto, possibile procedere ad alcun trattamento terapeutico senza che lo stesso sia preceduto da un consenso attuale, informato e consapevole da parte dell’interessato, che è l’unico interlocutore legittimato a consentire l’effettuazione del trattamento sulla propria persona.
Tanto precisato e venendo a verificare nel caso concreto l’esistenza dei presupposti per la nomina di un amministratore di sostegno, il giudice tutelare ha dichiarato processualmente ammissibile la domanda dato che è possibile che lo stato di incapacità del C. sopravvenga in breve tempo ( il paziente si trova, infatti, in una condizione di grave anemia) come risulta dal certificato medico prodotto dove si dà atto che il paziente è a rischio di morte da shock emorragico.
Lo stesso giudice ha però negato che nel nostro ordinamento esista una normativa che disciplina la possibilità per un soggetto di esprimere una volontà relativa alle terapie mediche che potrebbero per lui rendersi necessarie in caso di una futura ed eventuale incapacità di intendere e di volere del soggetto.
In particolare, ha ricordato i caratteri che per giurisprudenza pacifica deve possedere il dissenso del paziente, ovvero quello della univocità, attualità e consapevolezza e tali caratteri a suo giudizio non sarebbero neppure prospettabili quando la manifestazione di volontà del paziente venisse presa in considerazione in un momento successivo al suo rilascio.
Per altro verso, il giudice prende in esame le recenti pronunce anche della corte di cassazione dalle quali emerge la valorizzazione della volontà espressa dal soggetto in epoca antecedente al sopravvenire della propria incapacità, ma rileva che queste pronunce attengono a fattispecie affatto diverse da quella in esame, nei casi esaminati dalla corte, infatti, le istanze tendevano ad evitare il ricorso a terapie che, al limite dell’accanimento terapeutico, non avessero comunque alcuna possibilità di migliorare le condizioni fisiche del paziente, ma solo il fine del mantenimento in vita di questi.
Difetta nel nostro ordinamento, secondo il decreto reclamato, una normativa volta a dare efficacia ultrattiva alla manifestazione di volontà del rifiuto di cure mediche c.d. salva vita.
Ne consegue che, di fronte alla perdita di coscienza dell’interessato, il quale in precedenza aveva espresso la volontà di non volere determinate cure, sia comunque compito del medico praticarle in ogni caso per il perseguimento della finalità di tutelare la vita del paziente.
Il giudice tutelare ha pertanto negato l’autorizzazione all’amministratore di sostegno, nominato nella persona del L., nell’ipotesi di perdita di coscienza del C., di rifiutare le terapie, compresa l’eventuale trasfusione di sangue, che i sanitari dovessero ritenere necessarie per l’integrità della salute e della vita del C.
Avverso il decreto del 4 novembre 2008 hanno proposto reclamo, con ricorso depositato nella cancelleria di questa corte d’appello il 14 novembre 2008, sia il beneficiario signor F. C. che l’amministratore di sostegno, signor P. L. ed hanno affidato il reclamo ai seguenti motivi:
in primo luogo essi richiamano diffusamente le ragioni per le quali il signor C. è pervenuto alla determinazione di rifiutare le trasfusioni di sangue che si rendessero necessarie anche per salvargli la vita: egli è ministro della religione dei testimoni di Geova, profondamente credente ed osservante del principio che, secondo detto credo, impone questo divieto. Il principio di libertà religiosa ha rilievo costituzionale, al pari di altri valori pure tutelati dalla carta costituzionale come il bene della vita. Se il nostro ordinamento giuridico, come per altro sottolineato nel provvedimento reclamato, tutela il rispetto della volontà del soggetto di sottoporsi a cure mediche e quindi anche di rifiutarle, detto diritto va riconosciuto sempre, a prescindere dalla motivazione sottese alla scelta operata.
I reclamanti richiamano le norme costituzionali che garantiscono la libertà di sottoporsi o meno a terapie mediche nonché le ormai numerose pronunce di legittimità che, nel rispetto di tali principi costituzionali, ritengono l’efficacia vincolante per il medico della volontà espressa dal paziente, anche in caso in cui le scelte operate determinino un probabile o certo pericolo di vita.
Accanto alla normativa dello Stato italiano- segnatamente la Costituzione, il codice civile, il Codice di deontologia medica del 16 dicembre 2006, il d.lgs. n. 211 del 2003 ( sulle sperimentazioni cliniche)- sono richiamate anche le normative comunitaria ed europea sulle direttive anticipate e l’incidenza di esse nel nostro ordinamento giuridico. In particolare i reclamanti si riferiscono alla Convenzione di Oviedo, ratificata dallo Stato Italiano e perciò stesso legge immediatamente applicabile, la quale impone che si debba tener conto dei desideri espressi preventivamente dai soggetti in relazione ad eventuali terapie che dovessero essere praticate.
I reclamanti si dolgono che il giudice tutelare abbia negato qualsiasi valore alla lucida volontà espressa dal signor C. di non voler ricevere trasfusioni di sangue, anche a costo del pericolo per la sua vita, qualora egli possa versare in uno stato di incoscienza. La volontà era stata manifestata nella piena consapevolezza dei rischi e dei pericoli seri connessi a tale scelta e perciò stesso essa doveva ritenersi, non solo circostanziata, ma anche attuale, dato che è stata espressa in prossimità dell’intervento chirurgico che, a causa dell’anestesia da praticare, comporterà la perdita dello stato di coscienza del paziente.
Infine, i reclamanti lamentano l’interpretazione del giudice tutelare circa i poteri che il C. vorrebbe venissero assunti dall’amministratore di sostegno: questi non è affatto chiamato ad esprimere una volontà in disaccordo con quella del beneficiario. Al contrario egli è l’interlocutore dei medici nel decidere sui trattamenti sanitari da praticare in favore del beneficiario, è il più accreditato interprete della volontà di quest’ultimo, la quale ha trovato una chiara espressione nell’ambito delle direttive anticipate assunte in piena capacità e consapevolezza dei rischi da parte del C. oltre che in prossimità della situazione che verosimilmente richiederà l’intervento dell’amministratore di sostegno.
Volontà che il signor C. ha manifestato in un apposito scritto anche in ragione della pericolosità della terapia trasfusionale e dell’obbligo in tal senso imposto dal D.M. 3 marzo 2005.
Tanto precisato, i reclamanti hanno chiesto che, in totale riforma del decreto del giudice tutelare, l’amministratore di sostegno ivi nominato faccia rispettare ed attuare le Direttive anticipate redatte dal signor C., con particolare riferimento al rifiuto di trasfusioni di sangue intero, globuli rossi, globuli bianchi, piastrine o plasma…anche se gli operatori sanitari dovessero ritenerle indispensabili per la sopravvivenza del C.
Fissata l’udienza in camera di consiglio, sono personalmente comparsi il signor L., la moglie ed una figlia del signor C., non presentatosi. Sono state prodotte delle dichiarazioni scritte provenienti dagli altri due figli del C. che attestano la piena adesione alle decisioni paterne e, per i reclamanti, ha assunto la difesa, anche un altro difensore, nella persona dell’avv. prof. Giovanni Cocco, il quale ha depositato una memoria difensiva.
Sia la difesa che il Procuratore Generale hanno discusso oralmente la causa, illustrando le ragioni delle rispettive tesi; in particolare il Procuratore generale, nonostante il parere scritto del proprio ufficio fosse di segno contrario, ha concluso chiedendo il rigetto del reclamo e la conferma del decreto del giudice tutelare.
La difesa ha richiamato il contenuto degli scritti difensivi e la corte si è riservata di decidere.

Sciogliendo la riserva assunta in udienza, la corte rileva:
è utile, preliminarmente, delineare l’oggetto del presente reclamo: attraverso la doglianza i reclamanti chiedono la modifica del provvedimento del giudice tutelare nella parte in cui ha negato all’amministratore di sostegno il potere di rifiutare – per l’ipotesi di perdita di coscienza del beneficiario- eventuali trasfusioni di sangue che si rendessero necessarie anche per la vita del paziente. Essi hanno, pertanto, domandato che siffatta autorizzazione sia inserita tra i poteri dell’amministratore di sostegno, nominato dal giudice tutelare con il decreto del 4 novembre 2008.
Nessuna doglianza è stata, invece, formulata da parte del Procuratore generale in ordine all’esistenza dei presupposti per siffatta nomina, nel senso che non è stata posta in dubbio la ricorrenza dei presupposti cui la legge subordina la nomina dell’amministratore di sostegno. Sul punto, infatti, la Procura non ha proposto un autonomo motivo di reclamo incidentale essendosi limitata a chiedere il rigetto del reclamo e la mera conferma del decreto.
Resta, pertanto, precluso alla corte ogni esame circa la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 404 del cod. civ. e considerare ormai non sindacabile la nomina dell’amministratore di sostegno nella persona del sig. L.
L’aspetto controverso è, quindi, esclusivamente costituito dai poteri attribuiti (o negati) all’amministratore di sostegno, aspetto sul quale questa corte è chiamata a pronunciarsi.
A questo riguardo è necessario richiamare il contenuto del ricorso introduttivo del procedimento e ricordare ancora una volta che il signor C. ha espresso- in previsione dell’intervento chirurgico che dovrà subire a causa della sua patologia- una volontà del tutto certa, circostanziata, motivata con l’adesione alla religione dei Testimoni di Geova, della quale egli è un ministro del culto, circa il proprio rifiuto a ricevere trasfusioni di sangue. Tale volontà egli ha esternato per iscritto ai sanitari che lo hanno in cura (cfr. tra le altre la volontà scritta contenuta nella dichiarazione del 23 ottobre 2008 rilasciata dalla direzione sanitaria dell’Azienda Ospedaliera Universitaria di Cagliari); essa è, inoltre, contenuta ed espressa in modo articolato nelle c.d. “direttive anticipate” da lui sottoscritte alla presenza di due testimoni, direttiva che contiene anche l’indicazione della persona del L. come proprio amministratore di sostegno, per l’ipotesi, (che invero il C. ritiene non sia necessaria), che occorra ribadire tale intendimento nel momento in cui dovesse perdere coscienza.
Si legge, infatti, nelle predette direttive: “ ritengo, inoltre, che non ci sia bisogno di rivolgersi ad alcuna persona (compreso l’amministratore di sostegno) per riaffermare il mio incondizionato rifiuto alle trasfusioni di sangue. Tuttavia, se lo si ritenesse necessario, l’amministratore di sostegno che ho designato potrà ricorrere al giudice tutelare per ottenere il decreto di nomina anche attraverso una procedura d’urgenza. Pertanto, nelle mie piene facoltà di intendere e di volere designo quale mio amministratore di sostegno il signor P. L., il quale dovrà attenersi alle sopra esposte direttive anticipate che rappresentano la dichiarazione formale delle mie decisioni, aspirazioni, richieste….tale mie direttive anticipate sono a tempo indeterminato, fino ad espressa revoca.
Il contenuto delle direttive anticipate, giova ribadirlo, è del seguente tenore: “ sono testimone di Geova e dispongo che in NESSUN caso mi sia praticata una trasfusione di sangue intero, globuli rossi, di globuli bianchi, di piastrine o di plasma, neanche quando gli operatori sanitari ritengano che sia indispensabile per la mia sopravvivenza. Rifiuto di depositare il mio sangue perché mi venga trasfuso in un secondo tempo.”
La dichiarazione contenente le direttive anticipate è stata sottoscritta dal signor C. il 31 ottobre 2008; inoltre egli è stato sentito successivamente dal giudice tutelare, che ne ha disposto la comparizione in udienza a seguito della nomina provvisoria dell’amministratore di sostegno e della delimitazione, nel senso noto, dei suoi poteri.
Ebbene, anche in quella sede, il signor C. ha ribadito la sua precisa volontà dichiarando: “ confermo la mia volontà espressa nelle mie direttive anticipate datate 30 ottobre 2008. ..Devo affrontare un intervento chirurgico per l’asportazione di un polipo dal colon, pertanto ritengo di aver ancora bisogno dell’amministratore di sostegno..Per l’ipotesi di mia successiva incapacità vorrei che come amministratore di sostegno P. L. si occupasse anche degli aspetti patrimoniali.”
Si è ritenuto opportuno riportare testualmente sia il contenuto delle dichiarazioni scritte che di quelle orali rese dinanzi al giudice nonché la sequenza cronologica delle stesse, proprio per evidenziare che l’oggetto delle richieste del signor C. è esclusivamente quello che sia rispettata la sua volontà in ogni caso, anche a costo che, così facendo, si metta in pericolo la sua vita.
Ed allora si tratta di verificare in che modo e secondo quale estensione nel nostro ordinamento giuridico sia tutelato il diritto dell’individuo di autodeterminarsi in relazione ai trattamenti sanitari e sino a che punto debba rispettarsi la volontà del soggetto di non accettare determinate cure.
Viene in considerazione la principale fonte dell’ordinamento: l’art. 32 della Costituzione, come è noto, stabilisce che “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in ogni caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”
La carta costituzionale è chiarissima nel prevedere che ogni trattamento sanitario per poter essere praticato necessita del consenso dell’individuo; la norma non contiene riserve di sorta e il consenso del paziente deve esistere sempre, anche se il dissenso determini un pericolo potenziale o reale per la propria vita. ( in tal senso Cass.23876/08).
Deve, inoltre, prescindersi dalle ragioni del dissenso, che possono essere determinate anche da motivi religiosi, come nel caso di specie; la corte di cassazione ha, in proposito chiarito che il conflitto tra i due beni- entrambi costituzionalmente tutelati- della salute e della libertà di coscienza non può essere risolto sic et simpliciter a favore del primo sicché ogni ipotesi di emotrasfusione obbligatoria diverrebbe per ciò solo illegittima perché in violazione delle norme costituzionali sulla libertà di coscienza e della incoercibilità dei trattamenti sanitari individuali. (Cass. 23876/08)
Le leggi ordinarie sono state adottate nel necessario rispetto di questo fondamentale ed imprescindibile principio, che è una delle articolazioni del principio di tutela della persona, che la Costituzione garantisce anche in altre norme, come ad esempio nell’art. 2, contenente l’impegno della Repubblica di riconoscere e garantire i diritti inviolabili dell’uomo o nell’art. 13 in tema di inviolabilità della libertà personale, norma nella quale si è visto un rafforzamento del valore di indipendenza dell’individuo nelle scelte che lo riguardano personalmente.
Non è certamente in contrasto con questi principi l’art. 5 del codice civile che vieta gli atti di disposizione del proprio corpo qualora cagionino una diminuzione permanente dell’integrità fisica, o quando siano altrimenti contrari alla legge, all’ordine pubblico ed al buon costume. Il dubbio che tanti trattamenti sanitari potrebbero essere compresi in tale divieto è proprio superato dal consenso all’atto medico, che viene prestato in vista del perseguimento del bene superiore alla salute.
La libera determinazione della persona come regola generale, espressa nella Costituzione, non è affatto in contrasto con il diritto alla vita (come ha sostenuto il Procuratore generale nella discussione orale), il quale è indisponibile nella sua titolarità, ma non può non essere libero quanto agli atti attraverso i quali viene esercitato ( altrimenti- è stato detto- il diritto si trasformerebbe in obbligo).
Rispettose di questi principi sono varie leggi ordinarie, quale ad esempio la legge relativa ai trapianti, nonché la legge sull’interruzione volontaria della gravidanza o quella, recente, sulla procreazione assistita o, ancora, sulla sperimentazione clinica di medicinali sull’uomo o, infine, la legge che disciplina l’attività trasfusionale: si tratta di un insieme di leggi volte alla migliore tutela dei diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione.
Questi valori, in particolare il rispetto dei diritti inviolabili della persona e quindi della necessità dell’acquisizione del consenso del paziente, sono ribaditi espressamente nel codice di deontologia della professione sanitaria, del 16 dicembre 2006, che agli articoli dal 33 al 35 detta una serie di disposizioni di particolare rilievo.
La prima riguarda il dovere del medico di fornire al paziente la più idonea informazione sulla diagnosi, la prognosi, la terapia e le conseguenze delle scelte operate. La norma impone al medico una particolare chiarezza nel dialogo con il paziente, in modo che questi abbia la massima comprensione sia della diagnosi che del trattamento terapeutico proposto, solo così la partecipazione dell’interessato nella scelta terapeutica può essere effettiva.
L’articolo 35 prevede, inoltre, che il sanitario non deve intraprendere attività diagnostiche e/o terapeutiche senza l’acquisizione del consenso esplicito e informato del paziente. In ogni caso, in presenza di documentato rifiuto di persona capace, il medico deve desistere dagli atti diagnostici e curativi, non essendo consentito alcun trattamento medico contro la volontà espressa della persona.
Anche il Comitato Nazionale per la Bioetica, il 18 dicembre 2003, in tema di dichiarazioni anticipate di trattamento, ha ammesso la legittimità delle direttive anticipate purché non contengano disposizioni aventi finalità eutanasiche o in contrasto con il diritto positivo.
Questi brevi richiami sono indicativi del mutamento profondo che, nel corso degli anni, si è verificato nel rapporto medico-paziente, che si è cercato di delineare sempre più rispettoso del dettato costituzionale espresso nelle norme già richiamate. Il sanitario non può operare se non dopo aver dettagliatamente informato il paziente sulla natura degli interventi sanitari che intende praticare e solamente dopo averne ricevuto espresso assenso: ovviamente l’espressione della volontà dovrà conseguire ad un’informazione che sia veramente tale e che esprima nel dettaglio gli eventuali rischi che quel trattamento comporta per la salute e/o la vita del soggetto. Solo in presenza di tali necessarie informazioni sarà possibile dare un consenso informato che sia veramente tale o manifestare un rifiuto consapevole del trattamento proposto dal sanitario.
Ma il rispetto di questi valori non è imposto solamente dalla legislazione dello Stato italiano: sul tema si è anche espressa la Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina, approvata dal Consiglio d’Europa ad Oviedo il 4 aprile 1997, che all’art. 5 ribadisce come nessun intervento in campo sanitario può essere effettuato se non dopo che la persona a cui esso è diretto vi abbia dato un consenso libero e informato…la persona a cui è diretto l’intervento può in ogni momento ritirare liberamente il proprio consenso.
La Convenzione nell’art. 9 si occupa dei “ desideri espressi in precedenza” e dispone “ Al riguardo di un intervento medico concernente un paziente che al momento dell’intervento non è in grado di esprimere il proprio volere, devono essere presi in considerazione i desideri da lui precedentemente espressi.”.
La ratifica della Convenzione da parte dello Stato italiano è avvenuta con la legge n. 145 del 28 marzo 2001, anche se non sono stati emanati i decreti legislativi di attuazione; ma per questo solo motivo non deve disconoscersi ogni valore alla Convenzione, le cui direttive devono costituire un valido punto di riferimento per l’interprete ed una conferma delle scelte di fondo, che la nostra Carta Costituzionale ha, invero, già effettuato.
Ancora, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, che costituisce la parte II del Progetto di Trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa, al Titolo I Dignità, stabilisce che la dignità umana è inviolabile; in ambito medico la Carta prevede che “ il consenso libero ed informato della persona interessata, secondo le modalità definite dalla legge, deve essere rispettato”.
Il quadro normativo richiamato impone, pertanto, il rispetto assoluto della volontà del soggetto nei trattamenti sanitari: per alcuni di essi, in particolare per le trasfusioni di sangue- data la potenziale pericolosità di tale pratica- è addirittura imposta la prestazione di un consenso scritto (v. il D.M. 3 marzo 2005 del Ministero della salute impone all’art. 11 che il consenso o il dissenso a ricevere le trasfusioni debba manifestarsi con atto scritto) e, nel caso di specie, si è visto che il signor C. ha manifestato, secondo le prescritte formalità, la propria volontà di non voler ricevere trasfusioni di sangue.
Deve per altro evidenziarsi che questi principi sono condivisi anche dal giudice tutelare, il quale ha rigettato la richiesta concernente i poteri dell’amministratore di sostegno proprio in ragione del rispetto della volontà del beneficiario.
In particolare nel decreto reclamato si pone in luce l’impossibilità di dare tutela e rispettare la volontà del paziente nell’ipotesi in cui non via sia contestualità tra la manifestazione di questa volontà e l’effettuazione della pratica sanitaria già rifiutata.
Anche il Procuratore Generale, nel corso della discussione orale tenuta in camera di consiglio, ha particolarmente valorizzato detto aspetto sostenendo che la volontà di rifiuto delle terapie, già espresso sia pure in modo non equivoco dal paziente, necessiterebbe di una continua verifica di conferma sino al momento dell’esecuzione della terapia.
L’argomento, nei termini proposti, è sicuramente fuorviante: la contestualità non deve, infatti, intendersi come coincidenza assoluta tra il momento in cui la volontà è resa e quello in cui il trattamento è eseguito perché, se così fosse, non sarebbe mai possibile tener conto della volontà del soggetto in ipotesi ad esempio di anestesia praticata per l’intervento chirurgico, o anche in altri casi di perdita di coscienza per altri motivi. In siffatti casi non sarebbe mai consentito dare esecuzione alla volontà del paziente, che evidentemente non ha manifestato il suo volere nel preciso istante in cui deve essere sottoposto all’intervento del sanitario.
Ed allora è evidente che il requisito dell’attualità del consenso deve essere interpretato diversamente intendendosi consenso attuale quello che sia stato prestato in tempi recenti, da un soggetto cosciente e consapevole, che lo abbia anche confermato al momento dell’ingresso in ospedale e non sia stato revocato.
Il consenso dato in condizioni di piena capacità non perde valore qualora sopraggiunga un successivo stato di incapacità del soggetto e solo per questo: in proposito la dottrina più autorevole, che si è espressa in tal senso, ha ricordato che le disposizioni di carattere patrimoniale conservano validità anche se il soggetto perda la sua capacità in un momento successivo; altrettanto deve valere con riguardo alle disposizioni di carattere non patrimoniale. Non si comprenderebbe, infatti, per quale ragione un consenso validamente espresso debba essere posto nel nulla per la sopravvenuta incapacità del soggetto: la dichiarazione di volontà è validamente espressa e in quanto tale deve essere rispettata in assenza di una revoca dell’interessato.
L’obiezione sulla perdita eventuale della capacità naturale, ove accolta, finirebbe con l’incidere negativamente sulla libertà dell’individuo: il fatto che la persona non abbia più la possibilità di revocare l’atto non è un motivo per disconoscerle a posteriori la libertà che ha manifestato compiendo l’atto.
Ma, nel caso di specie, vi è ancora di più: il signor C., come già rilevato, ha manifestato la sua volontà di non ricevere trasfusioni con le direttive scritte del 30 ottobre; egli, anche se non ve n’era necessità, ha ribadito questo reciso rifiuto dinanzi al giudice tutelare nel corso dell’udienza del 20 novembre successivo. In questa situazione non può certo negarsi l’attualità della volontà del paziente, che dovrà essere rispettata in occasione dell’intervento chirurgico, salvo che egli non ritenga di revocarla.
Per altro verso, in ordine al requisito dell’attualità del consenso, questa corte aderisce all’interpretazione della dottrina che ha sottolineato come la ragione del rifiuto della terapia trasfusionale collegato all’adesione ad una determinata religione (come in questo caso), è ragione che di per sé stessa comporta la permanenza nel tempo della volontà, che è espressione dell’osservanza incondizionata dei principi imposti dal credo di appartenenza. Nel caso del signor C. tale adesione si è manifestata in modo radicale, come accettazione dell’insieme dei valori religiosi da lui professati, rivestendo egli anche la carica di ministro del culto osservato, tra i quali vi è anche, come è noto, il rifiuto delle trasfusioni di sangue.
Non sussiste, pertanto, nessun dubbio che la volontà del signor F. C. sia nel senso, affermato e ribadito anche con recentissime dichiarazioni, di non ricevere trasfusioni di sangue anche a costo del pericolo per la propria vita; di fronte a tale chiarezza di volere, resa nelle forme previste dall’attuale normativa (sulle trasfusioni di sangue) il sanitario dovrà attenersi scrupolosamente al rispetto della volontà del paziente.
Il soggetto interessato, però, ha voluto adottare un’ulteriore cautela chiedendo la nomina di un amministratore di sostegno che sorvegli sul rispetto della sua volontà, in ipotesi in cui egli dovesse perdere coscienza.
La sua richiesta deve essere accolta.
Il giudice tutelare ha sul punto adottato una decisione non condivisibile, nella parte in cui ha ritenuto che la volontà di un terzo soggetto – amministratore di sostegno- si sostituirebbe in questo caso alla volontà del beneficiario, che invece deve essere rispettata ad ogni costo.
Ma non è certamente questa la funzione attribuita dalla legge all’amministratore di sostegno. La dottrina ha evidenziato come la nuova figura introdotta nel 2004 tenda a valorizzare al massimo la volontà del soggetto beneficiario che, dopo la consapevole espressione dei suoi voleri inerenti ogni aspetto (e non solo patrimoniale) della propria esistenza, tema di non essere in grado di autodeterminarsi e quindi di poterli attuare direttamente, per cui vuole che l’amministratore di sostegno si esprima per lui facendo seguire le direttive dettate nel tempo in cui era perfettamente capace.
E’ stato, infatti, detto che nell’ambito dei compiti di cura della persona, che competono all’amministratore di sostegno e che rappresenta forse l’aspetto più significativo del nuovo istituto, può farsi rientrare la manifestazione di consensi di varia natura ( ad esempio trattamenti medici).
Si è particolarmente insistito su questo concetto, che la corte condivide, sottolineando che il nuovo istituto non consente affatto una sovrapposizione della decisione dell’amministratore a quella liberamente manifestata dall’interessato, sia in prossimità del trattamento, sia in previsione dello stesso, ma è al contrario la garanzia offerta dall’ordinamento della certezza che le scelte fondamentali di vita della persona siano pienamente attuate anche per il caso di perdita della capacità intellettiva, nel rispetto ovviamente dei valori fondamentali dell’ordinamento giuridico.
La Corte di Cassazione, nella pronuncia più volte richiamata, nell’esaminare l’ipotesi di un paziente in stato di incoscienza che sia portatore di forti convinzioni etico-religiose ( come è appunto il caso dei testimoni di Geova), ha escluso che per ciò solo debba subire un trattamento sanitario contrario alla sua fede. Ha precisato che però è innegabile, in tal caso l’esigenza che a manifestare il dissenso al trattamento trasfusionale sia o lo stesso paziente che rechi con sé una articolata, puntuale, espressa dichiarazione dalla quale inequivocamente emerga la volontà di impedire la trasfusione anche in ipotesi di pericolo di vita, ovvero un diverso soggetto da lui stesso indicato quale rappresentante ad acta il quale, dimostrata l’esistenza del proprio potere rappresentativo in parte qua, confermi tale dissenso all’esito della ricevuta informazione da parte dei sanitari.
La recentissima giurisprudenza di legittimità ammette, pertanto, che il dissenso a ricevere determinate terapie possa provenire anche da un terzo soggetto, appositamente indicato dall’interessato e questa funzione, per quanto detto, può essere assolta dall’amministratore di sostegno, indicato dallo stesso C. con la finalità specifica di far rispettare la sua volontà a non ricevere trasfusioni di sangue anche a rischio della propria vita.
Deve in definitiva ribadirsi che i sanitari dovranno attenersi scrupolosamente al rispetto della volontà del signor C., espressa nelle forme di legge e connotata da quei caratteri ritenuti indispensabili per la validità del consenso informato. Per quanto superfluo, è opportuno precisare che ovviamente egli potrà modificare il suo volere, con la revoca della volontà precedentemente espressa.
L’amministratore di sostegno non potrà sostituire la propria decisione a quella manifestata dal beneficiario essendo i suoi compiti limitati a verificare che i desideri e le aspirazioni del C. (così da lui definiti nelle “direttive anticipate”) siano effettivamente osservati. In tali termini deve essere accolto il reclamo.

Per questi motivi

la corte accoglie

il reclamo proposto con ricorso 14 novembre 2008 da F. C. e P. L. avverso il decreto 4 novembre 2008 del giudice tutelare del tribunale di Cagliari e, in riforma del decreto reclamato, stabilisce che la volontà del signor F. C., contenute nel documento “ direttive anticipate” in particolare quanto al rifiuto di trasfusioni di sangue intero, globuli rossi, globuli bianchi, piastrine o plasma, anche quando gli operatori sanitari ritengono che siano indispensabili per la mia sopravvivenza sia rispettata, se non revocata nelle forme di legge.
Autorizza l’amministratore di sostegno signor P. L., nominato con il decreto 4 novembre 2008, a verificare che detta volontà sia attuata, in ipotesi di perdita di coscienza da parte del C.

Così deciso in Cagliari il 16 gennaio 2009, nella camera di consiglio civile della corte d’appello.

Il presidente
(dr. Gian Luigi Ferrero)

Il consigliere estensore
(dr.ssa Maria Mura)