Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Ordinanza 02 ottobre 2003, n.17087

La controversia instaurata da un dipendente dell’Associazione dei
Cavalieri italiani del Sovrano militare Ordine di Malta
(A.C.I.S.M.O.M.) per ottenere l’annullamento della revoca, disposta
dall’Associazione, della quattordicesima mensilità e dell’accollo dei
contributi previdenziali, appartiene alla giurisdizione del giudice
italiano, poichè si tratta di una domanda che non coinvolge in alcun
modo aspetti relativi all’organizzazione dell’ente pubblico attraverso
cui opera lo Stato estero per il perseguimento dei suoi fini
istituzionali.

Sentenza 27 marzo 2003, n.11346

In materia possessoria, l’art. 704 c.p.c., che prevede che le domande
relative al possesso per fatti che avvengono nel corso del giudizio
petitorio siano proposte dinanzi al giudice di quest’ultimo, non
configura una ipotesi di litispendenza e neppure di continenza, nè
tra le cause è ravvisabile un vincolo di subordinazione o di garanzia
o di pregiudizialità, ma piuttosto un vincolo di connessione
impropria, che giustifica la vis atractiva del secondo giudizio sul
primo; ne consegue che non è necessario che tra giudizio possessorio
e petitorio vi sia identità di soggetti, essendo sufficiente, oltre
all’identità del bene oggetto dello spoglio, una identità almeno
parziale tra i soggetti, nel senso che le parti del giudizio
possessorio siano presenti nel petitorio, senza che sia necessaria una
perfetta e totale coincidenza neppure delle posizioni processuali
assunte nell’altro giudizio. Nel caso di specie un parroco non può
acquistare per usucapione un immobile concesso alla parrocchia per lo
svolgimento di attività connesse al culto perchè il locale non gli
è stato consegnato “ad personam” ma come rappresentante della
comunità parrocchiale.

Sentenza 13 marzo 2003, n.6898

L’immobile di proprietà di un Comune, che, sebbene non iscritto
nell’elenco di cui all’art. 4, comma 1, legge 1 giugno 1939, n. 1089,
sia riconosciuto di interesse storico, archeologico o artistico ad
opera della competente sovrintendenza ai monumenti, è soggetto, ai
sensi del combinato disposto degli art. 822 e 824 c.c., al regime del
demanio pubblico, con la conseguenza che il suo godimento da parte di
terzi non può avvenire in base a contratti di diritto privato, ma è
possibile soltanto sulla base di concessioni alla cui categoria devono
ricondursi i rapporti concretamente instaurati, indipendentemente dal
“nomen iuris” effettivamente usato nella relativa convenzione ed anche
se con questa sia stato fatto riferimento alla locazione. Pertanto, le
controversie attinenti al suddetto godimento – quando non abbiano ad
oggetto indennità, canoni ed altri corrispettivi – sono riservate
alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi
dell’art. 5, legge 6 dicembre 1971, n. 1034.

Sentenza 13 marzo 2003, n.8804

Il diritto sul sepolcro già costituito è un diritto soggettivo
perfetto, assimilabile al diritto di superficie, suscettibile di
possesso nonché di trasmissione “inter vivos” o di successione
“mortis causa”, e come tale opponibile agli altri privati, atteso che
lo stesso nasce da una concessione amministrativa avente natura
traslativa – di un’area di terreno o di una porzione di edificio in un
cimitero pubblico di carattere demaniale – che, in presenza di
esigenze di ordine pubblico o del buon governo del cimitero, può
essere revocata dalla pubblica amministrazione nell’esercizio di un
potere discrezionale che determina l’affievolimento del diritto
soggettivo ad interesse legittimo. In difetto di una diversa espressa
volontà del fondatore, il sepolcro deve presumersi destinato “sibi
familiaeque suae”.

Ordinanza 16 gennaio 2003, n.3661

Non viola i limiti esterni della giurisdizione contabile la pronuncia
con la quale la Corte dei conti abbia condannato al risarcimento del
danno erariale i componenti del consiglio di amministrazione di una
Ipab esercitante la propria attività in una limitata parte del
territorio locale nazionale (nella specie, “Oasi” di Verona), atteso
che l’art. 58 della legge n. 142 del 1990 (estensivo della disciplina
della responsabilità amministrativa degli impiegati civili dello
Stato anche ai dipendenti ed agli amministratori degli enti locali)
deve intendersi riferito a tutti gli enti locali e non soltanto a
quelli territoriali, salva prova (del tutto assente nel caso di
specie) della natura e qualità di ente privato dell’istituzione “de
qua”.

Sentenza 30 aprile 2003, n.15081

In tema di inquinamento acustico ed atmosferico, l’art. 6, comma
terzo, della legge quadro 26 ottobre 1995, n. 447, consente ai comuni,
il cui territorio presenti un rilevante interesse paesaggistico,
ambientale e turistico, di attuare una più specifica regolamentazione
dell’emissione ed immissione dei rumori e di disciplinare l’esercizio
di professioni ed attività rumorose anche con l’istituzione di fasce
orarie durante le quali sia possibile lo svolgimento di tali
attività. Inoltre, affinché si possa parlare di effettivo disturbo
al riposo delle persone e alla tranquillità pubblica e/o privata
occorre prendere in considerazione non il dato oggettivo del
superamento di una certa soglia di rumorosità fissata dalla legge,
bensì gli effetti negativi della rumorosità sulle occupazioni e sul
riposo di un numero indeterminato di persone, e quindi sulla
tranquillità pubblica o privata.

Ordinanza 20 aprile 2005

Il provvedimento di autorizzazione all’interruzione dell’alimentazione
artificiale richiesto dal tutore può non corrispondere all’interesse
dell’interdetto. Ed infatti, lo stabilire se sussista l’interesse al
provvedimento autorizzatorio, prima che l’attuabilità dello stesso,
giuridicamente presuppone il ricorso a valutazioni della vita e della
morte, che trovano il loro fondamento in concezioni di natura etica o
religiosa, e comunque (anche) extragiuridiche, quindi squisitamente
soggettive. Conseguentemente giammai il tutore potrebbe esprimere una
valutazione che, in difetto di specifiche risultanze possa affermarsi
coincidente con la valutazione dell’interdetto. Ad ulteriore supporto
di tale conclusione, va rilevato che le numerose norme rinvenibili
nell’ordinamento che conferiscono al tutore specifici poteri in
materie attinenti ad interessi strettamente personali – pur se di
carattere non altrettanto essenziale quale quello in esame –
dell’interdetto per infermità appaiono elementi sintomatici della non
configurabilità, in mancanza di specifiche disposizioni, di un
generale potere di rappresentanza in capo al tutore con riferimento ai
cc.dd. atti personalissimi.

Sentenza 21 novembre 1991, n.12530

Gli istituti di istruzione non possono essere considerati, ai sensi e
per gli effetti di cui al combinato disposto degli art. 18 e 35 l. 20
maggio 1970 n. 300, come imprese industriali e commerciali e,
pertanto, ai loro dipendenti colpiti da illegittimo licenziamento non
spetta la tutela, così detta reale, stabilita da detta legge.
È assistito da giusta causa, ai sensi dell’art. 2119 c.c., il
licenziamento intimato da un istituto di istruzione religioso di
confessione cattolica ad un proprio insegnante laico, per avere questi
contratto matrimonio col rito civile e non con quello religioso,
fondato sull’indissolubilità del vincolo e sul suo carattere
sacramentale, stante l’irrimediabile contrasto fra tale comportamento
ed i principi e la finalità che improntano l’attività di
insegnamento caratterizzata dal suddetto orientamento confessionale –
nella specie, peraltro, oggetto di incondizionata adesione,
contrattualmente prestata dall’insegnante – ed attesa la necessità di
escludere la natura discriminatoria del recesso, in quanto siffatto
orientamento risulta costituzionalmente tutelato come valore etico
primario dai precetti in tema di libertà di insegnamento, assicurata
alle scuole confessionali, in genere, e cattolica in particolare ed
intesa anche come libertà dei genitori di scegliere per i propri
figli un tipo di istruzione concretamente ispirato ai dettami della
dottrina cristiana.
Nel caso di riforma in appello della sentenza pretorile che abbia
ordinato la reintegrazione nel posto di lavoro del lavoratore
illegittimamente licenziato, le retribuzioni maturate fino al momento
di detta riforma, se già riscosse, restano irripetibili e, in
difetto, possono essere richieste in separato giudizio ai sensi
dell’art. 2126 c.c., mentre per il periodo successivo alla pronunzia
di appello, ricognitiva della legittimità del recesso, nessuna
retribuzione si rende più dovuta e, se corrisposta, una volta passata
in giudicato la pronunzia stessa, potrà essere oggetto di azione di
ripetizione.

Sentenza 03 agosto 1999, n.8386

La cappella funeraria, anche se gentilizia, non è che un sepolcro, e
non può dunque ritenersi che la disposizione testamentaria con la
quale si provvede alla sua manutenzione, senza alcuna modalità
integrativa relativa alla celebrazione di riti di suffragio o
devozione, abbia fine di culto o di religione e possa dunque essere
considerata alla stregua di una disposizione in favore dell’anima.

Sentenza 05 ottobre 1993, n.9838

Il diritto al sepolcro, inteso come diritto alla tumulazione, ha
natura reale e patrimoniale; pertanto, l’esercizio di un potere di
fatto – corrispondente al contenuto di quel diritto – dà luogo a
possesso in senso tecnico utile ai fini dell’usucapione.