Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 21 Maggio 2010

Sentenza 04 febbraio 2010, n.2600

Corte di Cassazione. Sez. I civile. Sentenza 4 febbraio 2010, n. 2600: "Delibazione della pronuncia ecclesiastica di nullità matrimoniale e sentenza di divorzio".

(omissis)

Motivi della decisione

Vanno preliminarmente riuniti i ricorsi ai sensi dell'art. 335 c.p.c..

La B., con il primo motivo, lamenta violazione della L. n. 898 del 1970, artt. 4 e 5, degli artt. 27 e 31 disp. gen., sostiene nullità della sentenza, ai sensi degli artt. 799 e 797 c.p.c., nonchè ex artt. 34 – 295 c.p.c., e art. 124 c.c.; difetto di motivazione della sentenza impugnata. Con il secondo motivo, lamenta violazione degli artt. 12 9 e 129 bis c.c., nonchè dell'art. 112 c.p.c..

Lo S. propone ricorso incidentale: con un unico motivo, lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 2909 c.c., in relazione alla L. n. 898 del 1970, e agli artt. 796 e 797 c.p.c., nonchè difetto di motivazione della sentenza impugnata, e omessa pronuncia circa l'eccezione di giudicato.

Per ragioni sistematiche, si esamina dapprima il ricorso incidentale, che deve essere accolto.

Le parti hanno ampiamente dibattuto i rapporti tra giurisdizione civile ed ecclesiastica, principio di prevenzione, possibilità o meno di delibazione di sentenza ecclesiastica, in pendenza del giudizio di divorzio. Ma tutto ciò non è pertinente alla fattispecie in esame; nel corso del giudizio di divorzio è intervenuta la delibazione, non impugnata (e passata in giudicato) prima della pronuncia di divorzio.

Ai sensi dell'art. 2909 c.c., la delibazione della pronuncia ecclesiastica di nullità matrimoniale fa stato tra le parti ed assume l'autorità di cosa giudicata che preclude ogni altra pronuncia con essa contrastante.

La pronuncia ecclesiastica, regolarmente delibata, sancisce l'invalidità del matrimonio e l'insussistenza del vincolo: è indubbio che la pronuncia di divorzio, presupponendo la validità del matrimonio e la sussistenza del vincolo, si ponga in radicale contrasto con essa.

Rimangono dunque travolte la sentenza di divorzio e le statuizioni economiche ad esso conseguenti (non potrebbe parlarsi di passaggio in giudicato di tali statuizioni concernenti l'assegno di divorzio, poichè lo S., seppure in subordine, aveva impugnato, in sede d'appello, pure tali statuizioni)(vedi in analoga fattispecie Cass. n. 10055 del 2003).

Per quanto sopra osservato va rigettato il ricorso principale: quanto al primo motivo, va ribadito che non al rapporto tra le due giurisdizioni, civile ed ecclesiastica, o al principio di prevenzione va fatto riferimento, ma all'efficacia del giudicato, ai sensi dell'art. 2909 c.c., della delibazione di pronuncia ecclesiastica di nullità che travolge la successiva sentenza di divorzio nonchè le statuizioni economiche ad esso conseguenti (che erano state comunque impugnate, con appello dallo S.).

Il motivo va dunque rigettato siccome infondato.

Nè si potrebbe parlare di violazione degli artt. 129 e 129 bis c.c., con riferimento al secondo motivo proposto, che non appare sul punto pertinente, in quanto non sono state proposte domande, al riguardo, dalla B. o dallo S., neppure in via subordinata.

Pure si censura, nel motivo, la condanna alla restituzione dell'assegno di divorzio, sotto il profilo del mancato accertamento del passaggio in giudicato della pronuncia di delibazione. In verità, la restituzione viene disposta, proprio in virtù dell'acquisita – e mai contestata precedentemente – definitività della pronuncia di delibazione.

Va per di più osservato che non viene contestata la legittimità in sè di tale condanna alla restituzione di quanto percepito.

Il motivo è dunque inammissibile.

Quanto alla questione di legittimità costituzionale proposta, relativa alla L. n. 898 del 1970, art. 5, là dove esso non consente di riconoscere l'assegno divorzile, in caso di delibazione di pronuncia ecclesiastica di nullità matrimoniale, si è già pronunciata la Corte Costituzionale, con sentenza n. 32 9 del 2001, dichiarandola infondata (il riferimento era agli artt. 129 e 129 bis c.c., ma la questione era identica), mentre appaiono del tutto generiche e comunque non rilevanti nella specie le proposte questioni di incostituzionalità di disposizioni della L. n. 121 del 1985, artt. 796 e 797 c.p.c., ovvero di disposizioni della L. n. 218 del 1995 (senza indicazione, in quest'ultimo caso, delle norme, cui ci si dovrebbe riferire).

Conclusivamente, va rigettato il ricorso principale. Va cassata la sentenza impugnata, in relazione all'accoglimento del ricorso incidentale.

Può decidersi nel merito, non dovendosi effettuare ulteriori accertamenti di fatto: va dichiarata inammissibile la domanda di divorzio per sopravvenuta carenza di interesse.

La natura della causa e la complessità delle questioni trattate richiedono la compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità e di quello d'appello.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale, accoglie quello incidentale; cassa sul punto la sentenza impugnata e, decidendo sul merito, dichiara inammissibile la domanda di divorzio, per sopravvenuta carenza di interesse, compensa tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità e di quello di appello.

In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere generalità e dati identificativi delle persone nominate, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto disposto dalla legge.

Così deciso in Roma, il 1 luglio 2009.

Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2010