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    Sentenza 24 febbraio 1967, n.328

    Vilipendio della religione cattolica

    Data: 24 febbraio 1967
    Autore:
    Corte di Cassazione - Penale
    Argomento:
    Tutela penale
    Nazione:
    Italia
    Parole chiave:
    Ministri di culto, Luoghi di culto, Religione, Chiese, Defunti, Funzioni religiose, Culti ammessi, Tutela penale, Pratiche religiose, Pena, Sentimento religioso, Violenza, Vilipendio, Offese, Delitti, Pietà, Luoghi pubblici, Oggetti di culto
    Corte di Cassazione – Sezione III penale. Sentenza n. 328 del 24 febbraio 1967. Registro Generale n. 22775/64 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO La Corte Suprema di Cassazione SEZIONE III PENALE Composta degli Ill.mi Signori: BACCIGALUPI Mario – Presidente, MUSCOLO Domenico, LEOGOTTI Giovanni, ODORISIO Casimiro, PERNIGOTTI Pio, DE MICHELI Vincenzo, MARTINELLI Carlo – […]

    Corte di Cassazione – Sezione III penale. Sentenza n. 328 del 24 febbraio 1967.

    Registro Generale n. 22775/64

    REPUBBLICA ITALIANA
    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

    La Corte Suprema di Cassazione

    SEZIONE III PENALE

    Composta degli Ill.mi Signori: BACCIGALUPI Mario – Presidente, MUSCOLO Domenico, LEOGOTTI Giovanni, ODORISIO Casimiro, PERNIGOTTI Pio, DE MICHELI Vincenzo, MARTINELLI Carlo – Consiglieri
    ha pronunciato la seguente

    SENTENZA

    Sul ricorso proposto dal P.M. contro Pasolini Pier Paolo avverso la sentenza 6/5/1964 della Corte di Appello di Roma che, riformando quella del 7/3/1963 del Tribunale di Roma, assolveva Pasolini Pier Paolo dall’imputazione di vilipendio alla Religione dello Stato, perché il fatto non costituisce reato. Visti gli atti, la sentenza pronunciata ed il ricorso;
    Udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Giovanni Leone.
    Udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dr. Vaccaro che ha concluso per annullamento senza rinvio per amnistia.
    Uditi i difensori dell’imputato Avv.ti Giuseppe Berlingeri e Ferdinando Giovannini, che hanno concluso per il rigetto del ricorso

    In fatto e in Diritto

    Il Procuratore Generale della Repubblica in Roma ricorre avverso la sentenza dle 6/5/1964 di quella Corte di Appello che, riformando quella del 7/3/1963 del Tribunale della stessa sede, assolveva Pasolini Pier Paolo perché il fatto non costituisce reato all’imputazione di vilipendio della religione dello Stato (art. 402 C.P.), per avere nella sua qualità di soggettista e regista dell’episodio La ricotta del film “ROGOPAG”, pubblicamente vilipeso la religione dello Stato, rappresentando, con il pretesto di descrivere una ripresa cinematografica, alcune scene della passione di Cristo, dileggiandone la figura e i valori con il commento musicale, la mimica, il dialogo e le altre manifestazioni sonore, nonché tenendo per vili i simboli e persone della religione Cattolica.

    Deduce:
    1) Erronea applicazione della legge.
    2) Vizio della motivazione.
    Va premesso: la trama ha per oggetto la riproduzione di una giornata di lavoro di un’équipe di attori e comparse, intenta a riprodurre alcune scene della passione di Cristo, in cui la figura del buon ladrone è rappresentata da un certo “Stracci”, uomo miserabile e fondamentalmente buono, che, deriso e famelico, tra una pausa e l’altra, si sazia di una ricotta, acquistata con il ricavato della vendita di un cagnolino rubato ad un’attrice, e di quant’altro gli viene offerto, e che all’inizio della ripresa dell’azione, viene trovato morto sulla croce.
    Oggetto dell’incriminazione non è la trama, ora precisata, bensì:

    il commento musicale, costituito da ballabili moderni (twist e cha-cha-cha);
    la mimica (risata sguaiata di Cristo, in risposta ai lamenti strazianti della Madonna; lo spogliarello compiuto dalla comparsa che rappresenta la Maddalena, mentre il crocefisso sussulta ritmicamente sulla croce);
    il dialogo (costituito da grida di “Cornuti, cornuti” all’indirizzo della Madonna e di tutti i santi e di “via i Crocefissi”, ripetuto più volte come ad una società imbestialita e perfino da un cane).
    La Corte di Appello ha giustificato la sua decisione ritenendo che l’imputato sostanzialmente ha inteso rappresentare alcuni squarci di vita contemporanea del mondo del cinema, rilevandone l’insensibilità morale di fronte alle cose più sacre e degne di venerazione, e l’eterno constrasto tra i ricchi e i poveri ; che l’imputato non poteva non servirsi di quelle immagini, di quei suoni, di quelle parole e che perciò egli non ha voluto dileggiare i simboi della religione cattolica.
    Ciò premesso, si osserva che le censure del ricorrente P.M. appaiono fondate.
    Egli lamenta che il secondo giudice, pur avendo ritenuto molte scene del film irriverenti e blasfeme, e quindi oggettivamente vilipendiose, ad esse ha poi negato contenuto criminoso, perché il fine non era quello di vilipendere la religione.
    E questa suprema corte non può non convenire che sussistano sia il vizio della motivazione, sia l’erronea applicazione della legge, nel suo ricorso denunciati.
    Invero, l’oggettività giuridica del reato è il vilipendio della religione, che, per il suo contenuto squisitamente etico, è patrimonio altamente sociale, meritevole della particolare tutela di cui all’art. 402 C.P.. Vilipendere, com’è noto, significa nella comune accezione del verbo, “tenere a vile”: il vilipendio perciò si ravvisa nell’offesa volgare e grossolana, che si concreta in atti che assumono caratteri evidenti di dileggio, derisione, disprezzo.
    L’elemento psicologico è costituito soltanto dal dolo generico, ossia dalla volontà di commettere il fatto con la consapevolezza della sua idoneità a vilipendere, onde e’ irrilevante il movente dell’azione (politico o sociale) che non vale perciò ad escluderlo.
    Pertando errata è la decisione impugnata, fondata sulla ricerca di un fine specifico non richiesto e peraltro nella fattispecie confuso con il movente. Coseguentemente errata è la motivazione di essa, che articolandosi e snodandosi su tale errata schematica giuridica, ne nega la sussistenza, con considerazioni, soltanto apoditticamente affermate, ma non dimostrate, come quella che l’istanza sociale a carattere protestatario, perseguita dall’episodio incriminato, non potesse altrimenti raggiungersi se non servendosi delle immagini irriverenti, dei suoni, delle parole blasfeme, obiettivamente vilipendiose, e che il fine sociale escludesse necessariamente il fine di vilipendere, mentre nella realtà e nella logica, i due fini sono concettualmente compatibili, e quindi possono coesistere.
    L’errore di diritto in cui la decisione è incorsa, e i relativi vizi della motivazione sono evidenti cause di annullamento di essa, ma tale annullamento va pronunciato senza rinvio, essendo il reato estinto dalla recente amnistia del 1966.
    P.Q.M.

    Visto l’art. 539 c.p.p.
    Annulla l’impugnata sentenza senza rinvio, perché il reato è estinto per amnistia (1966)Roma, 24/2/1967

    Baccigalupi – Firmato
    Muscolo – Firmato
    Leone – Firmato
    Odorisio – Firmato
    Pernigotti – Firmato
    De Micheli – Firmato
    Martinelli – Firmato

    Depositata in Cancelleria il 19/5/1967

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