Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 9 Marzo 2004

Sentenza 22 ottobre 1997, n.1329

Cassazione Penale. Sesta Sezione. Sentenza 22 ottobre 1997, n. 1329.

(omissis)

IN FATTO

All’esito di complesse e articolate indagini, esperite per molti anni su tutto il territorio nazionale in ordine all’attività dispiegata da appartenenti a diverse sedi della Chiesa di Scientology e dei collegati centri Narconon, il Giudice istruttore del Tribunale di Milano con ordinanza del 3.10.1988 disponeva il rinvio a giudizio di numerosi adepti dell’istituzione, ritenendoli responsabili di diversi delitti di natura finanziaria, di circonvenzione d’incapace, di estorsione e di truffa nonché di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di tali reati, che per le uniformi modalità di loro commissione apparivano ispirati a direttive generali dell’organizzazione medesima. Riteneva quel Giudice che, al di là del dichiarato fine religioso, l’associazione perseguisse sostanzialmente fini di lucro, realizzati inducendo i neofiti – avvicinati surrettiziamente con tecniche di natura sostanzialmente commerciale estese fino alla promessa, in caso d’insoddisfacenti risultati, di restituzione delle somme spese, di fatto e di regola poi non restituite a coloro che le avevano reclamato – a ritenere assolutamente necessari successivi acquisti – fino all’esaurimento delle proprie risorse finanziarie ed economiche – di libri, di apparecchi e di servizi sempre più costosi, loro forniti dall’organizzazione siccome idonei a liberare il loro spirito dagli engrammi negativi – come Lafayette Ron Hubbard, fondatore e mentore dell’associazione definisce le tracce delle esperienze negative asseritamente impresse sulla coscienza individuale anche durante vite precedenti – e a dar loro “salute mentale” e una migliore “qualità della vita”.

Con sentenza del 2.7.1991, a seguito di una lunga istruttoria dibattimentale protrattasi per oltre due anni il Tribunale di Milano escludeva che l’organizzazione avesse natura e caratteristiche proprie di un’associazione per delinquere sia perché perfettamente lecito era lo scopo sociale perseguito a norma di statuto sia perché i suoi adepti avevano generalmente agito in contemplazione e per il perseguimento di esso, come per altro verso dimostrava il rilevante numero di persone dichiaratesi soddisfatte dei servizi ricevuti; riteneva che condotte illecite rilevate in singoli casi fossero frutto di comportamenti devianti e di iniziative individuali degli adepti, poste in essere al di fuori delle direttive generali dell’associazione; provvedeva di conseguenza assolvendo gli imputati tutti dal delitto associativo e condannandone qualcuno alle pene di giustizia per alcuno degli altri delitti loro contestati.

Avverso tale sentenza si gravavano il Pubblico Ministero e la parte civile, Ministero delle Finanze, quest’ultimo limitatamente ai reati finanziari contestati ad alcuni degli imputati.

La pubblica accusa si doleva sostanzialmente dell’omessa considerazione del contesto, delineato da un indiscriminato proselitismo – che individuava i propri obiettivi prioritari nelle cosiddette fasce deboli della popolazione, perseguendone l’assoggettamento psichico mediante meccanismi ben noti alla moderna scienza psicologica – e dall’uniformità della metodologia, che, applicata ovunque e ad ogni singolo caso ad opera di individui diversi, acquistava connotazioni d’illiceità soltanto in relazione alla natura dei soggetti passivi e delle loro reazioni e che proprio per la sua oggettiva invariabilità dimostrava la comune ispirazione delle condotte dei singoli operatori, meri esecutori materiali di precise direttive generali. Dal che derivava sul piano logico la penale responsabilità degli organizzatori – presidenti e vicepresidenti delle varie chiese e dei centri Narconon – in ordine agl’illeciti penali commessi dai singoli operatori e la sussistenza del delitto associativo contestato agl’imputati, i quali peraltro non avrebbero potuto commettere i delitti loro ascritti senza lo strumento offerto dalle strutture dell’organizzazione in sé.

Con sentenza del 5.11.1993 la Corte d’Appello di Milano ribaltava la decisione del giudice di primo grado ritenendo sussistente il delitto di associazione per delinquere, l’unico del quale ci si deve occupare in questa sede, essendo il procedimento definito quanto agli altri delitti.

Rilevato in prima battuta essere assolutamente “indifferente per il nostro ordinamento giuridico che le dottrine” dell’Hubbard “possano qualificarsi o meno come religione, dal momento che dette dottrine ricevono in ogni caso, come qualsiasi altra manifestazione del pensiero, tutela nel nostro ordinamento” e che compito del giudice non è quello di valutare significato e portata delle pratiche cosiddette di “auditing” o di “purification” svolte dall’associazione, ma solo quello – più limitato – di accertare come le metodologie applicate allo svolgimento di tali attività si pongano di fronte all’ordinamento positivo e in particolare se abbiano rilevanza penale, la Corte territoriale affermava che l’attività dell’associazione, sin dall’inizio connotata dalla finalità di acquisire rilevanti quantità di denaro e perseguita alla stregua di qualsiasi impresa commerciale operante sul libero mercato in funzione della massimizzazione dei profitti mediante la vendita ad un pubblico sempre più numeroso e a prezzi via via crescenti delle pubblicazioni del fondatore, dei servizi offerti e del cosiddetto apparecchio E-Meter, non si era fermata nemmeno davanti allo stato di deficienza psichica di alcuni neofiti ed era stata svolta dai vari operatori con modalità così uniformi e costanti, salvo variazioni imposte da peculiarità del caso concreto, da rivelare l’unicità delle direttive loro impartite nonché l’unicità della previsione e della programmazione dei singoli reati e, di conseguenza, la sussistenza del delitto associativo contestato agl’imputati. individuati per la loco appartenenza all’associazione e per la loro responsabilità diretta nei reati fine ovvero in ragione delle funzioni esplicate, anche quali appartenenti al consiglio esecutivo o al consiglio direttivo di essa.

Avverso tale sentenza e per tramite dei rispettivi difensori ricorrevano per cassazione – tra gli altri – gli odierni imputati nonché il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Milano.

Con riferimento al delitto associativo – l’unico tuttora sottoposto all’esame di questo Collegio – gl’imputati in particolare denunziavano, tra l’altro e coralmente, erronea applicazione di legge e vizi di motivazione sostanzialmente perché i giudici di merito

a) avevano voluto processare una religione in quanto diversa di quelle ufficiali, così limitando di fatto il diritto di “professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata” tutelato al più alto livello dall’art. 19 della Costituzione;

b) avevano omesso di motivare adeguatamente sulla natura religiosa della Chiesa di Scientology e sulla circostanza che la dianetica e la scientologia, dottrine predicate da detta chiesa, non si esplicano in attività contrastanti col precetto costituzionale succitato, circostanza questa particolarmente rilevante non soltanto perché avrebbe sottratto l’associazione al sindacato del giudice penale, ma perché avrebbe inciso sulla ricostruzione del fatto e dell’elemento soggettivo del reato consentendo in via d’ipotesi di attribuire alla fede e non alla smania di profitto – dedotta erroneamente da una lettura parziale e distorta delle direttive del fondatore – l’eccesso caratterizzante la propaganda dei corsi e la loro vendita;

c) sebbene in presenza di testimonianze contrastanti, avevano indotto dalla generalizzazione di pochi casi il convincimento che le azioni delittuose attribuite separatamente a diversi gruppi d’imputati erano previste e programmate in via generale fin dall’inizio, secondo direttive provenienti proprio dai vertici dell’associazione.

Con sentenza del 9.2.1995 questa Suprema Corte annullava la decisione predetta e rinviava ad altra sezione della medesima Corte territoriale per nuovo giudizio.

Rilevato che i giudici di merito avevano espressamente dichiarato di non aver voluto “in alcun modo processare la Chiesa di Scientology per le sue idee, ovvero per avere svolto” attività o corsi come quelli di “auditing” o di “purification”, ma di essersi limitati ad accertare se fosse “conforme al nostro ordinamento il metodo adottato nello svolgimento delle predette attività”; dall’affermazione contenuta nella sentenza annullata, laddove si era asserito che quella svolta dalla Chiesa di Scientologia si era “manifestata, nella sua essenza, sin dall’inizio come un’attività commerciale, volta alla vendita, con tutti i metodi previsti dai manuali in materia, di un determinato prodotto”; deduceva che secondo quei giudici di merito Scientology non era una chiesa né una confessione religiosa.

Osservava quindi che tale affermazione era priva di motivazione in riferimento agli indici di valutazione – che riportava – evidenziati nella sentenza 195/93 della Corte Costituzionale, mentre – considerato che l’attività commerciale eventualmente svolta anche in misura rilevante era di per sé inidonea a far perdere ad una ‘chiesa’ la connotazione di confessione religiosa – nel caso di specie l’accertamento della religiosità di Scientology sarebbe stato necessario in concreto non soltanto in relazione ai reati tributari contestati agl’imputati, ma anche in relazione al delitto associativo e tanto perché, “una volta riconosciuto a Scientology il carattere di confessione religiosa, non sarebbe ipotizzabile una trasformazione di questa in associazione per delinquere, salvo che gli appartenenti alla confessione non avessero di comune accordo cambiato le regole statutarie dando vita ad un soggetto nuovo e diverso di quello originario”, mentre sarebbe tuttavia ipotizzabile l’insorgenza nell’ambito di una lecita attività dell’organizzazione di un distinto e autonomo sodalizio criminale.

Censurava la decisione di merito anche perché adottata senza tener “conto delle numerose testimonianze assunte nonché della copiosa documentazione prodotta dai difensori degli imputati volte a dimostrare il carattere religioso di Scientology” e perché illogica laddove, superando con argomentazioni metagiuridiche e non condivisibili le contrarie obiezioni della difesa, i giudici di merito alla stregua dei pochi casi, per i quali si era proceduto, avevano ritenuto provato il delitto associativo riferendolo a tutta un’organizzazione, che contava nella sola Milano ventisettemila aderenti, e tanto sebbene il numero dei soggetti, che avevano denunziato o comunque lamentato qualcosa nei confronti degli operatori, apparisse oggettivamente esiguo e sperequato rispetto a quello degli organizzati e all’imponenza dell’organizzazione.

Concludendo sul punto e definendo quindi i limiti del giudizio di rinvio e i criteri cui i giudici di merito avrebbero dovuto ispirare la propria decisione, chiariva che essi in primo luogo “avrebbero dovuto accertare se l’organizzazione di Scientology fosse o meno una confessione religiosa, e nell’ipotesi affermativa se – avuto riguardo ai reati commessi da alcuni dei suoi appartenenti nei confronti di persone che entravano a far parte dell’associazione – essa si sia trasformata in un’associazione per delinquere; ovvero se… nell’ambito di un’attività lecita dell’organizzazione” fosse “sorta, in modo distinto e autonomo una associazione illecita”, considerando che nella fattispecie concreta “il limitato numero di casi per cui si è proceduto ed è stata affermata la responsabilità penale di alcuni imputati, non è sufficientemente indicativo della sussistenza di un’associazione criminale, specie se raffrontato con l’elevato numero di persone, con le quali Scientology aveva instaurato rapporti”, ben ventisettemila per la sola sede di Milano, come aveva messo in rilievo la stessa sentenza impugnata, e che “la responsabilità dei dirigenti di Scientology nel reato di associazione per delinquere” non poteva essere provata attraverso la præsumptio de præsunto, utilizzata dalla Corte territoriale in violazione dell’art.192 c.p.p..

Con sentenza del 2.12.l996 i giudici di rinvio hanno dichiarato gl’imputati colpevoli del delitto di associazione per delinquere loro in concorso ascritto e li hanno assolto per non aver commesso il fatto o prosciolto per sopravvenuta prescrizione dagli altri reati loro singolarmente ascritti.

Definita la confessione religiosa quale “gruppo sociale con proprie credenze religiose” e la religione – “nel senso che il fenomeno presenta nell’esperienza storica attuale” – quale “complesso di dottrine incentrato sul presupposto della esistenza di un Essere supremo, che è in rapporto con gli uomini e al quale questi devono obbedienza e ossequio”; esplicitata quindi la definizione di confessione religiosa quale “comunità sociale avente una propria concezione del mondo, basata sull’esistenza di un Essere supremo” e sui suoi cennati rapporti con gli uomini; rilevato che al fine di accertare la natura di confessione religiosa della cosiddetta Chiesa di Scientology, mancando al riguardo qualsiasi intesa con lo Stato o pubblici riconoscimenti di Scientology come confessione religiosa, non soccorrono né il primo né il secondo dei criteri estrapolati nella sentenza di rinvio dalla sentenza 195/1993 della Corte Costituzionale; i giudici di merito hanno escluso la natura di confessione religiosa della predetta organizzazione anche secondo il criterio della comune considerazione, quarto tra quelli indicati come sopra e tanto perché, in ragione della loro scarsità numerica non è possibile identificare “con l’opinione pubblica dell’intera comunità nazionale” “le sentenze di alcuni giudici di merito.. le decisioni di alcune commissioni tributarie e neppure i pareri, per quanto autorevoli manifestati da alcuni studiosi italiani”, mentre a “nulla rilevano…i pareri di studiosi stranieri…. i quali non concorrono a formare l’opinione pubblica italiana e si riferiscono a realtà sociali, storiche e culturali diverse della nostra”, così come “le sentenze di Autorità giudiziarie di altri Stati, che ai limiti sopra ricordati aggiungono quello di avere attribuito o negato a Scientology il carattere di confessione religiosa sulla base di regole e principi diversi”, mentre a questa dottrina manca “quello che nel comune sentire”, “inevitabilmente” influenzato dalle “grandi religioni del ceppo giudaico-cristiano ed anche islamico”- “è un elemento indispensabile perché ci si trovi di fronte ad una religione: manca il concetto della salvezza dell’anima… realizzata attraverso un legame fra l’uomo e la divinità”.

Ciò posto, al fine di escludere la natura religiosa dell’organizzazione i giudici di merito si sono avvalsi del terzo dei criteri enucleati dalla più volte citata sentenza della Corte Costituzionale, procedendo ad una disamina degli statuti. Hanno così rilevato che, secondo quello datato 30 gennaio 1977 e allegato all’atto costitutivo, l’Istituto di Dianetica di Milano “ha natura idealistica” e si propone di “diffondere la scienza conosciuta come Dianetics”, mentre secondo le modifiche statutarie introdotte con rogito dell’1.7.182 i fini “religiosi, culturali ed idealistici” dell’associazione sono indicati nel sostegno e nella propaganda dei “principi filosofici di Scientology”; vi si afferma, secondo quanto se ne dice in sentenza, che “la tecnologia può rendere l’uomo consapevole della sua conoscenza dell’Essere Supremo, con riferimento al Dio che l’uomo trova in se stesso”; si indicano “quali ulteriori scopi quello di promuovere, proteggere, amministrare e incoraggiare lo sviluppo della religione di Scientology e i suoi scopi, la pubblicazione e distribuzione di opere letterarie religiose, la formazione di centri culturali religiosi, la cura delle esigenze spirituali dei fedeli”.

Rilevata quindi un’asserita contraddittorietà delle qualificazioni riportate nell’ultimo di tali atti, dato che “inizialmente si fa rientrare Scientology nella tradizione delle scienze esatte per poi … usare” il sostantivo “religione e parlare di esigenze spirituali, mentre è evidente che i campi della religione e della scienza sono diversi”, i giudici di merito hanno evidenziato che solo nell’assemblea del 31 ottobre 1985 l’Istituto di Dianetica “cambiò denominazione assumendo quello di Chiesa di Scientology” e adottò un nuovo statuto, nel quale la dianetica viene definita religione e le scritture che espongono i principi di Scientolgy vengono qualificate “religiose”; denominazione che secondo l’esempio fornito da quello di Milano, passò poi agli altri Istituti di Dianetica.

Rilevato infine che solo il 3.3.1987, “quando l’istruttoria penale si stava avviando alle sue battute conclusive, venne costituita la Chiesa nazionale Scientology d’Italia”‘ nel cui statuto si indicano quali suoi scopi quelli di “predicare, praticare e diffondere la religione di Scientciogy e la Dianetics che è parte integrante della Scientology … di curare le esigenze spirituali dei fedeli attraverso riti individuali e collettivi” e si precisa che “la Chiesa è punto di riferimento della comunità religiosa di Scientology in Italia e consente alla confessione di praticare i riti individuali e collettivi”; la Corte territoriale ha ritenuto che, mentre l’autoqualificazione da .sola non è idonea a provare la natura confessionale di un’organizzazione, le tardive qualificazioni statutarie abbiano la natura di uno “stratagemma già in precedenza utilizzato altrove dall’organizzazione per sottrarsi ai problemi legali che si ponevano sulla strada della sua attività”.

A tale convincimento i giudici di merito sono pervenuti valutando

a) le dichiarazioni di due testi, secondo i quali il fondatore di Dianetica aveva utilizzato lo stratagemma di definire religione la Scientologia all’esito negativo di una causa intentatagli dall’Associazione medica americana del New Jersey e al fine di garantirsi in futuro la copertura derivante dalla nuova denominazione, fatto questo singolarmente illuminante ed espressivo delle vere ragioni che avevano indotto gli associati ad adottare le modifiche statutarie secondo una cronologia significativamente coincidente con lo sviluppo dell’istruttoria penale sfociata poi nel presente procedimento come sopra evidenziato;

b) le risultanze il un documento sequestrato nella sede di Roma nel 1981, nel quale, premesso che l’Istituto di Dianetica stava “operando in un cerchio di interessi politici, economici e finanziari” senza esser “collegato ad alcun gruppo stabile in Italia”‘ si valutavano le “conseguenze di non esser Chiesa in Italia”, fatto questo che privava l’associazione dei “soliti meccanismi operativi di difesa religiosa”

c) la circostanza che al cambiamento di denominazione non era seguito “alcun cambiamento nell’attività dell’organizzazione”;

d) la dichiarazione di una teste, cui alla richiesta di spiegazioni circa il cambiamento di nome, era stato “risposto di non dare importanza alla cosa, perché la parola Chiesa era stata usata per scusa o per comodo”.

e) le dichiarazioni di altri testi, i quali hanno affermato di non aver mai sentito parlare di pastori o di consulenza pastorale o spirituale,

f) la mancanza di un credo religioso originale e comunque esclusivo della Scientologia;

g) lo sviluppo storico e l’evoluzione dell’organizzazione come disegnato da alcune perizie acquisite agli atti;

h) la natura, asseritamente scientifica e oggettiva – quindi non religiosa – delle pratiche di “auditing” e di “purification”.

Risolta negativamente la questione circa la natura religiosa dell’associazione, la Corte di merito ha affrontato quindi la questione relativa alla seconda censura, con la quale i giudici di rinvio avevano definito inaccettabile sul piano razionale l’eccessiva generalizzazione dei pochi casi, dai quali i giudici di merito avevano indotto la previsione da parte dell’associazione e la programmazione in via generale e fin dall’inizio dei reati contestati agl’imputati e la rispondenza di tale programmazione alle direttive emanate dai vertici italiani dell’organizzazione medesima, asserendo in tesi, preliminarmente e testualmente, che, “al di là del numero di episodi accertati” “dagli atti del procedimento emergono sicuri elementi di prova”, tali “che consentono di affermare la partecipazione degl’imputati ad un sodalizio criminoso” e procedendo quindi a dimostrare la tesi così delineata non già per induzione dai singoli reati fine, come avevano fatto gli estensori della sentenza annullata; ma dall’esame di documenti e di testimonianze agli atti del procedimento, relativi alla strutturazione interna dell’associazione e a direttive di ordine generale.

Secondo i giudici di merito, indubbio essendo lo stabile inserimento degl’imputati con ruoli funzioni e cariche differenti nelle strutture organizzate offerte dall’Istituto di Dianetica prima e dalla Chiesa di Scientology dopo, resta dunque da accertare soltanto, se l’organizzazione avesse un “programma delinquenziale e se i singoli imputati fossero consapevoli di contribuire alla realizzazione di tale programma”.

Siccome rilevante per “valutare la condotta degli adepti”, hanno evidenziato che dette organizzazioni avevano “lo scopo di lucro come unico fondamento obiettivo”, tanto deducendo da due direttive dello stesso fondatore e da altri documenti interni, in parte trascritti in sentenza, nonché dalle dichiarazioni di numerosi testimoni e, per converso, dall’assoluto disinteresse per le condizioni di salute degli adepti o degli operatori, dimostrato proprio da un’associazione, “che aveva quale scopo dichiarato il benessere fisico e psichico delle persone”.

Hanno rilevato quindi che lo stesso arruolamento degli adepti avveniva con metodi ingannevoli e a mezzo di questionari idonei a fuorviare gl’incauti compilatori sulle proprie reali condizioni di salute fisica e mentale e di indurli quindi ad approfittare dei servizi loro offerti con promessa di ottenere la guarigione, come dichiarato da numerosissimi testimoni, indotti ad acquistare servizi e libri di costo via via crescente e finanche un banale galvanometro, denominato E-meter e spacciato a prezzi variabili da oltre due milioni ad oltre quindici. Il tutto dietro promessa poi generalmente non mantenuta, di restituzione dei versamenti in caso di mancato conseguimento dei benefici promessi.

Hanno infine rilevato che la natura truffaldina di tali condotte e degli espedienti posti in opera dagli adepti dell’organizzazione era stata già dichiarata da questa Suprema Corte, che nella sentenza di annullamento con rinvio aveva ritenuto integrassero gli estremi della truffa – o della circonvenzione d’incapaci se svolte nei confronti di menomati psichici – proprio quelle condotte, delle quali si sostanziava “la normale attività dell’Istituto di Dianetica e della chiesa di Scientology”, cioè la prospettazione, più o meno velata, di danni fisici e psichici alle persone offese, nel caso di mancata adesione alla chiesa e di mancato acquisto del prodotto offerto; la falsa prospettazione ai pazienti del sicuro raggiungimento del benessere fisico e psichico comportante l’ulteriore possibilità di avere benefici anche di carattere economico; la millantata validità scientifica dei metodi proposti; la simulazione in alcune fasi di un progresso del trattamento asseritamente controllato scientificamente attraverso lo strumento denominato E-meter.

Da tali circostanze di fatto hanno infine dedotto che “l’intera attività della associazione … è preordinata al fine di commettere reati”, di guisa che hanno disatteso la prospettazione della Pubblica accusa, secondo la quale l’associazione criminosa era sorta nell’ambito dell’Istituto di Dianetica e indi della Chiesa di Scientology, ma era distinta e autonoma rispetto ad essa.

In ordine alle responsabilità individuali, rilevato che gli elementi di giudizio disponibili non consentono “di individuare con sicurezza chi abbia promosso o costituito il sodalizio criminoso”; sulla considerazione che “è la stessa organizzazione di Scientology, con tutte le sue emanazioni, ad integrare una associazione con fini criminosi”, hanno concluso ritenendo responsabili del delitto associativo tutti coloro che, “indipendentemente dal ruolo rivestito”, operando “all’interno di essa per conseguirne le reali finalità, hanno fornito un loro contributo alla realizzazione dell’impegno” a commettere fatti criminosi.

Affermato da ultimo che la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato era facilmente desumibile dalla circostanza che i vari imputati hanno esplicato le rispettive condotte in un contesto operativo connotato dalla ben nota fallacia delle promesse; dall’inutilità e talvolta dalla nocività dei servizi offerti e dall’esorbitanza dei prezzi richiesti; dall’assoluta impreparazione di coloro che effettuavano le prestazioni programmate; dalla quotidiana e spesso drammatica realtà dei fruitori di detti servizi, causa non infrequente di conseguenze manifestamente dannose; hanno specificato per ciascun imputato le risultanze, che alla stregua dei criteri sopra brevemente richiamati, comprovano la sua penale responsabilità in ordine al contestato reato associativo.

Ricorrono per cassazione gl’imputati, alcuni avvalendosi di diversi difensori, che hanno redatto diversi ricorsi, e chiedono l’annullamento di detta sentenza per i seguenti motivi.

I

B., C., M., T., N. e P. F. (il B. e la M. deducono altri motivi nei ricorsi a firma, rispettivamente, dell’avvocato Oreste Dominioni e dell’avvocato Luigi Vanni) con ricorso a firma dell’avvocato Giuliano Spazzali denunziano

1- motivazione omessa o apparente in ordine alla natura religiosa della Chiesa di Scientology

1/a) perché la circostanza che detta religione ha posto in essere attività lucrative non la distingue dalle altre religioni né di per sé la priva della propria intrinseca religiosità;

l/b) perché qualsiasi religione fonda sui testi, che la qualificano, svolge in appositi corsi la catechesi dei neofiti e dei catecumeni, impone pratiche, pone divieti, segna e insegna vie e percorsi di perfezionamento e di ascesi, spesso assai ardui e afflittivi, verso e alla ricerca di Dio, di guisa che i libri da leggere, i corsi da seguire, le pratiche da compiere e le vie di perfezionamento imposti dall’associazione in esame non possono di per sé essere definiti illeciti;

1/c) perché un coerente sviluppo dell’itinerario argomentativo percorso dai giudici di merito per definire la natura di associazione per delinquere attribuita alla chiesa di Scientciogy porta all’assurdo di ritenere che ciascuno delle migliaia di cittadini, i quali hanno aderito all’organizzazione, per il solo fatto dell’adesione ha commesso reato;

1/d) perché l’affermazione che il pensiero di Hubbard è contrario alla medicina e alla psichiatria ufficiali è apodittico e irrilevante;

1/e) perché l’insistita petulanza e la promessa di una vita migliore sono caratteristiche comuni a tutte le attività di proselitismo religioso e non valgono quindi a connotare l’attività di Scientology, come non vale a connotarla o a conferire all’associazione carattere d’impresa commerciale la scelta di una metodica di proselitismo fondata sulle regole del mercato;

1/f) perché la motivazione adottata per escludere la natura religiosa di Scientology non regge sul piano lessicale laddove la definizione di “confessione religiosa” viene desunta soltanto dall’aggettivo qualificativo come se il sostantivo non avesse una propria specificità in grado di distinguerlo da altri di significato più o meno approssimatamente simile né dove, sull’autorità di “autorevole dottrina” non meglio specificata, si definisce la religione come “complesso di dottrine” – e non già quale dottrina complessa – incentrate sul presupposto di un Essere Supremo in rapporto con gli uomini, che gli devono ossequio e obbedienza;

1/g) perché tale definizione di religione è inaccettabile in quanto, fondata com’è su affermazioni di natura assiomatica non e né un fatto né un argomento e in quanto esclude dal novero delle religioni quelle senza Dio o che comunque non contemplano, non sollecitano né promettono l’intervento diretto di Dio nelle vicende umane;

1/h) perché, mancando un riconoscimento formale dello Stato, la Corte di merito ha negato senza spiegazione natura di pubblico riconoscimento alle numerose sentenze di Tribunali italiani; perché ha erroneamente riferito a tutti i cittadini la “comune considerazione”, cui la sentenza di annullamento rimanda per definire la natura religiosa di un’associazione; perché non ha senso affermare che la considerazione positiva espressa da Tribunali, Commissioni, adepti e studiosi non coincide con “l’opinione della intera comunità nazionale” o affermare, a fronte della globalizzazione delle conoscenze propria dell’età contemporanea, che non hanno valore in Italia le opinioni degli studiosi stranieri;

1/l) perché afferma erroneamente che il comune sentire in materia sia ispirato soltanto alle grandi religioni, che si riconoscono nella comune discendenza di Abramo.

2- vizio di motivazione in ordine alla mancata utilizzazione di risultanze istruttorie e all’erronea e parziale selezione di esse,

2/a) perché la Corte di merito ha negato che ai soggetti avvicinati si prospettasse la dimensione religiosa dell’ente trascurando all’uopo le dichiarazioni contrarie di numerosi testi contenute nei volumi 35 e 36, così come ha negato che l’associazione abbia mai restituito somme percepite, trascurando che numerosi testimoni scelti a campione, non addotti dalla difesa ed espressamente menzionati in ricorso, hanno riferito di aver ottenuto in restituzione quanto versato; perché non ha tenuto conto delle dichiarazioni favorevoli a Scientolgy rese da ben centotrentun soggetti non selezionati dalla difesa né delle dichiarazioni di ben settantasei tossicodipendenti accolti nei centri Narconon o delle quarantadue persone curate gratuitamente presso detti centri; perché ha pretermesso l’esistenza di relazioni e di dichiarazioni di personalità religiose di diverse confessioni e finanche di un teologo protestante, tutte concernenti la religiosità di Scientology nonché il riconoscimento della natura religiosa dell’associazione in numerosi Paesi dell’Occidente;

2/b) perché in forza del trattato di amicizia con gli U.S.A. ratificato con Legge 18.6.1949, n. 385, i cittadini delle Parti contraenti hanno diritto di esercitare nel territorio di ciascuno dei due Stati i privilegi e i diritti connessi con l’attività religiosa; perché, se la Chiesa di Scientology persegue esclusivamente fini di lucro, manca la prova che il denaro lucrato in modo asseritamente illecito non sia stato completamente investito nelle attività della Chiesa stessa.

II

Il predetto B., B., C., F., L., P. M. E P. (la F. deduce altri motivi nel ricorso a firma dell’avvocato Daria Pesce) con ricorso a firma dell’avvocato Oreste Dominioni denunziano

1 – eccesso di potere, violazione dell’art. 546 c.p.p. previgente e difetto di motivazione in ordine alla natura religiosa di Scientology in relazione al capo 42 dell’imputazione

1/a) perché il giudice di rinvio ha disatteso i principi fissati dalla Suprema Corte omettendo di utilizzare – al fine di accertare la natura religiosa di Scientology – gli indici enucleati dalla Corte Costituzionale e gli ulteriori indici ritenuti utili allo scopo nonché tutti gli elementi addotti sul punto dalle difese e, ancor prima, “ha travalicato i poteri giurisdizionali” valutando la religiosità dell’associazione nel merito e quindi alla stregua di opinioni personali e in certa misura arbitrarie invece che alla stregua dei referenti formali e oggettivi indicati nella sentenza di rinvio,. quali i riconoscimenti pubblici, il contenuto dello Statuto dell’associazione o la percezione di essa quale confessione religiosa da parte della comunità;

l/b) perché, così facendo ha eluso l’oggetto del giudizio di rinvio, cioè la questione se per l’ordinamento giuridico la Chiesa di Scientology possa essere considerata o no una confessione religiosa, esercitando viceversa un indebito sindacato sull’essenza religiosa di una fede o di un culto e appropriandosi per tale via di un potere che nessun organo dello Stato può attribuirsi senza violare il diritto costituzionalmente garantito alla libertà di culto e di religione

1/c) perché in ordine al criterio della comune considerazione, senza indicare un solo elemento di giudizio idoneo a fondare in qualche modo l’espresso convincimento, ha del tutto apoditticamente negato la sussistenza di elementi, dai quali si possa dedurre che “nella società italiana la associazione denominata Scientology è considerata una religione”; perché in proposito ha senza ragione svalutato del tutto la convinzione di migliaia di appartenenti all’associazione in ordine alla religiosità di essa, fatto certamente non irrilevante al fine di formare la comune considerazione in proposito; perché denegare la valenza delle opinioni espresse al riguardo in numerose sentenze e i pareri espressi da numerosi studiosi senza confutare in qualche modo l’itinerario argomentativo percorso dagli uni e dagli altri intregra gli estremi di una motivazione apparente; perché le inequivoche indicazioni espresse nello statuto della Chiesa di Scientologia circa la natura religiosa dell’associazione sono state svalutate sulla base d’inammissibili giudizi di merito fondati su un singolo documento di contenuto equivoco e di autore sconosciuto o su isolate deposizioni contrastate da decine di deposizioni di segno contrario, non prese in considerazione nonostante l’obbligo in proposito espresso nella sentenza di rinvio, e interpretate peraltro in modo distorto e contradittorio;

2- violazione dell’art.477 e dell’art. 546 c.p.p. 1930 e difetto di motivazione in relazione al capo 42 dell’imputazione

2/a) perché – affermando che “l’intera attività dell’associazione… è preordinata al fine di commettere reati” in quanto “la normale attività dell’Istituto di Dianetica e della Chiesa di Scienatology” è stata posta in essere “al solo fine di introitare più denaro possibile” con metodiche truffaldine – il giudice del rinvio ha violato il principio di correlazione tra l’imputazione – contestata ai soli imputati e non anche a tutti gli appartenenti a Scientology – e la sentenza dato che né l’accusa né il giudice istruttore avevano mai sostenuto che Scientology costituisse di per sé una associazione per delinquere e che l’attività dalla stessa esplicata fosse illecita nella sua generalità;

2/b) perché i giudici di merito, ritenendo che illecita fosse tutta ”la normale attività” dell’associazione, hanno oltrepassato i limiti del giudizio di rinvio come segnati nella sentenza di annullamento, laddove in conformità peraltro alle tesi d’accusa, i giudici di legittimità avevano sottolineato che le condotte illecite contestate agl’imputati – le uniche delle quali si poteva e si doveva tener conto senza abbandonarsi ad infondate e inammissibili supposizioni – rapportate, come si doveva, alle decine di migliaia di associati, assumevano connotazioni di eccezionalità e di devianza che non potevano portare all’incriminazione di un’intera associazione;

2/c) perché se l’illiceità di Scientology deriva, come i giudici di merito hanno assunto, non dalle modalità di sua costituzione e di sua organizzazione o dalle finalità perseguite – riconosciute lecite ancorché di natura asseritamente commerciale invece che religiosa – ma soltanto dalle modalità adottate per perseguire tali finalità, è illogico, arbitrario e ancora una volta esorbitante rispetto all’azione penale – esperita dalla pubblica acccusa soltanto nei confronti degl’imputati – dedurre dalla sola appartenenza che ognuno dei ventisettemila aderenti alla Chiesa di Scientolgy sia in realtà inserito in una associazione per delinquere, quando l’inserimento predetto, come chiarito nella sentenza di rinvio, non si poteva affermare apoditticamente con un semplice richiamo alle cariche rivestite da ciascun imputato e sul generale presupposto che ciascuno di essi fosse consapevole della natura dei servizi offerti a costi elevatissimi e iniqui, ma si sarebbe dovuto dimostrare caso per caso sulla base del contributo prestato alla realizzazione delle finalità illecite, diverse di quelle statutarie e in ipotesi perseguite, e dalla consapevolezza di ogni singolo imputato di far parte di un’associazione per delinquere;

3 – mancanza di motivazione in ordine alla determinazione della pena e allo svolgimento del giudizio di comparazione ex art. 69 c.p.

perché la motivazione in punto è del tutto generica siccome coinvolgente tutti gl ‘imputati, senza riferimento alcuno alla loro personalità o al ruolo effettivamente avuto nella commissione dei reati a ciascuno attribuiti e, quanto all’espresso giudizio di equivalenza fra le attenuanti generiche concesse e le aggravanti contestate, perché è generico nei termini sucennati e perché non tiene conto delle aggravanti venute meno rispetto all’originaria contestazione.

III

C., C., D., M., M., P., R., T., V. (quest’ultimo, M., P. e R. difesi anche dall’avvocato Leale) con ricorso a firma dell’avvocato Luigi Vanni denunziano

1 – mancanza di motivazione, omessa valutazione di dati processuali e di deduzioni difensive, decisive in relazione alla massima d’esperienza posta a base della decisione

1/a) perché è del tutto arbitrario limitare il concetto di religione entro gli ambiti segnati dalle grandi religioni monoteiste; riferire all’ordinario modo di operare dell’associazione i reati di truffa, circonvenzione d’incapaci e abusivo esercizio della professione medica contestati ad alcuni associati; svilire i pareri degli studiosi e le decisioni giudiziarie in materia e, in genere, non tener conto di alcuno degli argomenti confliggenti con la definizione di religione arbitrariamente assunta;

1/b) perché, mentre la pubblicità degli statuti, degli organigrammi associativi, delle adesioni, una per una documentate e la propaganda dei principi nonché la stessa attività di proselitismo mal si conciliano sul piano logico con il concetto stesso di associazione per delinquere, di questa i giudici di merito non hanno saputo individuare promotori, organizzatori e data di costituzione;

1/c) perché manca in sentenza qualsiasi motivazione sul dolo specifico relativamente a ciascun imputato.

2 – Erronea applicazione dell’art. 416 c.p., per avere il giudice affermato l’esistenza di un’associazione per delinquere al di fuori dell’accertamento della sua costituzione

Sotto tale titolo i ricorrenti, asserito che “il giudice d’appello considera implicitamente … associazione a delinquere ‘madre’ di quella italiana…. la Chiesa di Scientciogy americana”, ne deducono una violazione del Trattato di Amicizia con gli U.S.A., ratificato con legge 18.6.1949, n. 385, laddove all’art. 2/2 prevede che le persone giuridiche create secondo la legge propria di uno dei due Stati siano riconosciute nel territorio dell’altro.

Denunziano altresì violazione degli artt. 9 e 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo ratificata in Italia con legge 4.8.1955, n.848, perché la definizione della Chiesa di Scientology come associazione per delinquere “è tanto schematica e onnicomprensiva” da conferire le qualifica di associato a qualsiasi aderente e da impedire nello Stato quella libertà. di culto pacificamente ammessa e riconosciuta in altri Stati.

Denunziano quindi vizi di motivazione in punto di responsabilità individuale di ciascun imputato di tenore analogo a quelli da altri ricorrenti denunziati sub II/2-2/c), come sopra.

Dall’omessa motivazione in punto deducono quindi che il giudice di rinvio abbia ritenuto che “nel reato associativo il dolo specifico può essere presunto” e sollevano al riguardo eccezione d’incostituzionalità dell’art. 416 c.p. nella suddetta interpretazione.

3- mancanza di motivazione e violazione dell’art.192 c.p.p. 1988

3/a) perché il giudice di rinvio ha affermato che l’Istituto di Dianetica e la Chiesa di Scientologia sono in realtà un’associazione per delinquere senza tener conto del fatto che, non essendo stato ravvisato alcun reato nell’ordinarietà dei casi documentata dalle decine di migliaia di fascicoli relativi agli appartenenti alla Chiesa predetta, i reati contestati in esiguo numero di casi rappresentano l’eccezione e non già la regola di condotta degli appartenenti all’associazione, di guisa che la liceità originaria di questa non può non riverberare i propri effetti sull’accertamento del dolo in capo ai singoli imputati, i quali, se convinti di operare per il conseguimento degli scopi statutari, non possono esser consapevoli di partecipare alla commissione di reati;

3/b) perché, se il reato associativo ha – come assume il giudice di rinvio – una sua incontestabile autonomia dai reati fine e se la prova di esso è nel caso di specie rinvenuta da detto giudice non già sul fondamento degl’indizi in evento offerti dai reati-fine predetti, ma sul fondamento dal carattere intrinsecamente truffaldino delle teorie di Ron Hubbard, si sarebbe dovuta dimostrare l’adesione consapevole degli imputati alle teorie predette non già nel loro significativo estrinseco e apparente, ma nel loro significato intrinseco e ingannatorio.

4 – nullità della sentenza ex art.524/3 in relazione all’art.475 n. 5 bis c.p.p. 1930

perché i giudici del rinvio hanno utilizzato ai fini della decisione le deposizioni dei testi Armstrong e Atack, rese davanti ad autorità giudiziarie straniere e non acquisite ritualmente al procedimento e tanto quando, contraddittoriamente, hanno denegato qualsiasi valore ai riconoscimenti di stranieri alla Chiesa di Scientologia.

5 – mancanza o contraddittorietà della motivazione

dedotta per ragioni sostanzialmente identiche a quelle spiegate da altri ricorrenti sub II/1-1/c.

6 – mancanza di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza di aggravanti mai contestate al capo 42 e mancanza di correlazione sul punto tra l’originaria imputazione e la sentenza impugnata.

IV

F. (difesa anche dall’avvocato Dominioni) e M. con ricorso a firma dell’avvocato Daria Pesce denunziano

1 – manifesta illogicità della motivazione in ordine alla mancanza del requisito della ”religiosità” della Chiesa di Scientology

1/a) perché nonostante l’innegabile valenza religiosa delle espressioni contenute negli stralci di Statuto riportati in sentenza, la Corte territoriale si è dichiarata “apoditticamente convinta della natura esclusivamente scientifica dell’associazione affermando, altrettanto immotivatamente, la normale inconciliabilità” di scienza e religione;

1/b) perché nella struttura gerarchica, nel proselitismo proprio di ciascuna confessione e nell’attività di autofinanziamento della Chiesa di Scientologia ha immotivatamente identificato le strutture tipiche di un’associazione per delinquere;

1/c) perché, pur affermando che l’associazione è stata costituita a scopo di lucro, non ha identificato al di fuori dell’associazione stessa alcun beneficiario degl’illeciti guadagni;

1/d) perché la devianza di frange dell’associazione non consente di per sé sola di configurare il reato associativo ritenuto;

2 – errata applicazione di legge in ordine alla loro responsabilità e contraddittorietà della motivazione

perché, mentre non risulta provata la ritenuta sussistenza di un “comune programma delinquenziale”, per quanto li riguarda non ricorre nemmeno l’esplicazione di attività dirigenziali e manca perfino la prova di un qualche loro contatto col pubblico o con alcuno degli utenti dei servizi offerti.

V

B., B., B., C., C., L., M. (gli ultimi quattro difesi anche e nell’ordine dagli avvocati Spazzali, Lanza, Dominioni e Vanni), M., N. P., P., R. (dal N. in poi difesi anche e rispettivamente dagli avvocati Spazzali, Vanni, Dominioni e Leale), R., S., V. (difeso anche dall’avvocato Vanni) e Z. con ricorso a firma dell’avvocato Giovanni Leale denunziano

1-travisamento del fatto, illogicità e mancanza di motivazione, violazione dei principi di diritto indicati dalla Suprema Corte, inosservanza ed erronea applicazione della legge e violazione di norme costituzionali. esercizio da parte del giudice di potestà non consentite ai pubblici poteri (ex art. 524, nn. 1, 2, 3 cpp 1930 anche in relazione all’art. 475, n. 3, stesso codice e alla violazione dell’art.192 c.p.p. 1988)

1/a) perché a1 fine di accertare in sede di rinvio se la Chiesa di Scientology abbia, o no, natura di confessione religiosa, la Corte di merito ha adottato, peraltro senza dar conto dei criteri di scelta, una definizione dottrinaria del concetto di religione, restrittiva e risalente agli anni settanta, in epoca più recente ripudiata perfino dal suo autore – come risulta agli atti anche da un suo positivo parere circa la natura religiosa della Chiesa di Scientologia – invece di definizioni piu allineate ai principi costituzionali;

l/b) perché la definizione della religione quale “complesso di dottrine incentrato sul presupposto dell’esistenza di un Essere Supremo, che è in rapporto con gli uomini e al quale gli uomini devono obbedienza e ossequio”, ispirata, come dichiaratamente è, alle concezioni giudaico-cristiano-islamiche, proprio per la limitazione insita nella sua fonte d’ispirazione, non può essere adoperata in sede giurisdizionale per un accertamento “dal quale dipende l’esercizio di un diritto di libertà fondamentale” per la nostra Costituzione, che garantisce il pluralismo e tutela le minoranze, e “per la normativa internazionale posta a tutela delle libertà fondamentali dell’uomo”;

1/c) per le medesime ragioni dedotte anche da altri ricorrenti sub II/1-1/a).

1/d) perché in applicazione dei criteri assai più ampi dettati nella Carta fondamentale lo Stato con d.P.R. 3.1.1991 ha riconosciuto l’Unione Buddhista Italiana, che pur professando credenze vicine a quelle di Scientology, a differenza di questa non presuppone l’esistenza di un Essere Supremo, di guisa che per il principio di pari libertà sancito all’art. 8 Cost. non può essere riservato alla confessione di Scientology trattamento diverso;

1/e) perché d’altra parte la Chiesa di Scientologia – come risulta dagli scritti del fondatore e finanche dal dizionario tecnico sequestrato agli atti di causa documenti come altri analoghi non valutati dalla Corte territoriale – ha una propria concezione religiosa basata sull’esistenza di un Essere Supremo in rapporto con gli uomini e sull’esistenza di percorsi, che consentano all’uomo di liberarsi dal proprio kharma e dal ciclo delle reincarnazioni per risalire al proprio Creatore;

1/f) perché la Corte ha erroneamente ritenuto che l’asserita compatibilità del credo di Scientology con quello di altre confessioni dimostri di per sé la non religiosità dell’associazione quando tale compatibilità, che è invece “conseguenza del suo ecumenismo e della mancanza di dogmaticità negli scritti di Hubbard” è propria anche del Buddhismo, riconosciuto in Italia, e dello Scintoismo;

1/g) perché l’itinerario argomentativo percorso dai giudici di merito, prima che manifestamente illogico è infirmato dai denunziati travisamenti del fatto, è infirmato in radice siccome teso e sfociato in un giudizio di merito non consentito dalla formula degli artt. 8 e 19 della Costituzione;

1/h) per motivi analoghi a quelli dedotti sub II/1-1/a), 1/b) e 1/c) e perché la Corte territoriale ha “illogicamente e in violazione del principio dettato dalla Corte di Cassazione, allargato il concetto di comune considerazione a quello di ‘opinione pubblica’ facendo dipendere, in sostanza, dalla considerazione dei più e di ‘altri’ la valutazione di un credo e di una Confessione, quindi, la stessa libertà di professione di fede di Scientology che è una minoranza”;

1/i) perche è illogico prescindere – come la Corte di Milano ha fatto – dai pareri espressi da studiosi o da autorità straniere a fronte di un credo religioso, nato all’estero e attivo in diversi Stati, – quando per il suo riconoscimento in Italia lo Stato non potrebbe fondare che sulla comune considerazione, nella quale è tenuto negli Stati predetti – e dar credito invece alle dichiarazioni rese da un dissidente Scientologista americano piuttosto che al Governo degli Stati Uniti;

1/l) perché la Corte di Milano ha limitato l’esame degli Statuti a quello della Chiesa di Milano, che presume uguale a quello delle altre Chiese, senza prendere in considerazione quello – agli atti – fondamentale dell’ente esponenziale e rappresentativo per tutto il territorio nazionale, cioè quello della Chiesa di Scientology d’Italia, alle cui direttive quella di Milano si dice assoggettata nel contesto dell’organizzazione nazionale della Chiesa medesima e perché, in ogni caso, ha omesso di considerare che le pratiche di culto della predetta Chiesa sono propriamente pratiche religiose giacché intendono attraverso l’applicazione della Dianetica – definita scienza con proprietà di linguaggio non inferiore a quella di San Tommaso, che così definì la teologia – favorire nell’uomo la ricerca in sé e del Dio che è in lui;

1/m) perché la Corte di merito, dopo avere escluso che il parere di studiosi stranieri di religione possa essere rilevante al fine propostosi, ha dichiaratamente e illogicamente fondato la propria decisione in punto anche sul parere di un perito, che per dare autorità alla propria relazione vi ha riportato, debitamente tradotte, lunghe pagine tratte dall’opera di psichiatri stranieri;

1/n) perché, identificando l’associazione per delinquere con la struttura stessa della Chiesa, che al di là del fine di religione artatamente propagandato perseguirebbe in realtà fini “di lucro attraverso metodi truffaldini, circonventori e illegali” e desumendo, quindi l’inesistenza del credo religioso dalla affermata sussistenza del reato associativo, la Corte di merito ha superato, i limiti segnati al giudizio di rinvio dalla sentenza di annullamento, laddove la Corte di Cassazione ha statuito che l’identificazione dell’associazione per delinquere con la struttura associativa poteva aver luogo solo nel caso che gli statuti avessero previsto riti o comportamenti contrari al buon costume e ai valori costituzionalmente protetti indicati nella sentenza medesima;

1/o) perché, contemplando l’art. 416 c.p. un’ipotesi di reato posta a tutela dell’ordine pubblico, la norma è incostituzionale ove la si riferisca alle organizzazioni religiose;

1/p) perché, avendo, la Corte di Cassazione confermato, che “l’attività svolta dagli operatori di Scientology, con riferimento alle dette sedute di ‘auditing’ e di ‘purification’ nelle quali sono state sottoposte al trattamento persone malate, rientra perfettamente negli schemi del delitto di esercizio abusivo della professione sanitaria”, ha con ciò stesso escluso che a dette pratiche possa in senso tecnico legale essere attribuito valore terapeutico, di guisa che, mentre è apodittico sostenere che sulla terapeuticità di esse si sia formato il giudicato, non ha rilievo alcuno il fatto che esse siano state esercitate da soggetti privi di preparazione sanitaria professionale;

1/q) perché, mentre la Corte di Cassazione ha già statuito che i pochi casi accertati di responsabilità in ordine ai reati fine non giustificano nemmeno sul piano razionale l’esistenza di un’associazione criminale, anche nell’ipotesi presa in considerazione dalla Corte territoriale l’esiguo numero di casi non giustifica la creazione e la sussistenza di un’associazione criminale operante nell’arco di circa vent’anni;

1/r) perché, allo scopo di provare il fine di lucro asseritamente perseguito dall’associazione sotto la simulata veste di una confessione religiosa, la Corte di merito ha preso in considerazione – come i ricorrenti esemplificano con riferimenti specifici – solo alcune delle direttive impartite dal fondatore in ordine all’organizzazione economico-finanziaria della associazione, mettendone in risalto solo parte del contenuto e senza tener conto del loro senso generale;

1/s) perché, per le ragioni poste in luce da altri ricorrenti come sopra, la Corte di merito non ha motivato al fine di dimostrare la consapevole partecipazione degl’imputati al sodalizio criminoso e ha violato il principio di correlazione tra imputazione e decisione;

2 – nullità della sentenza per violazione degli artt. 69, 133 e 133 bis c.p.

per motivi analoghi a quelli dedotti da altri ricorrenti sub II/3.

VI

F., con ricorso a firma dell’avvocato Giuliano Pisapia, denunzia

1 – “motivazione insufficiente, contraddittoria e viziata per omessa considerazione di circostanze decisive”

per motivi analoghi a quelli dedotti dagli altri ricorrenti e sopra sintetizzati e perché, assumendo a parametro della decisione la concezione di religione desumibile dalle grandi confessioni monoteistiche, i giudici del rinvio hanno violato gli artt.8 e 19 della Costituzione, che riconoscono pari dignità e offrono identica tutela a tutte le confessioni religiose;

2 – travisamento del fatto e mancata considerazione di circostanze decisive sia in punto di sua partecipazione materiale al sodalizio criminale ritenuto esistente, sia in punto di dolo specifico;

3 – mancanza di motivazione individualizzata in ordine al giudizio di comparazione tra attenuanti generiche e circostanze aggravanti.

VII

B., C. (difesi anche dall’avvocato Leale) e L. con ricorso a firma dell’avvocato Alessio Lanzi denunziano in unico contesto

vizio di motivazione e travisamento del fatto, violazione dell’art. 546/1 c.p.p. 1930 per mancato adeguamento del giudice di rinvio a questione già decisa dalla Corte di Cassazione e violazione dell’art.192 c.p.p.

e deducono in ordine al mancato riconoscimento della natura di confessione religiosa alla Chiesa di Scientologia motivi analoghi a quelli già dedotti come sopra da altri ricorrenti.

VII*

B. (difesa anche dall’avvocato Leale), C., S. e T. D. con ricorso a firma dell’avvocato Sebastiano Scatà denunziano

1- eccesso di potere e difetto di motivazione in ordine alla natura religiosa di Scientology

per gli stessi motivi, espressamente fatti propri, in proposito dedotti dai ricorrenti difesi dall’avvocato Dominioni,

2 – violazione dell’art.477.c.p.p. 1930 e difetto di motivazione in relazione all’addebito del reato associativo

per gli stessi motivi, espressamente fatti propri, dedotti dai ricorrenti difesi dal citato avvocato Dominioni e da quelli difesi dagli avvocati Lanzi, Vanni e Spazzali;

3- erronea applicazione dell’art. 416 c.p. avendo il giudice di rinvio affermato esistente un’associazione per delinquere senza accertarne previamente la costituzione

per le argomentazioni illustrate nel 2° motivo del ricorso a firma dell’avvocato Vanni;

4 – mancanza e contraddittorietà della motivazione e violazione del’art. 192 c.p.p.

per le argomentazioni svolte dall’avvocato Vanni e dall’avvocato Spazzali, rispettivamente nel 3° e nel 2° motivo dei ricorsi a loro firma;

5- mancanza di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza di aggravanti mai formalmente contestate al capo 42 e difetto di correlazione tra l’originaria imputazione e la sentenza d’appello sul punto

per le argomentazioni difensive svolte dall’avvocato Vanni nel 6° motivo del ricorso a sua firma;

6- mancanza di motivazione in ordine al giudizio di comparazione ex art.69 c.p.

per le argomentazioni illustrate dall’avvocato Dominioni nel 3° motivo del ricorso a sua firma.

VIII

Z. e T. (difesi anche dall’avvocato Leale e dall’avvocato Spazzali, rispettivamente) con ricorso a firma dell’avvocato Alfredo Biondi denunziano promiscuamente e in unico contesto

1- erronea applicazione della legge penale, difetto di motivazione nonché omissione e mancata considerazione di elementi di giudizio decisivi;

2- erronea applicazione dell’art. 416 c.p. per mancato accertamento dell’elemento oggettivo e di quello soggettivo del reato;

3 – inosservanza di norme del codice di rito stabilite a pena di nullità e violazione dell’art.192 c.p.p.;

4- ulteriore inosservanza di norma del codice di rito stabilite a pena di nullità

motivi tutti fondati su deduzioni analoghe a quelle utilizzate dagli altri ricorrenti, come sopra.

Hanno infine depositato amplissime memorie difensive l’avvocato Gaetano Insolera, difensore di R., S. e C. nonché gli avvocati Luigi Vanni e Fabrizio D’Agostini per tutti i ricorrenti già difesi dal primo e per il ricorrente Z.

IN DIRITTO

I ricorsi sono fondati.

Al di là delle violazioni di legge e dei numerosi vizi motivazione a parere di ciascun ricorrente infirmanti la sentenza impugnata, punto focale comune a tutti i ricorsi proposti è la denunzia che, denegando la natura religiosa della Chiesa di Scientologia, il giudice del rinvio non ha adempiuto all’obbligo di motivare le proprie decisioni secondo gli schemi esplicitamente enunziati nella sentenza di annullamento.

Questa Suprema Corte dunque deve in primo luogo accertare se detto giudice ha rispettato – o no – i vincoli impostigli dalla sentenza di rinvio e se la sua decisione è o non è immune da vizi logici e giuridici tali da infirmarla sul piano giuridico.

E’ necessario pertanto richiamare e definire poteri e doveri del giudice del rinvio.

In proposito si osserva preliminarmente che questi, dopo l’annullamento per vizio di motivazione, può, senza violare l’obbligo di conformarsi al cosiddetto giudicato interno, pervenire nuovamente all’affermazione di responsabilità dell’imputato sulla scorta di argomentazioni diverse di quelle già censurate in sede di legittimità (cfr. Cass. V, 14.1.1994 n.267, CED 196619); ma che, risolvendo la Corte di Cassazione una questione di diritto anche quando giudica sull’adempimento del dovere di motivazione, egli è tenuto a giustificare il proprio convincimento secondo lo schema implicitamente o esplicitamente enunziato nella sentenza di annullamento restando in tal modo vincolato ad una determinata valutazione delle risultanze processuali ovvero al compimento di una particolare indagine – in precedenza omessa – di determinante rilevanza ai fini della decisione, o, ancora, all’esame non effettuato di specifiche istanze difensive incidenti sul giudizio conclusivo senza che tanto sottragga al giudice del rinvio la libertà di determinare il proprio convincimento, di merito mediante un’autonoma valutazione della situazione di fatto concernente il punto annullato alla stregua del disposto dell’art.627/2 c.p.p. 1988, statuente, come già l’art. 544/5 c.p.p.1930, che nei limiti dell’annullamento il giudice del rinvio decide con gli stessi poteri già propri del giudice il cui provvedimento e stato annullato, con l’unico limite di non ripetere i vizi della motivazione rilevati nella sentenza annullata (Cass. VI, 27.4.1995 n.4614, CED 201266).

I giudici di merito non si sono – sotto molteplici aspetti – attenuti a tali regulae juris.

Nell’enunciare principi e criteri di diritto, cui i giudici di rinvio avrebbero dovuto attenersi nel decidere, questa Suprema Corte infatti, ritenuto che al fine di accertare la sussistenza o l’insussistenza dell’associazione per delinquere contestata agl’imputati anche in ragione della loco appartenenza in ruoli diversi alla cosiddetta Chiesa di Scientologia o ad Istituti della stessa, fosse necessario accertare previamente se essa fosse o non fosse una confessione religiosa e rilevato che, mancando una definizione legislativa della nozione di confessione religiosa, è assai arduo per l’interprete accertare se un gruppo di persone così definitosi abbia effettivamente tale qualità “ovvero se non si tratti di gruppi che, facendo leva sul desiderio di religiosità diffuso, perseguono interessi personali dei loro fondatori o amministratori”, evidenziava i referenti costituzionali necessari per risolvere correttamente il problema e facendo esplicito “riferimento ad una recente pronuncia della Corte costituzionale sul tema”, ne enucleava – senza escluderne altri – e illustrava “indici utili per riconoscere le realtà autenticamente confessionali”, quali, nell’ordine e in mancanza di formale riconoscimento da parte dello Stato, i precedenti riconoscimenti pubblici, lo Statuto, la comune considerazione.

La Corte territoriale invece ha ritenuto di potere e, comunque, di dovere al fine procedere ad una previa definizione del concetto di religione e quindi di confessione religiosa.

Coerentemente, asserito – senza spiegarne le ragioni – di seguire un’opinione dottrinaria non attribuita ad alcun autore né altrimenti qualificata, ha affermato che “religione, nel significato corrente secondo l’esperienza storica attuale, è un complesso di dottrine incentrate sul presupposto della esistenza di un Essere supremo, che è in rapporto con gli uomini e al quale questi devono obbedienza e ossequio” (pag. 31) e sul “concetto della salvezza dell’anima…. realizzata attraverso un legame tra l’uomo e la divinità…. – legame che la religione descrive e interpreta” (pag. 32), chiarendo che il “contesto storico sociale nel quale il comune sentire si è formato risente inevitabilmente della influenza nella cultura religiosa italiana delle grandi religioni del ceppo giudaico-cristiano o anche islamico” (pagg.32/38).

Dalla definizione di religione nei termini anzidetti ha dedotto quindi quello di confessione religiosa, intesa come “comunità sociale avente una propria concezione del mondo, basata” su credenze religiose del tipo sopra richiamato.

Siffatta definizione di religione, dichiaratamente parziale perché ispirata – come si asserisce – esclusivamente alle religioni di ascendenza biblica, è illegittima sotto molteplici profili, è fondata su presupposti filosofici e storico-sociali inesatti, è viziata d’illogicità manifesta nella motivazione che la supporta.

E’ illegittima sul piano costituzionale perché l’uguaglianza davanti alla legge di tutte le confessioni religiose proclamata dalla Carta fondamentale all’articolo 8; il diritto, assicurato a chiunque dai successivi articoli 19 e 20, di professare liberamente la propria fede religiosa, purché non si tratti di riti contrari al buon costume – inteso questo nel senso più ampio, cioè come la risultante dell’osservanza, libera od obbligata di un complesso di leggi, quelle di rilevanza penale in particolare, e in generale di regole di condotta atte ad assicurare la libera e pacifica convivenza – ; la mancanza di una definizione legale della religione o della confessione religiosa indicano a chiarissime lettere la volontà del legislatore costituente di non precludere – salve la condizione predetta e la tutela costituzionale contestualmente assicurata a diritti di uguale valore – tale esercizio ad alcuno, per diverse o strane che siano le sue credenze religiose e le loro ascendenze culturali.

La mancanza nell’ordinamento di una definizione del concetto di religione non è infatti casuale, ma è ispirata alla complessità e alla polivalenza della nozione di essa e alla conseguente necessità di non limitare con una definizione precostituita e per ciò stesso restrittiva l’ampia libertà religiosa assicurata – nei limiti predetti – con la normativa costituzionale in esame. Finalità che il legislatore costituzionale ha costantemente perseguito non usando mai il sostantivo “religione” e usando in sua vece il sostantivo “confessione” accompagnato dall’aggettivo “religiosa”, espressione questa che identificando sul piano filologico un gruppo connotato da una comune professione di fede, accentua da una parte il riferimento alla persona, cui la normativa costituzionale assicura tutela, e ai suoi soggettivi convincimenti in materia, e dall’altra il distacco laicale dalle dottrine, dalle rivelazioni o dalle tradizioni caratterizzanti sul piano oggettivo una religione esistente o una sopravveniente.

La formula della norma in esame consente tuttavia una qualche possibilità pratica di individuare in via di prima approssimazione strutture sociali qualificabili giuridicamente come confessioni religiose perché il riferimento alle “confessioni religiose diverse dalla cattolica” contenuto nel secondo comma del citato art.8 Cost. offre un referente oggettivo, sostanziale e ben noto, eletto a modello dal legislatore medesimo allorquando con l’espressione suddetta ha riconosciuto natura di confessione religiosa al termine di paragone usato.

Attraverso l’interpretazione analogica e coi limiti propri della stessa pare possibile dunque – al fine e con riferimento alla “confessione cattolica” utilizzando i criteri di similarità, di contiguità e di specularità – individuare quali confessioni religiose strutture sociali – organizzate su modi similari e per finalità in qualche modo coincidenti – di individui professanti proprie credenze religiose.

Dal referente formale suddetto discende per altro versante che l’elaborazione di una definizione di religione non può essere fondata – senza violare norme di diritto costituzionale – esclusivamente sulle concezicni religiose ebraiche, cristiane e musulmane, che finirebbero per escludere le religioni politeiste, quelle sciamaniche o animiste e quelle che, come il Taoismo o il Buddhismo nelle sue varie articolazioni, non promettono al credente la vita eterna col corredo di percorsi di salvezza privilegiati dal rapporto o addirittura dalla particolare grazia di un Dio unico.

L’illegittimità – per tali ragioni palese – della definizione di religione e di quella conseguente di confessione religiosa, utilizzate dai giudici di merito a parametro delle proprie valutazioni del fatto, è nel caso particolare resa più evidente da una constatazione ulteriore.

I giudici del rinvio infatti nell’elaborata motivazione non hanno considerato che lo Stato, stipulando con l’Unione Buddhista Italiana la convenzione – di cui al d.P.R. 3.1.1991, ha riconosciuto la qualità di confessione religiosa a quella buddhista, che certamente non presuppone l’esistenza di un Essere Supremo e non propone quindi rapporti diretti dell’uomo con Lui, né hanno considerato che in forza dell’art. 2/2 del Trattato di amicizia, commercio e navigazione concluso a Roma tra l’Italia e gli Stati Uniti d’America il 2.2.1948 e ratificato con legge 18.6.1949 n. 385, la Chiesa di Scientologia, riconosciuta in U.S.A. quale confessione religiosa avrebbe dovuto esser riconosciuta in Italia e ammessa a praticarvi il proprio culto e a far opera di proselitismo se, fermo il rispetto di altri diritti di pari dignità costituzionale, della Chiesa statunitense fosse stata diretta emanazione e non fosse stata costituita invece come autocefala Chiesa di Scientologia d’Italia.

Peraltro è inveridica e parziale – secondo quanto più estesamente e sotto diversi profili è dedotto, oltre che in altri ricorsi, in quello a firma dell’avvocato Spazzali e nella memoria a firma degli avvocati Vanni e D’Agostini – la definizione del contesto culturale, nel quale si sarebbe storicamente formato in Italia il “comune sentire”. dichiaratamente costitutivo del substrato fondante l’interpretazione in punto dei giudici del rinvio.

In proposito questa Suprema Corte si limita a rilevare che tale contesto, ancorquando si vogliano escludere tanto gli apporti remoti delle filosofie e delle religioni del lontano Oriente intravisti da qualche autore nel pensiero dei sofisti, dei cinici e finanche di Platone, quanto quelli recenti determinati dalla fioritura e dalla proliferazione in Europa e in Italia di svariate dottrine religiose orientaleggianti, è stato innegabilmente influenzato dal pensiero di Arturo Schopenhauer, il quale fin nel proemio alla prima edizione della sua opera fondamentale – già nel titolo disvelatrice della proclamata ispirazione – dichiara apertamente di avere avuto il privilegio di accedere alla sapienza delle Upanishad e dei Veda, fatta propria fino al punto di concepire il mondo come proiezione della volontà individuale e quindi come mera rappresentazione e di ravvisare nella soppressione del cieco desiderio di vivere l’unica via di liberazione praticabile dall’uomo.

Le censure levate in punto da tutti i ricorrenti, sia pure sotto diverse angolazioni e con diversa dovizia di argomenti sono dunque fondate, evidente essendo che una valutazione della religiosità della Chiesa di Scientologia condotta nel. merito e sul metro di opinioni in qualche misura personali e pertanto arbitrarie invece che alla stregua dei referenti formali e oggettivi indicati nella sentenza di rinvio comporta – come sostenuto in particolare nel ricorso a firma dell’avvocato Dominioni sub II/1-1/a e 1/b) e in quello a firma dell’avvocato Leale sub V/1-l/a, 1/c e 1/d – non soltanto l’elusione del giudicato intervenuto, circa la scelta delle metodiche di valutazione applicabili in fattispecie, ma anche un inammissibile sindacato sull’essenza religiosa di una fede o di un culto, sindacato a propria volta illegittimo perché, come denunziato da alcuni ricorrenti, risoltosi nell’esercizio – da parte dei giudici del rinvio – di una potestà. non consentita ai pubblici poteri dalla voluta ed estrema genericità della nozione di religione utilizzata nella Costituzione.

Partendo dall’erronea nozione di religione, elaborata e fatta propria come sopra, la Corte di merito ha fatto quindi malgoverno degl’indici di valutazione elaborati dalla Corte Costituzionale ed enunziati indi da questa Suprema Corte nella sentenza di annullamento.

L’elusione del giudicato e i molteplici vizi di motivazione denunziati dai ricorrenti appaiono evidenti ove si consideri che, definite nei termini sucennati le nozioni di religione e di confessione religiosa; richiamati espressamente i criteri indicati da questa Suprema Corte alla stregua dei principi enucleati dalla più volte citata sentenza della Corte Costituzionale; rilevato esattamente che l’autoqualificazione di un gruppo come religioso non è sufficiente perché gli sia riconosciuta la qualifica di confessione religiosa, ma occorre che questa risulti dai dati obiettivi predetti (v. anche C. Cost. sent. 467/l992); per escludere ogni possibilità di utilizzare i primi due criteri suggeriti nella sentenza di annullamento la Corte di merito si avvale di una motivazione compendiata nel periodo “Nel caso in esame, non sono intervenute intese tra lo Stato Italiano e la Chiesa di Scientology, e neppure vi sono stati pubblici riconoscimenti di Scientology come confessione religiosa”.

Tale laconica espressione, se in ragione della constatata mancanza d’intese è sufficiente per escludere l’applicabilità in fattispecie del primo criterio di giudizio segnalato nella sentenza di annullamento, quanto all’altro criterio certamente non è sufficiente – perché apodittica – a soddisfare l’obbligo di motivazione della sentenza, imposto a pena di nullità dagli artt.474/1 n.4) e 475 n. 3 c.p.p. 1930.

Rilevato che, come denunziato dal “neppure” caratterizzante l’incipit della seconda proposizione del periodo in esame, il giudice di merito mostra di sapere che il pubblico riconoscimento conseguito all’intesa tra lo Stato e una qualsiasi confessione religiosa, per l’assolutezza e la definitività che derivano da un atto formale di per sé presupponente e implicante tale riconoscimento da parte dello Stato, è cosa ben diversa dai pubblici riconoscimenti derivati dai rapporti con organi settoriali dello Stato medesimo; diventa ovvio rilevare che al fine di escludere, come ha fatto, la sussistenza di pubblici riconoscimenti della Chiesa di Scientologia, egli avrebbero dovuto in primo luogo accertare quali altri atti formali, diversi dell’intesa, costituiscano o comportino – anche in via incidentale e soltanto agli effetti del procedimento cui ineriscono – pubblico riconoscimento di una confessione religiosa e spiegare quindi perché atti di provenienza pubblica, quali le sentenze dei giudici ordinari e di quelli tributari prodotte dagli imputati e acquisite agli atti del giudizio, adottate ed emesse in nome di quel Popolo, del quale lo Stato e la Repubblica costituiscono espressione formale, siano inidonee a costituire e, comunque, non comportino nemmeno indirettamente un riconoscimento pubblico, sia pure di valore attenuato rispetto a quello, assoluto, e definitivo, cui nel sistema di legge e deputato l’atto formale, l’intesa cioè dello Stato con le relative rappresentanze prevista dall’art. 8 della Costituzione.

Che se poi avessero voluto intendere la qualificazione di “pubblico” aggiunta al sostantivo “riconoscimento” nella sua accezione originaria di “popolare”, avrebbero dovuto spiegare perché siano inidonee al fine le dichiarazioni di migliaia di adepti, che fanno essi stessi parte del Popolo, nonché i pareri degli esperti e quelli espressi nelle sentenze dai giudici, che fanno loro pure parte del Popolo e che nel giudicare devono necessariamente avvalersi e si avvalgono delle massime di comune esperienza e del notorio.

Il vizio di motivazione denunziato da tutti i ricorrenti sussiste sotto triplice profilo anche in ordine al criterio della “comune considerazione”.

I giudici del rinvio hanno fondato infatti il loro convincimento sul presupposto che l’espressione “comune considerazione” equivalga all’espressione “opinione pubblica” addirittura “dell’intera comunità nazionale”.

Tale presupposto è errato sul piano lessicale-filologico e su quello formale.

Sul piano lessicale-filologico, perché il sostantivo opinione sottende, oltre che una qualche valutazione razionale degli elementi di giudizio disponibili, anche intuizioni, impressioni, sensazioni e moti d’animo, tutti estranei invece al sostantivo considerazione, che sottende solo una ponderata e razionale valutazione degli elementi di giudizio disponibili, e perché nel caso di specie tali sostanziali differenze sono esaltate dalle qualificazioni dei due sostantivi.

L’aggettivo “comune”, siccome riferito al sostantivo “considerazione”, espressivo di valutazioni inequivocamente soggettive ancorché in evento con altre concordanti, va inteso infatti nell’accezione di “condiviso” da altri che abbiano proceduto alle medesime valutazioni, pervenendo alle medesime conclusioni, di guisa che non si estende al di fuori e oltre la cerchia dei dotti e in genere degl’interessati al problema: l’aggettivo “pubblico” nell’accezione originarie di “popolare” all’evidenza qui usata, sta viceversa ad indicare la coralità dell’opinione medesima.

Sul piano formale il denunziato vizio di motivazione sussiste dunque sia perché non si può ritenere casuale la scelta delle parole adoperate dai giudici costituzionali per manifestare il proprio pensiero al riguardo; sia perché la pubblica opinione, espressiva per la coralità, che la contraddistingue, delle convinzioni e dei sentimenti della maggioranza – come denunziato nel ricorso a firma dell’avvocato Leale – non poò né sul piano istituzionale né, ancor prima, su quello razionale essere eretta a parametro della tutela assicurata dalla Legge fondamentale alle minoranze religiose, vale a dire al complesso dei cittadini che sul punto la pensano diversamente; sia perché i giudici del rinvio non hanno proceduto alla valutazione unitaria del contesto probatorio evidenziato in sentenza, metodica d’esame questa, che, imposta loro dall’art. 192/1 c.p.p. 1988, applicabile in fattispecie ex art. 245/2/b delle disposizioni di attuazione di detto codice, avrebbe potuto portarli a diversa conclusione, conforme essendo anche alle massime di comune esperienza che il coordinamento in unitario contesto di emergenze processuali di per sé e da sole scarsamente significative può a volte dar luogo alla formazione di una prova risolutiva.

Il vizio di motivazione denunziato, sussistente per le ragioni sopra evidenziate, si manifesta evidente anche sotto diverso profilo.

Ed invero, dopo aver dichiarato senza spiegazione alcuna che l'”opinione pubblica dell’intera comunità nazionale” non può essere identificata con le sentenze di alcuni giudici di merito e con le decisioni di alcune commissioni tributarie e neppure coi “pareri, per quanto autorevoli manifestati da taluni studiosi italiani”; dopo aver precisato che – a dispetto della globalizzazione dell’informazione e degli accessi sempre più numerosi aperti verso la stessa dal moltiplicarsi delle fonti mediatiche – i “pareri di studiosi stranieri non concorrono a formare l’opinione pubblica italiana” e che al fine non sono utilizzabili nemmeno “le sentenze di Autorità Giudiziarie di altri Stati”; i giudici di merito non hanno spiegato da quali altre manifestazioni di pensiero e donde, comunque, si dovrebbe dedurre la pubblica opinione dell’intera comunità nazionale e da quali fonti essi di fatto l’abbiano dedotto, di guisa che le loro affermazioni al riguardo sono meramente apodittiche, incontrollabili sul piano della legittimità e arbitrarie nei termini sucennati perché espressione, come già rilevato, di un giudizio di merito non consentito in tema ad alcun potere dello Stato.

Proseguendo infatti sulla linea tracciata con la definizione sucennata della nozione di “religione” e sull’autorità di tale definizione i giudici del rinvio hanno escluso nel merito la religiosità di Scientology sulla considerazione, conclusiva sul punto, che “a questa dottrina manca quel che nel comune sentire”, rimasto indefinito in sentenza, “è un elemento indispensabile perché ci si trovi di fronte ad una religione: manca il concetto della salvezza dell’anima…. realizzata attraverso un legame fra l’uomo e la divinità”.

Poco più avanti però, passando all’esame degli Statuti della Chiesa di Scientologia di Milano hanno evidenziato che la tecnologia di liberazione individuale propria dell’associazione, consistente in un “insieme di verità e di metodi di applicazione sviluppati da L. Ron Hubbard dalle sue osservazioni e ricerche”, intende porre l’uomo “in grado di rispondere alle proprie domande e risolvere i propri problemi”, rendendolo “consapevole della sua conoscenza dell’Essere Supremo con riferimento al Dio che l’uomo trova in se stesso”.

Le affermazioni e i principi estratti in tal guisa dagli Statuti di Scientologia – come posto in rilievo, per motivi in parte diversi, dai ricorrenti e più incisivamente da quelli difesi dall’avvocato Leale – contraddicono però manifestamente le conclusioni, cui i giudici del rinvio sono pervenuti in proposito, appartenendo tali principi a religioni diverse e, specialmente quanto al fine ultimo – la conoscenza di Dio – alla stessa religione cristiana.

L’evidente sincretismo delle dottrine riassunte nei termini succitati – fenomeno non raro sul piano della Storia – mostra in generale palesi analogie con tutte le religioni, che indicano quali metodiche di accesso a Dio l’esperienza estatica – perseguita tanto con veicoli fisici estesi dalle tecniche di governo del corpo e del respiro e dai mezzi di mortificazione o di esaltazione ascetica alla danza estenuante e alla assunzione di liquori inebrianti o fermentati, e l’ascesi propriamente detta perseguita con l’introspezione, con la meditazione o con la preghiera; e in particolare e quanto ai percorsi di salvezza, in Occidente, con l’insegnamento socratico fondato sul valore dell’autoconoscenza suscitatrice della coscienza del dovere, sulla divina forza propulsiva del Logos e sulla forza ispiratrice altrettanto divina del Daimon, che ogni persona ha in sé; e in Oriente con la dottrina del Tao, che pone nello straniamento di sé attraverso la meditazione profonda e protratta l’unica possibilità d’intravedere la Potenza creatrice.

Più specificamente, ove si consideri che secondo la religione cristiana premio eterno del credente meritevole è il Paradiso, inteso come visione beatifica di Dio, non par dubbia l’incoerenza della conclusione sucennata rispetto alla stessa definizione di religione, cui con una “certa rigidità di pensiero” da loro stessi avvertita si sono attenuti i giudici di merito, i quali non hanno considerato che fine proclamato della Dianetica è la liberazione dello spirito dell’uomo mediante la conoscenza dello stesso spirito di Dio, che è in lui.

D’altra parte e a monte delle considerazioni sopra svolte in tema di limiti costituzionali della giurisdizione in soggetta materia, rilevati come sopra da alcuno dei difensori in ricorso, la religiosità di Scientology non può essere esclusa in ragione della asserita scientificità del percorso di liberazione elaborato dal fondatore di essa. Come rettamente osservato nel ricorso a firma dell’avvocato Leale, il fatto che San Tommaso definì Scienza la Teologia non esclude infatti la religiosità delle varie Chiese cristiane e il dettato della norme costituzionali più volte citate preclude qualsiasi apprezzamento di merito sul credo religioso.

Epperò i giudici del rinvio, pur avendo escluso nei termini sucennati la religiosità di Scientology; rilevato sull’autorità della citata sentenza della Corte Costituzionale che “il tema deve essere affrontato facendo riferimento alla reale natura dell’ente e all’attività in concreto svolta” e che pertanto la autoqualificazione statutaria “non è sufficiente per riconoscere al gruppo la natura di confessione religiosa” ma è necessario che tele carattere “risulti da dati obiettivi, desumibili attraverso i criteri sopra indicati” decampando ancora una volta da tali criteri meramente formali, escludono il carattere predetto sulla base di molteplici rilievi, ritenendo le modifiche statutarie, la terminologia di nuova introduzione e l’uso di simboli religiosi “Un mero espediente preordinato al fine di ottenere il trattamento più favorevole riconosciuto alle associazioni religiose e di evitare l’addebito …. di esercizio abusivo della professione medica”.

Anche l’itinerario argomentativo percorso dai giudici del rinvio per giungere a tali conclusioni e infirmato dai denunziati vizi d’illogicità manifesta e di violazione di legge.

In generale e quanto al metodo di esame degli statuti infatti non hanno specificato quali siano e quanto siano “sicuri” gli “indici”, asseritamente non rinvenuti, del “carattere religioso” di un’associazione e di quella in esame particolarmente. E’ impossibile dunque capire perché, sebbene gl'”indici” desumibili da un qualsiasi documento scritto possano essere soltanto letterari, “indici sicuri” di tale carattere non hanno tuttavia ritenuto né la ricorrenza nello statuto da ultimo esaminato dei sostantivi “chiesa e religione” né il “riferimento ad opere letterarie religiose, a riti e alla cura delle esigenze spirituali” né il parlare che vi si fa di “fedeli”. Anzi, pur avendo messo in rilievo che seconda l’art. 3 di detto Statuto la Scientologia deve essere “intesa come l’organizzazione di assiomi e tecnologie funzionali, nella tradizione delle scienze esatte, per la soluzione dei problemi fondamentali dell’esistenza e del pensiero e per il conseguimento della libertà dello spirito umano”; quasi che il fenomeno religioso e i percorsi di liberazione e di ritorno a Dio Creatore segnati da varie religioni comprese quelle di ascendenza biblica, alle quali dichiaratamente si rifanno in via esclusiva, avessero fondamenta meramente razionali; ancora una volta sono incorsi nell’errore di evidenziare un’asserita contraddittorietà intrinseca del le credenze di Scientologia, ravvisata nella pretesa di usare princìpi e tecniche proprie delle scienze esatte per finalità religiose: il che, anche a prescindere dai limiti costituzionali più volte evidenziati, non può essere criticato sul piano razionale – come argomentatamente rilevato sub 1/L) anche nel ricorso a firma dell’avvocato Leale – proprio perché ciò per gli scientologisti è articolo e fondamento di fede e perché l’uso di tecniche fisiche e di mezzi materiali per conseguire una qualche lontana visione del mondo dello Spirito e degli Spiriti non è estraneo, come già evidenziato, a diverse Religioni.

E’ fondata altresì la censura formulata nel ricorso a firma dell’avvocato Leale e relativa all’omesso esame dello Statuto fondamentale di Scientology, che in Italia non è quello della Chiesa di Milano, dalla Corte territoriale presunto senza alcuna spiegazione uguale o ispiratore di quello di altre Chiese locali, ma quello – cui pure han fatto riferimento a pag. 36 della sentenza – della Chiesa di Scientology d’Italia, alle cui direttive quella di Milano si dice assoggettata nel contesto dell’organizzazione nazionale della chiesa medesima.

E’ evidente infatti sul piano logico che non si può correttamente definire la natura di un’associazione articolata in vari gruppi attraverso l’esame dello Statuto particolare di uno di essi, per quanto importante, senza tener conto alcuno di quello proprio dell’intera associazione in sé considerata, nella quale ciascun gruppo si riconosce e dalla quale riceve a propria volta riconoscimento e direttive.

Passando all’esame particolare degli argomenti utilizzati nella sentenza impugnata, questa Corte rileva, conformemente alle censure levate da alcuni imputati nel ricorso a firma dell’avvocato Vanni sub 4, che i giudici del rinvio hanno acriticamente e immotivatamente attribuito alle dichiarazioni del teste Atack e a quelle del teste Armstrong, qualificato in sentenza “già braccio destro di Hubbard”, una valenza e una credibilità assolute, escluse in .fattispecie – o quanto meno efficacemente contrastate – sul piano razionale da una più attenta considerazione delle risultanze.

Sulla credibilità di entrambi i testi tace infatti la Corte di merito, che non ha nemmeno collocato nel tempo e nello spazio le dichiarazioni predette; non ha fatto cenno alcuno alle fonti di conoscenza utilizzate dall’Atack e alle ragioni che interruppero il rapporto dell’Armstrong con l’Hubbard; non ha precisato in quale contesto tali dichiarazioni furono raccolte e, se raccolte in un procedimento giudiziario, in quale relazione esse si siano collocate con l’esito di esso, né ha indicato per quali vie sono state acquisite al procedimento; ma soprattutto ha dimenticato che secondo la ricostruzione storica estesa nella prima pagina della loro sentenza la nascita della Dianetica precede nel tempo e di molti anni quella della Chiesa di Scientology, nata sull’onda del successo riscosso dalle teorie asseritamente scientifiche elaborate dall’Hubbard nel primo e nei “numerosi altri libri sullo stesso tema”, di guisa che sul piano logico, mentre non si può escludere che la spinta finale alla creazione della Chiesa di Scientology sia venuta dalle ragioni esposte dai due testi predetti, nel silenzio in proposito dei giudici di merito non si può escludere nemmeno che la Chiesa sia nata dallo sviluppo delle dottrine dianetiche e per il concorso di adepti sempre più numerosi. Nessuna confessione religiosa potendo prescindere – se vuole esistere – dalla diffusa conoscenza delle proprie dottrine fondamentali, è evidente infatti che come la diffusione e la conoscenza della Buona Novella determinarono la nascita delle Chiese cristiane, la diffusione e la conoscenza della Dianetica in territorio di missione o di espansione costituivano premessa indispensabile alla fondazione delle varie Chiese Nazionali e locali di Scientologia, come più avanti risulterà anche da una delle testimonianze utilizzate e riportate nella sentenza impugnata.

Quest’ultima ovvia considerazione disvela l’inconsistenza dei due argomenti successivi – in narrativa riassunti sub b) e sub c) – logica, conducente e preordinata apparendo in tale contesto la previa fondazione dell’Istituto di Dianetica, siccome strumento idoneo a propagandare le idee e le teorie dell’Hubbard, che sarebbero poi andate a costituire la dottrina e l’ordinamento della nuova Chiesa di Scientologia. La rilevata mancanza, di “alcun cambiamento nell’attività dell’organizzazione”, che doveva esser volta alla cura dei fedeli e dei neofiti in particolare è dunque priva di significato, dato che sotto l’aspetto propagandistico la nuova struttura nulla avrebbe potuto aggiungere o cambiare, immutate essendo rimaste le fondamenta dottrinarie dell’uno e dell’altro istituto e la volontà di diffonderne la conoscenza .

La mancata illustrazione e l’omessa considerazione del contesto, nel quale ogni singola emergenza deve essere valutata a sensi dell’art. 192/1 c.p.p., svuota altresì di qualsiasi contenuto indiziante la circostanza che in un documento sequestrato nella sede di Roma si lamentassero genericamente le difficoltà incontrate dall’Istituto di Dianetica divenuto “un chiaro bersaglio” nell’operare senza le coperture proprie della confessione religiosa, “in un cerchio d’interessi politici, economici e finanziari” e si valutavano le “conseguenze di non esser Chiesa in Italia”. Tali espressioni infatti, avulse dal contesto loro proprio, hanno all’evidenza significato polivalente, potendo essere state adoperate per giustificare la scarsità dei risultati conseguiti o il fallimento degli obiettivi programmati ovvero, ancora più semplicemente, per sollecitare la fondazione anche in Italia di una Chiesa di Scientologia, della quale i partecipanti avvertivano il bisogno.

Né maggiore valenza può essere attribuita alle dichiarazioni della teste Visconti riassunte sub d) e tanto non solo perché, come posto in rilievo specialmente nei ricorsi a firma degli avvocati Spazzali e Dominioni, esse rimaste isolate sono asseritamente contrastate da decine di indicate deposizioni di segno contrario, del tutto pretermesse dai giudici di merito nonostante l’obbligo del loro esame fosse stato espressamente ribadito nella sentenza di rinvio, ma soprattutto perché proprio dalle espressioni testuali riportate in sentenza alle pagine 39 e 40 risulta irrefutabilmente che la Scientologia le fu definita “religione” proprio quando le dissero che non c’era nessuna “incompatibilità tra le due religioni”, cioè tra quella di Scientology e la Cristiana e che “anche la Chiesa Cattolica è un dogma”, proprie essendo ed esclusive delle religioni le credenze dogmatiche.

Analoghe considerazioni valgono per le dichiarazioni rese da alcuni altri testi. Se e vero infatti che, come fra quelli citati in sentenza dicono il teste Capezza e, letteralmente, il teste Garrone, – il quale inconsapevolmente esemplifica col proprio caso la tecnica di proselitismo sopra ipotizzata e spiega le ragioni per le quali la fondazione dell’Istituto di Dianetica precedette quella della Chiesa di Scientologia – “sicuramente all’inizio Dianetica” gli fu “presentata dai suoi diffusori come un corso o… una serie di corsi attraverso i quali migliorare le condizioni spirituali” e che in “prosieguo… invece la cosa” gli fu “rappresentata sempre più come una sorta di credo religioso e come tale da accettare in toto senza discutere”; la circostanza che altri testi, dei quali non è stata accertata la partecipazione alla Chiesa di Scientologia, ma solo la frequenza dei corsi di Dianetica, non abbiano sentito parlare di pastori o di consulenze pastorali è del tutto irrilevante al fine di dedurne che, contrariamente alle risultanze statutarie, la Chiesa di Scientologia – e non già l’Istituto di Dianetica – non ha un credo religioso, non ha pastori, non svolge l’attività pastorale, che ogni confessione religiosa generalmente riserva ai fedeli e non rivolge le proprie cure ai catecumeni, nel caso di specie affidate programmaticamente agli operatori dei corsi di Dianetica, che, come risulta dall’esame dello Statuto della Chiesa di Scientologia di Milano fatto dalla Corte di merito, “è parte integrante della Scientology”.

Del pari, circa l’asserita mancanza di un credo religioso originale e comunque esclusivo di Scientology, va preliminarmente rilevata l’incongruenza sul piano scientifico e sul piano empirico dell’affermazione contenuta in sentenza e secondo la quale “una confessione religiosa non può prescindere da una concezione della vita che sia affatto originale e propria”. Tale definizione non è coerente nemmeno rispetto alla ristretta nozione di religione fatta propria dai giudici di merito, notorio essendo che tanto all’Ebraismo, quanto al Cristianesimo e all’Islamismo si ispirano diverse confessioni religiose, che hanno in comune – e non già in esclusiva – la parte essenziale del credo, fondato quanto alla prima delle grandi religioni monoteistiche soltanto sulla parola dei Profeti e quanto alle altre due, rispettivamente ma non esclusivamente, su quella del Cristo e su quella di Maometto.

Il fatto che la Chiesa di Scientologia non abbia “una concezione della vita … affatto originale e propria” sarebbe dunque del tutto irrilevante così come, secondo quanto rettamente sostenuto nel ricorso a firma dell’avvocato Leale sub 1-1/f, al fine di dimostrare l’irreligiosità dell’associazione è irrilevante l’asserita compatibilità del credo di Scientology con quello di altre confessioni, tale compatibilità essendo propria di diverse confessioni religiose e anche del Buddhismo, religione riconosciuta dallo Stato.

Quanto infine alla natura asseritamente scientifica e oggettiva – e quindi non religiosa – delle pratiche di “auditing” e di “purification”, quale che ne sia – se vi sia – il contenuto terapeutico, questa Corte deve osservare che, come già evidenziato sopra, qualsiasi Religione, compresa la cristiana, conosce e attua ai propri massimi livelli tecniche ascetiche e di purificazione, che, se non hanno la pretesa di definirsi scientifiche, hanno tuttavia una loro oggettività, quasi sempre dolorosa anche sul piano fisico, quali la flagellazione, la clausura, la solitudine, la mortificazione della carne, l’astensione dal cibo in generale e dalle carni in particolare, il digiuno periodico. La pretesa scientificità del percorso interiore di salvezza proposto da Scientology, contestabile nelle sue fondamenta asseritamente scientifiche, non vale dunque a comprovarne un’asserita irreligiosità, ontologicamente religioso essendo ogni percorso spirituale asseritamente conducente ad una migliore conoscenza di Dio.

Rilevato da ultimo e a questo proposito che al fine di determinare la natura religiosa dell’associazione o di denegarla, come hanno fatto, i giudici di merito, secondo il rilievo espresso nella sentenza di annullamento, avrebbero dovuto tener conto – e non l’han fatto per niente a tenore delle censure levate più ammennicolatamente nei ricorsi a firma Spazzali, Dominioni e Leale – “delle numerose testimonianze assunte nel corso dell’istruzione nonché della copiosa documentazione prodotta dai difensori degl’imputati, volte a dimostrare il carattere religioso di Scientology”, non par dubbia la fondatezza delle censure levate dai ricorrenti sotto i diversi profili di illegittimità denunziati.

Solo per debito di completezza quindi si passa all’esame dell’impugnata sentenza su altro versante.

Esclusa nei termini sopra rilevati la natura religiosa dell’associazione in questione e considerato che questa Corte di legittimità aveva ritenuto eccessiva la generalizzazione indotta dai pochi casi esaminati al fine di ritenere costituita per delinquere l’associazione medesima, la Corte territoriale è pervenuta per altra via alla medesima conclusione nei termini riassunti in narrativa, assumendo in primo luogo che l’associazione sia stata costituita soltanto a scopo di lucro e in secondo luogo che i singoli imputati – determinatisi in sedi diverse a commettere reati omologhi anche nei contenuti – obbedissero a comuni direttive e fossero quindi consapevoli di contribuire a tale programma.

Ha fondato la prima asserzione, come dice, “su vari elementi probatori” e in particolare su due direttive impartite dallo stesso fondatore per insegnare ai destinatari “come fare soldi a palate per l’organizzazione”; per chiarire che i compiti dei F.B.O., cioè degli addetti alla raccolta dei fondi, sono “1. Far sì che l’org. faccia più soldi. 2. Dare all’org. Uno staff ben pagato. 3. Rendere molto conveniente per Flag dirigerla e aiutarla”; per spiegare quale sia il ciclo, che, “seguito correttamente, porta denaro alla organizzazione”.

Tali risultanze sono però ben lontane dall’avere il rilievo loro attribuito dai giudici di merito, i quali nel valutarle sono incorsi nel vizio di motivazione illogica e sotto alcuni aspetti carente.

Essi infatti non hanno considerato che

a) la diffusione delle dottrine religiose – come tutte le attività umane – ha un proprio costo economico, comprimibile ma non eliminabile e di solito fronteggiato proprio con l’obolo dei fedeli e dei simpatizzanti;

b) gli scritti – due appena sui circa ottomila a firma dell’Hubbard – sono indirizzati agli addetti alla struttura economica di supporto dell’organizzazione e non già alla generalità degli adepti, di guisa che non si può fondatamente sostenere che essi caratterizzano e connotano nel senso ritenuto in sentenza il complesso dottrinario sul quale fonda la cosiddetta Chiesa di Scientologia;

c) come si legge proprio nei brani di tali scritti riportati in sentenza, i soldi dovevano essere raccolti “per l’organizzazione” e per pagare bene coloro che per essa lavoravano;

d) quelle stesse religioni, che secondo il parere dei giudici di merito avrebbero determinato il “comune sentire” in materia, hanno da sempre imposto ai fedeli il pagamento di oboli, ai loro primordi estesi ben oltre il valore pressoché simbolico, cui ora sono ridotti, se è vero che, come risulta dagli Atti degli Apostoli e come attestato da Tertulliano nell’Apologeticon, la partecipazione alla Comunità dei credenti, cioè all’Ecclesia, comportava la rinunzia alla proprietà privata e la consegna al Vescovo dei beni personali e se finanche Sant’Ambrogio – qualche secolo dopo – pur ritenendo lecito il privato possesso, definì la proprietà privata un’usurpazione.

Più penetrante appare invece, ma solo ad una prima lettu.ra avulsa dal contesto, l’argomento tratto da brani estratti da due diversi numeri del Bollettino internazionale di management della Chiesa di Scientology internazionale. Nel primo di detti brani si legge, tra l’altro e testualmente, che il ”solo motivo per cui LHR fondò la Chiesa e lavorò con essa, fu quello di vendere e consegnare direttamente Dianeties e Scientology… questo è il solo motivo per cui esiste la Chiesa!”; nel secondo si legge: “Voi siete lì per vendere e consegnare materiale e servizi a clienti.”; in entrambi si danno indicazioni particolareggiate su metodiche di vendita, sconcertanti per la loro intrinseca aggressività.

Va però. considerato che, mentre la particolare crudezza del linguaggio e l’aggressività delle metodiche di promozione e di vendita dei libri e dei servizi, in cui si compendia l’attività di proselitismo dell’associazione, vanno correlate all’inusitata struttura propriamente commerciale supportante l’opera di proselitismo predetta e in generale il finanziamento dell’organizzazione, largo e costante secondo gli insegnamenti del fondatore; tali bollettini non sono stati indirizzati alla generalità degli associati, ma – come rilevato più particolareggiatamente nel ricorso a firma dell’avvocato Leale sub 1-1/r – solo a quelli che, secondo l’espressione riportata in sentenza, sono “lì per vendere e consegnare materiale e servizi ai clienti”, cioè a coloro che in seno all’articolata organizzazione hanno il particolare compito di procacciare detto finanziamento mediante la vendita di libri e di servizi.

D’altra parte, se la ricerca e l’aggregazione dei proseliti – indefettibilmente propria di ogni religione o confessione religiosa – deve, secondo i piani del fondatore, avvenire mediante la vendita e la consegna diretta di Dianetica e di Scientologia, la circostanza che nello scritto da alcuno degli addetti a tali vendite indirizzato generalmente ad altri addetti si asserisca che Hubbard fondò la Chiesa di Scientologia solo a tal fine, se è limitata e racchiusa nella ristretta e rozza visione commerciale propria dello scrivente, certamente non intacca il fine di proselitismo liberamente e deliberatamente perseguito attraverso il supporto della struttura commerciale ridetta, non potendo le indicazioni fornite dagli esperti commerciali far aggio né sulle risultanze statutarie ne sull’insegnamento del fondatore e delle gerarchie dirigenti le strutture propriamente religiose dell’organizzazione.

Sul piano meramente logico infine la crudezza delle metodiche adoperate dall’organizzazione in esame appare assai meno eccessiva ove si considerino le metodiche di raccolta dei fondi in passato adoperate dalla Chiesa Cattolica, cui nessuno si è mai sognato di negare sul loro fondamento la natura di confessione religiosa sua propria. Secondo gli Atti degli Apostoli infatti Anania e sua moglie Safira morirono nello stesso momento in cui, separatamente e l’una di seguito all’altro, negarono al loro vescovo di aver trattenuto per uso personale una qualche parte delle somme ricavate dalla vendita dei loro beni, per la maggior parte consegnategli – come allora era ritenuto dovere di ogni convertito – ad uso della comunità dei credenti e che nel nostro mondo cristiano e occidentale, sia pure in altri tempi e a diverso stadio della civilizzazione, la vendita delle indulgenze, al di là delle giustificazioni – certamente valide sul piano della fede, ma non su quello della razionalità pura circa il loro asserito fondamento sul sacramento della penitenza – fondò essenzialmente su un’insopportabile e terrorizzante enfatizzazione del le sofferenze espiatorie riservate ai credenti nell’Aldilà e si tradusse sul piano pratico nella garanzia di un anticipato riscatto da tali sofferenze, pagato con denaro contante, volto indifferentemente alla realizzazione di opere religiose e di carità come al finanziamento di guerre di religione o a garantire l’esercizio di fatto di diritti feudali su territori italiani.

Né può avere significato alcuno – se non quello di documentare proprio l’esistenza di servizi religiosi dai giudici di merito denegata in altra parte della sentenza – l’offerta ai fedeli di tali servizi con esplicitazione dei relativi costi come risultante da altro documento intitolato “Donazioni per i servizi”. Fino a qualche lustro addietro infatti elenchi non meno precisi e dettagliati erano notoriamente affissi alle porte di non poche sacrestie di Chiese cattoliche e informazioni del genere forniva in ogni caso e al bisogno qualsiasi sacerdote richiesto di servizi religiosi, oggi per la verità e altrettanto notoriamente forniti gratis, salvo la possibilità ammessa di liberi donativi.

Come più specificamente dedotto nel ricorso a firma dell’avvocato Pesce, resta poi inspiegato in sentenza – e l’argomento appare dirimente – perché mai operatori e adepti avrebbero dovuto entrare a far parte di un associazione per delinquere costituita per fini di lucro se gli utili dalla stessa conseguiti restavano tutti a disposizione dell’organizzazione e non venivano suddivisi né erano destinati ad esserlo prima o poi, sia pure per quote diverse, fra gli associati tutti, fatto questo spiegabilissimo invece ove si ritenga che costoro intendevano con la propria adesione far parte di un associazione con finalità, quantomeno latamente, religiose e comunque non criminali.

Rettamente quindi si afferma nei ricorsi a firma dell’avvocato Dominioni sub 2-2/b e 2/c, dell’avvocato Vanni sub 3-3/a e 3/b e dell’avvocato Leale sub 1-1/n e 1/q, che, non essendo stato ravvisato alcun reato nell’ordinarietà dei casi documentati dalle decine di migliaia di fascicoli relativi agli appartenenti alla predetta associazione e costituendo viceversa un’eccezione alle regole di condotta generale i reati ravvisati dalla pubblica accusa in esiguo numero di casi, la liceità statutaria dell’associazione non può non riverberare i propri effetti sull’accertamento del dolo in capo a ciascun imputato, che, se convinto di partecipare alla realizzazione degli scopi statutari, non può esser consapevole di partecipare ad un’associazione per delinquere.

Nel contesto così evidenziato dal giudice del rinvio il disinteresse per le condizioni di salute degli adepti, asseritamente constatato in alcuni casi isolati, l’uso di tecniche di vendita truffaldine e l’abuso della credulità di alcuni di costoro appaiono soltanto quali sintomi, sia pure eclatanti, di isolate devianze, non attribuibili all’organizzazione in sé quali pratiche costanti di vita associata imposte ai vari operatori e prive perciò del significato generale loro ancora una volta attribuito dai giudici di merito, i quali – come posto in rilievo in vari ricorsi e in particolare in quelli a firma dell’avvocato Leale sub 1-1/q – così facendo, ancora una volta non hanno tenuto conto del giudicato interno, avendo questa Suprema Corte statuito nella sentenza di annullamento che i pochi casi accertati di responsabilità in ordine ai cosiddetti reati fine non giustificavano né sul piano formale né su quello meramente razionale l’esistenza e finanche la costituzione stessa di un’associazione criminale tanto estesa e ramificata.

Qui si aggiungerà soltanto che in mancanza di più saldi ancoraggi oggettivi la convergenza delle condotte attribuite a singoli operatori e le uniformi modalità di commissione dei reati diversi di quello associativo loro ascritti, a dire dei giudici del rinvio riferibili alla comunanza e all’identità delle direttive ricevute, possono sul piano razionale essere indifferentemente attribuite all’identità delle condizioni dell’azione umana , nelle quali i singoli imputati furono chiamati ad operare o alla rigidità propria dello schema tipico dei reati loro contestati.

Va rilevato infine che gli stessi giudici di merito, accennando appena ad alcuni casi di rimborso effettuati – non si dice se dall’Istituto di Dianetica o dalla Chiesa di Scientologia – ad alcuni adepti insoddisfatti delle prestazioni ricevute e spiegando che detti rimborsi hanno avuto luogo “per la forte determinazione del richiedente o di fronte a minaccia di denuncia”, giustificano in linea di principio i tentativi prescritti dalle autorità preposte o effettivamente svolti dagli operatori per convincere altri proseliti, evidentemente ritenuti dubbiosi e incerti, a recedere dalle proprie richieste di rimborso e a restare quindi nell’organizzazione, di guisa che nessuna negativa illazione di ordine generale può essere dedotta da tale circostanza, specie ove si consideri nei termini già segnati ai giudici del rinvio dalla sentenza di annullamento e da costoro ancora una volta pretermessi, che un numero incomparabilmente più grande di adepti non chiese restituzione alcuna delle somme, a volte oggettivamente ingenti, versate all’organizzazione.

E’ evidente dunque – anche in ragione delle violazioni di legge nonché delle illogicità e delle carenze motivazionali rilevate – che il giudice del rinvio è venuto meno agli obblighi – impostigli dalla sentenza di annullamento – di giustificare il proprio convincimento secondo lo schema ivi esplicitamente enunziato e sopra più ampiamente richiamato in narrativa, procedendo al compimento delle particolari indagini, ritenute necessarie dal giudice di legittimità per accertare o per escludere che la Chiesa di Scientologia è una confessione religiosa nonché – nel rispetto dei vincoli impostigli dall’evidenziata esiguità numerica dei reati contestati a fronte dell’elevato numero di persone contattate dalla Chiesa predetta – ad accertare la sussistenza del reato associativo contestato, previa considerazione delle risultanze a discarico segnalate dalla difesa, richiamate nella sentenza di annullamento e non valutate nella sentenza annullata, e tenendo presente che “la responsabilità dei dirigenti di Scientology nel reato di associazione per delinquere” non può essere provata attraverso la præsumptio de præsunto.

Ne consegue in diritto l’annullamento dell’impugnata sentenza con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte d’Appello di Milano, che procederà alle indagini prescritte nella prima sentenza di annullamento emessa da questa Suprema Corte il 9.2.1995 e si atterrà ai principi e ai criteri di diritto in quella e in questa sentenza enunziati.

P.Q.M.

annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte d’Appello di Milano.

Deciso l’8.10.1997

Il Presidente

Luigi Sansone

Il Consigliere rel.

Antonino Assennato

Depositato in Cancelleria

oggi, 22 ott. 1997

Il Collaboratore di Cancelleria

Lidia Scalfa

Collaboratore di Cancelleria

Lidia Scalfa