Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 7 Luglio 2005

Sentenza 04 marzo 2003, n.3038

Consiglio di Stato. Sezione IV. Sentenza 4 marzo 2003, n. 3038: “Destinazione ad altro incarico a causa del coinvolgimento del funzionario pubblico della DIA in diverse vicende connesse a pratiche occultistiche”.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente:

DECISIONE

sul ricorso in appello n. 9768/2001, proposto da:
– SANTIMONE Ireneo, rappresentato e difeso dall’Avv. Lucio Caprioli ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. Amilcare Foscarini, in via Due Macelli n. 75, Roma,

contro

– il Ministero dell’INTERNO, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria per legge in via dei Portoghesi n. 12, Roma,

per l’annullamento della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Puglia,
Lecce, Sez. I, n. 2204/2001, resa inter partes e concernente assegnazione ad altro incarico nella Polizia di Stato.

Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero appellato;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore, alla pubblica udienza del 4 marzo 2003, il Consigliere Aldo SCOLA;
Uditi, altresì, per le parti l’Avvocato Lucio Caprioli e l’Avvocato dello Stato Luca Ventrella;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

Con provvedimento del Dipartimento della Pubblica Sicurezza L’Ispettore Capo Ireneo Santimone, già assegnato alla Direzione Investigativa Antimafia, Sezione operativa di Lecce, è stato destinato ad altro incarico presso la Questura di Lecce.
Di qui il suo ricorso al Tribunale amministrativo pugliese, proposto per violazione degli artt. 4, 35 e 97, Cost., omissione dei requisiti minimi nella motivazione dell’atto amministrativo e violazione del diritto di difesa e del principio della trasparenza amministrativa, nonché dell’art. 55, D.P.R. 24 aprile 1982 n. 335, legittimante solo pochi casi di trasferimento d’ufficio e dal quale esulerebbe la presente fattispecie.
Il Ministero intimato si costituiva in giudizio resistendo al ricorso ed all’annessa istanza cautelare (che veniva respinta), e depositando tutti gli atti procedimentali, dopodichè il Santimone prospettava come motivo aggiunto il travisamento dei fatti.
I primi giudici respingevano il gravame con sentenza qui appellata dal Santimone per difetto di motivazione dell’impugnata pronuncia, contraddittorietà ed illogicità del provvedimento adottato nei suoi confronti ed, infine per tutte le censure già prospettate e disattese in primo grado.
Anche in questa sede si costituiva il Ministero appellato, resistendo al gravame.
All’esito della pubblica udienza di discussione la controversia passava in decisione.

L’appello è infondato e va respinto per le ragioni che seguono, correttamente esposte dai primi giudici, prospettate dal Ministero appellato e qui integrate come appresso dal Collegio.
1) E’ legittimo un sintetico preavviso procedimentale ai sensi dell’art. 7 e ss., legge 7 agosto 1990 n. 241, dato che l’obbligo di motivazione si riferisce per costante giurisprudenza (cfr. Cons. Stato, V, n. 1271/1998) al provvedimento considerato nella sua stesura definitiva.
2) Non sussiste alcuna violazione del cit. art. 55, D.P.R. n. 335/1982, poiché il passaggio da un ufficio all’altro, nell’ambito della stessa sede territoriale della Polizia di Stato, non costituisce trasferimento in senso tecnico, ma integra soltanto una modalità di estrinsecazione dei profili organizzativi del servizio stesso e non esige le medesime garanzie procedimentali previste per i trasferimenti in senso stretto.
3) Non si ravvisano poi le dedotte incostituzionalità, non essendosi verificata a carico del Santimone alcuna reformatio in pejus attinente al suo rapporto d’impiego, alla luce dell’accurata istruttoria espletata, dell’adeguata motivazione con richiamo alla nota del 20 marzo 1997 e del verificato venir meno del rapporto fiduciario indispensabile per il servizio da prestare presso la D.I.A., il che esclude che nella fattispecie si possano ravvisare i pur dedotti profili di eccesso di potere.
4) Il coinvolgimento del Santimone nella vicenda che ha indotto l’Amministrazione a destinarlo ad altro incarico risulta essere stato provato al di là di ogni ragionevole dubbio e, nel suo stesso interesse, basterà sottolineare che nel provvedimento da lui impugnato non si ravvisa alcun intento afflittivo o persecutorio nei suoi confronti, ma solo l’esigenza di evitare turbamenti capaci di compromettere i delicatissimi equilibri che caratterizzano (e non potrebbe essere altrimenti) l’attività svolta presso la D.I.A. .
In particolare, l’Amministrazione si è decisa ad allontanare il Santimone dalla D.I.A. a seguito di un insieme di circostanze quali: il riscontro del suo numero di telefono in numerose inserzioni pubblicitarie su locali organi di stampa concernenti un sedicente esperto in pratiche esoteriche; i contatti avuti dai signori Dell’Aquila (padre e figlio) con il Santimone ed i conseguenti contrasti per le presunte esperimentazioni magiche (in loro danno) attribuite a quest’ultimo; l’esistenza a suo carico di una denuncia da parte di tale Montella Sergio per truffa ed appropriazione indebita; l’esser stato egli coinvolto in vicende connesse a pratiche occultistiche riferite da più persone; le informazioni ottenute da un ecclesiastico addetto al segretariato della Curia arcivescovile di Lecce, che ha confermato quanto si era già appreso circa l’attività di stregoneria in varie occasioni attribuita al Santimone.
Orbene, tutto quanto sopra era più che sufficiente per giustificare l’iniziativa culminata nell’allontanamento dell’attuale appellante dal servizio presso la D.I.A., in rapporto all’esigenza di evitare che presso quest’ultima prestassero servizio persone per varie ragioni caratterizzate da una reputazione non perfettamente soddisfacente, tenuto conto delle peculiarità dell’attività investigativa ivi svolta.
5) Quanto sopra esclude che nell’impugnata sentenza sia riscontrabile alcun difetto di motivazione o che nel provvedimento gravato in prima istanza sia ravvisabile alcuna contraddittorietà od illogicità, non risultando qui necessario raggiungere la piena prova di un poco ortodosso comportamento (rilevante magari unicamente in sede disciplinare), ma solo il convincimento dell’inopportunità dell’ulteriore permanenza di un soggetto in un particolare settore operativo.
Conclusivamente, l’appello va respinto, con salvezza dell’impugnata pronuncia, mentre le spese di questo grado del giudizio possono integralmente compensarsi per giusti motivi tra le parti in causa.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta,
– respinge l’appello;
– compensa le spese del giudizio di secondo grado.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Quarta – riunito in camera di consiglio con l’intervento dei signori:
Gaetano TROTTA Presidente
Giuseppe BARBAGALLO Consigliere
Filippo PATRONI GRIFFI Consigliere
Aldo SCOLA Consigliere, estensore
Bruno MOLLICA Consigliere