Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 19 maggio 2014, n.10956

Nel procedimento di delibazione la domanda che una delle parti
introduce con citazione (come richiesto dall'art. 4, lett. b), del
protocollo addizionale all'accordo tra Repubblica italiana e Santa
Sede del 18 febbraio 1984, esecutivo con L. 25 marzo 1985, n. 121)
dinanzi alla Corte di appello è soggetta alle regole del
procedimento ordinario, ivi comprese quelle relative al termine di
comparizione di cui all'art. 163 bis c.p.c.
Tale norma,
allo scopo di assicurare il diritto di difesa della controparte,
impone infatti che fra la data della notificazione della citazione e
la data della prima udienza di comparizione trascorra un congruo
termine (dilatorio) minimo, pari a 90 giorni, tenendo conto per
consolidato orientamento giurisprudenziale anche della sospensione
feriale dei termini processuali (Nel caso specie, non essendo stato
osservato il termine di novanta giorni liberi, poichè nel
relativo computo veniva calcolato anche il periodo di sospensione
feriale dei termini processuali, la Suprema Corte ha accolto il
ricorso e rinviato alla Corte d'Appello).

Sentenza 05 marzo 2012, n.3378

Se, da un lato, il giudice italiano è tenuto ad accertare la
conoscenza o l’oggettiva conoscibilità dell’esclusione di uno dei
bona matrimonii da parte dell’altro coniuge con piena autonomia,
trattandosi di profilo estraneo, in quanto irrilevante, al processo
canonico, senza limitarsi al controllo di legittimità della pronuncia
ecclesiastica di nullità, dall’altro, la relativa indagine deve
essere condotta con esclusivo riferimento alla pronuncia da delibare
ed agli atti del processo medesimo eventualmente acquisiti,
opportunamente riesaminati e valutati, non essendovi luogo, in fase di
delibazione, ad alcuna integrazione di attività istruttoria.

Sentenza 07 giugno 2007, n.13363

Costituisce acquisizione pacifica in giurisprudenza che, ove nel
giudizio di primo grado – quale si configura quello dinanzi alla Corte
di Appello funzionalmente competente a riconoscere l’efficacia nello
Stato delle sentenze ecclesiastiche – l’attore si sia costituito oltre
il termine fissato dall’art. 165 c.p.c., comma 1, ed il convenuto non
si sia costituito, deve essere disposta la cancellazione della causa
dal ruolo, ai sensi dell’art. 171 c.p.c., comma 1, con onere della sua
riassunzione entro un anno dal relativo provvedimento.

Sentenza 11 febbraio 2008, n.3186

La domanda di divorzio, così come quella di separazione (Cass. 6
marzo 2003, n. 3339), ha un oggetto diverso dalla domanda relativa
alla declaratoria di nullità del matrimonio, sia che questa sia stata
proposta dinanzi ai tribunali ecclesiastici, sia che sia stata
proposta dinanzi al Giudice statuale. Occorre inoltre sottolineare
come la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4402 del 2001 (alla
quale si è successivamente conformata Cass. 4 marzo 2005, n. 4795)
abbia espressamente affermato che la domanda di divorzio ha causa
petendi e petitum diversi da quelli della domanda di nullità del
matrimonio, cosicchè ove nel giudizio di divorzio le parti non
introducano esplicitamente questioni relative all’esistenza e alla
validità del vincolo – che darebbero luogo a questioni incidenti
sullo status delle persone, e quindi da decidere necessariamente, ai
sensi dell’art. 34 c.p.c., con efficacia di giudicato – l’esistenza e
la validità del matrimonio costituiscono un presupposto della
pronuncia di divorzio, ma non formano oggetto di specifico
accertamento suscettibile di determinare la formazione di un
giudicato. Per questa ragione la proposizione di una domanda di
divorzio, investendo il matrimonio – rapporto e non il matrimonio –
atto, non costituisce ostacolo alla delibabilità delle sentenze
ecclesiastiche di nullità del matrimonio concordatario.

Ordinanza 07 novembre 2007, n.372

E’ manifestamente inammissibile, per difetto di rilevanza, la
questione di legittimità costituzionale dell’art. 1-ter, comma 6, del
decreto legge 30 dicembre 1989, n. 416 (Norme urgenti in materia di
asilo politico, di ingresso e soggiorno dei cittadini extracomunitari
ed apolidi già presenti nel territorio dello Stato), convertito, con
modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1990, n. 39, sollevata, in
riferimento all’art. 24 della Costituzione, nella parte in cui non
prevede la sospensione dell’ordine di allontanamento dal territorio
dello Stato in pendenza del ricorso avverso il diniego del
riconoscimento dello status di rifugiato (nel caso di specie, il
giudice remittente, prima di sollevare la questione di legittimità
costituzionale, disponeva con ordinanza non solo la sospensione del
decreto di espulsione ma anche dell’ordine di allontanamento dal
territorio nazionale, in tal modo superando – secondo la Corte – il
dubbio di costituzionalità prospettato con l’ordinanza stessa).

Sentenza 02 marzo 2007, n.21

L’esercizio del diritto di difesa costituisce una facoltà
dell’incolpato e non può trasformarsi ab extra in imposizione per il
soggetto che liberamente intenda sottrarsi all’iter disciplinare,
rendendosi irreperibile nel corso del procedimento dinanzi agli organi
a ciò deputati.

Sentenza 11 novembre 2005, n.21865

La presunta lesione del diritto di difesa nelle procedure
ecclesiastiche non è rilevabile d’ufficio dalla Corte d’Appello in
sede di delibazione delle sentenze dichiarative di nullità
matrimoniali, in quanto attinente alle modalità di giudizi svoltisi
davanti a tribunali diversi da quelli dello Stato, i cui eventuali
vizi processuali debbono essere dedotti e provati ai sensi dei nn. 2 e
3, del 1° comma dell’articolo 797 c.p.c. (norma, quest’ultima, ormai
abrogata ex articolo 73, legge 31 maggio 1995, n. 218, ma connotata da
ultrattività in subiecta materia perché espressamente richiamata
dall’articolo 4, lett. b) del Protocollo addizionale all’Accordo 18
febbraio 1984 fra la Repubblica Italiana e la Santa Sede). Si
aggiunga, inoltre, che nel caso di riserva mentale unilaterale, la
“non opposizione” dei coniuge incolpevole – secondo costante
giurisprudenza – è sufficiente a consentire la delibazione della
relativa sentenza ecclesiastica di nullità per esclusione unilaterale
di uno dei “bona matrimonii”. Tuttavia, detta non opposizione da parte
dell’incolpevole, nei confronti della richiesta di delibazione
avanzata dall’altro coniuge, deve in ogni caso risultare da un
comportamento processuale inequivoco e non può ritenersi sufficiente
allo scopo il semplice silenzio dell’interessato o, ancor meno, la sua
contumacia nel corso del giudizio di merito.

Sentenza 04 marzo 2003, n.3038

Il passaggio da un ufficio all’altro, nell’ambito della stessa sede
territoriale della polizia di Stato, non costituisce trasferimento in
senso tecnico, ma integra soltanto una modalità organizzativa del
servizio stesso e non esige le stesse garanzie procedimentali previste
per i trasferimenti in senso stretto. In merito al trasferimento,
perché l’amministrazione possa destinare un dipendente ad altro
incarico rispetto a quello cui era stato originariamente assegnato,
non è necessario raggiungere la piena prova di un poco ortodosso
comportamento (rilevante, magari, unicamente in sede disciplinare), ma
solo il convincimento dell’inopportunità dell’ulteriore permanenza
del soggetto in un particolare settore operativo. (Nel caso di specie
l’Amministrazione si è decisa ad allontanare il S. dalla D.I.A. a
seguito di un insieme di circostanze in base alle quali risultava
opportuno evitare che presso la D.I.A. prestassero servizio persone
per varie ragioni caratterizzate da una reputazione non perfettamente
soddisfacente, tenuto conto delle peculiarità dell’attività
investigativa ivi svolta).

Sentenza 12 marzo 2004, n.22827

Il diritto dei ministri di culto di non fornire informazioni delle
quali siano venuti a conoscenza in ragione del loro ministero non
comporta “una incapacità o un divieto assoluto di testimoniare”, ma
semplicemente una facoltà di astenersi per i fatti attinenti alle
funzioni ecclesiastiche, ferma restando la validità di una
testimonianza attinente ad un procedimento penale per il quale non
vige il segreto ma permane il dovere di testimoniare.

Sentenza 01 settembre 1995, n.9218

Nel caso in cui un soggetto impugni un matrimonio, sostenendone
l’inesistenza, per il fatto che il relativo atto di stato civile non
contiene indicazioni di cui ai nn. 6 (“la dichiarazione degli sposi di
volersi prendere rispettivamente in marito e moglie”) e 8 (“la
dichiarazione fatta dall’ufficiale dello stato civile che gli sposi
sono uniti in matrimonio”) dell’art. 126 R.D. 9 luglio 1939 n. 1238
(ordinamento dello stato civile), la difesa della controparte, la
quale eccepisca che l’omissione riguarda l’atto e non la
celebrazione, può provare, con ogni mezzo, che tali dichiarazioni
sono state rese, anche se non siano materialmente inserite
nell’atto, non sussistendo la limitazione dei mezzi di prova
ricavabili dagli artt. 132 e 133 Cod. civ., atteso che il convenuto
dimostra il proprio titolo di coniuge sulla base dell’atto di
celebrazione estratto dai registri dello stato civile, ai sensi
dell’art. 130 Cod. civ., e che la prova con ogni mezzo,
dell’intervenuta manifestazione del consenso ad nuptias può sempre
essere fornita allo scopo di ottenere la rettificazione dell’atto
ovvero, nel corso di un’azione di stato, per integrare le risultanze
degli atti dello stato civile, e quindi, modificarli, ove si accerti
l’incompletezza della loro redazione.