Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 08 febbraio 2017, n.3315

Il requisito della convivenza ultratriennale dei coniugi, dopo la
celebrazione del matrimonio, che, nella specie, ha costituito
l'oggetto di specifica eccezione della parte ricorrente,
può e deve essere smentito solo da una "prova
contraria" "a carico" di chi agisce per la delibazione
della sentenza di nullità del matrimonio concordatario, una
volta che sia incontestata la fissazione di una comune residenza
anagrafica dei coniugi e la volontà di instaurare un rapporto
coniugale effettivo.

Sentenza 04 ottobre 2016, n.19811

Secondo l'orientamento inaugurato da Cass., Sez. Un., 17 luglio
2014, n. 16379, la convivenza triennale "come coniugi",
quale situazione giuridica di ordine pubblico ostativa alla
delibazione della sentenza canonica di nullità del matrimonio,
essendo caratterizzata da una complessità fattuale strettamente
connessa all'esercizio di diritti, adempimento di doveri e
assunzione di responsabilità di natura personalissima, è
oggetto di un'eccezione in senso stretto, non rilevabile
d'ufficio, né opponibile dal coniuge, per la prima volta,
nel giudizio di legittimità.Ciò posto e tenuto conto
dell'applicabilità nel procedimento de quo delle norme sul
rito ordinario di cognizione (Cass. 7 giugno 2007, n. 13363), appare
evidente che l'eccezione, proposta con comparsa di risposta
depositata alla prima udienza e non nei termini previsti dell'art.
166 cod. proc. civ., deve ritenersi tardiva.

Sentenza 23 gennaio 2013, n.1526

Fra giudizio eccelsiastico di nullità del matrimonio concordatario e
giudizio di cessazione degli effetti civili dello stesso non sussiste
rapporto di pregiudizialità tale che il secondo debba essere
necessariamente sospeso, ai sensi dell’art. 295 c.p.c., a causa della
pendenza del primo e in attesa della sua definizione, trattandosi di
procedimenti autonomi non solo sfocianti in decisioni di diversa
natura e aventi finalità e presupposti diversi, ma aventi specifico
rilievo in ordinamenti diversi, tanto che la decisione ecclesiastica
solo a seguito di giudizio eventuale di delibazione, e non
automaticamente, può produrre effetti nell’ordinamento italiano.

Sentenza 11 febbraio 2008, n.3186

La domanda di divorzio, così come quella di separazione (Cass. 6
marzo 2003, n. 3339), ha un oggetto diverso dalla domanda relativa
alla declaratoria di nullità del matrimonio, sia che questa sia stata
proposta dinanzi ai tribunali ecclesiastici, sia che sia stata
proposta dinanzi al Giudice statuale. Occorre inoltre sottolineare
come la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4402 del 2001 (alla
quale si è successivamente conformata Cass. 4 marzo 2005, n. 4795)
abbia espressamente affermato che la domanda di divorzio ha causa
petendi e petitum diversi da quelli della domanda di nullità del
matrimonio, cosicchè ove nel giudizio di divorzio le parti non
introducano esplicitamente questioni relative all’esistenza e alla
validità del vincolo – che darebbero luogo a questioni incidenti
sullo status delle persone, e quindi da decidere necessariamente, ai
sensi dell’art. 34 c.p.c., con efficacia di giudicato – l’esistenza e
la validità del matrimonio costituiscono un presupposto della
pronuncia di divorzio, ma non formano oggetto di specifico
accertamento suscettibile di determinare la formazione di un
giudicato. Per questa ragione la proposizione di una domanda di
divorzio, investendo il matrimonio – rapporto e non il matrimonio –
atto, non costituisce ostacolo alla delibabilità delle sentenze
ecclesiastiche di nullità del matrimonio concordatario.

Sentenza 06 marzo 1996, n.1780

Al fine dell’obbligazione indennitaria del coniuge cui sia
imputabile la nullità del matrimonio, ai sensi dell’art. 129 bis
Cod. civ., il requisito della buona fede dell’altro coniuge, da
presumersi fino a prova contraria, si identifica nell’incolpevole
ignoranza della specifica circostanza per la quale, nella concreta
vicenda, è stata pronunciata la nullità; pertanto, in caso di
declaratoria di invalidità, che sia stata resa dal giudice
ecclesiastico per esclusione del bonum sacramenti (individuata nella
riserva di uno dei coniugi di successivo ricorso al divorzio), con
sentenza di cui si chieda l’efficacia in Italia, la dimostrazione
della conoscenza di detta riserva da parte dell’altro coniuge
implica di per sé il superamento dell’indicata presunzione, a
prescindere da ogni questione sull’esattezza dell’identificazione
nella riserva medesima di quella esclusione del bonum sacramenti.

Sentenza 10 marzo 1995, n.2787

Ai sensi dell’art. 8 dell’Accordo firmato a Roma il 18 febbraio
1984, che apporta modificazioni al Concordato lateranense dell’11
febbraio 1929, tra la Repubblica Italiana e Santa Sede, ratificato e
reso esecutivo con legge 25 marzo 1985 n. 121, deve escludersi la
legittimazione degli eredi del coniuge a chiedere la delibazione della
sentenza ecclesiastica con cui è stata dichiarata la nullità del
matrimonio religioso da quest’ultimo contratto, anche nell’ipotesi
in cui tali eredi, sulla base delle norme del codice canonico, hanno
proseguito l’azione di nullità innanzi al giudice ecclesiastico ed
abbiano ottenuto la relativa pronuncia.

Sentenza 04 luglio 1994, n.6301

Il matrimonio canonico contratto nello Stato Città del Vaticano da
cittadini italiani senza l’osservanza delle condizioni previste
dall’art. 8 primo comma L. 25 marzo 1985 n. 121 (lettura da parte
del parroco degli articoli del Codice civile italiano riguardanti i
diritti e i doveri dei coniugi, redazione dell’atto di matrimonio in
doppio originale e invio di un semplice esemplare al competente
ufficiale di stato civile italiano) e trascritto in Italia nella parte
del registro dello stato civile riservato ai matrimoni celebrati
all’estero (parte 2a serie C), non può considerarsi matrimonio
concordatario agli effetti della L. 25 marzo 1985 n. 121 cit.;
nondimeno, la sentenza ecclesiastica che lo ha annullato (sentenza
della Sacra Rota, avente diretta rilevanza nell’ordinamento statale
della Città del Vaticano) è suscettibile di delibazione quale
sentenza straniera a norma dell’art. 797 Cod. proc. civ., quando
ricorrano tutte le condizioni richieste da detta norma.

Sentenza 27 aprile 1993, n.4953

In tema di nullità di matrimonio, l’art. 129 bis Cod. civ. relativo
alla responsabilità del coniuge in mala fede al quale sia imputabile
la nullità, sebbene formulato lessicalmente in modo diverso
dall’art. 139 Cod. civ. (che commina una sanzione penale al coniuge
che, conoscendo prima della celebrazione una causa di nullità,
l’abbia lasciata ignorare dall’altro), comprende, nella sua
portata più ampia, anche l’ipotesi disciplinata da quest’ultima
norma; pertanto, per l’affermazione della responsabilità in
questione e, prima ancora, dell’imputabilità richiesta, non
sufficiente la pura e semplice riferibilità oggettiva della causa di
invalidità, e neppure la consapevolezza di essa, occorrendo, invece,
oltre alla consapevolezza di quei fatti che vengono definiti
invalidanti, anche quella della loro attitudine invalidante, mentre la
prova di tale consapevolezza e del comportamento omissivo o commissivo
del responsabile incombe, secondo le regole generali, su chi afferma
l’esistenza di tale imputabilità.

Sentenza 26 marzo 1993, n.3635

Per la dichiarazione di efficacia nella Repubblica italiana delle
sentenze di nullità di matrimonio pronunciate dai Tribunali
ecclesiastici, la sussistenza della doppia pronuncia conforme, ai fini
dell’osservanza del disposto di cui all’art. 797 n. 4 Cod. proc.
civ., può ricavarsi dal decreto di esecutività del Tribunale supremo
della Segnatura apostolica e dalla stessa sentenza di secondo grado,
tenuto conto dei riferimenti alla precedente fase del giudizio in essa
contenuti, mentre non necessario procedere all’esame diretto della
sentenza ecclesiastica di primo grado. In tema di delibazione di
sentenza ecclesiastica di nullità di matrimonio, la circostanza che
detto provvedimento sia redatto in latino non comporta l’obbligo
della sua traduzione nella lingua italiana, ma solo la facoltà per il
giudice di disporla per il caso in cui non conosca la lingua latina,
ovvero sia insorta controversia tra le parti sul significato di
determinate espressioni.

Sentenza 15 gennaio 1993, n.1

La sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullità del matrimonio
per esclusione della indissolubilità del vincolo da parte della donna
non contrasta con l’ordine pubblico italiano (intesa tale accezione
con riferimento alla pluralità degli ordinamenti giuridici che
vengono in considerazione) giacché, pur essendo la perpetuità del
vincolo matrimoniale non solo estranea ma addirittura contraria alla
normativa civile, non può non riconoscersi che i precetti cristiani
(e più propriamente cattolici) sono profondamente radicati nella
collettività nazionale intesa nel suo insieme, quivi compresa la
sacralità ed “indelebilità” dei sacramenti, tra cui va annoverato
anche il matrimonio canonico che il vero, unico e “santo” per i
credenti. Né, d’altra parte, compito della Corte d’Appello
sindacare la genuinità dell’impedimento invocato dalle parti ed
accolto dai giudici ecclesiastici.