Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 22 dicembre 2015, n.25767

Seppure l’astratta riconoscibilità della
legittimazione attiva del minore disabile non trovi un ostacolo
insuperabile nell’anteriorità del fatto illecito alla
nascita, giacché si può essere destinatari di tutela
anche senza essere soggetti dotati di capacità giuridica ai
sensi dell’art. 1 c.c., il supposto interesse a non nascere
mette in scacco il concetto stesso di danno. Anzitutto, perché,
in questo modo, si farebbero interpreti unilaterali i genitori
nell’attribuire alla volontà del nascituro il rifiuto di
una vita segnata dalla malattia, come tale, indegna di essere vissuta;
in secondo luogo, perché l’ordinamento non riconosce
“il diritto alla non vita” e conseguentemene
l’esistenza del cd. “diritto di non nascere se non
sani”. Parimenti è infondata l’invocazione del
diritto di autodeterminazione della madre, leso dalla mancata
informazione sanitaria, ai fini di una propagazione intersoggettiva
dell’effetto pregiudizievole. Con riguardo a tale censura, la
Corte di legittimità ha infatti chiarito che non si può
pretendere di estendere al nascituro una facoltà che è
concessa dalla legge alla gestante, in presenza di rigorose condizioni
(art. 6 della legge n. 194 del 1978).

Sentenza 23 dicembre 2015

La Corte d’appello di Roma ha rigettato il ricorso del P.M.
avverso la sentenza del Tribunale per i minorenni di Roma del 30 luglio
2014
che aveva disposto l’adozione di una bambina da parte
della compagna della madre. I giudici d’appello affermano,
infatti, che quando vi sia una stabile relazione genitore/figlio,
l’art. 44 lett. d della Legge n. 184 del 1983 consente di
disporre l’adozione, dovendosi cioè valutare se nel caso
concreto l’adozione avvenga nell’interesse del minore.

Sentenza 16 ottobre 2015

Non vi è alcuna ragione per ritenere in linea generale
contrario all’ordine pubblico un provvedimento straniero
che abbia statuito un rapporto di adozione piena tra una persona
non coniugata e il figlio riconosciuto del partner, anche dello
stesso sesso, una volta valutato in concreto che il
riconoscimento dell’adozione, e quindi il riconoscimento di
tutti i diritti e doveri scaturenti da tale rapporto,
corrispondono all’interesse superiore del minore
al mantenimento della vita familiare costruita con ambedue
le figure genitoriali e al mantenimento delle positive
relazioni affettive ed educative che con loro si sono
consolidate, in forza della protratta convivenza con ambedue e
del provvedimento di adozione; ne consegue che tale provvedimento
è suscettibile di trascrizione nei registri dello Stato
Civile.

Corte Appello Milano, sez. Persone, Minori,
Famiglia, 16 ottobre 2015 (Pres. Bianca La Monica, est. M.
Cristina Canziani)

Sentenza 05 novembre 2015, n.221

E' infondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 1, comma 1, della legge 14 aprile 1982, n. 164 (Norme
in materia di rettificazione di attribuzione di sesso), sollevata, in
riferimento agli artt. 2, 3, 32, 117, primo comma, della Costituzione,
quest’ultimo in relazione all’art. 8 della Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950,
ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848.
L’esclusione del carattere necessario dell’intervento
chirurgico ai fini della rettificazione anagrafica appare infatti il
corollario di un’impostazione che − in coerenza con
supremi valori costituzionali − rimette al singolo la scelta
delle modalità attraverso le quali realizzare, con
l’assistenza del medico e di altri specialisti, il proprio
percorso di transizione, il quale deve comunque riguardare gli aspetti
psicologici, comportamentali e fisici che concorrono a comporre
l’identità di genere. L’ampiezza del dato letterale
dell’art. 1, comma 1, della legge n. 164 del 1982 e la mancanza
di rigide griglie normative sulla tipologia dei trattamenti rispondono
all’irriducibile varietà delle singole situazioni
soggettive. Rimane tuttavia ineludibile un rigoroso accertamento
giudiziale delle modalità attraverso le quali il cambiamento
è avvenuto e del suo carattere definitivo. Rispetto ad esso il
trattamento chirurgico costituisce uno strumento eventuale, di ausilio
al fine di garantire, attraverso una tendenziale corrispondenza dei
tratti somatici con quelli del sesso di appartenenza, il conseguimento
di un pieno benessere psichico e fisico della persona. Il trattamento
chirurgico non deve dunque essere considerato quale prerequisito per
accedere al procedimento di rettificazione, ma possibile mezzo,
funzionale al conseguimento di un pieno benessere psicofisico.