Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Legge 31 dicembre 2012, n.246

Legge 31 dicembre 2012, n. 246: "Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e l'Unione Induista Italiana, Sanatana Dharma Samgha, in attuazione dell'articolo 8, terzo comma, della Costituzione". (in "Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana" n. 14 del 17 gennaio 2013) [in vigore dal 1° febbraio 2013] Art. 1 – Rapporti tra lo Stato […]

Sentenza 27 ottobre 2009

La detenzione di un testimone di Geova, conseguente al suo rifiuto di
svolgere il servizio militare, non viola il diritto di libertà di
coscienza e di religione ex art. 9 della Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo (CEDU). Infatti, l’art. 4 della
CEDU, letto in combinato disposto con l’art. 9, non obbliga gli Stati
firmatari a riconoscere il diritto all’obiezione di coscienza e a
stabilire aggiustamenti per chi sceglie di non svolgere il servizio
militare; quest’ultimo, inoltre, non può essere considerato un lavoro
forzato vietato dall’art. 4 della CEDU.

Sentenza 12 marzo 2009, n.49686/99

Il mancato riconoscimento di una confessione religiosa (nel caso di
specie: dei Testimoni di Geova) integra una discriminazione in base
all’art. 14 della CEDU, in combinazione con l’art. 9 CEDU, quando
il riconoscimento giuridico implica vari privilegi (tra cui
l’esenzione di quanti svolgono funzioni religiose dal servizio
militare o civile) ed i criteri con i quali è concesso sono stati
applicati arbitrariamente. Il ricorrente svolge funzioni
para-sacerdotali tra i Testimoni di Geova in Austria e ha lamentato di
essere stato obbligato a prestare servizio militare o civile quando
invece chi svolge funzioni religiose nell’ambito di comunità
religiose riconosciute dalla legge ne è esentato. Il ricorrente
perciò sostiene che sia stato violato l’articolo 14 CEDU (divieto
di discriminazione) letto congiuntamente all’articolo 9 CEDU.
L’esenzione dei ministri di culto dal servizio militare o civile, in
forza della rilevanza del loro ruolo ai fini del funzionamento delle
comunità religiose, ricade nell’ambito di applicazione delle tutele
di cui all’articolo 9 CEDU. Di conseguenza risulta applicabile anche
il divieto di discriminazione di cui all’articolo 14 CEDU.
Nell’esaminare se la disparità di trattamento lamentata dal
ricorrente sia oggettivamente e ragionevolmente fondata, la Corte
richiama la sua sentenza Religionsgeneinschaft Der Zeugen Jehovas v.
Austria [https://www.olir.it/ricerca/index.php?Form_Document=4772]
(Comunità religiosa dei Testimoni di Geova e altre c. Austria) del 31
luglio 2008. In tale sentenza la Corte ha stabilito che uno dei
criteri per il riconoscimento giuridico in quanto società religiosa,
status che in Austria implica vari privilegi (tra cui l’esenzione di
quanti svolgono funzioni religiose dal servizio militare o civile), è
stato applicato arbitrariamente. Dato che la disparità di trattamento
nei confronti del ricorrente discende da questo mancato riconoscimento
in violazione della Convenzione, essa va ritenuta discriminatoria.
(Pronunce analoghe: Gütl c. Austria
[https://www.olir.it/ricerca/index.php?Form_Document=4957] e
Löffelmann c. Austria
[https://www.olir.it/ricerca/index.php?Form_Document=4955], del 12
marzo 2009)

Sentenza 19 marzo 2009, n.28648/03

Il mancato riconoscimento di una confessione religiosa (nel caso di
specie: dei Testimoni di Geova) integra una discriminazione in base
all’art. 14 della CEDU, in combinazione con l’art. 9 CEDU, quando
il riconoscimento giuridico implica vari privilegi (tra cui
l’esenzione di quanti svolgono funzioni religiose dal servizio
militare o civile) ed i criteri con i quali è concesso sono stati
applicati arbitrariamente. Il ricorrente svolge funzioni
para-sacerdotali tra i Testimoni di Geova in Austria e ha lamentato di
essere stato obbligato a prestare servizio militare o civile quando
invece chi svolge funzioni religiose nell’ambito di comunità
religiose riconosciute dalla legge ne è esentato. Il ricorrente
perciò sostiene che sia stato violato l’articolo 14 CEDU (divieto
di discriminazione) letto congiuntamente all’articolo 9 CEDU.
L’esenzione dei ministri di culto dal servizio militare o civile, in
forza della rilevanza del loro ruolo ai fini del funzionamento delle
comunità religiose, ricade nell’ambito di applicazione delle tutele
di cui all’articolo 9 CEDU. Di conseguenza risulta applicabile anche
il divieto di discriminazione di cui all’articolo 14 CEDU.
Nell’esaminare se la disparità di trattamento lamentata dal
ricorrente sia oggettivamente e ragionevolmente fondata, la Corte
richiama la sua sentenza Religionsgeneinschaft Der Zeugen Jehovas v.
Austria [https://www.olir.it/ricerca/index.php?Form_Document=4772]
(Comunità religiosa dei Testimoni di Geova e altre c. Austria) del 31
luglio 2008. In tale sentenza la Corte ha stabilito che uno dei
criteri per il riconoscimento giuridico in quanto società religiosa,
status che in Austria implica vari privilegi (tra cui l’esenzione di
quanti svolgono funzioni religiose dal servizio militare o civile), è
stato applicato arbitrariamente. Dato che la disparità di trattamento
nei confronti del ricorrente discende da questo mancato riconoscimento
in violazione della Convenzione, essa va ritenuta discriminatoria.
(Pronunce analoghe: Gütl c. Austria
[https://www.olir.it/ricerca/index.php?Form_Document=4957] e
Löffelmann c. Austria
[https://www.olir.it/ricerca/index.php?Form_Document=4955], del 12
marzo 2009)

Sentenza 12 marzo 2009, n.42967/98

Il mancato riconoscimento di una confessione religiosa (nel caso di
specie: dei Testimoni di Geova) integra una discriminazione in base
all’art. 14 della CEDU, in combinazione con l’art. 9 CEDU, quando
il riconoscimento giuridico implica vari privilegi (tra cui
l’esenzione di quanti svolgono funzioni religiose dal servizio
militare o civile) ed i criteri con i quali è concesso sono stati
applicati arbitrariamente. Il ricorrente svolge funzioni
para-sacerdotali tra i Testimoni di Geova in Austria e ha lamentato di
essere stato obbligato a prestare servizio militare o civile quando
invece chi svolge funzioni religiose nell’ambito di comunità
religiose riconosciute dalla legge ne è esentato. Il ricorrente
perciò sostiene che sia stato violato l’articolo 14 CEDU (divieto
di discriminazione) letto congiuntamente all’articolo 9 CEDU.
L’esenzione dei ministri di culto dal servizio militare o civile, in
forza della rilevanza del loro ruolo ai fini del funzionamento delle
comunità religiose, ricade nell’ambito di applicazione delle tutele
di cui all’articolo 9 CEDU. Di conseguenza risulta applicabile anche
il divieto di discriminazione di cui all’articolo 14 CEDU.
Nell’esaminare se la disparità di trattamento lamentata dal
ricorrente (e analogamente nei casi Gütl c. Austria
[https://www.olir.it/ricerca/index.php?Form_Document=4957] e Lang c.
Austria [https://www.olir.it/ricerca/index.php?Form_Document=4965]) sia
oggettivamente e ragionevolmente fondata, la Corte richiama la sua
sentenza Religionsgeneinschaft Der Zeugen Jehovas v. Austria
[https://www.olir.it/ricerca/index.php?Form_Document=4772] (Comunità
religiosa dei Testimoni di Geova e altre c. Austria) del 31 luglio
2008. In tale sentenza la Corte ha stabilito che uno dei criteri per
il riconoscimento giuridico in quanto società religiosa, status che
in Austria implica vari privilegi (tra cui l’esenzione di quanti
svolgono funzioni religiose dal servizio militare o civile), è stato
applicato arbitrariamente. Dato che la disparità di trattamento nei
confronti del ricorrente discende da questo mancato riconoscimento in
violazione della Convenzione, essa va ritenuta discriminatoria.

Sentenza 18 dicembre 2008, n.2955651

Il termine stabilito dell’art. 4 della legge n. 230 del 1998 per la
presentazione della domanda con la quale si chiede di prestare il
servizio civile in sostituzione del servizio militare, è perentorio.
Tale termine, strettamente collegato al tempo dell’arruolamento, è
infatti rivolto a consentire alla Pubblica amministrazione di
conoscere con un congruo anticipo quali e quanti cittadini esprimano
obiezione di coscienza, per l’irrinunciabile esigenza di programmare
ed organizzare con tempestività l’espletamento del servizio civile e
del servizio di leva. In particolare, ai sensi degli artt. 5, 8 e 9
della legge n. 230 del 1998 e dell’art. 2 del d.P.R. n. 352 del 1999,
l’esame della domanda di ammissione al servizio civile, con il
controllo sulla sussistenza dei relativi requisiti, è affidato al
Ministero della difesa, fino al 31 dicembre 1999, e poi all’Ufficio
nazionale per il servizio civile, istituito presso la Presidenza del
Consiglio dei Ministri. Il ricorso all’autorità giudiziaria
ordinaria, secondo le previsioni dell’art. 5, comma 4, della
menzionata legge, è contemplato invece in via d’impugnazione del
provvedimento di reiezione della domanda ed in caso di “sopravvenuto
decreto di decadenza dal diritto di prestare il servizio civile”. Una
disposizione quest’ultima che deve intendersi estesa anche
all’inosservanza del termine in questione, la cui perentorietà
implica parimenti decadenza, di modo che pure la decadenza per
tardività della domanda deve essere pronunciata dal Ministero, e poi
dall’Ufficio nazionale, con determinazioni sindacabili in sede
giudiziale solo se negative per l’obiettore (nel caso di specie,
veniva respinto il ricorso dell’amministrazione in quanto risultava
pacifico che la domanda rivolta a far valere il diritto all’obiezione
di coscienza ed alla prestazione del servizio civile in luogo del
servizio militare, non era stata trasmessa all’autorità competente,
cioè all’Ufficio nazionale, ma era rimasta presso il Distretto
militare di Milano, radicalmente privo del potere di decidere anche
sulla tempestività della domanda stessa).

Sentenza 15 maggio 2008, n.6156

L’art. 1 della legge n. 230/07 ha introdotto il comma 7 ter
dell’art 15 n. 230/98, che espressamente riconosce la possibilità
di richiedere la revoca dello status di obiettore dopo
l’espletamento del servizio, ancorandola a specifiche modalità
temporali e formali (la richiesta cioè deve essere irrevocabile e
può essere presentata solo dopo il decorso del termine di 5 anni
dalla collocazione in congedo). Per coloro che si avvalgono della
facoltà in esame il legislatore prevede espressamente al comma 7 bis
del citato art. 15, anch’esso introdotto dalla l. n. 130/07, il
venir meno dei limiti all’accesso per i posti in corpi militari o
che, comunque, comportino l’uso delle armi. Dalla disciplina ora
richiamata appare confermata, quindi, la netta distinzione, anche a
livello normativo, tra il profilo attinente alla preclusione
all’ammissione ad un certo tipo di impieghi e quello concernente gli
effetti della revoca dello status di obiettore intervenuta dopo
l’espletamento del servizio.

Legge 02 agosto 2007, n.130

Legge 2 Agosto 2007, n. 130: “Modifiche alla legge 8 luglio 1998, n. 230, in materia di obiezione di coscienza” (testo in vigore dal 6 settembre 2007). (da “Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana” n 194. del 22 agosto 2007) La Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica hanno approvato; IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA Promulga […]

Costituzione 1998

CONSTITUCIÓN POLÍTICA DE LA REPÚBLICA DEL ECUADOR EL PUEBLO DEL ECUADOR Inspirado en su historia milenaria, en el recuerdo de sus héroes y en el trabajo de hombres y mujeres que, con su sacrificio, forjaron la patria; fiel a los ideales de libertad, igualdad, justicia, progreso, solidaridad, equidad y paz que han guiado sus pasos […]

Sentenza 22 marzo 2007, n.1360

La legge sul riconoscimento dello status di obiettore di coscienza (n.
230/1998) non richiedeva semplicemente la dichiarazione di ripudiare
“l’uso delle armi e della forza in genere nella risoluzione dei
conflitti tra esseri umani, e segnatamente tra popoli e/o comunità
statali”, ma esigeva un “quid pluris”, e cioè un’intima convinzione
di coscienza, religione o pensiero, così forte da non poter essere
violata se non a prezzo di un vero e proprio trauma psicologico.
L’obiettore di coscienza, quindi, doveva ripudiare ogni rapporto con
l’arma e non solo quello dell’uso dell’arma contro esseri umani.
Il diniego della licenza del porto di fucile per uso caccia è una
conseguenza necessaria di tale scelta e non può, pertanto, essere
considerato una lesione del diritto allo sviluppo della propria
personalità e del diritto alla libertà di associazione, nonché del
diritto alla libertà di espressione individuale.