Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 25 luglio 2005, n.932

Il diritto di libertà religiosa sancito dall’art. 9 della CEDU
include la libertà di manifestare il proprio credo ed in particolare
di esercitare il culto. Le condizioni di lavoro possono però trovarsi
in conflitto con le modalità di esercizio del culto; nel caso di
specie, turni lavorativi che includono la domenica contrastano con il
desiderio del lavoratore cristiano di godere del giorno festivo
previsto dalla propria religione. L’art. 9, 2° comma della CEDU
permette tuttavia restrizioni al diritto di manifestare la propria
fede religiosa; dunque è da ritenersi che il datore di lavoro non
abbia un obbligo assoluto di rispettare il diritto del dipendente
all’esercizio del culto, ma possa limitarlo, tenendo conto delle
necessità dell’impresa. Un dipendente che rifiuti di lavorare la
domenica in ragione della sua religione, può perciò essere
legittimamente licenziato e la sua libertà religiosa non risulta
violata se la restrizione operata (in questo caso la fissazione di un
turno domenicale) è ragionevole e risponde alle necessità economiche
dell’impresa.
Il datore di lavoro dovrà ad ogni modo cercare di predisporre
specifici aggiustamenti a favore delle esigenze religiose del
dipendente; tuttavia il licenziamento appare giustificato in base
all’Employment Rights Act 1996 se è stato fatto tutto il possibile
per porre in atto tali aggiustamenti e per giungere ad una soluzione
di compromesso che permetta al dipendente l’esercizio del suo
diritto (cosa accaduta nel caso di specie, dove era stato offerto un
posto di lavoro alternativo nella medesima azienda, nel quale non
erano previsti turni lavorativi la domenica).
Quanto alla motivazione del licenziamento, essa non è rinvenibile
nella religione del dipendente, ma nel suo rifiuto ad adeguarsi
all’orario di lavoro previsto e ad accettare altre soluzioni
alternative offerte dall’impresa; non si tratta, perciò, di un
licenziamento discriminatorio.

Contratto collettivo 13 dicembre 2004

“Contratto collettivo nazionale di lavoro per i sacristi addetti al culto dipendenti di enti ecclesiastici”, 13 dicembre 2004. Art. 1 – DEFINIZIONE 1. Ai fini della presente normativa, si definisce sacrista il lavoratore in possesso di piena capacità lavorativa, che presta la sua opera nei luoghi sacri occupandosi di: preparare le sacre funzioni liturgiche e […]

Sentenza 24 febbraio 2003, n.2803

L’insegnamento della religione cattolica nelle scuole statali è
consentito esclusivamente agli insegnanti riconosciuti idonei
dall’autorità ecclesiastica, nominati dall’autorità scolastica
d’intesa con essa (art. 9, comma 2, dell’Accordo di revisione del
Concordato lateranense, ratificato con legge n. 121 del 1985, e punto
5 del protocollo addizionale), con incarico annuale, che si intende
confermato qualora permangano le condizioni ed i requisiti prescritti;
nel regime contrattuale, di diritto privato, del relativo rapporto di
lavoro (d.lg. n. 165 del 2001), la sopravvenuta revoca dell’idoneità
all’insegnamento comporta l’impossibilità giuridica della prestazione
e la conseguente risoluzione del rapporto di lavoro ex art. 1463 c.c.,
in quanto, in considerazione del particolare “status” di questi
insegnanti – reclutati secondo un sistema sottratto alla disciplina
dell’art. 35, d.lg. n. 165 del 2001 – ad essi non possono essere
attribuiti compiti diversi da quello dell’insegnamento della
religione. Pertanto, la risoluzione del rapporto di lavoro determinata
dalla revoca da parte dell’autorità ecclesiastica dell’idoneità
all’insegnamento della religione non configura un caso di
licenziamento, neppure se tale revoca sia stata disposta in quanto
l’insegnante è nubile ed in stato di gravidanza, e, conseguentemente,
a detta fattispecie non è applicabile l’art. 2, legge n. 1204 del
1971, in tema di tutela delle lavoratrici madri.
Risulta, inoltre, manifestamente infondata la questione di
legittimità costituzionale – sollevata in riferimento agli art. 3, 4,
7, 35 e 97 cost. – degli art. 5, comma 1, e 6, legge n. 824 del 1930,
della legge n. 121 del 1985, laddove dà esecuzione all’art. 9, numero
2, dell’Accordo di revisione del Concordato lateranense, e dell’art.
309, comma 2, d.lg. n. 297 del 1994, nella parte in cui, prevedendo
che la nomina degli insegnanti di religione deve essere effettuata in
favore di coloro che siano riconosciuti idonei dall’autorità
ecclesiastica, designati d’intesa con essa dall’autorità scolastica,
con incarico annuale, che si intende confermato qualora permangano le
condizioni ed i requisiti prescritti, fanno sì che la sopravvenuta
revoca dell’idoneità all’insegnamento determini l’impossibilità
giuridica della prestazione e la risoluzione del rapporto di lavoro ex
art. 1463 c.c., integrando in tal modo una fattispecie non
riconducibile al licenziamento, neppure qualora detta revoca sia
disposta per essere l’insegnante nubile ed in stato di gravidanza, con
conseguente inapplicabilità dell’art. 2, legge n. 1204 del 1971, in
tema di tutela delle lavoratrici madri.

Sentenza 14 gennaio 2002, n.5065

La garanzia, per la donna lavoratrice, del divieto di licenziamento
posto in essere a causa di matrimonio – operante, in forza della
presunzione legale di cui all’art. 1, comma 3, 9 gennaio 1963 n. 7,
quando esso sia stato intimato, senza che ricorressero i presupposti
di una delle ipotesi di legittimo recesso datoriale contemplate
nell’ultimo comma dello stesso art. 1, nel periodo compreso dalla
richiesta delle pubblicazioni ad un anno dalla celebrazione – non
viene meno durante la sospensione del rapporto di lavoro per malattia
della lavoratrice. La conseguenza è che è nullo, ai sensi della
citata legge speciale, il licenziamento della lavoratrice intimato dal
datore di lavoro nell’anno dalla celebrazione delle nozze, ancorché
motivato dal superamento del periodo massimo di comporto per malattia;
la persistente operatività del divieto di licenziamento per causa di
matrimonio durante la sospensione del rapporto di lavoro, in base
all’art. 2110 c.c., non comporta alcun effetto di sovrapposizione
delle tutele con prolungamento temporale del divieto di recesso, dato
che la garanzia di conservazione del posto di lavoro durante la
malattia e la previsione della nullità del licenziamento per causa di
matrimonio muovono su piani concettualmente distinti e rispondono a
finalità diverse, e che, pertanto, il divieto di licenziamento della
lavoratrice è destinato ad operare solo nel periodo determinato
dall’art. 1 della legge n. 7 del 1963, senza che sul decorso di esso
incida il comporto per malattia.

Sentenza 18 aprile 2002, n.14381

Si deve ritenere che le norme e i principi di tutela operanti per i
rapporti di lavoro subordinato di diritto privato non trovano alcun
limite alla loro applicazione per i dipendenti degli enti
ecclesiastici gestori di ospedali classificati ai sensi della legge n.
132-1968. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione impugnata,
secondo la quale la classificazione degli ospedali gestiti da enti
ecclesiastici e il loro inserimento nel servizio sanitario pubblico,
ai sensi dell’art. 1 della legge n. 132 del 1968, non precludeva
l’applicazione ai dipendenti degli stessi della normativa sul rapporto
di lavoro a termine di cui alla legge n. 230 del 1962).

Sentenza 16 febbraio 2004, n.2912

In tema di licenziamento, l’applicazione della disciplina prevista per
le cosiddette organizzazioni di tendenza dall’art. 4 legge 11 maggio
1990, n. 108 (con conseguente esclusione, nei loro confronti, della
tutela reale di cui all’art. 18 legge 20 maggio 1970, n. 300, come
modificato dall’art. 1 citata l. n. 108 del 1990), presuppone
l’accertamento in concreto, da parte del giudice di merito, della
presenza dei requisiti tipici dell’organizzazione di tendenza,
definita come datore di lavoro non imprenditore che svolge, senza fine
di lucro, attività di natura politica, sindacale, culturale, di
istruzione, ovvero di religione e di culto, e, più in generale,
qualunque attività prevalentemente ideologica purché in assenza di
una struttura imprenditoriale. Inoltre, il fine ideologico o di culto
di una associazione non esclude “ex se” la possibilità di svolgimento
di attività imprenditoriale; il relativo accertamento costituisce una
valutazione di fatto demandata anche al giudice di merito.

Sentenza 14 marzo 2003, n.12634

Al fine di configurare un’organizzazione di tendenza, che, ai sensi
dell’art. 4 della legge n. 108 del 1990, è esclusa dall’ambito di
operatività della tutela reale prevista – in caso di licenziamenti
illegittimi – dall’art. 18 della legge n. 300 del 1970 (come
modificato dall’art. 1 della legge n. 108 del 1990), è necessario che
si tratti di datore di lavoro “non imprenditore”, privo dei requisiti
previsti dall’art. 2082 c.c. (e cioè professionalità,
organizzazione, natura economica dell’attività).In particolare,
l’applicazione della disciplina prevista dalla predetta legge n. 108
del 1990 per le organizzazioni di tendenza presuppone l’accertamento
in concreto da parte del giudice di merito dell’assenza nella singola
organizzazione di una struttura imprenditoriale e della presenza dei
requisiti tipici dell’organizzazione di tendenza, come definita dalla
stessa legge all’art. 4. (Nella specie la S.C. ha confermato la
sentenza di merito che aveva ritenuto la natura di organizzazione di
tendenza dell’Associazione nazionale bieticoltori, argomentando dalla
natura della stessa di ente con personalità giuridica privata, senza
finalità di lucro, in quanto avente lo scopo della tutela degli
interessi collettivi professionali della categoria dei coltivatori di
bietole, e priva del carattere imprenditoriale, non svolgendo alcuna
attività economica).

Sentenza 05 aprile 2003, n.5401

In materia di licenziamento del lavoratore subordinato, la disciplina
stabilita per le cosiddette “organizzazioni di tendenza” dall’art. 4,
legge n. 108 del 1990, che esclude l’operatività della tutela reale
stabilita dall’art. 18, legge n. 300 del 1970, è applicabile alle
associazioni che svolgano senza fini di lucro attività di natura
politica, sindacale, culturale, di istruzione, ovvero di religione,
non essendo necessario che dette attività presentino una
“caratterizzazione ideologica”, che pure può connotare alcune di
esse. (Nella specie, la Suprema Corte, cassando la sentenza di merito,
ha affermato che l’attività svolta dall’Associazione ricorrente –
Associazione italiana per l’assistenza agli spastici – di “natura
culturale” e consistente nella “promozione dello sviluppo della
cultura dell’handicap” è riconducibile alla previsione dell’art. 4,
legge n. 108 del 1990).

Sentenza 18 marzo 2003, n.7176

Il licenziamento della lavoratrice intimato – in violazione dell’art.
1 della legge 9 gennaio 1963, n. 7 – nel periodo compreso fra la
richiesta delle pubblicazioni di matrimonio e il compimento di un anno
dalla celebrazione è radicalmente nullo (e non temporaneamente
inefficace) e comporta, perciò, il diritto della lavoratrice ad
essere riammessa in servizio ed a percepire la retribuzione globale di
fatto sino al giorno della effettiva riammissione. Infatti, a norma
dell’art. 1, comma 2, l. 9 gennaio 1963 n. 7, il licenziamento della
lavoratrice per causa di matrimonio non è temporaneamente inefficace,
bensì è radicalmente nullo e comporta la riammissione in servizio
della lavoratrice illegittimamente licenziata nell’ambito di un
rapporto di lavoro mai validamente interrotto, con tutte le
conseguenze relative.

Sentenza 29 ottobre 2003, n.5131

Nell’ipotesi di attività di insegnamento presso scuole private
legalmente riconosciute espletata da soggetti non forniti di
abilitazione all’insegnamento, atteso che la suddetta abilitazione è
requisito di validità del contratto di lavoro (ai sensi degli art. 3
e 6, legge n. 86 del 1942), per il tempo in cui il rapporto ha avuto
esecuzione si producono gli effetti secondo il disposto dell’art. 2126
c.c. ma, stante la nullità del contratto, in caso di dedotta
illegittimità della risoluzione del rapporto, non può darsi luogo
alla reintegrazione e al risarcimento del danno, riferendosi all’art.
18, legge n. 300 del 1970 per illegittimo recesso del datore di
lavoro.